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Autore: SunsetMoon    12/06/2008    5 recensioni
“E’ passata.
Tutto qui. Finita.
Probabilmente fu quello il momento in cui me ne resi davvero conto.”
I pensieri di Hermione in una notte trapuntata di stelle, durante il settimo libro.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Harry/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ETA’ DELL’INNOCENZA


“E’ passata.
Tutto qui. Finita.
Probabilmente fu quello il momento in cui me ne resi davvero conto.”
I pensieri di Hermione in una notte trapuntata di stelle, durante il settimo libro.




Sono stesa nel mio sacco a pelo e osservo il soffitto della tenda.
Tutto intorno a me è molto buio, ma riesco a percepire indistintamente il russare pesante di Ronald. Certe volte mi stupisco di quanto riesca a dormire, perfino in momenti come questo.
Sono tesissima. Insomma, sento che qualcosa andrà storto.
Ma forse è solo una mia preoccupazione, perché credo che Harry sia di tutt’altro avviso. Da quando ha cominciato a ipotizzare sugli Horcrux, mi sono accorta che i suoi occhi sono accesi da una strana luce. Harry non è un idiota. Lo capirà.
Sotto i veli del russare di Ron, sento i suoi passi, fuori dalla tenda. Capisco che si muove veloce, che non riesce a contenersi, e lo immagino, lì, con la bacchetta alzata, lo sguardo perso in chissà quali pensieri. E’ inutile. So che non riuscirò a dormire, perciò mi alzo e metto su un bollitore.
Ogni volta che tornavo da Hogwarts, per le vacanze estive, la prima cosa che faceva mamma era prepararmi una tazza di tè al lampone, il mio preferito. Mi metteva tra le mani quella ceramica blu, caldissima, e mi sorrideva; aspettava sempre che finissi di bere prima di raccontarle come avevo passato l’anno scolastico. Quante volte avevo occultato ciò che mi era successo… perlomeno, adesso non avrò più questi problemi.
Reprimo delle lacrime insistenti e vado verso l’ingresso della tenda, ed esco fuori, nell’aria gelida che mi punzecchia le guance; fa talmente freddo che immediatamente sento le mie mani perdere sensibilità. Perciò, prima che una delle due tazze possa scivolarmi dalle mani, ne porgo una al ragazzo che cammina, avanti e indietro, avanti e indietro, come se stesse ballando una danza irrequieta. Lui non sembra essersi accorto di me, perciò sussurro piano il suo nome.
Improvvisamente si volta verso di me, e i suoi occhi – verdissimi – brillano nella notte quando si accorgono del dono inaspettato.
Lui prende tra le mani quel caldo conforto, e io mi siedo su una pietra piuttosto grande lì vicino, perché stare in piedi mi rende nervosa. Harry mi imita, ed è come un silenzioso accordo, quello di gustarci quella piccola oasi di tranquillità prima, e di parlare poi.
Parlare di cosa, in fondo?
Lo osservo bere il tè molto lentamente, un sorso alla volta.
“Sai…” comincio con voce incerta “non riuscivo a dormire. Nella tenda c’è Ron che fa un chiasso infernale, e fuori ci sei tu con questo andare su e giù che mi dà sui nervi. Ho pensato che un po’ di tè ti avrebbe calmato”.
Lui sorride, guardando gli alberi della foresta sussurrare tra loro strane parole mute.
“Hai fatto bene, Hermione”.
Non dice più nulla, e credo sia dovuto al fatto che poche ore fa abbiamo avuto una piccola discussione sugli Horcrux. Ma devo continuare. Non posso lasciare tutto in sospeso.
“Harry, io… per oggi…ehm…”. Cavolo, è più difficile di quanto pensassi. “Il fatto è che…”
Lui alza una mano per fermarmi, e mi guarda.
“No, Hermione, non fa niente. So che vuoi scusarti. Ma non ce n’è bisogno, veramente”.
Lo guardo stupita, ma è solo un momento, perché la mia indole da studentessa saccente mi porta a replicare.
“Veramente non volevo scusarmi”. Il suo viso non fa una piega. “Io volevo solo dirti che ora come ora, sono ancora più convinta di ciò che ti ho detto. Silente ci ha lasciato un compito…”
“Silente probabilmente non sapeva nemmeno quello che faceva”. Sono sorpresa.
“Harry, come puoi dire questo? Sai bene che Silente ci teneva che tu finissi quello che lui aveva cominciato…”
