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Autore: Elisewin Ci    04/02/2014    20 recensioni
New York. Tra le luci di Manatthan e le sfumature dei suoi quartieri, la grande città fa da sfondo alla storia di Damon e Elena, due adolescenti tanto diversi quanto feriti dalla vita. Una storia d'amore e d'amicizia, di violenza e autolesionismo, caratterizzata da grandi passioni: musica, libri, parole, cuore. Un incontro-scontro tra i banchi di scuola che cambierà per sempre le loro vite.
"Cara Elena, tu non sei felice, neanche con addosso il vestito a fiori che hai preso al negozio vintage all'angolo. Tu non sei felice, cara Elena, perché sei innamorata.
E allora tatuatelo sulla pelle e marchiatelo nello sguardo, tutto questo tormento.
Magari, adesso, cara Elena, inizi a crescere"
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alaric Saltzman, Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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BEST OF YOU
 
CAPITOLO 1
BREATH OF LIFE


http://youtu.be/WUI-Mjz56S0
da ascoltare

 

A che scopo esisterei, se fossi tutta contenuta in me stessa? I miei grandi dolori, in questo mondo, sono stati i dolori di Heathcliff, io li ho tutti indovinati e sentiti fin dal principio. Il mio gran pensiero, nella vita, è lui. Se tutto il resto perisse e lui restasse, io potrei continuare ad esistere; ma se tutto il resto durasse e lui fosse annientato, il mondo diverrebbe, per me, qualche cosa di immensamente estraneo: avrei l'impressione di non farne più parte. Il mio amore per Linton è come il fogliame dei boschi: il tempo lo trasformerà, ne sono sicura, come l'inverno trasforma le piante. Ma il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce nascoste ed immutabili; dà poca gioia apparente ma è necessario. Nelly: io sono Heathcliff! Egli è stato sempre, sempre nel mio spirito: non come un piacere, allo stesso modo ch'io non sono sempre un piacere per me stessa, ma come il mio proprio essere. Così, non parlar più di separazione: ciò è impossibile.
da 'Cime tempestose' di Emilie Bronte




 

 
Leggo distratta il messaggio che la nonna mi ha appena inviato sul cellulare mentre tento di finire di lavarmi i denti

"Buon primo giorno di scuola tesoro. New York è sempre bella come ieri?"

Si, nonna.
Certo che è come ieri.
Ma io vivo a Williamsburg nella casina di tua cugina, con le pareti gialle verdi e rosa, e della New York che immagini tu non c'è traccia.

Qui non ci sono grattacieli, ma solo palazzi di due o tre piani in mattoni rossi. Qui ci sono prati e fiori, librerie e negozi vintage. C'è il supermercato nonna, e nessun grande magazzino.
E tua nipote va ancora a scuola con le converse bucate in cima, nessun tailleur e nessun tacco altro.

Nonna non so neanche da dove cominciare. Questa settimana lontano da te, è stata dura.
Ma come te lo spiego nonna?
Come te lo racconto?

Come ti dico che quella New York che immagini tu non è casa mia. Quella è Manatthan nonna.
E quella la vedo solo la sera, quando prendo coraggio e cammino sui marciapiedi, quando passo davanti a una serie infinita di locali che fanno bella musica e arrivo sull'Hudson.
Lì c'è lo skyline.
Sai cos'è nonna?
I disegni e le luci di Manatthan, i suoi contorni improvvisamente ti spazientiscono e affascinano.
Ti lasciano senza fiato.
E ti fanno credere che tutto è possibile.
Da lì vedo quello che immagini tu.
È pieno di persone nonna.
Davvero.
Ma io mi sento sola.
E questo non posso dirtelo, va tutto bene nonna, va tutto benissimo.
Ho la compagnia dei miei libri.
Dei fiori che coltivo sul terrazzo.
E sai cosa c'è di simpatico?
La voce squillante della ragazza che abita nel palazzo accanto.
Ride e urla così tanto che ormai mi sembra di conoscerla.
A volte mi affaccio alla finestra e la guardo, ma riesco a vederla solo di schiena: è bionda. E suona la chitarra. 
Da casa sua esce una musica dolcissima che mi fa compagnia. A volte mi culla.
E poi ride, ride sempre.
Solo una volta l'ho vista piangere.
Ieri mattina, quando sono uscita dal portone insieme a lei. Aveva la testa bassa e una sciarpa nera piena di brillantini intorno al collo.
Si è asciugata una lacrima sbrigativa, poi è tornata a darmi le spalle.
Non lo so, nonna, non lo so come sto davvero.
E non so neanche se questa città è così bella come dicono.
Dovrei scoprirla, forse, ma mi sento troppo piccola per riuscirci adesso.
O anche solo per tentare di farlo.
Scusami nonna, adesso devo andare davvero, sono in ritardo, non posso più parlarti nei miei pensieri: la scuola mi aspetta.

