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Autore: MarySmolder_1308    03/02/2014    2 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Mary
Il profumo delle lenzuola bianche.
Musica casuale in sottofondo.
Sole caldo e accogliente entrante dalla finestra.
Il suo tocco deciso e delicato sulla mia pelle nuda.
Era una mattinata perfetta.
Sorrisi, sfregando il viso contro la mano destra.
“Non muoverti – mi ammonì scherzoso – Rovini la mia opera se metti i muscoli in tensione”
“Mi perdoni. Non era tra le mie intenzioni tentare di sabotarla” dissi sarcastica.
Ian fece una risatina e fermò le sue mani. Dopo qualche secondo, sentì i suoi denti sul mio collo.
“Ahi, mi hai morso!” protestai, muovendomi e cercando di farlo cadere.
“Non mi provocare” disse con voce gutturale vicino al mio orecchio destro, premendo il suo bacino contro il mio corpo e reggendosi sui gomiti.
Smisi per qualche secondo di respirare, mentre il divertimento di Ian era abbastanza palpabile.
“Bastardo provocatore” mugugnai, dopo aver rigettato l’aria che avevo trattenuto.
“Ci siamo dati ai complimenti stamattina” sghignazzò, continuando a massaggiarmi le spalle e la schiena.
“Complimenti che ti meriti”
“Se continui così, mi offendo e non continuo più a fare questo” sottolineò l’ultima parola, affondando le sue dita esperte a fondo nella mia schiena.
Deglutii, mentre i miei muscoli si arrendevano al suo tocco. Senza nemmeno lottare.
“Non sia mai”
“Ecco. Allora silenzio e, soprattutto, ferma”.
Una canzone si concluse. Non sapevo nemmeno quale. Ero troppo presa da lui per farci caso.
“Non avevo mai passato un giorno prima degli esami in questo modo” espirai rilassata, chiudendo gli occhi.
Ian non rispose, ma riuscii a percepire il suo sorriso. Era contento. In fondo era l’ultimo giorno in cui potevamo vederci. Il giorno seguente sarebbero cominciati gli esami di fine anno. Esami di fine anno. Esami di…
“Non pensare agli esami, signorinella” Ian mi rimproverò.
“Come fai a sapere che ci stavo pensando?”
“Intuito. Ti sei contratta in un decimo di secondo”.
Stavo per rispondere, quando il suono forte e delicato di un pianoforte cominciò a risuonare per la stanza.
“Nooo! Ian, cambia canzone”
“Perché?”
“I’m not a stranger
No I am yours
With crippled anger
And tears that still drip sore”.
“Ma questa non è…?” Ian non completò la frase.
“Sì, è ‘Cut’ di Plumb”
“Sbaglio o è una colonna sonora Stelena?”
“Sì” risposi improvvisamente infastidita.
“E che ci fa nel tuo mp4, santuario di canzoni Delena?” concluse la frase con ironia.
“Scommessa con Steve l’anno scorso. Dai, cambiala, che poi mi vengono in mente brutti pensieri su Stefan ed Elena. Bleah!” finsi di avere i brividi.
Ian rise. Si scostò un attimo da me e premette il tasto ‘successivo’.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi cominciò una melodia a noi conosciuta. Molto conosciuta. Come non dimenticarla?
Immediatamente l’immagine di Ian che ballava in casa Salvatore con la camicia nera sbottonata e gli addominali in bella vista invase la mia mente.
“Mmm, questa può restare” dissi, sorridendo.
Ian non rispose.
“Ian?” lo chiamai.
Niente.
Ma dove diavolo era finito?
Mi issai sui gomiti, guardando alla mia destra e alla mia sinistra.
Non c’era.
Stavo per alzarmi, quando improvvisamente mi ritrovai a pancia in su.
“All I’ve wanted
All I’ve needed is you
In my arms” cantò Ian, irrompendo nel mio campo visivo e muovendo la testa a ritmo di musica.
Scoppiai a ridere.
“Che c’è?” mostrò i palmi delle mani, non smettendo di fare su e giù con la testa.
“Niente, sei troppo tenero mentre segui il ritmo della canzone” lo imitai con il capo.
“Non voglio essere tenero – corrucciò la fronte – Voglio essere il tuo bastardo manipolatore”
“Lo sei già”
“Allora voglio essere una pantera”.
Pantera? Non era il suo simbolo a letto?
Arrossii di colpo e, mentre cominciava a baciarmi il collo, cercai di protestare: “Ian, aspetta. E se arrivasse la tua domestica? Non voglio che” mi arrestai di colpo.
Ian era sceso al seno.
Baciava, mordicchiava ogni centimetro della mia pelle senza pietà.
Che tortura era mai questa?
Mi arresi.
Senza lottare.
Come avevano fatto i miei muscoli poco prima.
“Cosa sei, Ian Somerhalder?” sussurrai, mentre il mio respiro cominciava a essere più affannato.
Fermò i suoi baci e mi prese le mani, stringendole alle sue e portandole sopra il mio capo.
“Sssh, ‘Enjoy the silence’” mi disse, sorridendo sghembo.
Senza aspettare che rispondessi, prese a baciarmi le labbra.
Le dischiusi, lasciando che le nostre lingue si unissero.
Mentre le nostre bocche non si staccavano e le nostre mani si torturavano a vicenda, Ian entrò in me, cominciando a muoversi, lento e deciso.
Pieno di desiderio.
Pieno di passione.
Pieno di amore.
 
