Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Leilani54    03/02/2014    1 recensioni
"Azura capì che i suoi amici si erano finalmente resi conto dell'intricata situazione e che non l'avrebbero più lasciata sola, nemmeno Fujiko. Ma proprio per questo, stavano firmando la loro condanna a morte."
Questa è la mia prima storia, siate buoni! ;)
Ho corretto un po' la storia. Sono cresciuta, ho cambiato leggermente il mio stile e adesso mi sembra che la storia abbia maggiormente senso. Se avete voglia di rileggere... ^3^
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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~~Capitolo 14

Una ventina di uomini con una fascia rossa e gialla al braccio avevano invaso la casa, ispezionandola da cima a fondo e distruggendo ciò che reputavano inutile. Un uomo bloccava Azura, impedendole di difendere casa sua e i suoi amici.
-Ma che brava la mia bambina! Sei stata eccezionale, anzi, incredibile! Finisco sempre per stupirmi delle tue abilità di attrice.- Algol le prese le guance con la mano, tappandole la bocca. Azura era infuriata. Cercò di allontanarlo:
-Cosa stai facendo? Questo non era parte di alcun piano! Avevi detto che avevi finito qui!- urlò, liberandosi per qualche secondo. Algol giocò con una ciocca dei suoi capelli:
-Ehi, io sono il capo, faccio quello che mi pare! Potrei anche decidere di tenere questi qui per un po’ con me… sai, per divertirmi. Ah,- aggiunse scurendosi in volto –e qui non ho finito.- la spinse contro un muro ed estrasse da una tasca il diamante di Itzamnà. “Cosa lo ha portato a fare, quello?” si chiese, Azura. Algol lo sollevò sopra la testa e lo scagliò per terra. Il diamante andò in mille pezzi.
-Perché l’hai fatto?!- gridò Azura. Poi guardò il pavimento e il cuore le saltò un battito: il parquet era intonso. Nessun graffio. Un diamante che non scalfisce il legno?
-Esatto Azura. Era un falso.- lei iniziò a tremare dalla testa ai piedi, incontrollabilmente. Guardò Algol che ora la sovrastava.
-Credevi d’ingannarmi, piccola stupida?- le strappò l’abito, lasciandola mezza nuda. La sbatté contro la parete e le bloccò le mani sopra la testa.
-Credevi che non me ne sarei accorto?! Eh?! Ora t’insegno io a prendermi per il culo, puttanella.- Azura gridò, cercando di liberarsi, ma non riusciva a muoversi. Algol le tappò la bocca con un bacio soffocante e violento, che le fece uscire sangue dalla lingua. La mano che non gli teneva le braccia era scivolata giù, e stava per passare sotto le mutandine, quando…
-Signore…- una voce dall’accento inglese interruppe quella tortura. Algol si voltò verso Nixon (che aveva una nuova cicatrice lungo il viso), furioso, notando solo in quel momento che tutti i suoi uomini lo stavano guardando.
-Che avete da fissare, voi?! Tornate a lavorare e trovatemi quel fottuto diamante! Dev’essere qui, da qualche parte.-
-Actually…- lo interruppe Nixon, estraendo dalla tasca il vero diamante di Itzamnà. –Lo abbiamo trovato addosso alla donna di là.- e indicò Fujiko. Azura, che si era rannicchiata per terra e cercava di coprire il corpo praticamente nudo dagli sguardi avidi da lupi famelici di tutti quegli uomini, rimase scioccata. “Fujiko ha… mi ha ingannato…” Ecco… i suoi cosiddetti amici si erano rivelati per quello che erano: solo dei ladri. Degli schifosi ladri. Esattamente come lei, d’altra parte. Come aveva potuto pensare che le volessero bene? L’avevano solo usata e si erano finti gentili quando lei aveva offerto loro l’occasione di arricchirsi. Quindi anche Jigen… le vennero le lacrime agli occhi. Algol, decisamente soddisfatto, sembrò ricordarsi solo in quel momento di lei:
-Allora, bimba, si vede che mi sono sbagliato, in fondo non è stata colpa tua. Dimmi, ti vorrai vendicare no? Cosa ne faccio di questi quattro ladruncoli? Li faccio frustare o li faccio dissanguare dai piedi? Magari li metto in una gabbia di serpenti! Anzi no, di formiche rosse! Ricoperti di miele, ovviamente. Le piccolette fanno male quando mordono, sai?- Azura lo guardò con odio. Lui scoppiò a ridere.