Digito veloce una risposta che sappia di gioia e amore, di entusiasmo e nuove avventure. La rassicuro, come faccio da sette giorni ogni mattina e ogni sera, poi spengo il cellulare, afferro la borsa e chiudo la porta con un tonfo sordo.
Mastico veloce la mia brioche, quella con le scaglie di cioccolato che al supermercato vendono a sconto, e inizio a correre.
Corro veloce, incurante delle stringhe sciolte e dei mattoncini delle case, quelli su cui mi soffermo la sera quando cammino, quelli che conto per non pensare, mi passano accanto come un flash sfumato di bordeaux.
Non ho la testa per soffermarmi sui particolari. Oggi si ricomincia davvero.

E sono in ritardo, schivo le persone che incrocio sui marciapiedi, cerco di non fare caso ai loro cappelli grandi, alle giacche colorate, alle gonnelline a ruota alzate dal vento.
Sono belli i newyorkesi.
Sono strani.
Sono colorati. Belli da respirare e da sfumare nell’idea di un racconto, la sera prima di dormire.
Quegli sprazzi di parole che butto giù sul diario, misti ai miei pensieri.
Potrei prendere un taxi, o addirittura la metro per raggiungere la scuola, ma la paura di restare senza soldi mi fa solo camminare, a piedi, veloce, quasi correre – attanagliare lo stomaco in una morsa di paura che va via solo immergendomi in quella massa di gente: gente che vive, si perde, come se avessero un obiettivo importante da inseguire.
Come se la loro vita avesse un senso che io adesso non riesco né a trovare né a percepire.
Mi manca il Colorado. Le sue praterie , il suono del vento tra gli alberi, la mia classe di sole ragazze.
Io non  sono fatta per tutto questo.
Io non volevo andarmene.
Io volevo solo restare tra le braccia di mia madre.
Ma lei se n’è andata e io devo  crescere.
Chissà dov’è Jeremy adesso. Chissà se la colazione senza di me lo fa sentire più autonomo. Più adulto.
Chissà se un giorno, tra qualche anno, mi chiamerà per dirmi che lui sogna New York, e che vuole venire a prendersi la mia vita.
Io che al telefono mi fingo entusiasta.
Ma è solo una settimana che sono qui, e la Brooklyn Technical High School mi attende.
 
Ho attraversato Williamsburgh, devo solo continuare a camminare dritto e svoltare a destra, mi manca solo l’ultima traversa, così do un’occhiata veloce al mio orologio e la conferma di essere in ritardo mi fa quasi puntare i piedi a terra: fermarmi, girare e tornare a casa.
Resto un attimo interdetta, potrei scappare, rifugiarmi a casa e dimenticare che la scuola pubblica più importante di Brooklyn mi sta aspettando. Potrei.
Ma qualcuno forse ha la mia stessa fretta, perché mi rendo conto dello scalpiticcio di passi dietro di me solo dopo aver ricevuto una botta poco gentile alle spalle: una massa di capelli biondi mi sfiora e una ragazza con un vestitino nero a fiori continua a parlare al cellulare mentre mima verso di me un gesto di scuse con la mano.
 
“Ma si può sapere dove sei? Sono in ritardo, coglione. Ti ho aspettato a casa e non sei passato. Damon dannazione è quasi una settimana che non torni a scuola, vuoi farti bocciare di nuovo, per la seconda volta? Ehi ehi ehi. Rispondimi. Ma dove hai dormito? Si, cavolo sono preoccupata. Lo vuoi capire? Dove sei?”
 