Mi morsi il labbro inferiore nel vano tentativo di frenare le lacrime.
Singhiozzavo silenziosamente, mentre i Depeche Mode continuavano a cantare, quando improvvisamente le cuffie scivolarono via.
Portandosi quella canzone.
Quelle lacrime.
Quei ricordi.
Aprii gli occhi un po’ spiazzata.
Nonostante avessi la vista annebbiata da quelle gocce salate, riuscii a mettere a fuoco la figura di Rose e il suo sguardo amorevole e preoccupato.
“Che succede?” mormorai.
“Giro visite, niente di che – mi sussurrò, poi andò vicino ai suoi specializzandi; li osservò uno per uno, dopo di che schioccò le dita e aggiunse – Ted, esponi il caso”.
Mi asciugai velocemente le lacrime con la mano sinistra e guardai Ted.
Era lo specializzando più timido dell’ospedale. Arrossiva quando visitava tutti i suoi pazienti, balbettava. Persino i suoi occhi castani riflettevano tutte le sue incertezze. Erano occhi insicuri, da cerbiatto.
“Coraggio, Bambi, non ho ucciso tua madre nei boschi e non mordo mica” gli sorrisi, incitandolo a parlare.
“Ehmmm, sì – disse con voce tremante, grattandosi la nuca – Maria Chiara Floridia, 28 anni, ricoverata lo scorso pomeriggio per una ferita d’arma da fuoco all’addome. I segni vitali sono stabili. Per lenire il dolore dobbiamo somministrare ogni tre ore 500 mg di paracetamolo”
“Bene. Erika, prendile una vena” Rose parlò con tono serio.
La guardai allibita.
“Erika no!” urlai nella mia testa.
Era una degli specializzandi meno delicati di sempre. Quando doveva fare le analisi ai pazienti, faceva loro sempre un gran male.
Ebbi i brividi. Non volevo un ematoma per colpa sua.
Erika si passò una mano tra i capelli biondi, poi usò un prodotto per lavare le mani velocemente.
Le sfregò una contro l’altra e si avvicinò al mio letto.
“Mary” sentii chiamarmi in italiano da una voce familiare.
Troppo familiare.
Era la voce che mi aveva coccolata, che mi aveva permesso tante volte di dormire serenamente, che mi aveva tranquillizzata e consolata dopo incubi, cattive giornate e delusioni.
Guardai l’ingresso della camera.
“Mamma” sussurrai.
La donna che mi aveva messo al mondo si sporse verso la mia direzione e in un attimo fu al mio fianco a carezzarmi il viso, mentre singhiozzava e sorrideva.
“Sei sveglia. S-sei viva” disse tra le lacrime, baciandomi i capelli.
“Oh, mamma!” ricambiai l’abbraccio con la mano sinistra.
Nonostante fossi debole, mi aggrappai a lei con tutta la forza che avevo.
“Vi lasciamo sole” disse Rose, uscendo con al seguito tutti i suoi specializzandi.
Inclusa Erika.
Evviva!
“Mamma, lasciala respirare e, soprattutto, lasciala salutare anche a noi” disse una voce, concludendo in tono ironico.
Riconobbi subito quella voce.
Ovviamente.
Sorrisi istintivamente, preparando a vedere la figura snella e un po’ trasandata del mio gemello mancato.
Mia madre sciolse l’abbraccio e si voltò verso di lui.
“Giorgio, smettila di prendermi in giro” bofonchiò, sorridendogli.
“Non ti prendevo in giro, non sia mai – alzò le mani al cielo – Il mio era solo un dato di fatto” si avvicinò al letto e si sedette.
“Ciao” lo guardai, cercando di non piangere.
Di nuovo.
Potevo passare la mia vita a piangere?
“Ah, Mary, non piangere. Puoi passare la tua vita a piangere? No! Perciò, su, non farlo. E’ tutto passato” mi toccò la mano sinistra, stringendola subito dopo con la sua.
Sorrisi.
Eccolo.
Colui che mi conosceva più di quanto mi conoscessi io.
Colui che mi aveva imparato il vero significato di ‘essere fratelli’.
Colui che mi leggeva nel pensiero.
Colui che veniva scambiato sempre per il mio gemello, nonostante avessimo età diverse.
Eccolo.
Il mio gemello mancato.
“Giorgio, queste proprio sarebbero lacrime di gioia” ribattei, lasciandomene scappare solo una.
“Allora te la concedo”
“Mary” mio padre arrivò sulla soglia della stanza.
“Papà” lasciai andare la mano di Giorgio e la tesi verso di lui, che aveva sempre agito per il mio bene.
Anche quando io non ci stavo.
Anche quando io non capivo.
Papà sorrise e si avvicinò.
Mi baciò la mano e se la portò vicino alla guancia.
“Sono felice di vederti tutta intera”
“Oddio, tutta intera – feci una smorfia, indicando con lo sguardo il braccio destro – Per modo di dire”
“Beh, l’importante è che tu sia viva”
“Festa privata o posso aggregarmi?”.
Mi voltai verso la porta.
Mancava solo una persona all’appello.
“No, Michele, non c’è più posto – gli feci una linguaccia – vieni, su” gli feci cenno con la testa di entrare.
Non se lo fece ripetere due volte.
Tutti erano attorno al mio letto.
Per la prima volta non pensai a tutto ciò che di spiacevole era accaduto nei giorni precedenti.
Alle lacrime di dolore.
Alle urla disperate.
A Ian in coma.
Perché, dopo tanto tempo, i Floridia erano riuniti nella stessa stanza.
E questo era un evento che doveva essere ricordato.
“Aggrappati alle cose belle, Mary. Il dolore è sempre dietro l’angolo, può aspettare” pensai tra me e me, poi sorrisi alla mia famiglia.
 
“Quest’anno non torni in Sicilia?” mi chiese Candice.
Scossi la testa.
“Come fai a star lontana così tanto dalla tua famiglia e dai tuoi amici? Vi sentite spesso almeno?” Steven si intromise nella discussione.
“A volte sì, a volte no, infatti le volte in cui non ci sentiamo mi danno sempre per dispersa – feci una smorfia – Ma non posso farci niente. Quando sono di turno anche per tre giorni consecutivi, non posso staccare e chiamare parenti e amici, come se niente fosse”
“Ti mancano?”
“Certamente. Tutti loro sono una parte di me di cui non posso fare a meno. Sono tutti le mie rocce. Senza di loro non sarei qui in America” sorrisi adorante, pensandoli.

Come potevano non mancarmi?
Mia madre e i suoi dolci sorrisi, mio padre e i suoi sguardi amorevoli, i miei fratelli e i nostri battibecchi, mia cognata, mio nipote, la mia famiglia, le mie sorelle per scelta e tutti i miei amici.
Quando non riuscivo a chiamarli, mi sentivo vuota, come se un pezzo di me mancasse. Mi sentivo persa e piangevo.
Piangevo a dirotto.
Stavo per eclissarmi, stavo per lasciarmi trascinare da tutti i ricordi della mia Sicilia, quando la sua voce mi riportò con i piedi per terra.
“Cambiamo discorso, su. Non vogliamo di certo renderti nostalgica” disse Ian, sorridendomi di sfuggita.
“Esatto! Oggi non è una giornata di tristezza, bensì di svago e relax. Perciò, Mary, togliti il vestitino. Sei l’unica che non è ancora in costume e io voglio andare a fare un bagno” Rose mi incitò.

