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Autore: Samarskite    03/02/2014    7 recensioni
Si guardano negli occhi, esitanti.
“Facciamo così”, dice uno dei due. “Se la piuma si posa per terra, allora non se ne parla più.”
“E se si posa sull'acqua?”, chiede il secondo.
“Allora se ne parla.”

Harry/Louis, Glasgow!AU
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Una piuma sul Clyde

 

Well I would swim but the river is so wide
I’m scared I won’t make it to the other side
God knows I’ve failed but He knows that I’ve tried
I long for something that’s safe and warm
But all I have is all that is gone
I’m as helpless and as hopeless
as a feather on the Clyde


*

 

 
Si guardano negli occhi, esitanti.
“Facciamo così”, dice uno dei due. “Se la piuma si posa per terra, allora non se ne parla più.”
“E se si posa sull'acqua?”, chiede il secondo.
“Allora se ne parla.”
-
Harry siede per terra. Le sue dita laffondano distrattamente nel terriccio, facendo ampi movimenti e tracciando disegni astratti. Non gli importa che sia umido, o che gli si insinui sotto le unghie; lui continua. Anche i suoi pantaloni ormai saranno neri all'altezza del sedere, ma ha deciso che nemmeno quello gli importa granchè. Vuole solo rimanere lì, sulla riva del fiume Clyde, per sempre - o almeno finchè non sarà pronta la cena.
È il 12 ottobre, il cielo è color rosa pastello: Harry vorrebbe tanto avere una macchina fotografica come quella che hanno i grandi, per poter immortalare quei colori. Una volta ha chiesto in prestito la macchina fotografica di sua sorella Gemma, ma lei gliel'ha rifiutata, spiegandogli che se Harry iniziasse ad immortalare ogni sera il cielo scozzese, finirebbe per conoscerne a memoria ogni sfumatura, e non potrebbe più stupirsene. Harry non è mai stato molto sicuro di quella spiegazione, ma ci pensa spesso, guardando il cielo: gli sembra una bella spiegazione, ma non la capisce. Spera che, un giorno, sarà abbastanza grande da poterla capire, e farne tesoro.
Sua madre si sporge dalla finestra di casa che dà sul giardinetto interno; tutti non fanno altro che ripetere quanto sia meravigliosa la posizione della casa in cui gli Styles si sono trasferiti da tre anni a questa parte, ed Harry è d'accordo, anche se di anni ne ha solo sei. Una villetta di campagna nella periferia di Glasgow, a sei metri dal fiume Clyde, è stata un'occasione che sua madre non ha voluto farsi scappare.
Harry non si ricorda molto della cittadina da cui proviene, ma non gli importa granchè: lui, a Glasgow, sta bene, ed è questo l'importante.
“Harry, cosa ci fai seduto per terra? Sono quattro giorni che piove, sarai tutto sporco.”, lo chiama lei seccata. Non dice che è pronta la cena, e questo significa che si sta solo lamentando dell'incuria del figlio verso i propri vestiti.
Harry è un bambino logorroico, parla sempre, tranne quando vuole stare da solo: per quasto alza le spalle e decide di ignorare il richiamo della madre. Vuole solo guardare il fiume, ancora per un po', avvolto dall'atomosfera bruna della sera che si inoltra.
Almeno finchè non sarà pronta la cena.


Louis non ha un posto dove stare da solo. In casa ha quattro sorelle, una madre ed un rompicoglioni che non lo conosce e che ancora gli regala i libri di Beatrix Potter, nonostante Louis abbia già nove anni. Insomma, chi legge Beatrix Potter a nove anni?
Eppure lui ha un disperato bisogno di un posto in cui ci sia silenzio. Ha bisogno di pensare, e la sola idea che a un metro di distanza, oltre la porta della sua camera, ci sia tutta quell'umanità, beh, lo disturba.
In realtà, Louis ha un'idea sul posto in cui nascondersi, ma sua madre gliel'ha proibito assolutamente; certo questo non può costituire un freno per lui, dato che sono le otto di sera e sicuramente sua madre si troverà già a letto con le tapparelle abbassate. Le sue sorelle, pensa, andranno a letto fra circa mezz'ora, seguite da quell'uomo antipatico che sua madre ha voluto a tutti i costi seguire fino a Glasgow. Louis stava bene, in Francia. Viveva nel centro di Parigi e tutte le mattine poteva passare davanti a Notre-dame, prima di andare a scuola. Amava la parlata francese, e amava che i suoi amici lo prendessero in giro per il suo accento mischiato ad un'influenza scozzese non meglio identificata. Ora vive ancora nel centro città, è vero, ma è tutto così dannatamente umido e triste.
Louis trova tutto triste, perché è sempre stato un bambino triste. Fa sempre lunghi monologhi con sè stesso, a mezza voce. Louis non parla spesso, sta quasi sempre zitto, tranne quando vuole restare da solo: allora inizia a parlottare a mezza voce per eliminare rumori esterni o persone indesiderate, finchè non viene lasciato solo a sguazzare nel proprio silenzio.
Louis prende in mano una coperta, apre la porta della propria stanza con cautela, controlla che la via sia libera e vola verso il punto in cui, sopra di lui, si trova la scala a scomparsa; il cordone d'azionamento pende dal soffitto, lui lo tira e la scala si abbassa. Louis si arrampica ed arriva fino al tetto, fuori all'aperto. L'aria umida e fredda lo colpisce al viso, le dita dei suoi piedi nudi si accartocciano e tutto in lui rabbrividisce. Lui storce il naso, ma si siede sulle tegole e si copre con la coperta.
Poi osserva la città sconfinata sotto i suoi occhi, prende un lungo respiro e si bea del silenzio.
-