Sembra una mitraglietta, parla così veloce da farmi mancare l’aria, più di quella che già mi manca a causa dell’ansia e del vento che mi rema contro in questa corsa contro il tempo. New York è fredda come se fosse sempre gennaio, anche quando è appena iniziato novembre.
Mi passo una mano sulla fronte e sposto tutti i miei ricci sulla spalla destra, ho bisogno di respirare.
E poi riprendo a camminare, seguo la ragazza davanti a me che continua a gesticolare, animata, mentre maledice il suo interlocutore senza sosta.
 
“Sono tre giorni che non ti vedo. Ti sembra giusto? Si, si si. Puoi dirlo forte: sono incazzata. No, Damon, no. Non dirlo mai più: so benissimo che sei un’irresponsabile su cui è impossibile fare affidamento, ma sono io, Caroline, ti ricordi? Siamo amici da una vita. Mi aspetterei un trattamento diverso da quello che riservi alle donne che frequenti.”
 
La bionda si ferma, poggia una mano nell’inferriata del cancello della scuola e con un sospiro improvviso alza le spalle e getta il suo iphone nella borsa di pelle marrone che tiene a tracolla. Solo quando la supero per entrare mi accorgo di chi si tratta: la ragazza che abita di fronte a casa mia.
La ragazza che ride sempre, ma che ieri piangeva con una sciarpa nera di brillantini al collo.
Questo Damon deve avergliela davvero combinata grossa.
 
Ma non ho tempo per fantasticare sulla vita degli altri, devo entrare e riuscire a trovare la mia aula.
“Elena, Elena… rifletti. Cosa ti aveva detto il professor Saltzman giovedì?” - parlo tra me e me, il suono della mia voce, bassa, lieve, riesce sempre a calmarmi come conferma dell’essere viva -  “Si, entra, cammina lungo il corridoio, ultima porta a sinistra”
 
Mi avvio svelta lungo questo stanzone senza fine, non ho tempo per soffermarmi sul bidello che cerca di catturare la mia attenzione, probabilmente per sapere chi sono e lasciarmi le chiavi del mio armadietto, uno dei tanti che costeggiano queste pareti infinite, ma adesso non  ha importanza, non ho niente con me se non un quaderno e un astuccio di lapis e matite. Non devo poggiare niente, devo solo portare me stessa dentro quell’aula, sedermi e ascoltare… sarà mai così difficile?
 
Eppure sento la paura assalirmi davanti a quella porta dipinta di un azzurro pallido che mi ricorda fin troppo bene i pigiami di mia madre nell'ultimo periodo della sua malattia, eppure dovrò aprirla e scusarmi per il ritardo con un sorriso buono che esprima la mia gioia per essere stata ammessa all'ultimo anno di liceo dopo due mesi dall'inizio dell'anno scolastico.
E so di dover essere socievole e aperta alle conoscenze per cercare di rifarmi una vita in questa città così grande e diversa dalla villetta a schiera in mezzo a una prateria dello sconfinato Colorado in cui ho trascorso gli anni bellissimi della mia infanzia.

Sospiro, cercando di non dare peso alle stringhe sciolte delle mie converse e busso alla porta, come se davvero tutto andasse bene e il mio cuore non cercasse il modo migliore per uscirmi dal petto.

"Buongiorno" – stringo impercettibilmente i lembi del mio giubbottino blu notte – “Buongiorno professor Saltzamn. Mi… mi scusi per il ritardo, io… io, beh stamattina non ho calcolato bene le distanze e…” – un fruscio di teste che si voltano verso di me mi coglie alla sprovvista: non mi ero preparata allo sguardo curioso dei miei compagni – “mi sono accorta che da casa mia a qui, la mattina, devo partire prima” – abbasso la testa e l’immagine del sorriso del mio docente in un attimo diviene solo un ricordo sfumato. E sbiadito.

"Oh Elena. Accomodati pure" – il rumore del gesso sulla lavagna mi riporta alla realtà – “Ragazzi… lei è Elena Gilbert, la vostra nuova compagna”
Il professore scrive il mio nome, lentamente, con una calligrafia maschile e chiara che mi fa sentire ancora di più sotto osservazione. I miei piedi non si staccano dal pavimento come i miei occhi non si allontanano dalle spalle larghe dell’uomo, celate in una giacca scura di tweed.