Sentii le guance avvampare. Quanto ero imbarazzata da uno a dieci?
Lanciai un’occhiata a Ian, senza che se ne accorgesse. Mi sarei mai abituata alla sua presenza?
Forse no.
Mi morsi il labbro inferiore e presi gli estremi del mio vestitino azzurro. La stoffa era leggera e fresca, al contrario della mia pelle infuocata, al solo pensiero dei suoi occhi color oceano che mi guardavano.
Sfilai il vestitino dall’alto e il mio corpo uscì allo scoperto, fasciato solo da un costume a due pezzi color verde acqua.
Mi guardai vagamente, mentre piegavo il vestitino.
Non era un costume elaborato, tutto il contrario. Era un costume semplicissimo ed era stato l’unico al negozio a non farmi piangere. Non adoravo il mio corpo, questa non era di certo una novità, però questo costume mi aveva fatto sorridere.
Riposi il vestitino nella borsa di paglia e sorrisi.
In fondo non mi stava così male.
Forse.
“Il primo che si butta in acqua ha il pranzo gratis” disse Steve, distogliendomi dai miei pensieri.
Tutti cominciammo a correre.

Percepii la sabbia scorrermi sotto i piedi.
In breve tempo mi ritrovai in acqua.
Era calda.
Sorrisi, pensando al mare della mia terra.
Misi le mani una sopra l’altra sopra la testa e mi tuffai.
Senza pensarci due volte.
Mentre espiravo, non permettendo all’acqua di invadermi le narici, nuotai serena, agitando con sincronia le braccia e le gambe.
Il mio segno zodiacale era pesci. Ed era perfetto.
Io amavo l’acqua.
Amavo sentirmi leggera, lontano dalla frenesia del mondo esterno.
Amavo i miei capelli, mossi e sparsi disordinatamente in quella distesa oceanica.
Amavo toccare la sabbia e osservare i pesci.
Amavo tutto quello che concernesse questo elemento, che rispecchiava anche il mio carattere.
Trasparente, adeguabile a tutto, libero.
Riemersi.
Il calore del sole inondò il mio volto.
Riaperti gli occhi, mi guardai intorno e gridai: “Vittoria!”, ridendo spensieratamente.
Mentre Steve brontolava, notai che Ian mi stava guardando.
Il suo sorriso a trentadue denti era indescrivibile. E la cosa che più mi mandava in panne era che quel sorriso era per me.
Non per qualcun’altra.
Per me.
Steven e Paul cominciarono a bagnarsi, includendo tutti in una battaglia acquatica.
Io, con molta nonchalance, sgattaiolai al fianco di Ian.
“Perché mi sorridevi?” gli chiesi, continuando a guardare tutti quegli amorevoli bambinoni che si inzuppavano a vicenda.
“Perché questo costume ti sta d’incanto e noto che non ti fa sentire a disagio con il tuo corpo e, per quanto non mi piaccia affatto il fatto che tu non ti apprezzi, adoro non vederti imbarazzata o impacciata o che tenti in tutti i modi di trattenere il respiro per non mostrare la ‘pancetta’, come la chiami tu – mi sfiorò la pancia e io arrossii – perché, non appena sei riemersa dall’acqua, avevi un sorriso che mi ha lasciato senza parole. Si vede che l’acqua è il tuo elemento. Quando sei a contatto con essa, diventi spensierata e felice e niente può buttarti giù in quel momento. Diventi come invincibile. Ed è bellissimo vederti così. L’acqua rispecchia molto chi sei. Trasparente; adeguabile a tutto, a ogni tipo di situazione; libera e, soprattutto, un bene prezioso di cui tutti non riescono a fare a meno. Né la tua famiglia, né i tuoi amici, italiani o americani che siano – lo guardai, sorpresa da tutte quelle parole – e nemmeno io” Ian concluse sorridendomi nuovamente.
 
“Mary, guardami” disse Rose agitata.
Cercai di mettere a fuoco gli oggetti, le persone, ma non ci riuscii.
Tutto ciò che mi circondava era vittima di un vortice così devastante, che non lasciava integra nemmeno la mia mente.
Cosa mi stava succedendo?
Sentii un freddo indescrivibile.
“Mary, resta sveglia, ti prego” la voce di Rose divenne più distante, poi più presente.
Mi sentivo come in un oblio.
Stavo o non stavo per perdere conoscenza?
“Il mare – dissi, come se da quella parola dipendesse la mia vita – il mare” ripetei con voce fioca.
Il buio piombò su quella stanza e, soprattutto, sui miei occhi.
 