 -Che paura mi fai! Mi è venuta la pelle d’oca, sai? Ascolta piccola…- la sua voce divenne più calma e minacciosa allo stesso tempo:
- Sai che sono una persona ragionevole: ultimamente tu mi hai deluso troppe volte. Una punizione la meriti. E la meritano loro per aver provato a portarmi via questo splendore.- disse facendo brillare il diamante nelle sue mani. –Tuttavia, se tu mi prometterai che d’ora in avanti mi ubbidirai in tutto e per tutto potrei lasciarli vivere, e magari liberare qualcuno della tua famiglia. Ma sappi che quando dico tutto… intendo ogni singola cosa: se ti dovessi chiedere di leccare merda di mucca tu lo farai e lo dovrai fare con piacere.- Algol s’inginocchiò davanti a lei per avere gli occhi alla stessa altezza.
-Allora, che ne dici? Smetti di soffrire così, lasciami scegliere per te, annullati per me: tante persone ne usciranno bene, te lo prometto.- Azura si ricordò di quello che aveva detto Jigen, mentre erano in camera sua: lei avrebbe dovuto lottare per non mettere la propria vita in mano agli altri. Ma era sola. Jigen, tutti loro, si erano rivelati per essere falsi, come tutti gli altri nel mondo. E lei si era trovata di nuovo sola. Non gli avrebbe dato più retta. Avrebbe accettato. Li avrebbe fatti sopravvivere in quel modo, e non era sicura di volerlo, ma era sicura di voler che altre due persone rimanessero in vita. Erano le uniche persone a cui sarebbe importato che lei mantenesse la sua dignità non accettando quel patto col diavolo, ma se non l’avesse fatto, sarebbero morte. Quindi, perché no? Strisciando, andò in camera sua a testa bassa e buttò dentro una borsa da palestra qualche vestito alla rinfusa. Aprì un cassetto per prendere i pugnali e lo sguardo le cadde su un piccolo oggettino d’argento. L’accendino di Jigen. Lo prese tra due dita. Lo buttò nella borsa insieme alle armi: le avrebbe ricordato ciò che non avrebbe nemmeno più dovuto sognare. Tornò in sala. Andò vicino e guardò Algol negli occhi.
-Mi prometti che li lascerai andare tutti quanti? Vivi?- lui sorrise dolcemente.
-Lo giuro su questo diamante. Lo sai no, - disse, facendole l’occhiolino –un diamante è per sempre.- e scoppiò a ridere.

***

Non riuscì subito a ricordare cosa fosse successo e a capire dove si trovasse. La prima cosa che sentì fu un mal di testa tremendo, seguito a nausea e giramenti. Si mise a sedere a fatica, cercando di non vomitare. Era disteso per terra in una cella. Non c’erano finestre e dalla fessura sbarrata della porta di legno proveniva un unico, flebile, raggio di luce. Vide il suo cappello per terra: lo spolverò e se lo calcò in testa. Accanto a sé vide Goemon e Lupin che non avevano ancora ripreso i sensi. “LEI dov’è?!” Pensò, già con un pizzico di panico. Sentì un tonfo e una voce femminile venire dalla cella di fronte:
-Fujiko! Sei tu?- risposta affermativa.