"Mi scusi per il ritardo professor Saltzman, non conosco ancora bene le strade qui a Brooklyn" – ripeto, blanda, in imbarazzo, e il vento freddo che agita gli alberi fuori dalla finestra sembra colpire me: il mio maglione nero e i miei jeans slavati sembrano improvvisamente troppo leggeri.
Mi accarezzo il corpo e sposto il peso da un piede all’altro, quando una serie di risate sottomesse arriva alle mie orecchie e una pallina di carta mi colpisce in pieno viso. Indietreggio, colta alla sprovvista, e finisco per inciampare nella tracolla della mia borsa sbattendo un fianco contro lo spigolo di un banco attaccato al muro. Non mi ero neanche accorta di essermi mossa prima di quel dolore sordo.
Mi mordo la lingua nell’attimo in cui cerco di non perdere l’equilibrio.
Il sangue sa di ferro tra le labbra, stringo gli occhi per ammortizzare il dolore e non sentire lo stomaco chiudersi su se stesso, ma non c’è rimedio per il disagio che mi assale.
"Ahi" - esclamo mentre lacrime pungenti di vergogna si affacciano ai miei occhi: odio sentirmi al centro dell’attenzione.

"Loockwood” – la voce perentoria dell’insegnante sovrasta il chiacchiericcio che anima l’aula –“per te l'ora è finita. Vattene dal preside!” – un ragazzo di media altezza, con le spalle grandi e un sorriso provocatorio si alza e mi fissa con un paio di occhi neri che mi mettono a disagio – “Ehi ragazzi, mantenete un certo contegno e… Elena mi dispiace, ti sei trovata in mezzo a una mandria inferocita di caproni. Avrete solo da imparare da questa ragazza... siediti pure dove vuoi" - il professore di storia e letteratura è stata l'unica persona gentile con me nell'ultima settimana. Ha letto qualcuno dei miei scritti, gli ho parlato della mia situazione difficile e del mio trasferimento e mi ha semplicemente sorriso e teso una mano senza giudicarmi, così ancora imbarazzata e ferita, mi siedo in un banco vuoto, in terza fila, vicino alla finestra, tiro fuori quaderno e lapis e tengo la testa bassa, i capelli a coprire il disagio di sentirmi il fenomeno da baraccone della mattinata.

"Professore sto uscendo cosa devo raccontare al preside? Che ho quasi ucciso la nuova arrivata con una pallina di carta?" - la voce del ragazzo si alza fino a quando uno scoppio di risa mi fa gelare il sangue, massacro il lapis stringendolo tra le mani ormai diventate bianche per lo sforzo di non crollare, così, di fronte a tutti.

"Loockwood sparisci e voi smettetela subito! Credete di essere divertenti?" – la domanda retorica è accompagnata dal tonfo di un libro sbattuto sulla cattedra con rabbia. Io mi stringo ancora di più su me stessa, quasi spiaccicata al muro.
Dannazione, nonna.
Voglio solo tornarmene a casa.

"Divertentissimi prof" - una voce profonda e ironica si alza contro quella dell’insegnante e mi volto un attimo per vedere con la coda dell'occhio un ragazzo con un giubbotto scuro di pelle entrare nell'aula tirando una spallata a Loockwood - "Tyler brutto coglione togliti di mezzo"

"Buongiorno Salvatore" – Saltzman si passa una mano tra i capelli. Stanco.
Non c’è traccia dell’uomo dolce che mi ha parlato pochi giorni fa.
Sembra più che altro sull’orlo di una crisi di nervi.
E io con lui.

"Anche a lei prof" – lo sconosciuto allontana la sedia dal banco vicino al mio facendola stridere per terra prima di sedere in modo per niente composto: le gambe divaricate, la schiena rilassata e la testa quasi poggiata su una spalla.
Non siedo così neanche sulla poltrona di casa mia.

"Può darci un motivo del suo ritardo, signor Salvatore?"