POV Nina
“Stop!” urlò Julie, scendendo dalla sua sedia.
Si passò una mano tra i capelli biondi e mi si avvicinò.
“H-ho sbagliato qualcosa?” dissi incerta.
“No, Niki, tranquilla – Julie sorrise – Dobbiamo semplicemente fermarci qui con le riprese per oggi”
“Come mai?” la guardai interrogativa.
Caroline mi si avvicinò, sventolando il copione tristemente.
“Ma come, Niki? Non ricordi che scene ci sono ora? – dopo qualche attimo di silenzio riprese – Da ora fino alla fine della puntata ci sono le scene con Damon e Ian… Beh, lo sai” abbassò lievemente lo sguardo.
“Oh. Giusto” mormorai, mordendomi la lingua subito dopo.
Ian era ancora in coma.
Stupida, ovvio che non si potevano girare quelle scene!
“Ci vediamo domani. Cominceremo a leggere i copioni della 5x05 – disse Julie e congedò tutti, eccetto me – Vai in ospedale ora?” mi chiese con tono pacato.
Annuii.
“Devo. Sono passati tre giorni dall’incidente e una parte di me è convinta che toglieranno Ian dal coma oggi. Non so dirti perché. Ho questa sensazione”
“Speraci, Niki. Salutami i suoi” mi sorrise e se ne andò.
Cambiatami, mi diressi verso la mia auto. Partii in direzione dell’ospedale.
Mentre guidavo, sorridevo. Quella sensazione era davvero forte e tutto sembrava alimentarla. Il sole cocente che illuminava tutta Atlanta e che faceva risplendere le foglie degli alberi e sorridere le persone, dagli anziani ai bambini. Il vento leggero che soffiava, scompigliando i capelli e refrigerando l’atmosfera afosa cittadina. Era bellissimo. Tutto quel giorno pareva gridare: “Oggi è una giornata bellissima. Ian verrà tolto dal coma”.
Senza quasi accorgermene, giunsi nel cortile dell’ospedale. Parcheggiai e scesi dall’auto, portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro. Entrai nell’edificio e salutai, dopo di che mi diressi verso la stanza di Ian, al terzo piano.
“Buongiorno, Ian” esordii, entrando.
Ovviamente non ricevetti alcuna risposta.
Lo guardai attentamente.
Aveva la testa completamente fasciata. I suoi occhi erano ancora chiusi. In bocca aveva ancora un tubo, indice che non poteva ancora respirare da solo. Dunque, era ancora in coma. Mi sedetti al suo fianco.
Sai – gli presi la mano sinistra – cominciamo davvero a sentire la tua mancanza. Stamattina abbiamo iniziato a girare delle scene della 5x04 alle cinque del mattino. Non sai che scene sono perché non hai ancora letto il copione. Tu, infondo, sei fermo alla 5x03 – sospirai – Comunque, durante la prima pausa, Paul va in saletta, reclamando il caffè a gran voce. Non vedendolo, ti ha chiamato, come suo solito. Ha detto – schiarii la voce, cercando poi di imitare la voce di Paul in astinenza da caffè – ‘SmouldyPants, Smolder, Smolderhotter o come ti pare, muovi il tuo bel sederino e porta la caffeina. Tipo ora!’, concludendo la frase ad alta voce. Solo dopo si è ricordato che… beh, che tu sei qui. Anche io l’avevo dimenticato. Sono qui proprio perché abbiamo finito di girare, perché nelle scene a seguire servi tu. Serve il tuo talento, servono le tue battute, i tuoi errori, i tuoi commenti alla scena. Serve il tuo Damon. Perciò – strinsi quella mano, chiudendo gli occhi, sperando che magari si svegliasse – torna. Lotta per tornare. Non ti arrendere. Mi hai capita? Anche perché penso che una dottoressa ricciolina e occhialuta non ti perdonerebbe mai se tu ti arrendessi. Lei non l’ha fatto, quindi non farlo nemmeno tu. Torna, Ian”.
Sentii un rumore. Mi voltai e trovai Edna, Robyn, Robert e Bob a guardarmi.
“Ciao – lasciai la mano a Ian e mi alzai, andando loro incontro – sono entrata giusto per un saluto”
“Tranquilla, puoi venire a trovarlo tutte le volte che vuoi” Edna sorrise e mi abbracciò forte.
La sua stretta esprimeva bisogno di affetto, di conforto e, soprattutto, di forza.
“Che succede?”.
Edna non rispose.
“Edna, qualcosa non va?” sciolsi l’abbraccio e la guardai negli occhi.
I suoi occhi si velarono presto di lacrime, il che fece aumentare la mia preoccupazione.
“Ma cos’è successo?” mormorai agitata.
Robyn fece un passo avanti e porse un fazzoletto alla madre, poi mi sorrise.
“Steve, il collega di Mary, ci ha detto che oggi toglieranno Ian dal coma. Certo, non si sa comunque quando si sveglierà, però è un inizio. Significa che è stabile. Spetta a lui ‘riuscire a tornare’ diciamo. Non sono lacrime di tristezza. Sono lacrime di gioia” annuì lievemente con il capo, accennando nuovamente un sorriso.
“Davvero? – dissi contenta – Ma è una splendida notizia! Hanno intenzione di dirlo a”
“A Mary? Mi ha detto di sì. Anche se non so se glielo diranno prima o dopo la procedura”
“Capisco. Allora spero non mi sfugga questo particolare ora” le feci l’occhiolino.
“Stai andando a trovarla?”
“Sì” sorrisi.
“Salutamela”
“Lo farò”.
Lo sguardo di Robyn si incupì lievemente.
“Ehi, cos’è questa tristezza? Oggi è una bellissima giornata”
“Lo so, lo so. Mi dispiace solo di non essere andata a trovarla”
“Credo che lei capirà, tranquilla” l’abbracciai forte, felice per la notizia che mi aveva dato.
Mi congedai dai familiari di Ian e andai nella stanza di Mary.
Arrivata alla soglia, mi arrestai.
La stanza era vuota. Non c’era nemmeno il letto. Dov’era finita?
Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarmi. Notai un’infermiera, appena uscita da un’altra stanza di quel corridoio.
“Infermiera, ehi!” dissi un po’ ad alta voce, agitando la mano e cercando di attirare la sua attenzione.
La donna accelerò il passo. I suoi capelli rossicci rimbalzavano di qua e di là, raccolti in un’alta coda.
“Signorina, non sa che non si urla negli ospedali?” disse con tono grave.
“Mi scusi, non era mia intenzione alzare la voce – feci una smorfia mortificata – Volevo semplicemente delle informazioni riguardo un’amica che si trova in questo piano”
“Di chi si tratta?”
“Di Maria Chiara Floridia. Sono entrata nella sua stanza, ma non c’è. Dov’è?” indicai di sfuggita la stanza vuota alle mie spalle.
L’infermiera si guardò intorno con occhi tristi. Non riuscendo a sottrarsi al mio sguardo indagatore, sospirò.
“Non lo sa, vero?”
“Sapere cosa?” chiesi.
“La dottoressa Floridia è in sala operatoria al momento”
“Come mai?”
“Intervento d’urgenza. Stamattina ha avuto una crisi respiratoria ed è collassata. Causa infezione, suppongo”
“Oh mio Dio” sgranai gli occhi.
“Se vuole aspettare che esca, può accomodarsi in sala d’attesa”
“S-sì” balbettai e me ne andai.
Lontana da quella stanza.
Lontana da quel piano.
Entrai in mensa e ordinai un caffè, accomodandomi in un tavolo isolato.
Scossi la testa, passando una mano tra i capelli.
Perché se si aggiustava la situazione da una parte doveva sfasciarsi dall’altra?
E se Ian si fosse svegliato e Mary non…
Sorseggiai un po’ di quella bevanda per distrarmi. Non dovevo pensarci.
Dovevo sperare che la sua operazione sarebbe andata bene.
Dovevo essere positiva.
Restai seduta lì, isolata dalla massa di medici in pausa, a sorseggiare caffè per un tempo indefinito, fin quando l’infermiera di prima non mi raggiunse di corsa.
“Ma lei non doveva essere in sala d’attesa?” mi domandò con il fiatone.
“Mi scusi, alla fine ho preferito restare qui. Ha notizie?”
“Sì – annuì decisa – La dottoressa Floridia è uscita dalla sala operatoria. E’ andato tutto bene. I suoi familiari erano in albergo, sono stati avvisati. Se vuole, può andare lei a trovarla adesso. Le farà piacere” sorrise.
“Ma certo. Grazie mille” strinsi una mano all’infermiera e corsi verso gli ascensori.
 
