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Autore: xfrankybadass    24/01/2014    4 recensioni
Ancora non riusciva a realizzare come avesse potuto ficcarsi in quella situazione così ambigua, così sbagliata.
Era inciampata nel cliché dei cliché, nel caso di tradimento più banale ma allo stesso tempo più vile e spregevole che potesse esistere, e anche se aveva cercato di negarlo a sé stessa con tutte le sue forze e di fermare la relazione che andava instaurandosi – perchè, nonostante tutto ci aveva provato – Grace non ci era riuscita.
Fanfiction basata principalmente su Jack Harries e Will Poulter, suo caro amico e attore.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Harries, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 1

Incontri

What's the story
morning glory ?

Il suono ovattato di un colpo lontano si fece piano piano sempre più insistente; mano a mano questo rumore s’intensificò, diventando sempre più nitido, più deciso. Il frastuono incalzante di nocche che cozzavano contro il legno della porta divenne improvvisamente chiaro alle orecchie di Grace, che lentamente aprì gli occhi, ancora intorpidita dal sonno.
Un raggio di sole era riuscito a sfuggire allo spesso tendaggio della finestra, diffondendo così una luce fioca che si propagò per tutto il perimetro della camera.
La ragazza, infastidita sia dal rumore irritante sia dalla luce mattutina, si alzò dal letto con fare nervoso, dirigendosi verso l’ingresso della stanza. Non era preparata psicologicamente ad affrontare la persona malata che alle otto di mattina aveva deciso di prendersela con la sua porta, anche se una mezza idea di chi fosse ce l’aveva.
Aprì, facendo così cessare quel trambusto molesto. Una ragazza dai capelli rossi, chiari ma di un colore vivo e brillante, che riconobbe subito come la sua migliore amica, si stagliava davanti a lei ancora con il pugno in aria pronto a dare un altro colpo alla porta inerme; sorrideva, forse ignara di aver svegliato tutto il secondo piano del dormitorio est della Bristol University – o forse, faceva semplicemente finta di non essersene accorta – che la continuò a guardare con odio per tutta la giornata.
Grace la squadrò dall’alto al basso con espressione corrucciata, chiedendosi come facesse Eve ad essere così affascinante anche a quell’ora. Eve Powell – così si chiamava – era di una bellezza irreale; alta e magra, con i capelli lunghi e fluenti che incorniciavano un viso puro e delicato, sul quale i due occhi azzurri sembravano due zaffiri incastonati alla perfezione; il naso era lungo e lineare, mentre la bocca rosea era sottile.
La bionda pensò a quanto la scena, vista dall’esterno, potesse essere esilarante. Una stanga di un metro e ottanta con in mano un sacchetto contenente dei cornetti, stava aspettando l’invito a entrare nella stanza di una nanerottola con i capelli arruffati e la palpebra calante, che la stava guardando in maniera torva. Sembrava Biancaneve con uno dei suoi nani da passeggio.
Grace Earnshaw, era – giusto un tantino – diversa dalla sua migliore amica. Era bassa, caratteristica che contribuiva a farle dimostrare meno anni di quanti ne avesse effettivamente, e qualche chiletto in più della norma. I capelli erano biondi, abbastanza lunghi, ma dritti come spaghetti. Tuttavia, il suo viso era molto bello: aveva dei grandi occhi verdi da gatta, il nasino all’insù e una bocca a cuore molto carnosa.
Ma in ogni caso, Brontolo le faceva un baffo.
« Madonna Grace, la gente è sveglia da giorni e tu dormi ancora! Ma che cazzo hai fatto fin ad ora?! Dai, sbrigati, esci da sta tana! – esclamò Eve, alzando gli occhi al cielo – Ah, ma stasera lavori? » domandò infine, concludendo così quella sparata infinita.
«Sì, Eve.» sibilò Grace con sguardo truce. Se c’era una cosa che questa odiava era quando veniva svegliata di soprassalto, - ma soprattutto – chi la svegliava di soprassalto.
«In ogni caso ho portato i cornetti…» sussurrò la rossa, sbattendo le ciglia folte, sperando così di assumere un’espressione – più o meno – pentita, mentre scuoteva il sacchetto davanti agli occhi di Grace.
«Dai, entra» affermò rassegnata quest’ultima, lasciandosi convincere dall’odore di cornetti appena sfornati che cominciava ad aleggiare nella stanza e dal suo stomaco che iniziava a brontolare.