Quattordici anni dopo, Harry Styles si trova ancora sulla riva del fiume. Stavolta è una mattina estiva, lui è soltanto accovacciato, la terra è secca ed il fiume luccica sotto i raggi del sole. Sua madre non c'è, è da qualche parte della Scozia a svolgere il lavoro per cui viene pagata; sua sorella vive a metà fra la casa del suo fidanzato e la casa in campagna, e in questo momento si trova nella prima.
Harry non sa nemmeno con precisione perché stia osservando il fiume all'alba delle dieci di mattina, quando è palesemente in ritardo per trovarsi con il suo migliore amico nella biblioteca di Glasgow. Scuote la testa, sentendosi un pirla, si alza in piedi e compie una mezza giravolta, per poi attraversare il giardino a grandi falcate e rientrare in casa.
Il fresco dell'interno lo fa rabbrividire, mentre cerca le chiavi della macchina e si ravvia i capelli specchiandosi nel forno. Stamattina, stranamente, si trova quasi accettabile: indossa una camicia di cotone, bianca e sbrindellata, un paio di jeans neri e delle Converse scalcinate. I capelli ricci gli danno fastidio, perciò li ha legati in una bandana color panna. Reduce da una vacanza, la sua pelle è abbronzata; i suoi occhi hanno una luce ottimista, e Harry se ne compiace.
Esce di casa facendo tintinnare le chiavi, con un leggero sorriso sulle labbra. Oggi è una bella giornata di luglio e, se lo sente, è la volta buona: qualcosa andrà per il verso giusto.


