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Autore: Water_wolf    03/02/2014    7 recensioni
Tutti conoscono Percy Jackson e Annabeth Chase. Tutti sanno chi sono. Ma ancora nessuno sa chi sono Alex Dahl e Astrid Jensen, semidei nordici che passano l'estate a sventrare giganti al Campo Nord.
Che cos'hanno in comune questi ragazzi? Be', nulla, finché il martello di Thor viene rubato e l'ultimo luogo di avvistamento sono gli States.
Chi è stato? No, sbagliato, non Miley Cyrus. Ma sarà quando gli yankees incontreranno il sangue del nord che la nostra storia ha inizio.
Scritta a quattro mani e un koala, cosa riusciranno a combinare due autori non proprio normali?
Non so bene quando mi svegliai, quella mattina: so solo che quel giorno iniziò normale e finì nel casino. || Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
// Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?» Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.» «Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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♠Percy♠
 
Impossibile dire quanto tempo dopo mi svegliai. Ero convinto che mi sarei risvegliato nei Campi Elisi, maledicendomi per la mia stupidità nel farmi coinvolgere in un’impresa del genere.
Poi sentii una forte fitta al fianco, come se mi stessero premendo qualcosa di molto pesante sulla milza. Le cose cambiarono: iniziai ad aprire gli occhi, come riemergendo da un lungo sonno, e finalmente vidi la luce.
Capii subito che non poteva essere l’Hellheim, dove luce non ce n’era. Ero da qualche altra parte. Forse mi ero sognato tutta quella storia Dèi Norreni. Mi sarei alzato, sarei uscito dalla Cabina 3 e mi sarei preparato ad allenarmi per la guerra contro Crono.
Poi, però, mi resi conto che non mi trovavo al Campo Mezzosangue. Il soffitto era un’ampia superficie di marmo con decorazioni in oro. Era un luogo davvero strano, non l’avevo mai visto.
«Ti sei svegliato, eroe greco.»
Sobbalzai sul letto, quando sentii quella voce. Ormai ero pronto ad affrontare qualsiasi cosa. «Calmati, guerriero, sei al sicuro nelle sale della guarigione del Frohheimr, il palazzo principale di Asgard. Io sono una delle servitrici di Eir, dea della guarigione.»
A parlarmi era stata una giovane che doveva avere poco più di diciassette anni. Aveva lunghi capelli biondi lisci e due occhi azzurro cielo. I lineamenti erano dolci e morbidi, di una bellezza quasi eterea che ricordava un angelo. Era molto pallida, terribilmente simile ad una statua. Indossava una tunica molto lunga che arrivava alla caviglie, ma dalla lancia che portava legata alla schiena e dall’espressione truce, intuii che non era solo una guaritrice.
«Stavo per portarti nel Valhalla. Si siamo accorti dopo che eri ancora vivo. Ti ho medicato con molte erbe miracolose e con la vostra ambrosia» spiegò, senza staccarmi gli occhi di dosso, facendomi arrossire, dato che indossavo solo i boxer.
«Io… ecco… hai detto che ci troviamo… nel… nel Foreim? E cos’è il Valalla?» chiesi, ignorando completamente il significato di quegli impronunciabili nomi norreni.
Lei sembrò molto offesa dal modo in cui avevo parlato e mi rispose con voce dura: «Il Frohheimr! È la casa del Divino Odino, Re degli Dèi. Ed il Valhalla è il luogo dove vanno quelli come te, che muoiono in battaglia. O meglio dove saresti dovuto andare, se fossi morto.»
Detto questo se ne andò impettita. Varcò una porta, che si trovava a diverse decine di metri, e sparì. Ora che mi ero tolto da quell’imbarazzante situazione potevo osservare bene la stanza in cui mi ritrovavo: era ampia, molto alta, con un soffitto a volta che raffigurava schiere di guerrieri che venivano accolti nel loro paradiso – dal nome impronunciabile.
Io ero disteso su un letto che era affiancato da decine di altri letti disposti in due file.
«Percy, finalmente ti sei svegliato! Mi sono preoccupato un sacco, quando ti stavano per portare via» ssclamò Nico che mangiava una specie di yogurt nel lettino davanti al mio.
La gamba era stata fasciata e medicata e sembrava godere di buona salute. Era bello vederlo vivo, dato che il mio ultimo ricordo di lui era il suo corpo che stavo trascinando fuori da una buca infernale.
«Nico! Accidenti, sono felice di vederti tutto intero.»