Quel pomeriggio la biblioteca era gremita. Sparsi qua e là per la sala, quasi tutti gli spaziosi tavoli in mogano erano occupati e la loro superficie ricoperta di libri, tomi antichi e quaderni vari. C’era chi studiava in religioso silenzio, chi ascoltava musica cercando di concentrarsi e chi scriveva senza sosta; c’era anche chi vagava tra i numerosi scaffali alla ricerca di un qualche raro manuale, spezzando così, con il rumore dei suoi passi, il silenzio che regnava incontrastato grazie alla presenza della bibliotecaria, di una certa età e dall’aria austera, che aveva la speciale dote di silenziare qualsiasi cicaleccio nel raggio di un chilometro. Ogni brusio che si sollevava, infatti, veniva azzittito con rapidità da una sua occhiataccia o, - più spesso – da un suo fastidiosissimo “shh”.
Jack, dopo aver preso un espresso alla macchinetta del caffè – senza inceppamenti vari, il che era stato un vero e proprio miracolo – ed essersi fumato una sigaretta, si era seduto al tavolo vicino ad una delle ampie vetrate che si succedevano ritmicamente, per godere ancora per un po’ della luce del sole. Con fare deciso aveva incominciato a sfogliare un tomo di cinquecento pagine, ma purtroppo la noia e la pigrizia ebbero la meglio su di lui, tanto che in pochi secondi si ritrovò con il viso infossato sul libro, che agli occhi del ragazzo aveva preso le sembianze di un comodo cuscino.
Will sghignazzò, seduto davanti all’amico. A differenza di Jack, lui era rimasto sveglio e stava cercando “seriamente” di concentrarsi e memorizzare qualcosa sulla storia del teatro – anche se non definiva quella materia propriamente interessante – in vista dell’avvicinarsi degli esami. Ma in ogni caso la sua diligenza durò poco.
Piano piano, cercando di evitare gli sguardi omicidi della bibliotecaria, accartocciò dei piccoli pezzi di carta e cominciò a lanciarli verso Jack, che non si accorse di nulla. Will continuò ad infastidire l’amico dormiente – che nel frattempo si era allargato occupando più spazio di quanto ne fosse opportuno – per un bel po’.
«Jaaack» sussurrò il biondo cercando di farsi sentire dall’altro, il quale si smosse non appena la decima pallina di carta colpì la sua testa. Jack alzò lentamente il viso dal libro, con fare spaesato e con l’impronta della pagina su cui si era assopito ben stampata in faccia; una volta ricordatosi di dove fosse e cosa stesse facendo, guardò l’amico con espressione interrogativa.
Will sospirò, sollevato del fatto che l’altro non fosse morto nel sonno, e indicò una delle tante palline che gli aveva lanciato, facendo segno con le mani di aprirla.
Accigliato, Jack la spallottolò.

“Io, te, gli altri. Birra. Stasera.”
Riportava scritto il bigliettino, con calligrafia disordinata e poco chiara. Di rimando, Jack ne prese un altro, scribacchiò qualcosa frettolosamente e lo allungò all’amico.

“No.”
«Cosa?!» sbottò Will in tono un po’ troppo alto, allargando le braccia. «Perché?!»
«Zitti voi due» abbaiò la vecchia bibliotecaria, che nel frattempo si era avvicinata a loro captando un’origine di rumori molesti.
Jack alzò gli occhi al cielo, ignorandola «Non ne ho molta voglia, sinceramente – asserì abbassando la voce– sai, Finn è partito questa mattina per Leeds e quindi…»
Finn era il fratello gemello di Jack, più grande di lui di due minuti; se fisicamente erano uguali in tutto e per tutto, dal punto di vista caratteriale erano fin troppo diversi. Se il più grande era introverso, riflessivo e – per certi versi – più maturo, l’altro era tutto il contrario. Differenze a parte, i due erano stati inseparabili dal momento della nascita, e avevano instaurato un rapporto fatto di fiducia e complicità, anche se le litigate non erano mai mancate e non mancavano tutt’ora. Per i gemelli, quindi, venire separati dopo una vita passata insieme non era propriamente una cosa che loro ritenevano semplice.
«Quindi? – chiese di rimando l’altro, seccato dall’atteggiamento disinteressato dell’amico, che nel frattempo si era limitato a fare spallucce e grattarsi la nuca, cosa che faceva sempre quando non riusciva a gestire una situazione. Quel quindi significava, molto semplicemente, che Jack non aveva la minima intenzione di mettere piede fuori dalla stanza del college quella sera. – Va bene Jackson, fammi sapere se torni ad essere una persona normale entro la serata o continuerai a fare il vegetale. » affermò Will, mentre si alzava e raccoglieva il materiale didattico che aveva sparso il lungo ed in largo per il tavolo, e solo in seguito uscì dalla sala borbottando tra sé e sé.
Jack scosse la testa, interdetto. Con un colpo secco buttò tutte le sue cose nello zaino, lo raccolse da terra e si affrettò a rincorrere il biondo fuori dalla biblioteca, quel giorno fin troppo silenziosa per i suoi gusti.
«Will! – strillò, non appena lo individuò tra la massa di gente che affollava il corridoio – Fermati!»
Lo dovette chiamare più volte, prima che questo – nonostante avesse notato la sua presenza e la sua voce non proprio soave – si fermasse e, con un sopracciglio alzato, lo ascoltasse.
«Senti, mi dispiace e tu lo s-»
«Eh beh, come minimo» lo interruppe Will, incrociando le braccia.
« Se mi facessi finire, magari – precisò Jack, mentre l’altro schioccava la lingua – comunque, lo sai che amo uscire e divertirmi più di ogni altra cosa, ma stasera proprio non sono dell’umore. Non penso tu possa capire, ma mi manca Finn, e ti prego di non farmelo ripetere mai più perché questa cosa stomaca anche me»
Non credeva che Will avrebbe mai potuto capirlo, dal momento che, anche se questo aveva un fratello e due sorelle, non aveva un gemello; non aveva una persona identica a lui, che pensava alle stesse cose a cui pensava lui nello stesso momento; non aveva una persona con cui scambiare sguardi complici, che solo un’altra coppia di gemelli avrebbe potuto riconoscere.
«Mh.– mugugnò William, con un’espressione pensierosa stampata in faccia – Sì, penso decisamente che tu sia comunque un coglione»