Minuto più o minuto meno, mentre Harry Styles entra nell'atrio della biblioteca insieme a quello che ha l'ardire di chiamare migliore amico - rispondente all'anagrafe col nome di Nick Grimshaw, ventitrèenne smagliante, appariscente di giorno e glitterato di notte - Louis litiga con la bibliotecaria, qualche metro più in là. Non riesce a capire per quale arcano motivo non risulti la sua restituzione del libro di Flaubert, mentre lui lo ha ovviamente restituito (perché è palese che solo un insano di mente si terrebbe un libriccino di cento pagine in cui si elencano i luoghi comuni per ordine alfabetico), ma la bibliotecaria non molla.
“Signor Tomlinson, le posso assicurare che non risulta nella sua ubicazione assegnata, e questo significa che non è stato riconsegnato.”, insiste la donna con un tono dolce che stona con le parole, tanto che Louis vorrebbe prenderla a schiaffi. In quel momento, però, gli passano accanto un tizio che emana hipstericità (diamine, esiste, questo termine?) da tutti i pori e Nick Grimshaw, che posa la propria mano sulla spalla di Louis, sorridendo smagliante: “Patisserie, grazie per aver riconsegnato Flaubert, o non avrei fatto in tempo a leggerlo prima di partire.”
Louis lo ignora completamente e lancia un’occhiata insistente alla bibliotecaria, come per dire: “Visto? È colpa sua, non mia!”; poi si allontana lasciando Nick Grimshaw ed il suo sorriso un po’ meno smagliante a spiegare come diavolo possa essersi dimenticato di registrare il prestito.
Mentre Louis sta per entrare nella sala di lettura, sente dei passi dietro di sé e una voce profonda chiamarlo: “Ehi, tu!”. Louis si volta e vede l’hipster, che gli sta venendo incontro: “Scusa se Nick ti ha messo nei casini – voglio dire, è proprio nel suo stile, ma lui non lo riconoscerebbe mai, perciò spesso tocca a me farlo al posto suo.” Fa una pausa. “Ammetterlo e scusarsi, intendo.”
Harry, in quattordici anni, è rimasto logorroico; Louis, in quattordici anni, è rimasto taciturno. Ma ovviamente nessuno dei due lo sa, perché non si sono mai visti prima, perciò il secondo si limita a fare spallucce in direzione del primo, per poi voltarsi e raggiungere il suo tavolo di lettura preferito.
E mentre Harry pensa che, cazzo, un ragazzo così taciturno e con degli occhi del genere non l’aveva mai visto, Louis si siede e riflette che avrebbe anche potuto essere più gentile, ma d’altronde non lo conosce e quindi non è una colpa enorme. In quel momento, però, Louis sente una mano dargli una pacca sulla spalla, e si dimentica dell’hipster e di Nick Grimshaw, perché quella pacca può solo significare che è arrivato Niall.
“Ehi, amico.”, gli sussurra il ragazzo appena arrivato, prendendo posto accanto a quello già seduto. “Ti ho visto parlare con Harry Styles, sono via da due settimane e mi hai già rimpiazzato?”, domanda poi sorridendo sornione.
Louis aggrotta le sopracciglia: “Mi hai visto parlare con chi?”
Niall ride silenziosamente e si siede composto, alzando le mani come in segno di resa: “Ritiro tutto, non mi hai rimpiazzato. Il ragazzo con la camicia sbrindellata che ti parlava prima si chiama Harry Styles, siamo compagni di corso e lo vedo spesso.”. Niall fa una pausa ad effetto, mentre apre il libro e si riavvia il ciuffo biondo. “Sono stato geloso per un attimo, mon.”, conclude poi.
Louis sorride, constatando come tutti lo chiamino con soprannomi francesi senza sapere il francese: in particolare, Niall gli ha già confessato di non sapere pronunciare amour, e di avere perciò deciso di limitarsi a mon - che a suo dire è molto più romantico.
“Tu, geloso di un ragazzo come quello? Andiamo, siamo come il sole e la luna.”, protesta Louis bisbigliando, mentre la coppietta Styles/Grimshaw passa davanti al loro tavolo ed Harry gli lancia un'occhiata curiosa.
Niall sorride: “Ricorda come il sole amasse tanto la luna da morire ogni giorno per consentirle di respirare.”, cita.
Louis gli lancia un'occhiata storta. “Questa l'hai presa da Twitter. Non mentire, ci sta in 140 caratteri!”
Niall si imbroncia: “Non sei per niente poetico.”
“Devo ricordarti che io e te siamo ancora due cani solitari che fanno solo finta di avere una parvenza di interesse amoroso l'uno per l'altro solo per animare la loro noiosa vita?”
L'altro apre la bocca per protestare, ma Louis lo precede alzandosi rumorosamente ed avviandosi a testa bassa verso l'uscita, il libro sottobraccio. Gli è parso che l'hipster stesse cercando di trovare un pretesto per avvicinarsi al tavolo, e non ha davvero voglia di parlare. L'unico che riesce a farlo diventare una persona con cui conversare normalmente è proprio Niall, pensa amareggiato. Ah, e anche Ed. Ma Ed non conta, lui sarebbe capace di far parlare i sassi.
Esce fuori dalla biblioteca ed il sole lo acceca. Sente passi di più persone dietro di sè, e ci scommetterebbe la cosa più cara che ha che una persona è Niall, me tre l'altra è il riccio rompipalle. Fa un cenno ad un taxi - perché non è venuto in macchina, stamattina? - e fa per salire, quando si volta e vede Harry a pochi metri da lui.
“Io sono Harry, comunque.”, gli dice il riccio sorridendo.
Louis non resiste alla tentazione, troppo forte, di sorridere a sua volta e rispondere: “Lo so.”, per poi salire sul taxi e chiudere la portiera.
Harry guarda il taxi allontanarsi, desiderando di avere una macchina fotografica per immortalare gli occhi azzurro mare di quel ragazzo taciturno, dalla voce acuta, spezzata, irriverente ma velata di tristezza. Ma d'un tratto ricorda le parole di sua sorella Gemma, e pensa che forse è meglio così.
-
Quattro mesi dopo, a chilometri di distanza l'uno dall'altro, mentre Harry Styles aspetta pazientemente che la caffettiera inizi a fischiare Louis Tomlinson rompe la sveglia lanciandola per terra, poi torna a rintanarsi sotto le coperte. Non gliene frega niente del corso che inizia tra mezz'ora, fuori piove e ha deciso che vuole restare a letto fino a sabato sera, per poi alzarsi, farsi una doccia ed andare a quello schifo di festa a cui l'hanno invitato sia Niall che Nick.
Louis sa che non dovrebbe mai andare alle feste a cui lo invita Niall. E sa anche che, se Nick Grimshaw rincara l'invito, significano guai. Ma dato che è venerdì mattina, e non può certo aspettare il lunedì per mettere le chiappe fuori dal letto, decide di puntare ad un traguardo più modesto, ossia il sabato sera. E poi, avrà una fame da lupi, dopo quasi due giorni di digiuno. Alla festa ci sarà da mangiare, spera.
Dall'altra parte di Glasgow, mentre Louis si rigira nelle coperte, Harry beve il suo caffè. Non ha mai pensato molto all'incontro in biblioteca con quel ragazzo strampalato, ma chissà come mai Nick è convinto di sì, perché gli ha appena mandato un messaggio che dice che Occhi Azzurri sarà alla festa di Liam Payne. A dirla proprio tutta, in un primo momento Harry non sa nemmeno a chi si stia riferendo il suo amico; impiega qualche minuto a capire di chi stia parlando, e solo allora si acciglia.
Non so nemmeno il suo nome, Nick, digita aggrottando le sopracciglia.
Ma la risposta è fulminea, e digraziatamente prevedibile: si chiama Louis Tomlinson. Fatti bello xxx
La cosa interessante di quel sabato sera è che nè Louis nè Harry provano un particolare interesse l'uno per l'altro, sebbene Niall e Nick siano convinti del contrario. Non c'è stato tempo di provare interesse - e poi, diciamocelo, in quanto ad estetica Louis è proprio basso - in aggiunta sono passati quattro mesi, e nessuno dei due riesce nemmeno più a collegare il nome ad una faccia, anche solo vaga. Da parte di Louis poi, c'è un problema di fondo: non sta cercando nuove conoscenze. Sta solo cercando di restare vivo fino alla fine dell'università; e allora potrà buttarsi nella scrittura o nel teatro, ed il suo atteggiamento schivo potrà essere considerato da tutti legittimo perché “tipico dell'artista”.
Un po' per questo, un po' per il rincoglionimento di entrambi (Louis deve aver dormito davvero troppo, Harry davvero poco) quando arriva il momento di incontrarsi l'eccitazione è palpabile, ma solo da parte di Niall e Nick.
Si trovano su una collina, sotto un enorme gazebo riscaldato posto nel giardino dell'organizzatore della festa - un certo strano Liam Payne, un incrocio tra David Beckham e l'Orso della Casa Blu, ha sempre pensato Louis. Non c'è persona che non abbia in mano un bicchiere o una bottiglia, ed è difficile per i quattro ritrovarsi nella calca.
Appena Niall e Louis compaiono all'orizzonte, il primo pensiero di Harry è che Louis ha l'aria terribilmente casalinga: darebbe di tutto pur di essere in casa a poltrire davanti al computer, tutto pur di non essere in mezzo a quella gente - troppa. Indossa una maglietta grigia con la scritta “Veni, Vidi, Vici”, e un paio di pantaloni scuri. Ai piedi calza delle Doctor Martens basse da uomo, e Harry non potrebbe giurarlo ma la la luce viola/bluastra che tinge l'atmosfera gli fa sembrare che Louis non indossi le calze.
Da parte sua, Louis ha l'impressione esattamente opposta: Harry adora essere in mezzo a quella folla, si vede da come si muove. Indossa una camicia bianca di cotone, un paio di skinny jeans e degli stivaletti nero di gusto discutibile. Il fatto che sia vestito come una persona normale, medita Louis, può solo far supporre che voglia essere accettato naturalmente e che quindi voglia divertirsi, almeno per stasera. La luce soffusa mette in evidenza le occhiaie sotto i suoi occhi (verdi?, si domanda Louis, deve controllare meglio), ma ha l'aria comunque felice. Stringe in mano un drink dal colore fluorescente.
Nel tempo che i due hanno impiegato a squadrarsi con calma disinteressata, Niall e Nick si sono dati delle grandi pacche sulla spalla e si sono dileguati, sperando di essere considerati di troppo.
Tuttavia, Louis ed Harry si scambiano uno sguardo, nomi e convenevoli, poi indugiano per un attimo ed ognuno va per la sua strada.
E attualmente, per Louis tutto normale; lui è nato per evitare gli altri. Ma invece, per Harry, c'è una differenza rispetto all'abitudine: gli occhi di Louis lo hanno turbato.