Ero davvero sollevato.
«Credimi, eri uno straccio. Hai rischiato grosso. Quasi quanto Alex» mi informò lui, mettendosi seduto e appoggiando la schiena ai cuscini, indicando il nostro amico del nord svenuto poco lontano.
Sembrava messo molto male: le braccia erano bendate, ma si vedevano delle bolle e delle bruciature, come se fossero state avvolte dal fuoco. Inoltre era privo di sensi.
«Cavolo…»
Ricaddi sulle lenzuola candide, accorgendomi che anche io ero stato fasciato, al fianco e al braccio destro.
«Che diavolo è successo!?»
La mia domanda, fu, però, interrotta da una raffica di capelli biondi che si precipitò su di me, stritolandomi in un abbraccio soffocante.
«Stupido Testa d’Alghe! Stupido! Ti rendi conto di quanto mi hai spaventata?»
Annabeth aveva la stretta più forte di qualsiasi ragazza, tanto che temetti di morire per soffocamento. Mi resi conto che tratteneva a stento le lacrime e che doveva essere impazzita dalla preoccupazione. Dietro di lei Astrid e Einar si diressero a passo spedito verso Alex che non si era ancora ripreso.
«Io… io stavo solo cercando di difendervi. E volevo anche chiarire tutto questo casino per capire perché ce l’avevano con noi» spiegai, mentre la stringevo teneramente a me, felice di poterla rivedere.
Mentre attendevamo che accadesse qualcosa mi riferirono cos’era successo, mentre i nonmorti ci stavano sopraffacendo. Nico era quello messo peggio di tutti, Einar stava per ingaggiare direttamente l’esercito di zombie insieme ad Astrid, ma Alex li aveva spinti indietro.
Ricordai vagamente che mi ero avvicinato moltissimo a lui, lo stavo quasi per toccare per impedirgli di usare Mijolnir, ma non arrivai in tempo.
Anche nelle mani di un semidio, la forza scatenata da esso era stata così devastante che l’intero esercito di nonmorti era stato respinto ed Hell stessa si era ritirata per non essere ferita gravemente – per quanto gravemente potesse essere ferito un dio.
«… E poi è svenuto, probabilmente a causa dell’energia che aveva usato. Tu eri vicino all’esplosione e per un attimo, abbiamo temuto per la tua vita. Ma poi Eir e le sue valchirie sono arrivate e ti hanno salvato» concluse Einar, che si era avvicinato a noi.
Notai che anche lui era ferito: una semplice fasciatura al braccio.
«L’energia dell’esplosione si è sentita su tutta Asgard.»
«Cavolo, che botta che mi sono preso. Direi che siamo stati fortunati anche questa volta» sussurrai, massaggiandomi la testa. Ero ancora stordito.
«Ehi, Jackson, potrai dire di essere sopravvissuto a due Inferni, dubito che qualcuno potrebbe dirsi altrettanto fortunato» mi fece notare il figlio di Loki sarcasticamente, anche se, ormai ci ero abituato ai suoi modi un po’ strani.
Alex si riprese pochi minuti dopo, con Astrid che gli teneva la mano ancora bruciata, nonostante le ferite stavano guarendo velocemente. Era parecchio confuso e, secondo me, si stava chiedendo come facesse ad essere ancora vivo dopo aver sparato una bomba nucleare a pochi metri da lui.
«Cavolo… Per gli Dèi, siamo vivi!» esultò abbracciando la sua compagna.
Già, lo eravamo, ma io avevo la sensazione che non era ancora completamente finita. Eravamo certamente nella dimora norrena degli Dèi. Infatti, dopo poco tempo, la porta si aprì sbattendo e riconobbi la snella figura del dio degli accordi Foreseti.
«Il Consiglio degli Dèi si raduna, siete tutti invitati» annunciò, ammiccando verso di noi.
Si era liberato della stupida acconciatura da pirata e adesso aveva un bell’abito elegante nero con la cravatta. La barba nera era liscia e curata. Anche se io e Alex eravamo a mala pena in grado di camminare, non si rifiutava un’offerta di un gruppo di divinità, cinque delle quali erano ansiose di dimostrare quanto fosse bella la loro arma riunita al tuo cadavere.
Così, appena fummo in grado di alzarci, ci rivestimmo e ci incamminammo all’esterno. Non avete idea di quanto fosse bella Asgard: era una splendida città completamente dorata, costruita su una grande isola che ospitava tutte le dimore degli Dèi.
