Capitolo 2
Novità
So I hold two
fingers up to yesterday
Light a cigarette and smoke it all away
Era una giornata
uggiosa.
Il vento soffiava con prepotenza, sollevando i cumuli di
foglie secche depositati sul marciapiede in piccoli vortici. Il cielo
era livido; un vasto strato di nuvole impediva al sole di fare
capolino, e di irradiare la piccola cittadina di Bristol, quel giorno
più grigia e cupa del solito.
Eve era seduta ad uno dei tanti tavolini di Costa Coffee, con un
caffè americano ancora fumante in una mano e un libro
nell’altra. Sorseggiando la bevanda, di tanto in tanto alzava
lo sguardo dalla sua copia di Anna Karenina,
distraendosi ad osservare
la fiumana di gente che usciva ed entrava nel locale. Da quando si era
accomodata la fila alla cassa si era quintuplicata, e così
l’attesa della gente che, battendo ritmicamente il piede a
terra, lanciava occhiate nervose all’ora riportata
nell’orologio affisso al muro; allo stesso modo il bancone
era stato preso d’assalto dalla moltitudine di persone che
reclamavano il loro caffè mattutino.
Stretta nel suo trench
firmato Burberry, Grace fece il suo ingresso. Si guardò
intorno spaesata per qualche secondo, finché non
individuò l’amica che si stava sbracciando per
farle cenno con la mano; si avvicinò a lei con passo deciso,
buttò la borsa su una delle due sedie vuote e si sedette.
«Dammi il cellulare.» ordinò la rossa,
tendendo il palmo della mano sotto il naso dell’altra.
«Buongiorno anche a te» ribatté Grace,
iniziando a frugare in giro, dato che non si ricordava minimamente dove
avesse gettato il suo iphone qualche secondo prima. Quando lo
trovò, in una delle tasche della giacca, aprì
subito l’icona dei messaggi – sapendo bene a cosa
mirava l’amica – e glielo porse; Eve lo
afferrò con avidità, e scrutò testo
del messaggio in questione scorrendo su e giù con gli occhi
più e più volte.
Quando poggiò il cellulare sul tavolo un ghigno malizioso le
comparse sul viso. «In sostanza, il biondino
vuole uscire con
te.» ammiccò, facendole l’occhiolino.
«Ma non mi dire?! – esclamò Grace, con
un tono di chiara ovvietà nella voce. – Non so che
fare Eve»
L’idea che qualcuno l’avesse invitata ad un vero
appuntamento l’aveva scioccata. O meglio, ciò che
l’aveva turbata maggiormente, era il fatto che Will
– così si chiamava il biondino
– le
avesse chiesto di uscire nonostante le condizioni pietose in cui si
trovava Grace nel momento in cui si erano conosciuti. Tra
l’altro, non le era sembrato di essere il suo tipo;
l’avrebbe visto bene con una stangona bionda o mora che
fosse, con una di quelle ragazze che da qualche anno a quella parte si
sarebbe ritrovata sulla copertina di una delle riviste di moda
più affermate; e se non sulla copertina, certamente in
qualche inserto a piè di pagina. Per questo motivo quando
lui, a fine serata, le aveva chiesto il numero era rimasta alquanto
stupita – per non dire sbigottita, con la mascella che aveva
raggiunto il pavimento – e lo aveva digitato sul suo telefono
senza alcuna aspettativa.
E invece.
«Vacci, so che lo vuoi. Ti conosco meglio di chiunque altro e
lo sai bene – Eve sorrise, dicendo questo – per
questo voglio che tu vada all’appuntamento senza paure e
senza rimorsi.»
« Ma io…» mugugnò
l’altra, appoggiandosi allo schienale della sedia con
sconforto.
«Niente se e niente ma. – asserì
perentoria – Ormai la storia con Lo Stronzo
è
finita da un pezzo, devi andare avanti! »
Grace trasalì, mentre un brivido le percorreva la spina
dorsale. Nonostante fosse passato quasi un anno da quando aveva messo
fine alla loro relazione, sentire quel nome
faceva ancora male; la
pelle bruciava dove lui l’aveva toccata, e ogni volta una
fitta lancinante le trapassava il cuore. Matthew Richardson, –
per gli amici Matt, per lei ed Eve Lo Stronzo -
era stato il ragazzo di
Grace per quasi un anno e mezzo; i due si erano conosciuti per caso
alla lezione di francese, nel liceo di Londra che entrambi
frequentavano al tempo, e da subito lei aveva avvertito la chimica che
intercorreva tra loro.