Quando Louis ricontrolla l'orario sul telefono, sono le tre di notte. Ha passato la serata a chiacchierare con un certo Mike, un amico di Ed, ha bevuto ed ha ballato, ma solo per poco, perché lui odia ballare. Appena ha sentito la testa girargli vorticosamente è uscito dal gazebo, nella fredda aria di novembre, ed è caracollato verso il parcheggio dove sostano le macchine degli invitati. Spera di poter trovare un angolo di solitudine in cui poter vomitare ed autocommiserarsi in pace.
Alza lo sguardo sul cielo e, per un attimo, si perde a guardare le stelle sopra di lui, così nitide da sembrare irreali; la contemplazione dell'infinito è interrotta da un conato di vomito, perciò Louis si accartoccia su sè stesso e volge il viso al terreno. Ha appena finito di vomitare quando un voce biascica, pigra: “Quella era l'auto di Nick.”
Louis si guarda intorno - perché quella voce è palesemente di Harry Styles - e lo vede straiato sopra il tetto di una jeep, i piedi sporchi di terriccio sul cofano verde chiaro, a guardare le stelle come lui poco prima.
“Oh, fanculo.”, sbotta Louis asciugandosi la bocca con il dorso di una mano, sentendo il mondo che inizia a sciogliersi. “Tu hai i piedi su una jeep non tua.”
Harry si tira leggermente su e lo guarda accigliato: “Come fai a dire che non è mia?”
“Se lo fosse non ci appoggeresti i piedi sporchi.”, replica l'altro indicando il cofano.
Harry sposta lo sguardo da Louis ai propri piedi, poi di nuovo a Louis, e sorride: “Touchè.”, constata entusiasta.
“Già”, bofonchia l'altro, non altrettanto brioso.
Harry batte le mani e si sposta su un lato della jeep: “Vieni, c'è posto.”, dice indicando uno spazio infinitesimale accanto a sè. Poi aggiunge: “Aiuta a diminuire la nausea. Al liceo lo facevo sempre, per smaltire parte della sbornia prima di rientrare in casa.”
Louis fa spallucce ed obbedisce, prendendo posto a fatica accanto al riccio, e si sdraiano. C'è un silenzio quasi irreale, spezzato dal frusciare dell'acqua di un fiume. Non sapeva che Liam Payne abitasse vicino al Clyde.
“Ci pensi mai”, chiede Harry con voce impastata, “a come sarebbe bello poter vedere da vicino le stelle, e rubarne una da portare a casa e da usare come lampadario per il soggiorno - non nella cucina o nel bagno perché sarebbe un oggetto di design sprecato e non nella camera da letto perché non so te ma a me piace davvero tanto dormire al buio e fare sesso al buio - per il soggiorno invece sarebbe davvero figo, e potresti impressionare i tuoi ospiti e dire di avere una stella in casa, anche se non sono del tutto sicuro che, insomma, eh, voglio dire -”, fa una pausa e medita un attimo, poi: “Voglio dire, penso che mi brucerei la mano con le dita e tutto, poi io non amo molto le altezze, tu che ne dici?”
“Non saprei”, valuta laconicamente Louis. “Forse ti converrebbe rubare qualcosa di più leggero.”
Harry tace per dei lunghi attimi, e sembra essersi addormentato, ma poi parla: “Già, forse. Sai, anche io abito accanto al Clyde, come Liam Payne. In periferia.”
Louis non dice niente, ed Harry si volta verso di lui: “Perché sei sempre così triste?”
Louis sente un brivido percorrergli la schiena. Sono passati ventitrè anni, e nessuno ha mai associato il suo carattere poco espansivo ad una qualche forma di tristezza, ma solo ad una lunaticità antipatica. Ventitrè anni volati via come una piuma al vento, prima che arrivasse questo ranocchio tutto gambe a fare quella semplice constatazione che nessuno ha mai voluto fare.
“Non lo so.”, dice infine. “Mi sento solo passivo. Non mi va di sprecarmi per qualcosa che verrà rovinato.”
“Non ti va di sprecarti - per una conversazione sulla mia casa in periferia di Glasgow?”
Louis ride, ed Harry si sente riempire di orgoglio per essere riuscito a farlo ridere. Perciò aggiunge: “Io penso che alla fine convenga sprecarsi, e provare. Qualsiasi sia il tuo dio, almeno saprà che hai fallito - ma ci hai provato.”
“Cosa succede se io non credo in alcun dio?”
“Allora lo saprà la tua coscienza. Che ne dici?”
“Non lo so. Non parliamone. Della tua casa in riva al Clyde, di quello si può parlare.”
-