Annabeth era estasiata da tanta bellezza; anche le case dei semplici servitori elfi erano opere d’arte e lei amava l’architettura, soprattutto se era così meravigliosa e duratura. L’intera isola era circondata da spessissime mura che sembravano fatte d’oro e marmo, spesse come un’autostrada e così alte che potevano essere scambiate per montagne.
Nella parte più alta dell’isola sorgeva un edificio simile ad una grande baita che, mi dissero, essere la casa della dea Skadi – una sorta di Diana nordica che, però, non ne condivideva la verginità.
Il nostro obbiettivo, però, era un’immensa costruzione completamente dorata che si trovava nel centro esatto della città.
Ricordava una versione aurea del palazzo del consiglio dell’Olimpo. Il tetto era spiovente con due torri altissime a punta, in stile gotico che si elevavano verso il cielo.
«Wow, gli Dèi Norreni non si sprecano» commentai, osservando l’incredibile panorama.
Intanto, Annabeth si era messa ad esaminare le varie strutture, farfugliando: «Devo studiare la forma di questa colonna… come fa a tenere in piedi una struttura del genere? Che sia una disposizione stratificata con colonne sopraelevate…» e via così, snocciolando decine di termini di architettura che a mala pena comprendevo.
Almeno ero felice di vederla di nuovo in forma. Continuò per un bel pezzo, tenendosi, però, ancora al mio braccio, fino a che non giungemmo nella grande sala del Consiglio degli Dèi del Nord.
Eravamo al centro di un semicerchio formato da quindici troni. Davanti a noi, su un grande scranno completamente in marmo con decorazioni in oro e argento, sedeva Sua Signoria, la controparte di Zeus, noto come Odino.
Al contrario delle Divinità Greche, quelle Norrene non sembravano molto felci del cambio d’abiti in stile moderno, tanto che diversi mantenevano ancora le vecchie uniformi da combattimento vichinghe.
Riconobbi subito Freyja, che indossava un attraentissimo abito da sera con una scollatura a V terribilmente magnetica, e ogni parte del suo corpo già di per se magnifico era messo in evidenza dal vestito.
Thor, al contrario, teneva ancora la vecchia cotta di maglia stile guerriero vichingo e accarezzava il suo adorato martello come se fosse un gattino.
Odino era, invece, in veste da gran generale con appuntate al petto della divisa medaglie e riconoscimenti. Ci osservava con l’unico occhio grigio che aveva, come se volesse trapassare le nostre anime e scavarci dentro. Era sicuramente potente quanto Zeus e io temevo potesse esserlo anche di più. Per la prima volta avrei preferito che ci fossero stati gli Dèi dell’Olimpo a giudicarmi.
Alex si inchinò al cospetto delle quindici divinità che ci osservavano con sguardi fieri e freddi, pronti a giudicare il nostro operato, anche se dubitavo ci volessero disintegrare. Avevamo appena ridato loro il martello di Thor. Il problema era che noi eravamo greci.
«Figlio mio, ci hai reso un grande servigio» iniziò il Re degli Dèi, per poi proseguire in una lunga sequela di ringraziamenti e lodi ai semidei che avevano preso parte alla spedizione.
«Quindi, ringraziamo Einar figlio di Loki che è rimasto fedele a questa impresa, pur non facendone parte» disse, infine, indugiando con lo sguardo, sul dio maligno, che indossava lo stesso completo strappato con cui l’avevamo visto a New York.
«Infine, grazie anche a te, figlia di Hell… che… ti sei rivelata innocente, nonostante alcuni di noi… fossero… ehm… in dubbio.»
Sembrava che il Re degli Dèi Norreni stesse ingoiando un topo mentre pronunciava quelle parole. Mi ricordava un altro certo Re degli Dèi di mia conoscenza.
«Io l’avevo detto» si intromise Freyja, chinandosi in avanti, mettendo ancora più in mostra la scollatura.
Subito, un gran numero di occhi divini e non si voltarono lì e non per ascoltare la dea. Ammetto che anche io ci buttai un’occhiata, ma Annabeth si assicurò che io non cadessi più in tentazione, tirandomi un calcio negli stinchi.
«Ehm… certo, Freyja… allora, dicevo… aehm… Astrid Jensen, dato che ti sei dimostrata innocente ed hai aiutato mio figlio in quest’impresa, comunicherò ad Hermdor di non punirti per l’infrazione che hai commesso nel tempio di mio figlio.»
