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Autore: foxfeina    12/06/2008    4 recensioni
Scosse il capo e corse via, lasciandosi cadere sulle spalle il mantello nero.
Nero come il cielo di una notte senza stelle.
Nero come la sua coscienza.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin | Coppie: Sirius/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Alla fine della guerra

Black

Alla fine della guerra.

“Un altro…”

Alla scomparsa di Lord Voldemort.

“Ancora…”

Al ritorno della pace in questo mondo di merda.

Il bicchiere polveroso fu sbattuto con fragore sul bancone, ancora una volta.

“Ancora uno…”

“Black…”

“ANCORA UNO!”

Il boccale tornò a riempirsi del liquido ambrato, che un secondo dopo già spariva nella gola di un uomo dall’aria trasandata, con i capelli arruffati e la camicia spiegazzata.

Ne avrebbe bevuto ancora, avrebbe bevuto volentieri fino all’indomani, ma chiedere era inutile.

Il barista non gliel’avrebbe servito, conosceva fin troppo bene il lato del suo carattere che veniva fuori quando perdeva il controllo.

E poi, in fondo… era inutile stare lì, seduto, a brindare a quelle che erano e rimanevano soltanto speranze. Soltanto sogni che restavano non realizzati. E non realizzabili per come la vedeva lui, in quel momento.

“Vado a casa…” mormorò, la voce asciutta. Non era difficile dire a chi si stesse rivolgendo. All’interno del locale ormai restavano solo lui e il barista dal troppo buonsenso.

Un sorrisetto sul viso seducente di Sirius. Bisognava essere completamente andati di testa per definire Alberforth un uomo di buonsenso.

Lui gli rispose con una smorfia. “Ti accompagno.”

“No. Non ci provare. Faccio da solo.”

Non gli diede tempo né modo di replicare. Lanciò qualche monetina sul bancone in legno, poi uscì nel buio della notte, avvolto nel suo mantello nero.

~

Si era perso? Non era improbabile. Era notte e lui era mezzo ubriaco. Senza avere idea di dove fosse, bisogna aggiungere. Eppure… di Sirius Black si possono dire tante cose, abbastanza da nutrire abbondantemente una discussione piena di critiche nei suoi confronti… ma non si può certo dire che non reggesse bene l’alcool. In effetti, anche sperduto tra le strade di Londra, le mani in tasca e lo sguardo a terra, era perfettamente lucido e cosciente di ciò che faceva.

Non che fosse una cosa intelligente, no. Quello non potrebbe dirlo nessuno.

Camminava, perso tra i suoi pensieri irraggiungibili, tirando di tanto in tanto un calcio a qualche pietruzza sulla strada o a qualche scatolone dimenticato dal mondo. I capelli scuri non erano puliti e attraenti come al solito, ma ricadevano sul volto arruffati, in ciuffi disordinati.

Le vie londinesi erano immerse nel buio e nel silenzio, a quell’ora della notte, per di più in pieno autunno. Faceva un freddo della miseria, ma lui non se ne curava.

Guardò il cielo, con una smorfia disgustata. L’aurora non era lontana. E lui non aveva toccato un cuscino per tutta la notte. Per un attimo lo sfiorò l’idea di tornare a casa. Poi ripensò alle condizioni in cui l’aveva lasciata: fredda, sporca, le bottiglie di Whisky Incendiario ancora disperse tra le cianfrusaglie che erano le sovrane di quel monolocale. La voglia svanì in fretta, lasciando spazio ad un pizzico di rimpianto. Se avesse avuto una casa decente avrebbe almeno potuto chiudere occhio…

Alzò le spalle, accantonando il pensiero. Un altro po’ di autocommiserazione non gli giovava, decisamente. Estrasse la bacchetta, la ruotò rapidamente, battendola poi sul suo petto.

Un istante dopo Sirius Black era scomparso.

~

Il campanello.

Remus mugolò, girandosi dall’altra parte, nel suo letto troppo morbido. Non si era ancora reso conto che il suono non apparteneva al sogno.

Ancora.

Il giovane dischiuse gli occhi, passandosi una mano tra i capelli castani. Poi si voltò verso il comodino per guardare la sveglia. Le 4 e 30 della mattina. Chi diavolo era a quell’ora?

Un’altra volta.

“Arrivo, arrivo…” borbottò, mettendosi in piedi a fatica e trascinandosi fino alla porta, ancora in pigiama. Intontito com’era non pensò nemmeno ad accendere la luce, con il risultato che rischiò di cadere un paio di volte e riscontrò non poche difficoltà nell’aprire la porta di ingresso.

Quando vi riuscì squadrò uno dei suoi migliori amici con espressione scettica e sconsolata nel contempo.