“Sì”. Il tono della sua voce è bassissimo, perciò sto zitta. “Lo so fin troppo bene, Hermione. E’ che… Non so quello che sto facendo. Non facciamo altro che cercare dappertutto, ipotizzare… Ma sono stanco. Non dovrei essere io a dirlo, Hermione, ma sono stanco. Se fosse per me, in questo momento starei volentieri alla Tana, a godermi un letto caldo e pasti assicurati. E lascerei fare tutto questo a qualcun altro, qualcuno più abile, più grande, più maturo”.
Non è mai stato così schietto. Lo osservo con un’aria materna, a metà strada tra il compassionevole e il comprensivo.
“Ma Harry, un eroe non sceglie mai se esserlo. E’ portato dov’è dagli eventi, e tutti noi preferiremmo essere altrove, credo. Hai tutti i diritti di sentirti così”. Prendo la sua mano, altrettanto gelida, altrettanto insensibile.
Lui osserva la mia tristemente, e parla.
“Vorrei tanto essere a Hogwarts. Non ho mai avuto una vita facile, ma non sono mai stato così… senza una guida”.
Improvvisamente, quelle parole così pure e innocenti mi colpiscono il cuore, facendomi provare una compassione incredibile per quel ragazzo, lì, accanto a me; per il mio migliore amico, la persona che ho ammirato e aiutato per anni. Non ho mai provato così tanta compassione… non per lui.
E adesso, cosa posso dirti, Harry? Che ci siamo dentro tutti, e che, sebbene ti seguirei anche in capo al mondo, provo il più grande dei risentimenti a starmene qui al freddo invece di essere a casa mia… a Hogwarts?
Ma sarebbe crudele, e lo realizzo immediatamente. Sono insopportabile, è vero; ma non sono crudele. Non con lui.
Così me ne sto zitta, mentre lui osserva il fondo della tazza con sguardo vacuo.
Non posso fare nient’altro se non alzarmi e tirare quella fredda mano che sto stringendo.
Lui si alza, posa la tazza e poi ci abbracciamo, con un gesto completamente naturale.
Un abbraccio da amici. E’ questo che si fa nelle difficoltà, no?
Però vorrei tanto restare stretta a lui, tenere la guancia posata al suo petto, coperto dal maglione che la signora Weasley gli ha regalato.
Harry mi stringe a sé, e poi sussurra: “Ti ricordi quella canzone? Quell’ultima canzone che hanno suonato, al ballo del Ceppo?”.
Sorrido, malinconicamente.
“Quella che hanno suonato mentre piangevo e inveivo contro Ronald?”, replico.
E contro me”, precisa.
Annuisco, so che sente lo sfregamento della mia guancia contro di sé.
Così comincia a muoversi, all’inizio un po’ goffamente, perché non capisco cosa sta facendo. E’ cose se si stesse dondolando a destra e a sinistra, portandomi con sé in quella nenia notturna, ma appena comincia a canticchiare a bassa voce, capisco.
Vuole ballare.
Ed è quello che facciamo, sotto quel manto nero trapuntato di stelle lucenti, con il sottofondo della sua calda voce e con il ricordo dei bellissimi anni passati ad assisterci  come pubblico.
Mi stringe a sé, e mi crogiolo nel calore delle sue braccia.
Però non può durare in eterno, perché la mia stupida, stupida voce – quanto la maledico oggi – sente il bisogno di uscire.
“Avrei tanto voluto ballarla con Ronald, questa canzone”.
Lui si ferma, smette di cantare, mi stringe più forte solo per un secondo – come se non volesse lasciarmi andare via – e mi allontana delicatamente, solo di qualche passo.
Resto ferma, come un cagnolino che è stato appena abbandonato al ciglio di un’autostrada. Peccato che l’errore l’abbia fatto io.
Sono una stupida. Col senno di poi, mi sono resa conto che i denti sono un buon metodo per frenare la lingua. Ma non mi è stato d’aiuto, allora.
“Ora devo continuare a fare la guardia”. Mi porge la tazza di tè. “Grazie”.
Chissà a cosa allude. Al tè, all’abbraccio o al fatto che ho rovinato quel momento?
Ma forse è meglio così. Forse è meglio non rendere le cose peggiori di quanto già non siano, vista la situazione in cui ci troviamo. E’ meglio continuare a recitare la nostra parte.
Migliore amica, migliore amico. E Ron?
Sfioro solo per un istante le sue dita intorpidite e mi riprendo la tazza.
“Di nulla”, sussurro col capo basso.
E rientro nella tenda, piena del russare di Ron.
  
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