Era riuscito ad ingoiare il roditore, alla fine. Astrid sembrava desiderosa di rispondere a tono, ma era abbastanza furba da capire che era meglio non sprecare la fortuna di non essere stata fulminata, ma anche ringraziata.
Mi ricordai, in modo incredibile, quando, a dodici anni, mi ero ritrovato in una situazione simile nella Sala del Trono dell’Olimpo.
«G-grazie… Divino Odino» rispose, come se avesse qualcosa incastrato tra i denti.
Se il Signore degli Dèi avesse sentito o se, semplicemente, ignorasse quel tono tanto, non lo capii. Avevo altri pensieri per la testa, ultimo ma non ultimo, il fatto che adesso eravamo chiamati in causa noi.
«Perseus Jackson! Annabeth Chase e Nico Di Angelo!» chiamò, con voce imperiosa.
I miei compagni erano palesemente in ansia, ma non volevano darlo a vedere. Io avrei voluto prendere e scappare il più velocemente possibile. Alex, però, mi fece cenno di avanzare e, seppur riluttante, mi feci avanti.
«Siete nostri nemici da tempo immemore. Molto raramente io e Zeus siamo andati d’accordo. Tuttavia, voi avete aiutato molto coraggiosamente mio figlio. Di sicuro non intendo disintegrarvi, nonostante ciò vorrei anche ricompensarvi per il vostro operato» annunciò, per poi voltarsi verso gli altri.
«Si può votare sì e no, contemporaneamente?»
 «No, Loki, non puoi!» llo bloccò subito Odino, mentre altri valutavano l’idea di premiarci o no.
«Io dico di disintegrarli e mandare ciò che rimane di loro all’Olimpo come monito!» urlò un Dio imponente che mi ricordava una mia vecchia conoscenza.
Indossava una tenuta militare mimetica, ma sulle spalle aveva uno spadone e gli mancava una mano.
«Tyr! Sai bene che non è giusto! Noi non siamo ingrati e questi tre semidei ci hanno aiutati!» intervenne Foreseti, perfetto nel suo abito elegante.
«Tyr è il nostro dio della guerra, ce l’ha a morte con Ares» spiegò Einar, in un sussurro, mentre osservavo la mano mancante chiedendomi come facesse il dio della guerra a combattere senza.
«Perché?» chiesi, interessato.
Magari potevo dire che avevo tagliato il polpaccio di Ares e quello si sarebbe calmato.
«Gli ha tagliato lui, la mano?»
«Oh, no, la mano gliel’ha mangiata Fenrir. Il mio altro fratellone disse che si sarebbe lasciato incatenare solo se un dio avesse messo una mano tra le sue fauci. Tyr si offrì volontario» fu la veloce risposta di Alex, mentre suo padre imponeva il silenzio.
«A me piace, il ragazzo» intervenne un dio vestito da pescatore, con pantaloni laceri e camicia sporca.
Aveva una barba nera, corta, poco curata, e gli occhi erano verde acqua. In mano teneva una fiocina, come quella per la caccia alle balene – che, però, era fuorilegge.
«Sapete che dico? Anche se è figlio di quello scorbutico di Posi, voglio dargli io un premio personale.»
Detto ciò, davanti a me una specie di lucido amo in avorio. Un uncino, decorato con dei rilievi in corallo.
«Ehm, grazie divino N-Nj-Ng…»
«Njordr» mi suggerì Annabeth, sottovoce.
«Sì, giusto… grazie, divino Njordr» dissi, intuendo chi fosse il dio che un po’ somigliava a mio padre. Anche se dubito che lui avrebbe accettato il nomignolo di “Posi”.
«Ma a che mi servirebbe? Io non sono molto bravo a pescare.»
«Non serve a pescare, tranquillo» rise il dio, puntandomi contro la sua arma come se mi volesse infilzare.
Sobbalzai.
«Se avrai con te quell’oggetto, il mare e i mostri marini del nord ti ubbidiranno come lo fanno quelli dei mari di Poseidone. Ma ricorda che, comunque, sono io a controllarli. Posso toglierti questo dono, se ti rivelassi pericoloso.»
Non sarei stato così tonto da lasciarmi sfuggire un dono simile.
«Grazie, divino Njordr, farò in modo che la vostra fiducia non sia mal riposta» assicurai, mettendo l’amo in tasca, mentre Nico mi dava una pacca sulla spalla.
«Per gli altri, non avrei idea di cosa dare come dono. Forse potremmo…»
«Padre, io avrei una richiesta!» lo interruppe, all’improvviso, Alex, inchinandosi dinanzi al Re degli Dèi.