–Jigen! Sì, sono io, Lupin e Goemon sono con te?-
-Sì. A…-
-No. Azura non è con me.- Jigen sentì la paura congelargli il respiro. Si sforzò di restare calmo:
-Sai dove ci troviamo?- sentì dei colpi di tosse venire da dietro di lui. Si precipitò dai suoi amici che stavano riprendendo conoscenza:
-Tutto bene ragazzi?- Lupin si massaggiò la testa:
-Sì, mi sento così bene che, ah!- gemette, appoggiandosi alla parete.
-Ti prego, non gridare, mi sta scoppiando la testa!- Goemon sembrava essere quello messo peggio di tutti. Doveva aver ricevuto una maggior quantità di veleno o qualunque cosa fosse la sostanza che li aveva addormentati. Infatti si diresse verso il buco che fungeva da bagno e buttò fuori anche l’anima. Si sentì di nuovo la voce di Fujiko:
-Che succede? Lupin sta male?-
-Cherie! Ti sei preoccupata per me!- probabilmente Fujiko era arrossita perché strillò:
-No, non è assolutamente vero!-
-Ti prego abbassa la voce…- si lamentò Goemon, prima di dare di nuovo di stomaco. Lupin si aggrappò alla finestrella della porta per guardare fuori. Purtroppo riuscì a vedere solo un lungo corridoio illuminato da una luce bianca e malsana. Vide delle scale che salivano e delle barre di ferro a da cui pendevano catene appese ad una parete-
-Okay, qualcuno di voi sa dove siamo?- chiese
-Speravo che lo sapeste voi!- rispose Fujiko. La voce debole di Goemon li fece zittire tutti:
-Siamo su una base galleggiante.-
-E tu come lo sai?-
-Donna, se tacessi per pochi minuti, sentiresti il rumore delle onde da tutt’intorno a noi, ma noteresti anche che non dondoliamo come se fossimo su una barca.-
-Senti tu, spadaccino dei miei stivali, perché non vai a farti una nuotata nel…- Aveva alzato ancora troppo la voce e Goemon si dovette buttare di nuovo sul gabinetto. Jigen cercava di aiutarlo come meglio poteva  mentre Lupin studiava un piano per evadere. Un cigolio li interruppe. Dal corridoio provenivano dei passi pesanti. Un uomo dai capelli bianchi che ormai conoscevano bene con una nuova cicatrice che scendeva fino al collo, batté sulle porte blindate delle celle con un piede di porco. Poi, dopo essersi assicurato e i quattro fossero tutti svegli, smanettò con le chiavi e aprì la porta della loro prigione:
-Master Algol vuole vedervi.- senza tanti complimenti li legò insieme a una lunga asta di ferro a cui era attaccato un peso. Costrinse Goemon, ancora debolissimo, ad alzarsi. Jigen dovette aiutarlo a reggersi in piedi. Nixon prese anche Fujiko e la legò con loro. Poi prese per un braccio Lupin e li condusse per varie scalinate. Sbucarono in un vasto salone, abbastanza vuoto, tranne che per una poltrona riccamente decorata e semi nascosta dall’ombra di due tende purpuree. Su di essa sedeva una figura alta e muscolosa: teneva una gamba appoggiata a un bracciolo, la testa era sostenuta da una mano mentre con l’altra giocherellava con il diamante di Itzamnà. Tutti, eccetto Fujiko, che pensò con rabbia a quali luride mani le potessero aver controllato il reggiseno, si chiesero come ne fosse entrato in possesso. E purtroppo, i loro pensieri corsero ad Azura. Aveva mentito? Era questo ciò che nascondeva? No, lei non era lì, ovunque fosse non era lì. Forse era stata catturata, o peggio, uccisa. Ad ogni modo, quell’uomo che li guardava con occhi ferini doveva essere “Master” Algol perchè Nixon spinse a terra Lupin che, legato, trascinò giù anche gli altri. Ora erano inginocchiati davanti a quella presenza inquietante. Jigen si guardò intorno, cercando una via d’uscita: la fortuna volle che non ce ne fosse neanche una, tranne quella sorvegliata da altri due uomini con i mitra da cui erano appena entrati.