POV Mary
“Dai, fateci sentire. Moriamo di curiosità” disse Candice, battendo le mani.
“Non è il caso. Non è niente di che, davvero” Rose scosse la testa, sorridendo imbarazzata.
“Non fatevi pregare, ragazzi. Andiamo!” Nina agitò i pugni in aria per motivarci.
“D’accordo, d’accordo – Steve alzò gli occhi al cielo e le mani in segno di resa, poi aggiunse – Mary, agguanta la chitarra acustica, su”
“Sai suonare la chitarra?” Ian mi guardò gasato.
Divenni immediatamente rossa. Annuii velocemente, poi, indossate le ciabatte, corsi in macchina a recuperare la chitarra. Quando tornai in spiaggia, trovai tutti seduti a cerchio. Vicino a Rose c’era una sedia sdraio. Mi sedetti lì e uscii la chitarra dal fodero.
Cominciai a smuovere quelle corde, con delicatezza, mentre Steve cominciava a cantare ‘Some nights’ dei Fun.
Non appena pronunciò la parola ‘Anymore’, cominciai a suonare gli accordi della canzone.
Il ritmo divenne coinvolgente. Iniziai a battere un piede, ad agitare la testa, con i capelli bagnati che ondeggiavano, raccolti in un mezzo chignon improvvisato.
Chiusi gli occhi, mentre la mia voce e quella di Rose si univano per il controcanto.
Ben presto finimmo di cantare e suonare, troppo imbarazzati per fare la canzone per intero.
Quando le mie dita finirono di far vibrare quelle corde, tutti gli attori applaudirono, urlando estasiati.
“Siete fenomenali!” Steven sorrise a trentadue denti, continuando a battere le mani.
“Ce la caviamo, non siamo così bravi” dissi, arricciando il naso.
“Non fate i modesti. Siete davvero grandiosi. E io me ne intendo” Kat ci guardò, annuendo.
“Suonare mi ha fatto venire sete – mi alzai dalla sdraio, poggiandoci sopra la chitarra – Chi vuole qualcosa?”
“Tranquilla, stiamo bene così” Claire sorrise.
“D’accordo. Allora torno subito”.
Corsi fino al bar, quasi dall’altra parte della spiaggia, e ordinai un succo di frutta all’ananas.
Mentre lo bevevo lentamente, godendomi quel gusto dolciastro e quella freschezza, sentii una voce familiare alle mie spalle.
“Complimenti alla musicista per caso”.
Mi voltai e Ian, sorridente, iniziò a battere le mani. Lentamente.
“Molte grazie” risposi, cercando di non mostrare le mie gote rosse.
Per colpa sua.
Di nuovo.
Ian si sedette al mio fianco.
“E’ inutile che nascondi il tuo visino, percepisco il tuo arrossire da qui. Ne sono diventato un esperto ormai”.
Lo guardai e lui mi sorrise sghembo.
Finii il succo in silenzio, percependo il suo sguardo su di me.
Quando il bicchiere si svuotò, Ian prese un dollaro e lo diede al barista.
“Ma” cercai di ribattere, ma non mi fu possibile.
L’indice destro di Ian era sulle mie labbra.
“Niente ‘ma’, dottoressa” mi sorrise nuovamente.
“D’accordo” mormorai.
Tornammo sulla spiaggia e cominciammo a camminare in riva al mare, con i piedi toccati delicatamente dall’acqua, ogniqualvolta un’onda si infrangeva sulla battigia.
“Come mai mi hai raggiunta?” gli chiesi, guardando qualche bambino che costruiva un castello di sabbia.
“Avevo sete”
“Ma se non hai ordinato niente”
“Volevo stare un po’ da solo con te”
“I tuoi colleghi potrebbero capire”
“Non mi importa più”
“Posso chiederti come mai?” mi arrestai, guardandolo negli occhi.
Pessima mossa!
Mi persi in quell’oceano indescrivibile.
“Mary, non ti imbambolare, altrimenti mi vergogno” Ian mi passò una mano davanti al viso e scoppiò a ridere.
“Scusa – rinsavii e feci una smorfia – Dicevi?”
“Bella giornata oggi” rispose con enfasi, guardando il sole alto e lucente.
“Non cambiare argomento – gli diedi una spintarella – Piuttosto sputa il rospo”
“Mary, nonostante la clandestinità sia molto eccitante, non mi va che ci impedisca di stare insieme quando ne abbiamo voglia. Prima o poi il mondo scoprirà di noi. Chissà quando e chissà come, ma lo farà. Succederà. Non possiamo evitarlo in alcun modo. Quindi, perché continuare nascondersi? Perché continuare a vivere come se fossimo dei criminali? Come se la nostra relazione fosse illegale? Perché non fare quello che ci pare, senza che il giudizio degli altri ci possa bloccare? E con altri intendo sia fans che colleghi. Io voglio stare con te, Mary, perciò ci sto. Semplice” mi sorrise.
“Ian Joseph Somerhalder, se potessi, ti bacerei”
“Perché non farlo?”
“Perché ci sono delle persone intorno a noi?” le indicai con un lieve cenno del capo.
“Beh, in tal caso si tratta solo di allontanarsi dalla massa”.
“Oppure basta limitarsi a questo – gli diedi un bacio sulla guancia – Solo per il momento, sia chiaro” gli feci l’occhiolino.
Ian sorrise e riprendemmo a camminare.
“Posso chiederti un’altra cosa?” dissi, interrompendo il silenzio che si era creato.
“Dimmi”
“Quando hai partorito questi pensieri eccelsi?”
“Ti riferisci a quello che ti ho detto prima?”.
Annuii.
“Ci penso già da un po’, in realtà”
“E come mai me ne hai parlato solo oggi?”
“A dire il vero non avevo intenzione di parlartene, ma… diciamo che il mare mi ha ispirato. Non mi prendere per malato di mente, ma io sento il mare parlarmi. Sento i suoi consigli. Sento i suoi ringraziamenti. Sento le sue sofferenze. Il mare parla chiaro. Perciò dovevo parlare chiaro anche io. Mi sembra abbastanza giusto, soprattutto nei tuoi confronti”.
Lo guardai con la coda dell’occhio e sorrisi, poi cominciai a correre verso gli altri, sfidandolo a una gara improvvisata.
 