"Salvatore” – biascica il ragazzo con un tono duro che mi fa rabbrividire – “Ti suona bene in bocca Alaric. Ma sai come mi chiamo. Puoi chiamarmi Damon, come mi chiami ogni dannata sera in cui vieni a casa mia per scoparti mia madre. Quindi, Alaric, io sono Damon"
 
Un silenzio impressionante scende sulla classe. I miei brividi raddoppiano, o forse triplicano. Nessuno si muove, nessuno dice una parola. Nessuno si esprime.
Ma il professor Saltzman si siede tranquillamente sulla sua sedia e quando alza gli occhi verso di noi, un sorriso divertito gli accende lo sguardo.
 
“E questo ti disturba Damon?” – lo provoca, accavallando le gambe e incrociando le braccia al petto – “E’ un problema che vogliamo discutere davanti a tutta la classe?”
 
Il ragazzo si limita a scuotere la testa, poi si sporge piano in avanti e fa scivolare il suo giubbotto scuro sullo schienale della sedia, rivelando un fisico slanciato stretto in una maglietta bianca a mezzemaniche. Una vena pulsa frenetica sul suo bicipite, segno dell’agitazione che sta salendo dentro di lui e che cerca di celare nella stretta dei pugni chiusi.
 
“Oppure vogliamo parlare delle tue assenze ingiustificate? Dei tuoi voti al limite del ridicolo? Della tua preparazione che fa acqua da tutte le parti?” – incalza l’insegnante senza dargli tregua, ma più il suo tono diventa inquisitorio, più Damon sorride, beffardo.
 
“Come al solito, Alaric” – ripete il suo nome come a voler dimostrare una confidenza che non dovrebbe esserci – “ti perdi dietro convenevoli che non mi toccano”
 
“Vuoi parlarci delle sorelle Bronte, Damon?” – poggia la testa sulle mani giunte facendo perno con i gomiti sulla cattedra – “Stamattina devo interrogare. Visto il tuo ritardo e la tua maleducazione potrei iniziare proprio da te”
 
“Stai scherzando vero?” – a questo punto il ragazzo ride, di una risata amara che mi stringe il cuore senza saperne in motivo – “credi di mettermi in soggezione Rick? Smetti di giocare. Abbandona la parte del professore intransigente. Non ti si addice”
 
“Hai letto Cime tempestose, Damon?”
 
“Avevo di meglio da fare” – biascica annoiato mentre accartoccia un foglio bianco che era disteso sul suo banco – “Te l’ho già detto, Rick, i libri sono per i perditempo. Per chi ha paura di vivere.  Per chi non sa fare i conti con se stesso. Non è roba che fa per me. Puoi bocciarmi di nuovo, non m’interessa” – lancia la pallina verso il cestino dietro la cattedra e fa centro.
 
Heatcliff sarebbe d’accordo con te” – sorride il professore – “Era un selvaggio come te”
 
“Rick… falla finita” – Damon fa per alzarsi ma il professore è più svelto, lo anticipa, con furbizia, in un’ammissione che lascia la classe a bocca aperta, me compresa.
 
“Non mi chiedi chi sia Heatcliff? Non ti domandi a chi ti sto paragonando?” – Saltzman si alza, cammina lento intorno alla cattedra, supera le prime due file di banchi, poi poggia le mani sul banco di Damon, dopo aver sganciato i primi due bottoni della sua camicia grigia – “Certo, non me lo chiedi perché lo sai. Come hai fatto notare a tutti vado a letto con tua madre e frequento casa tua. Hai il libro che vi ho chiesto di comprare sul comodino, ma ammetterlo davanti a tutti sarebbe troppo umiliante per te. Il misterioso Damon Salvatore, il menefreghista, che per sbaglio ascolta una lezione del povero e illuso signor Saltzman. Sarebbe un’ammissione troppo grande anche per te, vero ragazzino? Cresci Damon. Finiscila con queste sceneggiate. Continuerai a sputare terra se non abbandoni l’immagine che ti sei creato, non credo che sia divertente strisciare tra i perdenti”
 
Sono spiaccicata con la schiena contro il muro, le mie mani che inconsapevoli si sono nascoste tra le pieghe del maglione, mentre osservo i due uomini sfidarsi accanto a me.
C’è tensione emotiva nell’aria.
Un dolore sordo che aleggia tra di noi.
Un silenzio che sembra non volerci lasciare.
Solo il respiro di Damon che, umiliato, non riesce ad alzare gli occhi contro il suo avversario.
Respira a fatica. Un sospiro dopo l’altro.
Una boccata di vita per riaprire i polmoni e ricordarsi di essere vivo.
Non riesco neanche a immaginare quanto tutto questo possa fare male.
Le mie orecchie non hanno mai ascoltato parole così dure.
 
