Ecco qui la fiction che ho presentato al concorso Made Abroad di V@le e che si è orgogliosamente classificata settima!!
Sono veramente contenta, perchè il giudizio è stato positivo e io sono proprio
alle prime armi! ^^
Inoltre
mi complimento con le podiste e anche con tutte le altre partecipanti.
Dedico
questa fiction, in primis alla mia amica Ayumi che mi è stata vicina e che mi
ha supportata molto, e poi alla mia compagna di banco, Tikei_chan. Vi voglio
bene, ragazze!
Buona lettura!
Ps: Ayu-chan, ti dedico pure questa semplicemente perchè mi hai aiutata un sacco, per cui NON TI DEVI SDEBITARE. Grazie!^^’ Ciao!
Mercy: Why won’t you release me?
Spingo
velocemente la porta e esco dal supermercato. Lo odio quel posto, è il simbolo
della mia condizione sociale, buio, squallido e senza nemmeno una minima parvenza
di rispettabilità. Per non parlare dell’onnipresente sporco, che ne impregna
ogni centimetro; le piastrelle azzurre rotte, che ricoprono i muri sottili una
spanna e che li rendono simili a quelli di una piscina; il pavimento grigio,
piastrellato anch’esso; il bancone di compensato, sul quale talmente tante
persone di sono appoggiate sorridendomi maliziosamente, cercando di ottenere il
mio numero. Rabbrividisco, cercando di scacciare dalla mente le immagini
disgustose dei vari barboni che mi afferrano quasi quotidianamente la manica,
sperando in una serata diversa dal solito, e anche quel mal di testa ormai
cronico che mi perseguita a causa delle luci al neon che mi rintronano per ben
dodici ore consecutive, ogni giorno. Sono già dall’altra parte della strada,
quando mi accorgo di avere ancora indosso la divisa verde acqua del
supermercato; me la tolgo senza pensarci due volte e la ficco rabbiosamente
nell’ampia borsa di pelle marrone che mi ha regalato Ino.
Un’ondata
di tristezza mi assale, pensando a Ino, la mia migliore amica. Pensando a
quando, quella volta, dopo una serata in discoteca piuttosto scatenata e
diversi drink di troppo, Ino si era allontanata in un vicolo, ridendo, mano
nella mano con un ragazzo strano, alto, biondo e piuttosto piazzato. Non era
più tornata indietro.
“Sì,
Fronte Spaziosa, torno subito! Vado solo lì dietro a fare due chiacchiere con
Hidan, è un ragazzo così simpatico!”
Uno
sguardo malizioso, denso di sottointesi, complice, che ci eravamo scambiate
tante volte. L’avevo lasciata andare, in nome di quell’amicizia che ci legava e
che mi intimava di farmi i fatti miei. L’avevo guardata in risposta, vai e
divertiti.
Ed ecco
adesso il senso di colpa, che si fa sentire ancora una volta, e che mi lacera
l’anima con i suoi artigli affilati.
Tiro
fuori dalla tasca del golf un pacchetto di sigarette, ne prendo una con i denti
e faccio scattare lo zippo di Bob Marley che mi ha comprato Naruto per il mio
ultimo compleanno; aspiro una grande boccata, butto giù e mi sento subito
meglio.
Non c’è
niente come una bella sigaretta per nascondersi e salvarsi dalla depressione.
Cammino velocemente, come mio solito, giro l’angolo e sento qualcuno
affiancarmi e togliermi di mano la sigaretta, per poi buttarla a terra.
“Non sai
che ‘sta merda ti ucciderà, un giorno o l’altro?”
I love you
but I gotta stay true
my morals got me on my knees
I'm begging please stop playing games
Mi
mordo il labbro, sofferente, mentre lui mi prende per un gomito e, senza
aggiungere una parola e senza neanche troppo riguardo, mi carica su una
macchina. Non mi ritraggo, ho già capito dalla voce, dal tocco, dal posto e
dallo stile di chi si tratta, ma al contrario mi sistemo in modo da stare più
comoda sul sedile della Mercedes, rassegnata. Sempre in silenzio lui guida fino
a uno squallido motel, dove siamo stati più volte.
Entriamo
in quella che in un albergo un po’ più serio (ma anche soltanto più pulito),
sarebbe detta hall e ci dirigiamo verso il bancone, dove un uomo barbuto e
dall’aria volgare sta leggendo il giornale.