-Benvenuti, carissimi amici. Io sono Algol. –
-Quindi sei tu il capo di questa mafia…- uno sparo colpì la spalla di Lupin.
–Lupin!- Algol se la rideva:
-Che bel coretto che avete fatto, voi altri! Siete disponibili per matrimoni e compleanni?- Lupin si sollevò, dolorante. Algol ghignò.
-Prima regola per quando sarete al mio cospetto: voi non parlate, rispondete alle mie domande e basta.-
-Lupin, sta’ fermo, perdi sangue!-  gli mormorò Fujiko, aiutandolo a rimettersi in ginocchio. Per fortuna la ferita sembrava superficiale. Algol sembrò stupirsi:
–Oh-oh, Arsenio! Hai un’ammiratrice!- si avvicinò alla donna, chinandosi di fronte a lei:
-E che ammiratrice…- Lupin digrignò i denti e provò ad alzarsi in piedi.
-Stalle… lontano!- Nixon lo colpì alla nuca con il calcio del fucile:
-Stay down! Porta più rispetto per il Master!-
-Tranquillo Nixon, è del tutto normale che reagiscano così, sono ancora scombussolati. Vedrai che un po’ di digiuno li metterà in riga.- si tirò in piedi e voltò loro le spalle.
–Portali via.- ordinò. L’albino stava per tirarli di nuovo su con la forza quando Algol puntualizzò:
-Ah, non tutti, tenente. Quello col cappello e l’aria depressa lascialo qui. Ci voglio chiacchierare un po’. E lasciateci soli.- Mentre i suoi amici venivano trascinati via e la porta veniva sprangata, Jigen si ritrovò di nuovo in ginocchio davanti ad Algol. Quell’uomo dai tratti leonini iniziò a girargli intorno. Sembrava esaminarlo con cura: gli sfiorò i capelli, gli tastò le braccia e lo osservò da ogni angolazione. Ma che vuole? Algol gli si mise davanti e inclinò la testa, come un bambino che non capisce:
-Bah, non vedo nulla di speciale in te. Cos’hai di diverso?- Jigen si limitò a fissarlo.
–Mm… capelli neri, occhi neri, carnagione olivastra… potremmo essere gemelli!- Algol fece un sorriso ironico.
–Ti piacerebbe avere un po’ del mio sangue nelle vene. Purtroppo non tutti sono fortunati come me. Però non capisco cosa ci trovi di così interessante in uno come te…- Jigen si confuse ancora di più. Algol ricominciò il giro:
-Intendo Azura.- il cuore di Jigen perse un colpo. Algol si accorse di aver fatto centro. Gli appoggiò le mani sulle spalle e iniziò a sussurrargli all’orecchio:
-Ho toccato un tasto delicato? È bella, vero? È combattiva! Ma anche molto dolce, giusto? Vi ho visti in camera sua, devo dire di essere geloso… ma credo che tu dentro le mutande non sia così uomo, visto che non hai combinato niente alla fine. Ho dovuto soddisfarla io da quel punto di vista…- Jigen a quel punto scattò in avanti, colpendolo in pancia con una spallata:
-LEI DOV’È?! E COSA LE HAI FATTO FIGLIO DI…- Algol rise, senza essere minimamente turbato, e con un piede lo spinse a faccia in giù sul pavimento. Gli tenne la testa attaccata alle piastrelle come se stesse spegnendo un mozzicone di sigaretta.
–Sta bene, non ti agitare.- si chinò e si avvicinò al suo orecchio, la voce diventata rabbiosa.
-Dovresti preoccuparti più per te stesso. Tu credi che io non sappia, che non ricordi chi sei tu e quello che hai fatto a mio fratello?!- con un gesto rapido gli prese un braccio mettendolo in leva e rischiando di slogargli le spalle. Jigen strinse i denti per non farsi sfuggire un lamento.