Aprii gli occhi disorientata.
Dove mi trovavo?
E cos’era successo?
Cercai di mettere gli oggetti a fuoco. Dopo parecchi sforzi, ci riuscii.
Ero nella mia stanza d’ospedale. Sembrava tutto normale.
Guardai di sfuggita la finestra. Il sole era alto nel cielo e illuminava tutta la stanza.
Riuscii a percepirne il calore, seppur vagamente.
Quel calore fece tornare vivida nella mia mente quella fatidica giornata al mare. Quanto ci eravamo divertiti. Quanto era stato dolce Ian. Quanto aveva sorriso.
Sospirai.
Come stava?
Il mare gli avrebbe parlato ancora?
Mi portai la mano sinistra al petto, stringendo il camice.
Reclinai il capo all’indietro, socchiudendo gli occhi per un attimo.
Lui doveva farcela.
“Mary, tutto ok?”.
Riaprii gli occhi e guardai l’ingresso della stanza.
Nina era in piedi e mi guardava.
Aveva i capelli sciolti, l’aria stanca e preoccupata, ma allo stesso tempo contenta.
“Nina – le sorrisi, invitandola a entrare – Che ci fai qui?”
“Sono venuta a trovare sia te che Ian”
“E le riprese?”
“Domani – si limitò a dire; aggiunse, cambiando discorso – Allora, cosa ti è capitato?”
“Cosa.. cosa mi è capitato?” la guardai confusa.
“L’operazione. Hai subìto un’operazione stamattina. Non lo ricordi?”
“Oh!”
“Tranquilla, credo sia normale. Un’infermiera mi ha detto che è successo tutto così in fretta – Nina lasciò cadere il discorso per qualche secondo, poi mi prese la mano – Per fortuna stai bene. Devo proprio darti una notizia”
“Che succede?”
“Robyn mi ha detto che Steve oggi toglierà Ian dal coma. Non sa per certo se si sveglierà subito, ma intanto possono sospendere il coma. E’ diventato stabile. Non è fantastico?” sorrise contenta.
Il mio cuore si arrestò per un secondo.
Subito dopo cominciò a battere all’impazzata.
Ian non più in coma.
Ian stabile.
Ian vicino all’essere di nuovo tra noi.
Cominciai a piangere, come una cretina, al solo pensiero che avrei potuto rivederlo sorridere, parlargli ancora, specchiarmi nei suoi occhi, accarezzarlo, abbracciarlo e, soprattutto, amarlo.
Amarlo come non avevo saputo fare prima.
Amarlo senza limiti.
“Non piangere, Mary. E’ una bellissima notizia”
“Piango appunto per questo – singhiozzai e mi sporsi per abbracciarla forte, ignorando i nuovi punti che protestavano un pochino – Grazie, grazie per questa notizia!”.
 
POV Ian
Fu come rinascere un’altra volta.
Fu come essere strappati da qualcosa di caldo, accogliente, sicuro.
Improvviso.
D’impatto.
“Ecco fatto. Ora spetta a lui” disse una voce maschile.
Autorevole.
Delicata.
Conosciuta.
Era Steve, l’amico di Mary, ne ero sicuro.
“Non sa davvero dire quando si sveglierà, dottore?” domandò una voce sommessamente.
Quella voce sapeva di coccole.
Sapeva di miele.
Era dolce, tenera.
“Mamma! Sono qui. Ti sento” provai a dire estasiato.
Ancora una volta la mia bocca non si aprì.
Ero ancora bloccato in quel corpo-fantoccio?
Ma perché?
“Signora Somerhalder, mi dispiace, ma davvero non so dirglielo. Queste cose sono del tutto imprevedibili”
“Capisco”
“Con permesso” Steve lasciò la stanza.
I suoi passi riecheggiarono nella mia testa.
Un senso di spossatezza mi pervase.
Cominciai a sentirmi debole, stanco.
Ancora.
Provai a lottare contro quella sensazione, ma non ci fu niente da fare.
Mi vinse.
 