“Allora ragazzi c’è qualche volontario? Io ho un voto da mettere stamattina” – il professore si tira su, mi dà le spalle, torna alla lavagna e si sfila la giacca con eleganza prima di posarla sulla sedia con un gesto distratto. Per un attimo un velo scuro attraversa i suoi occhi – “Nessuno? Bene, sono costretto a scegliere… Salvatore, mi raggiungi in cima alla classe? Ti concedo di sederti, non sono un professore vecchio stampo che vi obbliga a stare in piedi durante le interrogazioni. Mi piace la comodità, dovresti saperlo.”
 
“Vengo io, prof” – la voce dolce di una ragazza mi arriva alle spalle, mi volto, curiosa, consapevole che nessuno si sta curando di me – “Meglio levarsi il dente finché fa male, no?” – scherza.
 
E’ bellissima, penso solo questo.
Elegante.
Con delle infinite gambe lunghe fasciate da un paio di calze a rete.
I suoi occhi nocciola, grandissimi, accarezzano con dolcezza la schiena di Damon, prima che le sue ciglia lunghe sbattano con malizia verso il professor Saltzman.
 
“Haley… ti sei dimenticata di vestirti stamattina? Siamo  in una scuola, all’ultimo anno di liceo, dovrei essere interessato a quello che ti esce dalla bocca non al rossetto rosso con cui ti dipingi le labbra” – lei sorride, e in effetti ha davvero una bocca bellissima; gli occhi del professore sono buoni, dolci, verso di lei. Oserei dire… comprensivi – “Per lo meno sai chi sono le sorelle Bronte? O ti sei alzata solo per salvare quel coglione di Damon?”
 
Lei ride. Una risata genuina che m’incanta.
 
“Non so chi sia Damon, professor Saltzman. Non frequentiamo gli stessi giri” – risponde, con gli occhi puntati verso il mio vicino di posto, il labbro inferiore stretto tra i denti.
 
“Ah! Da quando? Questa mi è nuova. Ragazzi… Damon ha per caso cambiato compagnie?” – domanda con ironia a tutta la classe. Non riesco a capacitarmi della follia in cui mi sono ritrovata, non comprendo la situazione. Non capisco perché questa ragazza castana, altissima e magrissima, continui a ridere con dolcezza, senza arrabbiarsi. Senza protestare.
 
“No, professore. Sono le compagnie che lo hanno abbandonato. Haley è l’unica che non vuole andare a letto con Damon” – la porta viene aperta con forza e Loockwood rientra in classe con prepotenza – “Salvatore le fa il filo, ma lei lo snobba. Ti brucia eh coglione!”
 
Ed è la frazione di un secondo, un attimo di troppo, una voce alzata che non sarebbe dovuta rientrare. Un tonfo sordo, una sedia che cade, un’imprecazione che avanza.
Loockwood è a terra con un labbro sanguinante, gli occhi sbarrati dalla paura.
 
“Non farlo mai più. Mai più. Chiaro?” – una minaccia a denti stretti, di fronte a me, nello stupore di un chiacchiericcio generale.
 
Io sono immobile, un freddo profondo che mi attraversa la schiena, mi sembra di non riuscire più a respirare. I miei occhi non riescono ad allontanarsi dalle spalle tese di Damon, dalle sue gambe appena un po’ piegate, le mie orecchie sentono solo il suo respiro affannoso.
La stanchezza dopo un pugno dato con rabbia.
La spossatezza dopo un quarto d’ora emotivamente difficile.
Vorrei sapere chi è. Perché non ha risposto agli assalti del professor Saltzman.
Perché quel fantoccio di Loockwood non risponde alle botte appena incassate.
 