Grace stava pulendo con uno straccio il lungo bancone di legno del pub di cui era ormai impiegata da quasi un anno, ovvero da quando si era trasferita a Bristol da Londra, per cominciare gli studi universitari.
Il The Dope Wizard, così si chiamava il pub, – lei ed Eve si erano sempre chieste perché e in quali condizioni il proprietario avesse scelto proprio quel nome, forse sotto effetto di qualche sostanza che gli permettesse di vedere realmente maghi, fate e folletti– ed era la birreria più anonima e inutile dell’intera Gran Bretagna.Titolare e gestore del posto era il signor Bloomwood, vecchio obeso di un’ignoranza considerevole: non sapeva cosa fosse la tecnologia, ne tantomeno internet, e figurarsi la pubblicità per il locale che poteva scaturire tramite quest’ultimo; per questo motivo il pub, nonostante fosse attaccato all’università, il più delle volte era desolato, oppure popolato da vecchi amici del ciccione.
La biondina guardò in alto, avendo udito il rumore della porta che sbatteva. Dalle scalette che portavano dall’ingresso alla sala principale comparvero – per l’appunto – due vecchi amici del proprietario, che però non erano poi tanto male come quello.
«’Sera piccola» la salutarono i due in coro, prima di dirigersi nella saletta ideata appositamente per giocare a biliardo, collegata alla sala principale da un’ampia porta ad arco. Non fece in tempo a rispondere al saluto di questi che subito un’altra figura comparse in cima alle scale; tenendosi salda al corrimano dello stesso legno del bancone, Eve scese saltellando fino a sedersi sullo sgabello davanti la postazione dell’amica.
«Spiegami perché ti ostini a lavorare in questa topaia. – esordì la rossa, arricciando il naso – Puzza da morire! »
Grace non poteva negare il fatto che in quel posto aleggiasse un forte odore di stantio misto ad alcool, dovuto parzialmente al fatto che il pub, prima di diventare tale, era un semplice – ma spazioso – scantinato. Ma, almeno lei, ci aveva fatto l’abitudine, e anzi; se n’era addirittura affezionata.
«Finché mi pagano mi ostinerò a lavorare in questa topaia.» ribatté Grace, calcando bene la voce sull’ultima parola, smettendo di sistemare le varie bottiglie di Jack Daniel’s sulla mensola dietro al bancone.
«Dico che almeno potresti organizzare dei concerti, delle serate con musica dal vivo, tanto il ciccione non c’è mai e quel palchetto là in mezzo non viene utilizzato – disse, facendo cenno con la testa al palco che si trovava addossato ad una delle pareti laterali fatta di mattoncini rossi, completamente sgombro. – almeno questo posto non sarebbe così pieno di vecchi! »
Grace fece spallucce, consapevole del fatto che l’amica avesse pienamente ragione «Senti, ma perché tu sei qui a criticare il mio posto di lavoro invece di essere al Funky Pizza?»
«Perché al Funky Pizza – postaccio dove gli impiegati si dichiaravano gli unici capaci di fare della vera pizza italiana in tutta Bristol – c’è Jasmine, che si è gentilmente offerta di fare a cambio di turno. » affermò, con un sorrisetto soddisfatto.
Grace stava per affermare che Eve doveva soltanto ringraziare l’Eterno Signore del fatto che lei non facesse cambi di turno e che il suo capo ciccione non ci fosse mai, in maniera tale da poterle offrire bevande di ogni sorta quando questa si presentava al Dope Wizard, quando accadde il miracolo. Sia Eve che Grace rimasero a bocca aperta, incredule; non potevano credere ai loro occhi che, spalancati, fissavano quel gruppetto di ragazzi – sexy, per giunta – scendere le scale. Era una delle prime volte che Grace vedeva veri e propri maschi della loro età – con capelli corti o lunghi, grassi o magri, con addominali o senza – in quel locale. Si accomodarono poi in uno dei tanti tavoli sparsi per la sala, additando con delle risate il vecchio jukebox posizionato vicino alla porta del bagno.