Che hai combinato?”

“Fammi entrare, Rem…”

Si fece da parte, lanciando un’occhiata a Sirius: era messo male, malandato e poco curato. Non che di solito fosse particolarmente in ordine, ma perlomeno ci teneva alla propria immagine.

Remus accese la luce della cucina, invitandolo ad entrare. L’altro si lasciò cadere su una sedia.

“Non mi andava di tornare a casa.” mormorò, scompigliandosi i capelli già fin troppo arruffati.

“Hai bevuto?” chiese Remus, con espressione preoccupata.

Sirius gli lanciò un’occhiataccia, con una smorfia.

“Bevo ogni sera Moony, che cazzo di domande fai?”

Un sospiro, poi Remus si alzò, si avvicinò alla credenza e iniziò a cercarvi qualcosa all’interno.

Ne emerse poco dopo, una fiala in mano. La lanciò all’amico, che la afferrò senza problemi.

“Cos’è?”

“Ti farà stare meglio.” fu l’unica spiegazione.

Beh, in fondo Remus era sempre stato un bravo pozionista. Alzò le spalle e senza troppi problemi ingerì il contenuto della boccetta. Una strana sensazione di lucidità e chiarezza gli invase la mente.

Perfino l’ambiente circostante sembrò mettersi a fuoco.

“Wow…”

Remus fece una smorfia, poi sedette di nuovo accanto al compagno di mille avventure.

“Allora?”

Sirius imprecò sottovoce. Moony sapeva essere terribilmente pesante, quando voleva. Però non è che avesse tutti i torti. Gli era piombato a casa e l’aveva svegliato. Almeno una spiegazione la meritava.

“Ieri sono stato tutto il giorno a spiarla, Rem. disse, con voce colpevole, senza aggiungere altro.

Remus lo fissò, sbalordito. Scosse il capo con un sospiro.

“Sirius, pensavo ne avessimo già parlato…”

“Lo so, cazzo, LO SO!” lo interruppe violentemente Sirius, quasi urlando. “Lo so Rem… ma… non sono riuscito ad evitarlo… SO CHE NON DEVO!” aggiunse, anticipando le proteste dell’amico. “So che non devo, Moony… Ma… è…” Scosse la testa, sconsolato, lasciando la frase a metà.

Remus si passò una mano tra i capelli, gli occhi chiusi. Ne avevano già discusso tante volte, ma la situazione restava sempre la medesima.

“Devi fare qualcosa Pad… non puoi continuare così… non devi.”

L’altro sbuffò. Era bravo a parlare, lui. Ma non capiva… non poteva capire.

Tamburellò per qualche secondo le dita sul tavolo della cucina di Remus, poi scattò in piedi e si voltò verso l’uscita.

Dove vai?” chiese in fretta l’amico.

“Da lei.”

Un gemito.

Pad, stai facendo una cazzata…siediti e parliamo…”

Non lo ascoltò nemmeno. O forse lo sentì e si limitò ad ignorarlo. Fatto sta che uscì dalla casa senza un’altra sola parola, sbattendo la porta.

Remus restò a fissare l’uscio, lo sguardo ancor più serio del consueto. Scosse il capo, poi mormorò tra sé. “Che cosa stai facendo, amico?”

~

Il sole era sorto ormai. I suoi raggi rischiaravano la piazza ricoperta da foglie gialle e arancioni, senza però riscaldare troppo l’ambiente. Era ancora presto. Sarebbe già potuto andare da loro, in fondo Harry si svegliava sempre verso le sei, con enorme disappunto dei suoi amici. Già. Amici.

Ma era meglio aspettare. Sedette su una panchina solitaria, sul bordo della piazza principale di Godric’s Hollow. Tutti, maghi e Babbani, erano apparentemente ancora immersi nel loro sonno tranquillo. Mentre lui si dannava e malediceva. Che mondo di merda.

L’orologio della chiesetta all’angolo iniziò i suoi rintocchi… 5…6…e 7.

Si alzò, guardandosi ancora intorno. Un vecchio prete stava aprendo i battenti della chiesa e si preparava ad accogliere i fedeli. Doveva essere Domenica. Aveva perso anche la cognizione del tempo. Era un rifiuto umano, praticamente. Si, l’esagerazione era uno dei punti salienti del carattere di Sirius Black, nessuno poteva negarlo.

Si avviò lungo il viottolo alla sua sinistra, incamminandosi tra due file di villette perfettamente ordinate e curate. Le mani in tasca, non degnò di uno sguardo le case che oltrepassava. Non c’era bisogno di guardarle per riconoscere quella di Lily e James. Sapeva dov’era, e basta.