Relazione idilliaca vista dall’esterno, – e in quel
periodo anche agli occhi di Grace – rappresentavano per molti
loro amici e compagni la coppia perfetta, fatta di dolcezze e carinerie
tipiche dei più diabetici film d’amore del
ventesimo secolo. O perlomeno, lo erano per quelli che non sapevano; il
signorino, infatti, si era divertito per tutta la lunga durata della
loro storia a tradirla ripetutamente, non con una, non con due, ma con
ben tre ragazze diverse.
Tre, il numero perfetto.
Ovviamente quando Grace lo aveva scoperto era andata su tutte le furie,
dando in escandescenze e picchiandolo – già, con
dei colpi ben assestati peraltro – ed era riuscita a tenere
il punto della situazione in ogni momento, nonostante lui avesse
tentato di farsi perdonare diverse volte nei modi più
disparati, arrivando anche a tatuarsi l’iniziale di lei sul
braccio.
In ogni caso, Grace se n’era infischiata. Quando
avevano deciso di mettersi insieme lei aveva riposto in Matt tutta la
sua fiducia, facendo completamente affidamento su di lui e sulle sue
parole. Per diciotto lunghissimi mesi, lei non si era mai comportata da
fidanzata pazza e gelosa, – ringraziando la sua sconfinata
pazienza – e lo aveva lasciato libero di vedersi con i suoi
amici e frequentare chi, quando e come voleva; scoparsi le prime
troiette disponibili, evidentemente, era il suo modo di ripagarla. Per
colpa di Matt lei si era giurata e spergiurata di non fare mai
più assegnamento su una qualsiasi figura maschile,
– a parte quella di suo padre – e, per sua scelta,
non aveva avuto altre relazioni.
«Non lo so Eve, probabilmente mi ha chiesto il numero
perché gli facevo pena.»
La rossa iniziò a massaggiarsi le tempie, imprecando tra
sé e sé per l’ottusità
dell’amica, distogliendo lo sguardo da Grace; Eve stava
macchinando qualcosa. La bionda si accorse che l’amica aveva
adocchiato uno degli impiegati del posto, alto e con un fisico
statuario, che stava sparecchiando i tavoli vicini.
«Tu. -
enunciò, e con un colpo fulmineo afferrò il
grembiule del povero malcapitato e lo avvicinò al loro
tavolo, strattonandolo. Il tipo, con un’espressione tra il
divertito e il sorpreso, si lasciò trascinare da Eve.
– Se una sera ti avvicinassi ad una ragazza, ci provassi
spudoratamente, le chiedessi il numero e solo dopo la invitassi ad
uscire con te, che intenzioni avresti?»
« Di sicuro uscire con lei, sennò non mi sarei
sbattuto tanto.» rispose, facendo spallucce.
Eve alzò un sopracciglio, curiosa; lo squadrò da
capo a piedi, analizzandolo per bene. Di certo lui era
l’incarnazione di ciò che lei definiva attraente:
capelli tra il biondo scuro e il castano chiaro arruffati e
scompigliati, occhi verdi celati dietro un paio di rayban dalla
montatura pesante, e un immancabile sorriso da urlo che scopriva i suoi
denti bianchissimi e allineati alla perfezione«
Grazie
Marius» lo ringrazio lei con finto atteggiamento di
sufficienza, buttando l’occhio sul nome segnato sul
cartellino del grembiule scarlatto, che fasciava il suo i suoi
pettorali.
« Marcus.» ribatté lui prontamente.
«Sì vabbè quello che
è.»
« Io vado. Se vi serve qualcosa mi trovate al bancone
» disse, concludendo il battibecco e ammiccando verso Eve,
che lo fissava accigliata.
Grace ridacchiò. Aveva sempre ammirato il carattere
estroverso e disinvolto dell’amica, profondamente diverso dal
suo; di tanto in tanto desiderava essere come lei, per riuscire a
buttarsi a capofitto nelle situazioni e fregarsene
dell’opinione altrui. In preda ai suoi pensieri, la bionda
non si accorse del fatto che il suo iphone era stato sbloccato da Eve,
che in quell’istante stava digitando qualcosa sullo schermo.
Con un sorrisetto, poi, le restituì il telefono. «
Sabato sera alle otto e mezza, ti passa a prendere lui.»
Will era comodamente seduto al volante della sua mercedes nera. A causa
dell’alto volume della radio e del fatto che stesse
canticchiando tra sé e sé con fin troppa enfasi,
non si accorse della figura femminile che si stava avvicinando alla
macchina, peraltro in maniera piuttosto rumorosa.