POV Mary
Era passato un altro giorno dall’incidente e non mi avevano ancora permesso di vedere Ian. Per sapere come stava, dovevo rubare informazioni alle infermiere che mi visitavano, ma, sfortunatamente, mi rifilavano sempre la stessa frase: “L’hanno tolto dal coma farmacologico, è stabile, lo sai, ma non si è ancora svegliato. Magari domani”.
Cominciai a credere seriamente che non volessero farmelo vedere, perché stava morendo.
O forse stava bene, ma non si sarebbe più svegliato.
Forse aveva dei danni permanenti.
Forse..
“Ahi!” quel pizzico mi distolse dai miei pensieri.
“Non faccia l’esagerata, dottoressa, non le ho fatto niente” Erika roteò gli occhi e si allontanò.
Guardai il mio braccio sinistro, che quella maleducata aveva brutalmente bucherellato con un ago per la flebo.
Stavo per trucidarla con uno sguardo, quando intervenne Rose, esasperata: “Erika, gradirei che portassi un po’ più di rispetto verso i pazienti. Quello che a te sembra ‘niente’, agli altri può sembrare tanto, dato che hai la delicatezza di un elefante in una cristalleria – rivolse il suo sguardo anche agli altri specializzandi – Ah, sparite tutti dalla mia vista! Sono già stanca di voi”.
Gli specializzandi non se lo lasciarono ripetere due volte.
Presa la mia cartella, se ne andarono a gambe levate.
Rose scosse la testa e io scoppiai a ridere.
“Qualcosa non va? Non sei mai stata così nervosa di prima mattina” sghignazzai.
“Ah, niente, non preoccuparti! – Rose si sedette sul letto e mi prese la mano – Sono solo preoccupata per te”
“E come mai? Li hai sentiti i tuoi specializzandi stamattina? Sto benone”
“Sì, se non fosse che ieri sei quasi morta tra le mie braccia”
“Esagerata”
“Non esagero! – Rose alzò di poco la voce, enfatizzando quell’esclamazione – Mi hai fatto prendere un bello spavento ieri”
“Mi dispiace” abbassai lo sguardo.
“Nah, non rattristirti. Ora sei qui e va tutto bene – mi sorrise – credo. Mary, posso farti una domanda?”
“Dimmi” la guardai.
“Come sta la tua anima?”.
Spalancai la bocca, sorpresa da quella domanda decisamente inaspettata.
“Perché mi guardi così?”
“Non credevo mi ponessi una domanda del genere”
“Perché no? Mary, ascoltami. Noi possiamo guarire tutte le infezioni che vuoi, così che il tuo fisico possa ristabilirsi in modo sano, ma… ma francamente è la tua anima che mi preoccupa. Sei inquieta. Le tue labbra riusciranno pure a nascondere ciò con un bel sorriso, ma i tuoi occhi non ci riescono. Brillano di una luce malinconica. Hai uno sguardo che è pieno di rimpianti e di tristezza. Perciò, come sta la tua anima?”.
Sbattei le palpebre e presi un lungo respiro, prima di rispondere.
“La mia anima sta male. La mia anima reclama la verità, il diritto di conoscerla e di metabolizzarla. La mia anima pretende di vedere Ian. Non importa che sia addormentato, fasciato, ingessato, davvero. L’importante è che io lo veda, perché non riesco a togliermi dalla testa il fatto che mi stiate mentendo. Tutti. Mi dispiace dirlo, io mi fido ciecamente di voi, però… però non mi fate vedere Ian, siete vaghi e questo mi fa pensare che lui non sta bene come dite voi” dissi quasi tutto d’un fiato.
“Bene, in tal caso” Rose lasciò cadere il discorso e si alzò.
“Dove vai? Non volevo offenderti, resta, ti prego” aprii il palmo sinistro della mano.
Rose mi sorrise, ma non disse una parola.
Semplicemente uscì dalla stanza.
Dopo un po’, il dottor Richardson arrivò.
“Buongiorno, Floridia”
“Capo” lo salutai educatamente.
“Davis mi ha detto che hai una richiesta. A dire il vero non è l’unica che me l’ha detto. E’ da tre giorni che ogni singola persona dell’ospedale mi fa sapere questa tua richiesta, ogni volta che mi incontra” fece una piccola smorfia.
“Mi dispiace” dissi d’istinto.
“Niente di cui scusarti, Floridia – mi diede una pacca sulla mano sinistra, poi staccò l’ago dal mio braccio – così è meglio”
“Mi avevano messo quella flebo da poco” mormorai un po’ confusa.
Meglio per cosa?
Stavo per chiederlo, quando Rose tornò in stanza con una sedia a rotelle.
“Finalmente ce l’ho fatta! – disse entusiasta – Ho dovuto lottare per averla. Mi si è rotta persino un’unghia” guardò il suo indice destro un po’ contrariata.
“A che serve una sedia a rotelle?” chiesi.
“Come vorresti andare nella stanza di Somerhalder, strisciando?” mi rispose Rose, sorridendo a trentadue denti.
“Capo – girai la testa di scatto verso la sua direzione – prima intendeva dire che posso… sì, insomma, che posso andare da Ian?”
“Sì” disse.
Sì secco.
Lo abbracciai con la solita mano d’istinto, dimenticandomi che fosse un mio superiore.
Quel gesto affettuoso, fortunatamente non sembrò dargli fastidio.
Mi fece alzare dal letto, mi sostenne e mi fece accomodare nella sedia a rotelle, dopo di che andammo in camera di Ian.
Quando entrai, era solo. Vederlo con la testa fasciata e il busto e una gamba ingessati, mi fece girare la testa.
“Oh mio Dio” cominciai a singhiozzare.
“Ti riporto in stanza? Forse è troppo. Puoi riprovare un’altra volta. Non scappa via” mi disse il Capo, parlando pacatamente.
“No, anzi. Voglio restare sola con lui, se è possibile” cercai di ricompormi e lo guardai.
“Ma certo” mi lasciò lì e se ne andò.
Mi avvicinai e gli presi una mano.
 