“Voglio
la stanza 23.”
Il suo
tono autoritario e spiccio mi rimbomba nelle orecchie, lasciandomi frastornata:
è incredibile quanto io ami quella voce e quanto, allo stesso tempo, la odi.
Con uno
sguardo insofferente quello gli porge le chiavi e Sasuke scatta verso il
corridoio, tenendomi sempre ben saldamente per il gomito.
Apre la
porta della stanza 23 e senza una parola comincia a baciarmi selvaggiamente il
collo, quasi avesse paura di perdermi. Sorrido a quel pensiero: come mi è
venuto in mente? Sasuke Uchiha non può avere paura, soprattutto non deve
interessargli nulla di me, non sono solo il suo giocattolo?
Dal
collo si sposta alla pelle dietro l’orecchio e adesso non riesco più a pensare
a nulla: rabbrividendo, chiudo gli occhi e mi abbandono a quella meravigliosa
sensazione. Le mani si muovono lungo il suo petto, fino ad arrivare al collo, e
lo cingono energicamente; ormai il mio corpo è assuefatto da lui, come lo è da
tempo la mia anima. Per un secondo smette di baciarmi, per potersi sfilare la
maglietta, e in quel secondo riacquisto lucidità: la coscienza del fatto che mi
stia usando ancora una volta mi travolge e il mio orgoglio e la mia dignità
vengono alla luce, sconfiggendo anche il bisogno che ho di lui e l’amore che
provo.
“Non
puoi continuare ad usarmi, non te lo permetto. Io ti amo, e questo lo sai, ma
devo essere sincera: mi fai male quando mi sfrutti in questo modo. Adesso
basta.”
Sento
la mia voce risuonare decisa e determinata; lui rimane un attimo a guardarmi,
poi si avvicina di più e, nel buio della stanza, intravedo il suo ghigno
deridermi. Inizia di nuovo ad accarezzarmi le spalle nude, il collo e il viso:
lo respingo con forza, ignorando il desiderio di essere toccata ancora, ancora
e ancora da quelle mani.
“Sei
davvero convinta di potermi resistere? Illusa.”
Continua
imperterrito a toccarmi lentamente, mentre lo fisso ferocemente negli occhi
neri, e, notando la mia espressione, ghigna.
“Basta
giocare.”
Lo
guardo, ostinata e con i pugni serrati, ma poi sostituisce le sue mani con le
labbra e la mia determinazione si incrina.
I don't know what this is
but you got me good
just like you knew you would
I don't know what you do
but you do it well
I'm under your spell
“Basta
giocare, ti prego.”
Questa
volta sono meno decisa, e quella che teoricamente doveva risultare
un’affermazione, è in realtà una supplica. Senza che io possa fermarla, una
lacrima sfugge dalle mie palpebre serrate e va a tracciare una riga sulla mia
guancia, Sasuke la nota e il ghigno si allarga, per dirmi come volevasi
dimostrare.
Rassegnata,
mi lascio andare e vengo scossa da brividi intensi, perché mi sta spogliando:
via la canotta verde, baci sulla pancia, via il reggiseno, baci dovunque.
Ho
giusto il tempo di pensare al fatto che lui sapeva che sarei capitolata così
velocemente e sapeva anche dell’effetto
che ha su di me, quando all’improvviso mi prende e mi appoggia sul letto. Mi
bacia e la mia mente si svuota, come se tutti i pensieri fossero stati spazzati
via da una folata di vento. Chiudo gli occhi.
Come al
solito, mi abbandono a lui, in ogni modo: non so cosa faccia, come faccia e
tanto meno perché lo faccia, ma comunque ci riesce bene. Mi fa perdere la
testa, mi inebria, mi stordisce, mi stupisce, mi droga, mi fa paura, mi
ferisce, mi fa rinascere, mi uccide, mi rende viva.
You got me begging you for mercy
why won't you release me
you got me begging you for mercy
why won't you release me
I said release me
Dopo
averlo amato con tutto il mio corpo, tutta la mia anima e tutto il mio cuore,
rimango sdraiata, nuda, a fissare il soffitto, mentre lui si riveste,
guardandomi, attendendo qualcosa, con un’espressione di pura soddisfazione sul
suo volto perfetto. Lui sa che io sono consapevole di cosa sta aspettando,
eppure non mi incalza in nessun modo, se non continuando a fissarmi, superiore,
compiaciuto. Quell’espressione mi uccide.