“Damon” – una voce squillante, quella voce , irrompe nel brusio – “ma si può sapere cosa hai fatto? Ancora? Perché?” – la ragazza del palazzo di fronte, quella della sciarpa con i brillantini, quella di stamattina al telefono: eccolo il suo Damon, eccola irrompere in classe con i suoi occhi verdi sgranati e increduli – “Tyler, deficiente, tirati su! La finirete mai voi due?”
 
“Buongiorno signorina Forbes. Ci mancavi tu stamattina. Siediti. Poi voglio una spiegazione per il ritardo” – interviene il professor Saltzman senza scomporsi, come se scene del genere fossero all’ordine del giorno per lui – “Tyler, Damon, sedetevi. Riprendiamo, per favore”
 
“Ma professore…”
“Caroline” – allora si chiama così la mia vicina di casa – “dove sei stata fino ad ora? Giuro che non mi arrabbio ma per favore almeno tu parla chiaramente stamattina”
“Professor Saltzman… ma perché si sono picchiati?”
 
“Caroline impara a farti i fatti tuoi. Damon dannazione se esci da quella porta ti spedisco fuori dall’istituto a calci in culo” – il tono è duro, perentorio, lo sguardo dell’insegnante fisso infondo alla classe.
 
Così continuo a seguire la scena, le ginocchia al petto e le mie dita che giocano col buco sulla punta delle mie converse, non avrei mai pensato di sedermi così, con i piedi sulla sedia, il mio primo giorno di scuola, ma mi sembra di essere al cinema, in uno spettacolo dove io non sono compresa, dove continuo ad essere trasparente e tutto questo mi piace, mi rende tranquilla, mi ricorda che niente è cambiato: io valgo poco, nessuno s’interessa davvero a me.
Nemmeno mia madre che è morta.
Nemmeno mio padre che è bruciato in un incendio estivo.
Nemmeno loro hanno avuto la forza di restare per me.
 
“Damon vuoi fermarti!” – la bionda urla, e mi riporta alla realtà allontanandomi bruscamente dai pensieri malati che mi accompagnano, o forse è lo sguardo di ghiaccio che mi trapassa quando i miei occhi incontrano quelli di Damon per la prima volta.
 
Ha gli occhi più azzurri che abbia mai visto.
La mascella delineata e tirata in un’espressione che accentua ancora di più i suoi lineamenti perfetti. Non avevo mai visto un ragazzo che trasmettesse così tanta forza con una sola espressione.
 
Heatcliff.
Il professor Saltzman aveva ragione a paragonarli.
Sono entrambi due selvaggi.
 
“Care vuoi smetterla di urlare come un’oca giuliva?” – la riprende, e sembra che anche i suoi occhi inizino ad ammorbidirsi – “non vado da nessuna parte ok? Mi siedo. Così tu e Rick la smetterete di ossessionarmi. Dio che mattinata assurda” – adesso cammina elegantemente tra i banchi, i capelli scuri che si muovono sulla sua fronte al ritmo della sua risata.
 
“Salvatore ti aspetto all’ora di pranzo” – soffia Loockwood al suo orecchio, ma Damon lo spintona piano allontanando il suo fiato dal collo – e non so perché, ma mi invade la sensazione schifosa di un alito puzzolente sulla pelle.
 
“Si, certo coglione. Attento a non inciampare nelle stringhe mentre tenterai di sferrarmi il colpo mortale” – fa per alzare il banco che era caduto durante l’assalto di poco prima e si accorge che una gamba è rotta, traballante, così si tira su e sospira afferrando una sedia e voltandosi verso di me – “ti dispiace se seguo la lezione appoggiandomi al tuo banco? Giuro che non voglio picchiare anche te”
 
Scuoto la testa facendogli posto, a bocca aperta, non mi aspettavo che fosse capace di usare un tono dolce. Sembra una di quelle classiche persone che non urlano mai, che parlano a bassa voce, una voce profonda e meschina che può far solo rabbrividire e mai accarezzare.
Ma i suoi occhi, dio, i suoi sono gli occhi di Heatcliff, quelli che mi sono disegnata nella mente così tante volte, durante le mie riletture di Cime tempestose. E poco importante se Heatcliff ha gli occhi neri come la pece, non è questione di colore – quella di cui parlo – ma questione d’intensità.
 