Cinque mesi dopo, fuori c'è il sole ma Louis non vuole alzarsi. Harry bussa delicatamente alla sua porta, cercando di svegliarlo - ubriacarsi il sabato sera guardando The Rocky Horror Picture Show non è esattamente la premessa migliore per tornare a casa in macchina, perciò Louis lo ha ospitato nella propria. Sono le nove, ma Harry sarebbe comunque lieto di passare la domenica mattina facendo qualcosa di diverso dall'osservare da solo il soffitto, sdraiato su un divano.
Bene inteso, Harry passerebbe la vita in casa di Louis: odora di legno, pane caldo e ciliegia. Ha un che di piccolo e rassicurante, benchè prima ci vivessero altre cinque persone; non come la villetta degli Styles, che vanta tre piani e solo tre abitanti.
Dalla camera da letto, nessuna risposta; in quattro mesi e mezzo Harry ha imparato qualcosa di Louis, non molto ma abbastanza da sapere che se decide di rimanere a letto per tre giorni lo fa senza problemi, e senza alcun ripensamento. “Louis”, lo chiama il riccio cercando di imitare il tono dolce con cui lo chiamava la madre, anni fa. “Vorresti alzarti, per favore?”
La risposta è un mugugnio soffocato che assomiglia molto ad un “che ore sono?”
“Le nove, è tardi.”, replica l'altro pazientemente.
“Tu sei matto”, è la risposta. Segue subito un cigolio di molle, segno che Louis ha dato la schiena alla porta ed ha ripreso a dormire.
“Ma io mi annoio!”, inizia a lamentarsi Harry, lagnandosi e allungando le o. “Posso almeno entrare?”
“Fai come ti pare, basta che mi lasci dormire.”, è la risposta scorbutica.
Perciò Harry esegue: entra con passo leggero, cercando di essere più inudibile di una piuma, e si infila accanto a Louis nel letto a due piazze. Quest'ultimo si degna quantomeno di girarsi una seconda volta, in modo che Harry non gli osservi la schiena.
“Sei carino quando sei assonnato.”, considera Harry sfoderando le fossette.
Louis apre mezzo occhio e sbadiglia. “Sei nel mio letto, quindi devi fare quello che ti dico io, stai zitto.”
Harry ridacchia. “Sono sicuro che non intendevi essere così equivoco.”
“Nessuno intende equivocità alle nove della domenica, Harry. Adesso zitto.”
“Ma io mi annoio.”
“Silenzio.”
“Altrimenti cosa fai? Mi sbagli aggressivamente in faccia?”
“Non resterai nel mio letto ancora a lungo.”, considera Louis sbadigliando ancora e tirandosi le lenzuola fin sopra la testa.
“E invece non me ne andrò più da questa piazza matrimoniale, sappilo.”
“Sono troppo giovane.”
“Per sposarti? Ma non mi ami? Mi ferisci.”
“Harry, ti uccido. Vattene.”