Liv, perfettamente cosciente del suo essere in ritardo, si
lanciò fuori dalla porta di casa, sbattendola; i tacchi dei
suoi stivaletti, producevano un ticchettio irritante scontrandosi con
l’asfalto consumato della strada, che cessò
soltanto quando questa spalancò con irruenza la portiera
dell’autovettura e si tuffò sul morbido sedile
destro in pelle beige.
Will sobbalzò, non essendosi reso conto di nulla.
«Liv, cazzo! – esclamò allargando le
braccia, ancora con il cuore in gola – Un giorno di questi mi
farai venire un infarto»
«Ma se sei una mezza sega non è colpa
mia» si giustificò lei ridacchiando, mentre si
dimenava sul sedile tentando di trovare la posizione più
comoda possibile.
Will scosse la testa rassegnato, lanciandole un’occhiata
omicida. Si ritrovò a fissarla, chiedendosi se mai avrebbe
trovato pace; un momento era seduta composta, quello seguente addossata
al finestrino, e quello ancora dopo semisdraiata, con la schiena che a
malapena toccava lo schienale e le lunghe gambe sottili poggiate sul
parabrezza. I capelli lunghi e biondi, scarmigliati dal grande
movimento, le coprivano il viso ossuto su cui spiccavano due
sopracciglia folte e nette; da bambini la avevano sempre presa in giro
per queste, – come d’altronde avevano sempre fatto
con Will – ma lei con grande carattere se n’era
sempre fregata, considerandole il suo tratto distintivo.
Liv era la sua migliore amica da tempo immemore, anche da prima di
conoscere Jack; avevano frequentato l’asilo e le elementari
insieme, dove erano stati additati – o meglio, marchiati a
vita –come “ quelli dalle sopracciglia
buffe” e, solo in seguito, si erano aggiunti i gemelli alla
loro combriccola.
«Insomma non mi devi dire niente?»
domandò lei in maniera vaga, ma con l’aria di chi
la sapeva lunga.
Will schiacciò il pedale della frizione, tolse il freno a
mano e inserì la prima. « Mi sembra di no
» « Ah no? »
« Non credo »
« E il nome Grace non ti dice nulla? –
continuò lei, alzando un sopracciglio – Sai, una
tipa bionda, bassina, dal viso dolce »
Will si voltò di scatto verso di lei, con
un’espressione tra l’interrogativo e lo sbigottito
stampata in volto. Era risaputo che Liv amasse spettegolare con le sue
amiche e compagne di corso – streghe maligne in piena regola
– , e che conoscesse ogni più infimo segreto di
qualsiasi abitante di Bristol, ma addirittura essere al corrente del
fatto che avesse invitato Grace quella mattina ad uscire con lui
– e non ne aveva fatto parola con nessuno – lo
sbalordiva. Profondamente.
« Gossip Girl è tornata in città?
»
Liv scoppiò a ridere, mentre l’autovettura
s’inseriva nel traffico abituale del ponte pensile di
Clifton.
Jack si accese una sigaretta, aspirando la nicotina a pieni polmoni, e
si guardò intorno con fare annoiato. Sulla via della
palestra a cui si era iscritto recentemente, – desolata come
sempre a quell’ora – erano allineate un gran numero
di case indipendenti dallo stile architettonico georgiano, con tetto a
spioventi, mattoni rossi che circondavano l’intero perimetro
degli edifici e il consueto portico in legno bianco che attorniava il
portone d’ingresso.
Mentre si chiedeva che fine avesse fatto
Will, in ritardo di ben dieci minuti, Jack sentì un rumore
di ruote che sgommavano sull’asfalto. Dall’angolo
della strada comparve sfrecciare la mercedes nera del biondo, che
inchiodò parallela al punto in cui si trovava Jack.
Lentamente il finestrino destro si abbassò, svelando la
presenza di una persona a lui poco gradita. Gli occhi cerulei della
ragazza lo scrutarono sprezzante, provando il fatto che
l’ostilità era ricambiata. Jack alzò
gli occhi al cielo, allontanandosi dall’automobile.
« Cosa ci fa questa qua nella tua
auto!? »
sbottò scocciato, allargando le braccia in segno di
dissenso.
« Si da il caso che questa qua
– ribatté
Liv, con sano astio nella voce – sia la sua migliore amica
»
Sinceramente, Jack non si ricordava nemmeno perché i due si
odiassero tanto; era una faida che andava avanti da troppo tempo ormai,
forse da quando i due gemelli erano entrati a fare parte del gruppo.