–Non te lo ricordi? Aspetta che ti rinfreschi la memoria!- lo fece alzare e lo sbatté contro il muro:
-Otto anni fa, vero? Mio fratello, io, tu e quell’idiota del tuo amico con la giacca rossa.- lasciò libero Jigen che scivolò a terra. Con un calcio lo fece scivolare pochi passi più in là. “Quant’è forte…” Jigen aveva la vista appannata. Algol lo stava raggiungendo con la follia che gli distorceva i lineamenti in un ghigno terrificante. Sembrava strafatto di coca.
–Ancora niente?- lo sollevò per il colletto: -Bene!- lo lanciò al centro del salone.
–Allora ti dico anche cosa: un rubino, grande poco più di una noce. Ah, e la tua dannata pistola. Ora ti è tornato in mente?- gli strinse la gola con una mano.
–Quindi? Sto aspettando una risposta!!- Jigen sentì il sapore del sangue in bocca.
–Allora?!- Algol strinse di più la presa. Jigen riuscì a muovere una gamba e calciarlo via. Riprese fiato a grandi boccate. Algol lo sollevò per i capelli.
-Ci avete rubato un gioiello prezioso. Mi avete ucciso il fratello. E adesso state di nuovo interferendo. Il vostro culo flaccido non potevate tenerlo a casa, vero?- lo girò pancia a terra e si sedette a gambe incrociate sulla sua schiena, togliendogli il respiro.
-Il diamante di Itzamnà è mio. Ci avevo messo gli occhi sopra molto prima di voi e me lo avete soffiato. E poi nemmeno il tritolo basta a farvi morire, dovete per forza salvarvi e continuare a rompere le palle.- Algol si alzò, mollò un pestone alla schiena di Jigen e, soddisfatto, tornò a sedersi sulla poltrona. Suonò un campanello e appoggiò la testa a una mano.
–Ma la fortuna gira. E siete capitati nelle mani di una delle migliori. Sai Daisuke…- Jigen lo guardò con odio, ma Algol non ci fece caso.
–Azura… quella donna… Dio quanto mi eccita. L’ho studiata a lungo. È straordinaria, è… perfetta per ciò che ho in mente.- Jigen si pulì il graffio sulla guancia strusciandosela sulla spalla. Provava una furia omicida che non gli apparteneva.
–Io la conosco bene, meglio di quanto nessuno l’abbia mai conosciuta.- Nixon rientrò nella sala. Jigen fece per scagliarsi di nuovo contro Algol: arrivò vicino pochi millimetri da lui prima che l’albino lo prendesse per i capelli, costringendolo in ginocchio.
–Perché devi sapere, caro Jigen, che lei non ha sentimenti… o almeno, non ne ha più.- le catene scattarono legandolo alla sbarra di ferro.
–Ha solo uno scopo, che non t’interessa sapere. Ma la cosa migliore è un'altra, sai quale? Non voglio rompere il tuo cuoricino, ma una volta qualcuno aveva detto che è meglio essere feriti dalla verità che consolati da una menzogna.-
-Vai al diavolo! Sei un pazzo! Dimmi cosa le hai fatto!- gli gridò l’americano. Nixon gli sferrò una ginocchiata nello stomaco per farlo smettere di dimenarsi.
-Tranquillo, morirò a mio tempo, ma solo dopo di te, Daisuke.- Algol gli venne vicino in un istante
–Lei vi ha preso in giro dall’inizio alla fine.- Jigen non capì, o non volle capire. Algol fece un gesto con le dita e dall’ombra avanzò una figura sottile che Jigen conosceva troppo bene. “No… non può essere…” Doveva essere il ritratto dello stupito e del disperato, perché Algol si stava divertendo.
-Proprio così, non ti appartiene, non ti è mai appartenuta, perché lei lavora per me.- Jigen, ferito nel corpo, nel cuore e nell’orgoglio, si lasciò portare dal carceriere nelle tenebre della sua prigione.




Quattro chiacchiere
Altro mega capitolo. Spero sia di vostro gradimento. Ditemi che ne pensate, tutto quello che dite mi è utile per migliorare. Grazie a tutti :)
  
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