E invece, quando ancora un mese dopo Harry e Louis si ritrovano a guardare il soffitto nel buio della stanza, il fiato corto e le fronti sudate, le molle del materasso cigolanti, avvolti solo da una coperta a scacchi, Louis pensa che in fondo non è davvero necessario che Harry se ne vada presto da quella piazza matrimoniale sul lato destro del letto. In fondo, pensa, può proficuamente rimanere ancora un po'.
Harry si lecca le labbra secche e parla con voce arrochita: “Dovremmo magiare giapponese più spesso, se questo è il risultato.”. Poi, si volta a guardare Louis. “Nick e Niall si sentiranno troppo potenti, quando lo verranno a sapere.”
“Lo verranno a sapere?”, domanda Louis accigliato.
“Non sono sciocchi, lo capiranno.”, si acciglia a sua volta il riccio.
Louis non dice nulla per un po', si limita a tacere. Harry ha ormai imparato che non si può pretendere da Louis più di quanto già non doni; alla fine dei suoi silenzi, la ricompensa sarà grande.
Infatti, poi parla: “Ti ricordi quando abbiamo parlato seduti sulla jeep, in riva al Clyde?”
Harry annuisce e Louis prosegue: “Mi sento come allora, così adesso.”. L'altro sorride: “Ubriaco?”
Louis scuote la testa. “No, solo sereno.”. Poi si volta verso Harry, si sporge verso di lui e gli lascia un bacio in fronte.
“Hai tempo prima di dover andare a studiare da Niall?”, chiede Harry facendo quasi le fusa. Louis annuisce, e le molle riprendono a cigolare.
-

Sedici ore più tardi, Harry si alza dal letto sbadigliando sonoramente, mentre a chilometri di distanza Louis sorseggia un the. E qualcosa li lega: stanno entrambi pensando alla conversazione sulla jeep.
Harry ha pensato tutta la notte ad una frase che Louis gli aveva detto allora, mentre parlavano del fiume Clyde, molto più bello in periferia che in centro città: “Sono contento di non abitare vicino al fiume”, aveva detto d'un tratto così dal nulla. “Quell'acqua mi fa paura.”
“Come può farti paura l'acqua di un fiume?”, gli aveva chiesto Harry, quasi scandalizzato; per lui, che con quel fiume ci è cresciuto, è inconcepibile. “Non sai nuotarci?”
“Saprei nuotarci, lo farei, ma l'acqua è così profonda, e io - io non arriverei all'altra sponda.”, gli aveva detto Louis.
Ed ancora, mesi dopo, nel suo letto, Harry gli ha chiesto se crede nel destino e nei sorteggi. “Non credo nel destino e non credo nei sorteggi. Credo nelle scelte.”
Quasi d'istinto, Harry prende il cellulare ed avvia una chiamata. Stranamente, Louis risponde subito.
“Ciao, Lou.”, sorride Harry alla cornetta. “Volevo proporti una piccola scommessa.”