«Eve – sospirò, dando uno scossone all’amica, che ancora li stava fissando – sono veri?»
«A quanto pare…» rispose, assottigliando gli occhi; questo preoccupò non poco la biondina, dal momento che l’amica faceva quello sguardo solo quando architettava qualcosa. E, il più delle volte, non era qualcosa di buono.
«Tu non vorrai mica…»
Di tutta risposta la rossa ingurgitò i due bicchierini con rum e succo di pera, si alzò con uno scatto e si allungò verso Grace, poggiando i gomiti sul bancone. «Io mi prendo il moretto con la barba, a te mando il biondino» sussurrò a bassa voce, ammicando. Come diavolo aveva fatto a capire che, in quella marmaglia di testosterone e ormoni maschili, l’unico che l’aveva colpita subito all’occhio era il biondino dai capelli corti, proprio non lo sapeva.
Tipico di Eve.
Ma in ogni caso lei stava lavorando, si vergognava e non aveva nessuna voglia di socializzare. Per di più aveva i capelli legati in uno chignon mal fatto e il trucco era leggero, quasi inesistente. Fare la conoscenza di un ragazzo così carino, in quelle condizioni pietose era un qualcosa che avrebbe evitato molto volentieri. «Vieni qua, maledetta» sibilò tra i denti, facendo un mezzo sorriso nervoso. Ma l’amica era già verso la via della perdizione, e difatti, in pochi minuti questa si ritrovò seduta a bere e flirtare con metà del gruppo.
Mentre Grace asciugava dei bicchieri, borbottando e maledicendo Eve tra sé e sé, captò i passi di un qualcuno che stava andando verso di lei. Sperò, con tutto il suo corpo e la sua anima, che fosse uno di quei simpatici vecchietti venuto a chiedere un altro giro di birra. Ma, ovviamente, non fu così.
«Quindi, stando a quanto detto dalla tua amica, io ti piaccio.» affermò una voce, calda e profonda, con un accento britannico non troppo calcato. Grace alzò lo sguardo, incontrando per la prima volta quegli occhi, di un verde così chiaro eppure così particolare, in cui lei si sarebbe persa volentieri per ore. Quel colore le ricordava i prati della brughiera, i perfetti giardini inglesi, e le ricordava anche la primavera, la sua stagione preferita, con il primo calore e il sole che finalmente cominciava a risplendere tra le nuvole grigie, che lo avevano tenuto nascosto per troppo tempo.
«Non la ascoltare, è ubriaca» replicò velocemente lei, abbassando gli occhi, imbarazzata. Il ragazzo biondo prese posto davanti a lei, sedendosi su uno sgabello. Grace riusciva a sentire sulla sua pelle gli occhi di lui che la fissavano; le sue gote arrossirono molto velocemente, colorandosi di un rosso scarlatto.
«Io non credo proprio – ribatté lui, sorridendole – comunque piacere, io sono Will.»


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Saaalve a tutti :) ho finito il primo capitolo prima di quanto credessi ( e vi giuro,
già che ci sia un primo capitolo è un grande passo avanti ) e così ho pensato di postarlo.
In questo capitolo iniziamo a fare la conoscenza dei personaggi principali, e come promesso ho buttato in mezzo anche Finny causa della depressione del buon vecchio Jack. Sapete che i gemelli hanno tipo una connessione mentale o roba del genere?
L'ho letto mentre mi documentavo per il capitolo, ma non so quanto sia vero hahaha.
In ogni caso la storia è appena iniziata, devono ancora apparire taaanti personaggi e devono succedere taaante cose.
Boh, spero vi piaccia! Se vi va di lasciare una recensioncina fate pure :) o commentare anche con consigli e critiche costruttive, sono ben accette!
Un bacione,
Frà.

  
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