Quindici paia di occhi  – meno uno, dato che odino aveva perso il sinistro- si concentrarono su di lui. La loro tensione era tale che temetti di vederlo sprofondare nel pavimento sotto il loro peso. Odino si sedette sul suo trono e lo scrutò a lungo.
«Ti ascolto, figliolo.»
«Padre, loro hanno aiutato molto in questa impresa. Questo l’hanno fatto in un momento assai difficile. Un certo Crono ha deciso di mettersi contro di loro e minaccia il loro territorio, corrompendo semidei e radunando eserciti di mostri. Potreste aiutarli in questa guerra.»
Noi tre ci guardammo sorpresi e, lo ammetto, ero anche un po’ commosso. Alex stava chiedendo molto, ma indubbiamente era proprio quello che ci serviva: se gli Dèi Norreni si fossero uniti ai nostri, Crono sarebbe stato sconfitto con facilità.
Affrontare il doppio di divinità lo avrebbe messo in svantaggio, mentre noi avremmo potuto contare sul loro aiuto per stanare i mostri. Peccato che gli Dèi Norreni non sembravano molto d’accordo.
«Non sono affari nostri, che se ne occupino loro!» – «Zeus, non ha certo chiesto il nostro aiuto, evidentemente è convinto che valiamo zero!» – «Che crollino sotto il peso del loro orgoglio, quegli Olimpici. Noi potremmo schiacciare Crono con un dito!» – «Sono da sempre nostri nemici! Non intendo aiutarli!»
In pratica, nessuno sembrava molto d’accordo sull’idea di venirci in aiuto. Se tutti volevano dire la loro, scavalcando le voci degli altri, il concetto, io l’avevo afferrato: nessun aiuto, i greci se la sarebbero cavati da soli.
«Silenzio!» ordinò Odino, facendo cessare il divino clamore. «Ciò che chiedi è fuori discussione, figlio mio. Gli affari dei greci non sono nostri. Nessuno di noi ha avuto contatti con loro e loro non ci hanno chiesto aiuto. Non abbiamo nessun motivo per aiutarli… o metterci contro Crono.»
«Ma Loki ha fatto un patto con lui, l’ho visto! Sta tramando anche contro di voi!» sbottai, per poi mordermi la lingua quando tutti si concentrarono su di me.
Avrei dovuto tenere la bocca chiusa. Nico e Annabeth mi scoccarono un’occhiataccia.
«Queste sono sciocchezze. Io mi trovavo in America solo per indagare personalmente sulla scomparsa del martello del mio caro fratellone, non avrei mai fatto nulla del genere. Il ragazzo è solo stanco e non ci sta più con la testa» sentenziò il dio sorridendo ingenuamente; potevano dargli l’oscar come miglior attore.
Una faccia del genere avrebbe convinto anche me, se non avessi visto il contrario.
«Figlio di Poseidone! Le tue accuse sono gravi, anche se Loki è sempre stato… ehm… eccentrico, è pur sempre un Dio Asgardiano. Spero tu abbia più delle tue parole, per confermare tutto ciò» sbottò Tyr, stringendo l’elsa della spada.
Ero certo che avrebbe potuto disintegrarmi anche con una mano sola.
«Ecco… io…»
Come facevo a dire che era un sogno? Non mi avrebbero mai creduto. E se anche lo avessero fatto, Loki avrebbe rigirato la frittata, ricordando che ero figlio del nemico eccetera. Non avevo nulla per mettermi contro di lui.
«Questo è un silenzio eloquente» concluse lui, con un sorrisetto.
«Ma, signore…» iniziò Annabeth, senza successo.
Odino era partito in quarta.
«Allora è deciso: potrete tornare a casa vostra. Heimdallr, riconducili al Bifrost e che tornino al Campo Mezzosangue!» concluse il Re degli Dèi Norreni, sparendo in una nuvola di scintille elettriche.
A poco a poco, anche tutte le altre divinità se ne andarono, per ultimo Loki che mi lanciò uno sguardo che avrebbe congelato il mare. Ne rimasero solo tre: uno era Heimdallr, gli altri due non li riconoscevo. C’era un uomo vestito in modo semplice. Aveva i lineamenti spigolosi, con capelli biondi stretti in una corta coda. Indossava jeans blu e una camicia e, al contrario degli altri, non aveva armi.