“Smettila
immediatamente. Lasciami stare.”
“Smettila
di fare cosa, scusa?” chiede, ironico.
“Lo sai
perfettamente. Piantala e basta, non sono dell’umore adatto.”
“Se tu
mi dicessi cosa devo smettere di fare, io la finirei. Il problema è che non ne
ho proprio la più pallida idea.”, ghigna malizioso e sadico, continuando a
guardarmi in quel modo terribile.
Non ci
riesco, questo non lo sopporto, fa troppo male, non ho più forze per lottare,
mi arrendo.
“Smettila
di guardarmi in quel modo, non sono un tuo giocattolo, sono una persona.
Smettila di giocare con me, smettila di obbligarmi a chiederti di smetterla,
smettila e basta! Lasciami libera, ti prego.”
Raggiunto
il suo scopo, si avvicina di nuovo, ghignando, si china su di me e mi sussurra:
“Sei
sicura di voler essere lasciata libera?”
Si
rialza velocemente ed esce dalla stanza, sbattendo la porta e lasciando me
nello sconforto più totale. Non perché ho paura di essere abbandonata in quella
topaia, no, sono sicura che, quando uscirò da qui, troverò Sasuke ad aspettarmi
in macchina, composto e bello come sempre. Sono i miei pensieri che mi
spaventano.
Adesso
non fare la stupida, Sakura, mi dico respirando profondamente.
Certo
che è quello che vuoi, non vuoi più vedere il suo sguardo possessivo su di te,
non vuoi più sentirti usata, sfruttata e gettata via. Non vuoi più sentire i
suoi baci sulla pelle, le sue carezze leggere; non vuoi più accarezzare i suoi
capelli neri, non vuoi più abbandonarti al suo tocco, non vuoi più fremere
sentendo il suo respiro sulle labbra.
Basta.
Deve finire.
Mi
rivesto, ancora una volta determinata a chiudere qui questa storia, ancora una
volta decisa a far finire questa tortura che continua ormai da troppo tempo.
Ancora una volta consapevole del fatto che fallirò. Ma deve cambiare, non è
possibile che io rimanga relegata in questi panni di bambola remissiva che non
mi si addicono, che vanno in contraddizione con i miei principi e che
schiacciano, in modo insopportabilmente umiliante, il mio orgoglio.
Mi
accendo la consueta sigaretta post-sesso, poi apro la portiera della Mercedes,
mi siedo sul sedile e lo guardo, intensamente: lui ricambia e aspetta di
sentire quello che ho da dire, leggermente annoiato.
“Lo sai
anche tu che sono sul punto di rottura, che non sopporterò ancora per molto.”
“Sì, lo
so.”
“Non
era una domanda, era un avvertimento.”
“Sì, lo
so”
Sorride
sprezzante e poi dice, mettendo in moto il motore:
“Sakura,
lo so che mi ami, e lo sai anche tu. Ma quello che per te è difficile da
accettare e che non vuoi ammettere, e che invece io so da tanto tempo, è che,
ormai, tu sei mia. Il tuo amore non è normale e sereno come quello delle altre
persone, ma ti lega a doppio filo a me.
Il tuo
orgoglio può protestare quanto vuole, la tua mente può non accettare questa
condizione, ma la tua anima e il tuo cuore mi appartengono. È inutile che
continui ad avvertirmi, a minacciarmi e a promettermi che un giorno te ne
andrai, perché, se anche tu lo facessi, poi torneresti.
Non hai
idea di quanto io ti abbia intossicata. Sono la tua droga, la tua eroina. Anzi,
hai presente quanto sia potente l’effetto che ho su di te, ma non riesci a
dirti la verità, menti a te stessa in continuazione.”
Siamo
arrivati davanti a casa mia; prima che io possa fare qualsiasi tipo di
movimento, lui si sporge e mi bacia, tranquillamente e senza fretta, quasi in
modo dolce.
“E poi,
chi ti dice che anche io non sia innamorato?”
Scendo
dalla macchina e mi giro a guardarlo: so che si ripresenterà, improvvisamente,
come al solito, tra qualche giorno, e so anche che, quando lo farò, non saprò
resistergli. Ma a questa consapevolezza ormai nota, se ne aggiunge un’altra:
neanche lui saprà resistermi.