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Autore: ReaRyuugu    03/02/2014    3 recensioni
"Ti viene spontaneo cercare di capire come mai, se cerchi aiuto, a te non è dovuto. Ma la risposta che ti echeggia in testa è una sola: sei un genio, puoi cavartela da solo."
Oneshot basata sul personaggio di Hanamiya Makoto. Qual è stato nella sua vita il peso di essere un genio?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Makoto Hanamiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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• G e n i u s

 

 

 

È naturale che fin dalla nascita i genitori impongano sulla propria prole determinate aspettative.

 

Anzi, no. Già da prima che tu venga al mondo fantasticano su ciò che potrai diventare, se un dottore, un ingegnere o un ricco imprenditore; scelgono il nome che ti accompagnerà per tutta la vita, sperando che sia di buon auspicio, e appena liberi il tuo primo pianto – appena ti trovi in quell’ambiente di sorrisi, carezze, attenzioni, è quello il momento in cui decidono che tu sarai un successo.

 

Ti circondano di "giochi educativi", ti sovrastano con stimoli che a detta loro sono necessari a renderti più attivo e reattivo nei confronti del mondo che ti circonda; e tu guardi il tutto con gli occhi dell’inesperienza, credendo che sia un divertimento, il tuo, un semplice passatempo, non qualcosa di poco lontano dall’essere una gretta quanto subdola manipolazione.

 

Inutile descrivere quanto grande sia il loro orgoglio quando scoprono che sei un bambino prodigio, anzi, un genio vero e proprio. Non esitano un attimo ad attribuirsi tutto il merito per avere un figlio con dei punteggi così alti e, senza esitare oltre, ti ficcano in programmi avanzati in cui sei costretto a tenere la testa sui libri giorno e notte, a ingoiare una nozione dopo l’altra come se ciò fosse tutto quello che puoi fare nella vita, adesso che è uscito allo scoperto il valore numerico e oggettivo del tuo potenziale.

 

E inizialmente lo accetti, lo accetti perché non sembra così difficile, lo accetti perché in fin dei conti è questo il tuo dovere in quanto figlio: rendere fieri i tuoi genitori del tuo operato, dimostrare loro che il tempo e le energie che hanno investito su di te non sono stati usati inutilmente.

 

Crescendo, però, ti domandi come sia possibile che mentre tu sia chiuso in una stanza a studiare, là fuori vedi ragazzini della tua età passare il loro tempo anche senza stare con la testa sui libri. Ti chiedi perché tu sia l’unico a ricevere compiti separati rispetto al resto dei tuoi coetanei.

 

Ti viene spontaneo cercare di capire come mai, se cerchi aiuto, a te non è dovuto. Ma la risposta che ti echeggia in testa è una sola: sei un genio, puoi cavartela da solo.

 

Ed è orribile come lentamente ti rendi conto della semplicità con cui tutte le cose inizino a sfuggirti di mano. Laddove i tuoi compagni sono premiati tu sei biasimato e umiliato, se osi fare peggio rispetto ai tuoi standard è solo perché sei uno scansafatiche. “Sei un genio” ti dicono “Smettila di sprecare così il tuo potenziale”.

 

Ti disperi su libri che non riesci a capire, su un linguaggio che nessuno ti ha mai spiegato e che vorresti imparare ma non puoi perché nessuno ti ha mai detto cosa significhi; ti sforzi di inferire regole che non sempre si rivelano corrette passando ore e ore su teoremi che per te non vogliono dire nulla, ma che poiché sei un genio non puoi permetterti di non capire, anche a costo di rimanere ancorato alle tue difficoltà.

 

Anche a costo di rimanere più indietro negli altri.

 

E cosa implica un fatto tanto grave?

 

Il fallire, naturalmente. Fallire nell’essere quel prodigio che tutti sanno che sei ma che, a quanto pare, non vuoi mostrare di essere. Perché, ovviamente, se è stato loro il merito della tua genialità non può essere loro anche la colpa del tuoi insuccesso; non è stato il loro affidarsi troppo all’altisonante punteggio a tre cifre scritto alla fine di un test, ignorando che nonostante tutto sei ancora un umano con gli stessi bisogni che hanno tutti gli altri ragazzini della tua età, a farti arrancare disperatamente un giorno dopo l’altro fino a toccare disperatamente il fondo: è solo colpa tua.

 

“Non ti ho impartito questa educazione.”

“Nessuno ti ha mai insegnato ad essere così svogliato.”

“Pensi che un simile atteggiamento possa portarti da qualche parte? Non è trasgredendo a tutti i costi che si arriva in alto.
“Se avessimo saputo quanto saresti diventato pigro e indisponente non avremmo mai sprecato tutto questo tempo su di te.”

 

 


“Sei solo una delusione.”

 

 

 

Sono queste le parole che giorno dopo giorno hanno costruito un muro sempre più alto tra te e coloro che un tempo ti glorificavano come se fossi il nuovo messia e che adesso a malapena ti rivolgono, quando il tuo sguardo incontra il loro, un’occhiata di contrariata sufficienza. E che tu ti rimetta in carreggiata mantenendo nuovamente buoni voti, che riesca a riprendere ciò che avevi perso nel tuo disperato arrancare, o che, al contrario, decida di lasciare di nuovo la presa e sprofondare nell’abisso, non c’è più niente, ormai, che possa penetrare quei mattoni di fredda indifferenza.

 

 

Perché non importa che tu sia un genio o un prodigio.

 

Ogni cosa, una volta rotta, diventa solo spazzatura.

 

 

 

 

 

 

Insuccessi scolastici + una buona dose di incubi dovuti all’overdose di psicologia dello sviluppo + un personaggio problematico dal bg incerto= oneshot discutibili che la Rea decide comunque di postare.

Anyway, salve a tutti! È da una vita che non scrivo più niente da queste parti – complice il poco tempo, la poca voglia, la creatività completamente risucchiata dagli studi e via dicendo.

Mi rifaccio viva con ottocento parole tonde tonde su Makoto Hanamiya, il nostro Bad Boy preferito dalla saga di Kuroko no Basket – anime che ho iniziato a guardare negli ultimi mesi, in mezzo a tutti le altre millanta serie che sto seguendo e che ho guardato per la prima volta dopo anni (Lo so che ho detto di non aver avuto tempo, ma chiaramente era perché sprecavo tutto quello che avevo in anime di varia natura sono proprio un essere umano discutibile)

Che dire? Ho finito per affezionarmi al personaggio di Hanamiya quasi senza accorgermene, motivo per cui mi è venuto spontaneo cercare di trovare un minimo di senso alla sua molto sana filosofia del ‘faccio il cattivone perché mi garba vedere la gente contorcersi dal dolore’. Non pretendo di essere Freud ma spero che un minimo di tutto questo sfogo (scritto forse più per bisogno personale che altro) abbia un briciolo di senso, e che si capisca all’incirca dov’è che volevo arrivare.

Al solito ringrazio chiunque favoriterà/leggerà/passerà per puro caso, e al solito ogni recensione – positiva, negativa, neutra che sia – è sempre ben accetta. Cercherò di rispondere sempre, se non lo faccio o è perché sono sicura di averlo già fatto, o perché me ne sono tristemente e inettamente dimenticata, o è perché Hanamiya mi ha già rotta e trasformata in spazzatura.
Alla prossima!

   
 
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