POV Ian
Tante voci mi riecheggiavano nella testa.
Riuscivo a distinguere chiaramente quelle dei miei genitori e dei miei fratelli, quella di Paul, di Nina, ma non mi importavano tantissimo in quel momento, perché dovevo trovare quella essenziale voce cristallina, pura e dolce, che con la sua allegria e gioia aveva sovrastato e sovrastava sempre tutte le altre.
Quella voce, purtroppo, non c’era.
Non mi davo per vinto, però, e continuavo a cercarla.
Ah, che dolore dappertutto!
E quanto buio intorno a me.
Da quanto tempo mi trovavo lì?
Minuti? Ore? Giorni?
Non sapevo dirlo con certezza.
Sapevo che quello stato di semi-coscienza durava da parecchio.
Anche troppo per i miei gusti.
Smisi di pensare a me e tornai a focalizzarmi sulla voce che volevo disperatamente sentire.
La forza di lottare mi stava abbandonando, ma ero certo che se avessi ascoltato un’altra, piccola volta quella voce, l’avrei riacquistata completamente.
Era la speranza a cui mi stavo aggrappando da quando finalmente avevo ricominciato a sentire cose intorno a me.
Da quando, in base a quello che avevo sentito, ero stato risvegliato da un coma farmacologico.
Improvvisamente percepii qualcosa.
“Voglio restare sola con lui, se è possibile” disse sommessamente qualcuno.
Era una voce femminile.
Il tono era debole, affranto, ma super riconoscibile.
Era lei, l’avevo trovata.
La mia mano sinistra fu avvolta dalla sua, poi la sua voce toccò ogni singola cellula del mio corpo: “Non mi piace ammetterlo, ma dico un sacco di bugie. Mentivo anche quando ero piccola, inventandomi allergie, passaggi segreti, persino tenute regali in cui, dicevo, andavo a vivere in estate. Assurdo, no? Ah, ma quando le raccontavo, tutti i miei amici mi credevano. E, Ian, mi duole ammetterlo, ma ho mentito anche a te. Ricordi? Ho mentito quando ho detto che dovevi andartene sei mesi fa, perché in realtà volevo restassi con me. Solo che non l’ho fatto solo quella volta. Ho mentito quando, appena arrivato a Barcellona per la convention, mi hai chiamato e chiesto se avevo consumato tutti i kleenex, quelli che mi avevi comprato per colmare scherzosamente la tua assenza, e io ho risposto di no. Beh, in realtà avevo già finito tutti e tre i pacchi – una risatina sommossa si fece largo tra i suoi singhiozzi – Ma soprattutto ho mentito spudoratamente quando ho detto che non avevo bisogno di te, perché in realtà è esattamente il contrario. Ho bisogno di te, tu sei l’unica persona che permette al mio cuore di battere e ai miei polmoni di respirare veramente; tu sei l’uomo che mi permette tutti i giorni di andare avanti. Prima di te la mia vita non era vita. Io non vivevo, ma sopravvivevo e basta, eccetto quando lavoravo. Ma con te, tutto è cambiato. Ogni volta che incontravo un uomo credevo di aver trovato l’amore, magari quello vero con cui sarei stata tutta la vita. Ma non era mai così. Con te, però, ho visto il vero volto dell’amore: solare, gioioso, pieno d-di… di vita, appunto. E mi è piaciuto. Sei la persona che mi ha salvato e che ora sta combattendo per sé. Ian, non puoi mollare ora, mi senti? Combatti perché… perché io ti amo, dannazione! Ti amo e non voglio perderti. Ti amo, ti amo tanto, ti amo più di quanto qualcuno possa immaginare” pianse più forte e le sue labbra catturarono il palmo della mia mano.
Il mio corpo si rianimò.
La forza vitale cominciò nuovamente a scorrermi nelle vene.
Mi sentii invincibile.
Era questa l’energia che cercavo.
La mia speranza a cui mi ero disperatamente aggrappato era qui.
E mi aveva salvato.
Riuscii ad aprire le palpebre.
Le prime cose che vidi furono delle lenzuola bianche, tipiche dell’ospedale, la mia gamba sinistra ingessata e la luce troppo abbagliante della stanza.
Mentre i ‘tic’ dell’elettrocardiogramma vibravano costantemente, alzai delicatamente la mano destra indolenzita e la poggiai sui suoi splendidi ricci.
“E’-è la prima volta” balbettai con voce fioca, poi tossii.
Alzò il volto, sorpresa.
Era pazzesco come anche con gli occhi gonfi e rossi per le lacrime riuscisse a essere bellissima.
Sorrisi debolmente.
Pianse più forte, baciando con gratitudine la mia mano.
“Ti sei svegliato!”.
 
POV Mary
Pioggia leggera cominciò a battere sulla finestra della mia camera.
Aprii gli occhi, osservando quelle gocce scendere giù per il vetro casualmente.
Mi guardai attorno.
Non c’era nessuno.
Lentamente, facendo attenzione a quei punti che avevo ignorato così tanto, mi alzai e indossai le ciabatte.
Cominciai a camminare adagio per i corridoi semi-illuminati del piano, fin quando non raggiunsi la stanza di Ian.
Mi appoggiai allo stipite della porta, stanca per quella passeggiata.
Sospirai.
Il mio corpo non era ancora forte. Tutt’altro.
Scossi lievemente la testa e mi concentrai sulla sua figura.
Dormiva, mentre i ‘tic’ dell’elettrocardiogramma scandivano i suoi battiti costantemente.
Il suo volto sembrava sereno finalmente.
“C-che ci fai qui?” mormorò.
“Sei sveglio” dissi, avvicinandomi.
“Ho dormito per quattro giorni, mi pare. Credo siano abbastanza” aprì gli occhi e mi guardò.
Le sue pupille si dilatarono visibilmente.
Senza pensarci due volte, mi sdraiai al suo fianco, dalla parte destra del letto.
“Che stai facendo?” mi chiese.
“Faccio quello che non mi hanno permesso di fare per quattro giorni. Ti sto vicino” risposi.
Passai il braccio sinistro lungo le sue spalle e lo strinsi a me, facendogli poggiare il capo sul mio petto.
“Pioggia. Letto. Noi due. Mi mancava questo” disse.
“Anche a me” ammisi.
“Mary”
“Sì?” lo guardai.
“Ti amo anch’io”.





















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Note dell’autrice:
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Questo capitolo è stato davvero un parto per me! Non perché fosse difficile da scrivere, ma perché ho passato un periodo complicato tra fine quadrimestre e vari blocchi dello scrittore, ma ora eccolo qui! Non so sinceramente cosa vi aspettavate, spero comunque di essere riuscita a fare bene J
Ian si è svegliato dal coma.
Mary gli ha detto ‘Ti amo’ per la prima volta.
Lui ha ricambiato.
Devo ammettere che quando ho scritto POV Ian il mio cuore ha fatto una capriola all’indietro. Non scrivevo da fin troppo tempo dal suo punto di vista, mi mancava >.<
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Ringrazio chi ha letto, chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite, chi recensirà, chi leggerà e basta e chi si vorrà unire al gruppo fb https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Grazie ancora J
Alla prossima, spero di non farvi aspettare tanto!
Mary :*

 
  
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