Dal primo momento in cui l’aveva vista il moro
l’aveva presa subito in antipatia per il suo fare
melodrammatico da prima donna, e l’avversione era aumentata
sempre di più, mano a mano che lui aveva imparato a
conoscere i diversi lati del suo caratteraccio. Anche Liv, dal canto
suo, non l’aveva amato da subito; subito era rimasta
sconcertata da quanto Jackson potesse essere un tale pallone gonfiato
pieno di sé, e l’opinione negativa che aveva di
lui si fortificò quando Jack iniziò a stringere
amicizia con Will, - che lei aveva sempre identificato come qualcosa di
suo – passando tempo con lui a scuola e sul set.
Probabilmente Liv e Jack si detestavano tanto perché erano i
migliori amici della stessa persona; gelosi l’uno
dell’altra, si vedevano come nemici da eliminare, da
schiacciare come inutili scarafaggi.
« E si da il caso che questo qua
– la
scimmiottò lui – sia il suo migliore amico a cui
aveva promesso di andare a pranzo insieme. Da soli.»
specificò, facendole intendere che la sua presenza non gli
fosse affatto gradita.
Will considerò che quello era il momento propizio per
intervenire, prima che i due – che si stavano guardando in
cagnesco – si sbranassero come due lupi alpha, pronti a
marcare il territorio.
« Calmate i bollenti spiriti – disse ironicamente,
cercando di sembrare il più simpatico possibile - stiamo
andando a pranzo. Solo che con Liv, all’ikea,
perché deve rimodernare la sua stanza»
« Che cosa?! » esplose Jack, quasi urlando.
« Già, Will ha deciso di fare il favore di
accompagnarmi fin lì. »
« TU SEI MATTO! – continuò ad abbaiare
quello, mentre Will si faceva piccolo piccolo, scivolando sul sedile
– Abbiamo una partita di calcio alle quattro! »
« Faremo in tempo. Dai, salta su.»
« Manco morto.» sibilò Jack, sputando
veleno.
« Dai Jack, non farti pregare! »
« Sì, dai Jack, non farti pregare! »
ribadì Liv sarcasticamente, con un ghigno beffardo stampato
in volto.
« Forse non ti è chiaro –
cominciò il moro, appoggiandosi con il gomito al finestrino
e sporgendosi verso i due ragazzi all’interno della macchina,
come per farsi comprendere meglio – che io in macchina con
questa qui non ci salirò mai nella vita.»
Will lo guardò rassegnato, alzando le spalle. Aveva capito
che l’amico era irremovibile dalla sua decisione, e che
difficilmente si sarebbe dissociato dalla sua presa di posizione; ci
aveva provato a farli andare d’accordo, si era azzardato
addirittura ad immaginarli insieme come coppia, ma tristemente aveva
realizzato che tutto ciò non sarebbe mai stato possibile.
Erano identici, in tutto e per tutto; e forse era proprio questo che
creava loro problemi: erano due personalità forti, incapaci
di condividere i propri spazi e le proprie amicizie con persone uguali
a loro.
« L’hai voluto tu. » disse il biondo,
prima di partire a tutta velocità e rischiando di ammazzare
Jack ancora appoggiato alla vettura.
« WILLIAM POULTER!
» urlò quest’ultimo affranto, mentre la
mercedes si allontanava, dileguandosi definitivamente dietro un banco
di nebbia.
- - -
Eccomi qui!
Scusate il
ritardo, ma purtroppo ho dovuto studiare come una matta in questi
giorni – causa maledetti esami – e quindi mi sono
potuta ritagliare un tempo limitato per scrivere.
E’ uscito questo capitolo in due giorni, valutatelo un
po’ voi hahaha
In ogni caso, si sono aggiunti nuovi personaggi Marcus per primo, che
è proprio il caro e amato youtuber Marcus Butler! Che cosa
c’entra nella storia? Eh eh, lo vedrete.
Poi c’è Liv, che io fisicamente immagino come Cara
Delevingne; è la suprema rivale di Jack, un po’
stronzetta ma alla fin fine simpatica, che adora Will alla follia.
Cercherò di pubblicare il prossimo capitolo il prima
possibile, e vedremo finalmente come si svolgerà il fatidico
appuntamento.
Un bacione,
Frà.
P.S: Volevo ringraziare Irene, la mia Eve, che sopporta giornalmente i
miei scleri su questa maledetta fanfiction, dandomi ispirazione e
voglia di scrivere <3