I suoi passi divennero più lenti ad ogni passo che lo avvicinava a quella casa. Perché, poi?

Che aveva da temere? Era…solo una visita di cortesia. Tra amici, naturalmente.

La raggiunse, alla fine. Erano passati almeno venti minuti da quando si era avviato dalla piazza. Di solito ce ne metteva cinque. Questo la diceva lunga sull’assurdità della situazione.

Un sospiro. Poi la sua mano si alzò con esasperante lentezza e bussò tre volte sull’uscio di casa Potter. Subito il rumore di un forte trambusto lo raggiunse, insieme all’inconfondibile pianto di un bimbo, il suo nipotino. Poi la porta si aprì. Rimase raggelato per un istante.

Lily era lì, sulla soglia, i capelli ancora arruffati. Doveva essersi alzata da poco e, a giudicare dall’espressione del volto, anche piuttosto controvoglia.

Sul fianco sinistro della mamma era appollaiato il piccolo Harry, che subito puntò gli occhi verdi ancora umidi di lacrime sullo zio, iniziando a dimenarsi.

“…io!!” gridò il bimbo, tendendo le mani verso Sirius.

Anche Lily era rimasta immobile per qualche attimo, restando a guardare Sirius in un misto di imbarazzo e risentimento. Ai movimenti del figlio sembrò riscuotersi, così come l’uomo davanti a lei.

“Ecco, ecco lo zio…” porse il figlio a Sirius con un sorrisetto timido.

Lui lo prese e,dimentico degli istanti imbarazzati, lo sollevò in aria e iniziò a scuoterlo sulla sua testa. “Ma ciao pidocchio! Allora, ti è mancato lo zio?”

Il piccolo rideva, Lily restò ad osservare, segretamente compiaciuta. Il piccolo nutriva una profonda adorazione per il suo padrino. Sirius giocò con il bimbo ancora qualche minuto, poi se lo mise sulle spalle e sorrise a Lily. Molto, troppo dolcemente.

“Allora Evans… mi fai entrare o mi lasci qui al freddo e al gelo?”

Lei alzò un sopracciglio e lo fissò scuotendo il capo…

“Vieni dentro, stupido…” si scostò, lasciandolo passare.

Lui entrò in casa, si guardò intorno qualche istante. Quanto gli era familiare quel posto. Quante serate passate lì dentro, a parlare davanti al camino o seduti per terra a fare giochi completamente idioti. E quanto erano cambiati i tempi. Ormai vigevano segretezza e riservatezza. Ogni visita era all’insegna del rischio. E loro rischiavano la vita tutti i giorni, insieme al loro bambino.

Esitò prima di parlare. Si morse un labbro, poi chiese, con voce che tentava di mostrarsi spavalda.

Perché mio fratello non è venuto ad accogliermi inchinandosi ai miei piedi e baciandomi la mano?”

Si esibì in un’espressione di profonda superiorità. No, non gli riusciva per niente bene.

Lily rispose, altrettanto esitante, riprendendo Harry in braccio.

Mmm… James non c’è, è uscito presto… Silente viene a prendersi il suo Mantello stasera, non so per quale motivo… Voleva fare un ultimo giretto, chissà quando potrà di nuovo…” Esitò, deglutendo e poi guardando Sirius direttamente negli occhi. “…non so quando torna.”

Il volto di Padfoot si contrasse in una smorfia a queste parole. Tentò comunque di mostrarsi rilassato.

“Ah… capisco… beh, per stavolta lo perdono allora…” si guardò intorno, imbarazzato. Indicò quindi il divano. “Ehm…posso?”

Lily scosse la testa, battendosi una mano sulla fronte…

“Accidenti…scusami… non so cosa mi è preso…” non era da lei non invitare gli ospiti ad accomodarsi… Sirius la guardò con un sorriso dolce. Lui lo sapeva benissimo cosa le prendeva, inutile negarlo. Le fece un cenno col capo, come a dirle di non preoccuparsi, mentre prendeva posto. Lei parve capire. Annuì. Fu Harry a rompere l’interminabile momento di silenzio.

“Mamma… sonno…” borbottò, mentre si stropicciava gli occhi con le manine. Lily lo guardò con il volto improvvisamente disteso e intenerito.

“I miei complimenti signorino…prima fai alzare la mamma alle prime luci dell’alba e poi mi dici che hai sonno…” lo guardò, carica di affetto materno. “Andiamo a nanna…scusami un attimo Sirius.

Aggiunse, lanciando all’amico uno sguardo di scusa e iniziando a salire le scale.