Mentre Louis Tomlinson cammina per una sperduta stradina nella campagna circostante a Glasgow, beandosi dell'aria fredda e del rumore di ghiaia sotto i suoi piedi - chiedendosi in realtà chi glielo stia facendo fare, di andare fin in periferia di Glasgow con il freddo che fa - a casa Styles è tutto un fermento.
Harry ha cacciato sua sorella fuori di casa, si è accertato che sua madre stia fuori dalle scatole per ancora qualche giorno e vola da una parte all'altra della casa cercando di mettere in ordine il caos più totale. Si sente una casalinga disperata, e quando il campanello suona con poca convinzione la disperazione raggiunge il culmine: pur non essendo del tutto sicuro che quella mania di mettere a tutto al suo preciso posto sia una cosa normale, in un maschio ventenne, Harry si concede ad un lamento prima di andare ad aprire alla porta. Appena vede Louis però, imbacuccato in una giacca a vento mentre si guarda intorno per memorizzare il luogo, si dimentica della sua disperazione femminile e sorride istintivamente: “Buonasera.”
Louis lo guarda e si lascia sfuggire un sorriso a sua volta: non dice nulla, ma il fatto che il sorriso si estenda agli occhi è per Harry un saluto più che valido.
Lo lascia entrare, gli lascia un bacio sulle labbra, ed entrambi sanno che qualcosa sta scivolando via.
-

“Qui è dove stavo sempre da bambino quando avevo bisogno di pensare. Lo consideravo il mio posto segreto, anche se era sotto gli occhi di tutti. Ho nuotato spesso, nel fiume. Non è così profondo.”, racconta Harry a Louis. E d'un tratto, il riccio si sdraia completamente per terra. Louis nota che le sue dita affondano distrattamente nel terriccio, facendo ampi movimenti e tracciando disegni astratti. Ad Harry non importa che sia umido, o che gli si insinui sotto le unghie; lui continua.
“Il mio rifugio segreto era il tetto di casa mia. Si vedeva tutta Glasgow, dall'alto.”; Louis inspira l'aria umida, e decide che è tempo di dire ad alta voce quello che cova dentro da quando ne ha memoria. “Vorrei solo rimanere qui, sulla riva del fiume Clyde, per sempre”, dice ad Harry. “E dimenticare la mia vita. Così.” Louis si siede accanto al ragazzo, e guarda l'acqua mentre scorre: “Tu non ti senti mai in balìa della corrente? Come...”, fa vagare lo sguardo attorno, e trova una piuma di un qualche animale non identificato a poca distanza da sè. Perciò si allunga e prende la piuma, poi la tende ad Harry, che la afferra. “Mi sento inaiutabile - non so se esista questa parola, ma hai capito, penso. E senza speranza. Come una piuma sul Clyde.”. Si guardano. “Mi - capisci, vero?”
Harry non esita, solo ricambia lo sguardo, poi annuisce. “Ti capisco.”, dice. E Louis ricorda che gli occhi di Harry sono davvero verdi, come gli era parso la prima sera.
“Perché mi hai detto queste cose?”, gli chiede allora il riccio, interrompendo i suoi pensieri.
Louis inspira col naso, non sposta gli occhi. “Penso, è più facile dirle a te, me le porto dentro da tutta la vita.”
“E non le hai mai dette a nessuno?”
“No, io - no. Ho solo la mia famiglia, e adesso non c'è. Niall sa che non amo parlarne. Quindi meglio stare zitti e sopportare.”
“Ma le hai dette a me, perché a me?”, insiste Harry, perché vuole sapere, e curva un angolo della bocca.
Louis risponde: “L'ho detto a te, perché hai tentato di convincermi che posso arrivare dall'altra parte del fiume.”