L’altra rimasta era una dea che mi ricordava Demetra. Indossava una gonna e un maglione di lana. Accanto al suo trono c’era una cesta con dentro delle mele d’oro. Fu proprio quest’ultima a farsi avanti per prima, avvicinandosi a Nico, assumendo dimensioni più umane.
«Figlio di Ade, è un piacere conoscerti. Io sono Idùnn, Dea della Vita. Sono colei che si assicura che gli Dèi mantengano la loro eterna giovinezza» si presentò, fermandosi davanti a noi.
«A me non sembra che Odino sia giovanissimo» feci notare, ricevendo un altro calcio negli stinchi e un’occhiataccia di Astrid ed Einar.
Alex sembrava assorto nei suoi pensieri. Idùnn si limitò a sorridere.
«Vero. Ma sono dettagli, per un dio. Settata o cinquant’anni per noi sono niente, figlio di Poseidone. Comunque, Nico di Angelo, sono qui per consegnarti un dono che mio marito desidera elargirti» annunciò, tornando a concentrarsi sul mio amico.
«D-davvero?» domandò lui, come se fosse sorpreso di ricevere tante attenzioni. «Che dono?»
La dea posò il suo cestino e tese entrambe le mani in avanti. Fu come se l’aria si contraesse intorno ad esse, creando uno strano effetto ottico. Poi, con un bagliore accecante, apparve una spada. Era completamente bianca ed emanava uno strano bagliore argenteo.
«Mio marito è Bragi, il dio della poesia, ma è anche colui che sorveglia il Valhalla e accoglie gli Eroi in esso. Questa spada è fatta di Ferro Latteo, invincibile contro i mostri. Essa ti permetterà di controllare gli spiriti del Valhalla e di farli combattere al tuo fianco, in caso di bisogno.»
Nico sembrava incapace di parlare; era, probabilmente, la prima volta che qualcuno lo prendeva in considerazione in modo positivo. Riuscì comunque ad annuire e ringraziare la dea, che sparì con un sorriso.
Poi fu il turno dell’altro dio, che si avvicinò ad Annabeth.
«Figlia di Atena, felice di incontrarti. Io sono Hoenir, Dio della Sapienza. Al contrario di molti miei colleghi, tra me e Atena ci sono stati assai pochi conflitti e abbiamo sempre cercato soluzioni diplomatiche… Sempre sfumate a causa di certi Dèi.» – e la mia Sapientona sembrava molto d’accordo – «Dato che anche tu hai aiutato, desidero farti un dono.»
Detto questo egli pose nelle sue mani un computer portatile con un libro stilizzato disegnato sopra.
«È la copia della mia enciclopedia personale. Se mai ti trovassi davanti qualcosa che non conosci, che siano mostri, edifici o situazioni, controlla sul mio portatile. Ti darà ogni informazione possibile» spiegò il Dio, svanendo in una colonna di luce dorata.
«Annabeth, tutto a posto?» chiesi, vedendola muta come un pesce.
«Io… io devo… devo assolutamente… devo aggiungere questo… al computer di Dedalo… è-è incredibile, Percy… io…» farfugliò frasi del genere per un bel po’, anche durante la nostra discesa verso il Bifrost – ancora non capivo come mai gli Dèi consacrati alla guerra dovessero colorare il loro ponte come un arcobaleno.
Einar sembrava un po’ atterrato, e Astrid era pensierosa. Alex, però, era il più abbattuto di tutti. Provai a immaginare cosa stesse pensando: probabilmente era deluso e arrabbiato con suo padre per il modo in cui aveva reagito. E non potevo dargli torto.
«Ehi, amico! Non ti abbattere! Vedrai, ce la faremo anche da soli» dissi, cercando di essere ottimista, per tirarlo su.
«Non dirlo nemmeno. Forse i nostri Dèi non ci saranno, ma a costo di venire da solo, io ci sarò. Porterò la mia Orda da voi e tutti coloro che vorranno. Non lascio solo i miei amici solo perché me l’ha detto quel monocolo di mio padre» fu la sua decisa risposta.
Scoppiammo tutti a ridere, mentre camminavamo lungo il grande viale principale di Asgard. Arrivati alla base del Bifrost, Heimdallr ci augurò buona fortuna. Ma a me bastava aver trovato un buon amico.

koala's corner is coming as soon as possibile. Hope you enjoy, hugs&kisses
Il prossimo è l'ultimo capitolo! Felicissimi di essere già così avanti, vi aspetta una festa al falò :D
  
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