Lui attese che la figura di lei sparisse al piano di sopra per mettersi le mani davanti al volto e iniziare a maledirsi in tutte le lingue che conosceva. Solo l’inglese quindi.

Cosa ci faceva lì, cosa accidenti ci faceva?? E James non era nemmeno in casa…Doveva andarsene, doveva fare qualcosa, doveva…

“Stai bene?” i suoi pensieri furono bruscamente interrotti dal dolce suono della sua voce preoccupata.

Si riscosse. “C-cosa? Oh, si. Si…” evitò di guardarla. Non voleva vedere i suoi occhi. Assolutamente.

“Ti prendo qualcosa da bere?” chiese lei, con tutta l’innocenza del mondo.

Lui la guardò a quel punto, la fissò a lungo. Era bella…accidenti se lo era. Il suo viso roseo era incorniciato da folti capelli rosso scuro, la bocca era semichiusa e maledettamente attraente, con quella diabolica forma a cuoricino. Per non parlare degli occhi. Quello era un discorso a parte.

“No…non ce n’è bisogno…” scosse il capo, poi con un sospiro continuò. “…Lily…”

Lei deglutì, ma rimase in silenzio a guardarlo, gli occhi oscurati da qualcosa che forse era timore. E non era frequente leggere paura sul volto di Lily Evans.

“Abbiamo…abbiamo sbagliato, Lily…” tentò di tenere gli occhi bassi mentre le parlava, ma di tanto in tanto il suo viso scattava verso l’alto, a guardarla per un secondo, e si abbassava nuovamente. Si torceva le mani, cercando di scaricare il nervosismo. Sussultò quando lei le sfiorò con la sua.

“Sirius…” restò a guardarlo. Non disse altro.

E accadde ancora, in un solo momento, senza che nessuno dei due si fosse reso pienamente conto.

Lei si ritrovò stretta tra le braccia di lui, sul suo petto caldo e spazioso, le labbra incollate a quelle del migliore amico di suo marito. Era un bacio dolce eppure trasportato, lui le passò una mano dietro la testa, accarezzandole i capelli e avvicinandola di più a sé, lei era più rigida, bloccata dalla paura e dal rimorso. Ma lo desiderava. Lo desiderava ardentemente. Come lui desiderava lei. Ed entrambi, come due foglie in balia del vento, vennero travolti nell’acceso ed interminabile vortice della passione.

~

L’orologio scandiva il tempo, secondo per secondo, evidenziando ogni istante di peccato con il suo intramontabile ticchiettio. Erano sdraiati sul divano, i corpi ancora nudi e sudati, l’una tra le braccia dell’altro. Il silenzio regnava, rotto solo da quell’incessante rumorino che metteva ansia ad entrambi. James sarebbe potuto rientrare in qualsiasi momento. E se li avesse trovati lì, nudi, su quel divano?

Il divano di casa propria. Macchiato dalla lussuria di sua moglie e suo fratello.

Ne avrebbe sofferto tremendamente. Non era giusto. Era un errore.

Fu lui il primo a muoversi, facendola sussultare. Con un sospirò le accarezzò la guancia, restando ad ammirarla per qualche secondo. Poi scuotendo il capo si mise seduto, dandole la schiena.

Lei non fece nulla per fermarlo, ma si raggomitolò su se stessa, in silenzio.

Osservò l’amante alzarsi e rivestirsi con estrema lentezza, lanciandole occhiate veloci e timorose ogni volta che ne aveva l’occasione. Una frotta di bambini in corsa superò la finestra del soggiorno, facendoli girare di scatto verso l’uscio, che non si aprì.

“Lily…” Sirius si inginocchiò accanto al divano su cui lei era sdraiata, ancora nuda.

Lily scosse il capo, posandogli un dito sulle labbra carnose. Il bagliore di una lacrima lampeggiò negli occhi verdi quando questi incontrarono quelli grigi di lui.

“…perdonami.” sussurrò l’uomo.

Poi, senza aggiungere altro la baciò in fronte e restò a guardarla per un ultimo istante, senza sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista viva, senza poter immaginare che solo qualche settimana dopo la vita della donna che amava sarebbe stata violentemente stroncata da una Maledizione.

Si voltò, corse verso la porta ed uscì. L’aria fredda della mattina gli sferzò il volto ancora accalorato.

Chiuse gli occhi e strinse i denti, per difendersi dal dolore. Dolore che non era fisico. Tutt’altro.

Esitò, fissando ancora la finestra dietro la quale, lo sapeva, lei lo stava osservando. Scosse il capo e corse via, lasciandosi cadere sulle spalle il mantello nero.

Nero come il cielo di una notte senza stelle.

Nero come la sua coscienza.

   
 
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