Sedici minuti più tardi, Harry osserva Louis con serietà solenne. “Ora”, gli dice, “ne parliamo, e non mi interrompi.”; fa una pausa ed un sorrisetto divertito, come se Louis fosse il tipo di persona che interrompe chi parla.
“Quando ti ho incontrato in biblioteca, non mi dicevi niente. Avevi solo dei begl'occhi.”, inizia Harry. Sono in piedi, uno di fronte all'altro, davanti al Clyde. “Poi ti ho incontrato alla festa. E di nuovo ho pensato che i tuoi occhi avevano qualcosa di speciale. E poi abbiamo parlato sulla jeep. E non penso che sia normale che una persona si senta così vicina ad un'altra persona semplicemente smaltendo la sbornia con essa guardando le stelle, ma - è successo. Allora ho pensato che eri speciale. Dopodichè ci siamo scambiati i numeri, e tutto solo perché dovevo mandarti il video di quando Nick avrebbe scoperto che qualcuno aveva vomitato su una ruota della sua macchina, e abbiamo parlato e parlato. Ci siamo visti, abbiamo fatto lunghe passeggiate, e siamo finiti dove siamo finiti.”
“Dove siamo finiti?”, chiede Louis d'istinto; pensa che sarà la prima ed unica volta in cui interromperà qualcuno. Harry ride e risponde: “Qui.
Poi prosegue: “Ti ho chiesto se credevi nel destino. E mi hai detto di no, mi hai detto che la vita è fatta di scelte. Ma io ci ho pensato molto, e ho deciso che non voglio che questa sia una cosa che andrà avanti per altri tre mesi, e poi addio. Non voglio che sia una sciocca ragazzata superficiale. Mia sorella una volta mi ha detto che se guardi troppo a lungo qualcosa di bello, finisci per stancartene. Non avevo mai capito fino ad adesso che questo vale per tutte le cose, eccetto una. Voglio trovare qualcuno di cui non stancarmi mai, e penso proprio che dei tuoi occhi potrei non stancarmene; capisci?”
Louis annuisce, ed Harry non si ferma. “Ho bisogno di sapere cosa ne pensi, Louis.”
E l'altro apre la bocca, per poi richiuderla, per poi riaprirla e dire: “Dobbiamo proprio decidere adesso? Io non voglio prendere la decisione sbagliata. Tu, in qualche modo, mi fai sentire al sicuro, Harry. Okay? Ma non so se sia davvero una ragazzata, o qualcosa di più. Come facciamo a decidere?”
Harry sorride, e gli mostra la piuma che Louis gli ha teso poco prima. “Ci affidiamo al destino.”


E così, lo fanno. Si guardano negli occhi, esitanti.
“Facciamo così”, dice Harry. “Se la piuma si posa per terra, allora non se ne parla più.”
“E se si posa sull'acqua?”, chiede Louis.
“Allora se ne parla.”
Louis sta per soffiare la piuma dal palmo della mano di Harry, quando questo lo ferma. “Qualsiasi sia il risultato, prometti di farmi prima vedere Glasgow dall'alto? Prima di parlarne o non parlarne?”
Louis lo guarda, sorride. “Certo, Harry. Qualsiasi sia il risultato.”; poi fa per soffiare, ma ancora si interrompe per aggiungere: “Certo che sei stronzo.”
Harry si corruccia: “Che ho fatto?”
“Ti dico che non credo nel destino, e stiamo decidendo della nostra vita con una piuma.”
Harry distende le sopracciglia, e sorride. Potrebbe avere la risposta sulle labbra, o forse no. Ma Louis non lo saprà mai, perché soffia via la piuma.

*

Louis prende in mano una coperta e due thermos - uno pieno di the e uno di caffè - poi si avvia verso il punto in cui, sopra di lui, si trova la scala a scomparsa; il cordone d'azionamento pende dal soffitto, lui lo tira e la scala si abbassa. Louis si arrampica ed arriva fino al tetto, fuori all'aperto. L'aria umida e fredda lo colpisce al viso, le dita dei suoi piedi nudi si accartocciano e tutto in lui rabbrividisce. Lui storce il naso, ma si siede sulle tegole e si copre con la coperta. Si volta verso l'altra sagoma, già seduta sul tetto ad aspettarlo. La sagoma gli sorride palesemente e si avvicina a Louis, afferra il thermos con il caffè ed appoggia la testa sulla spalla di quest'ultimo.
“Hai paura dell'altezza, Harry?”, chiede gentilmente.
Harry ci pensa, scrutando la sera che muore, e scuote la testa: “Ci sei tu che mi tieni”, dice. “Venivi spesso qui?”
Louis dice di sì. Non ha mai sofferto di vertigini. Gli è sempre piaciuto il posto sul tetto. È da un po' che non ci saliva, da quando sua madre è tornata in Francia con tutta la truppa a carico dopo la morte dello zio Ben - lasciando Louis solo in quella casa piena di ricordi. Perché Louis non ha niente, eccetto quello che ha già perso. Harry lo guarda triste, ma non dice più niente.
Poi osservano la città sconfinata sotto i loro occhi, prendono un lungo respiro e si beano del silenzio.




 
*

Come vedi, Freds, nessuno affoga.

Sam (passatger)
  
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