Si siede in un angolo del banco, mi lascia spazio, poggia una mano sul ginocchio, il suo peso tutto spostato contro lo schienale della sedia.
 
“Non è finita qui Salvatore. Non è finita qui” – l’eco delle parole di Loockwood persiste nelle mie orecchie. Lo odio, odio quel ragazzo spocchione di cui non so niente, ma che mi fa schifo. Come poche cose nella mia vita.
 
“Dannazione Tyler. Vuoi zittirti? Sei peggio di lui” – la voce di Haley riporta l’attenzione verso la cattedra, il professor Saltzman sorride benevolo verso di me – “Quando ti comporti da stronzo come stamattina mi dimentico perché ti sono amica”
 
“Haley… non ti ci mettere anche tu” – borbotta il ragazzo, e solo adesso mi accorgo che indossa la felpa di una squadra di football. Il quarterback della scuola, dovevo immaginarlo.
Sono tutti privi di cervello e buone maniere, come nei migliori film.
 
“Caroline Forbes… vuoi restare in piedi o vai a sederti?” – la prende in giro il professore, canzonandola – “Mi sembri abbastanza sconvolta”
 
“Non ci si metta anche lei, prof. Ho passato l’ultima mezzora in compagnia del dottor Wes. Mi ha chiesto di riconsegnare i compiti della settimana passata. Posso farlo adesso?”
 
“Ti ha bocciata di nuovo Forbes?” – scherza l’insegnante di letteratura, mentre mi accorgo che gli occhi di Haley non si staccano da Damon, un sorriso dolce prima di mimare qualche parola incomprensibile con quelle labbra rosse e perfette che vorrei avere per me.
Damon contraccambia il suo sguardo, la mascella ferma, rigida, prima di spostare i suoi occhi oltre, verso la finestra. Gli alberi della scuola agitati dal vento. Sembra perso nei suoi pensieri e io vorrei solo potermi allontanare.
 
“Ovviamente… no, professor Saltzman. Non sono la prima della classe per caso” – la bionda passa tra i banchi, consegna un foglio dietro l’altro, veloce, pragmatica. Preparata.
Non c’è traccia delle risate che sentivo uscire dalla sua finestra, solo una piccola donna pratica che svolge bene il suo mestiere. Mi sembra quasi impossibile che sia lei a suonare così bene la chitarra, quella musica dolce che mi ha cullata nei miei primi giorni a New York.
 
“Elena Gilbert? Chi è Elena Gilbert? Forse Wes ha sbagliato. Un compito sbarrato e inclassificabile. Tyler hai cambiato nome?”
 
Mi sento sprofondare. Avevo dimenticato che giovedì scorso, dopo aver parlato col professor Saltzman ero stata chiusa in una stanzina per controllare il mio livello di conoscenza in chimica, fisica ed economia. A niente erano valse le mie proteste, i miei tentativi di spiegare al dottor Wes che il liceo che frequentavo in Colorado preparava soltanto nelle materie umanistiche.
 
“E’ quella nuova, bionda. Io per lo meno ho preso D. La morettina vicino alla finestra” – precisa il quarterback – “Quella che per poco muore sbattendo la testa contro una pallina di carta”
 
Abbasso la testa e mi nascondo di nuovo dietro i miei ricci ribelli. Vorrei sprofondare.
Lacrime di rabbia e vergogna, d’impotenza, mi rigano le guance. Le cancello svelta col dorso della mano e tiro su col naso.
 
“Il tuo compito” – una voce femminile mi richiama all’attenzione, ma non riesco a muovermi, poi una mano maschile, con una cicatrice sul dorso, mi posa il foglio sulle ginocchia.
 
“Ci mancava la frignona. Siamo al completo, Rick. Che classe di fenomeni eh” – mi sfotte Damon, prima di sospirare e passare gli occhi su di me con un misto di disgusto e scetticismo che mi ferisce.
 
“Grazie… grazie per il foglio” – balbetto, con un sussurro flebile che si perde dietro le parole del professor Saltzman.
 
“Haley. Dimmi la verità… sei preparata?”
 
Caroline Forbes torna verso di noi, poggia il compito corretto sul banco prima di tirare uno schiaffo affettuoso sulla testa di Damon,  i miei occhi riescono a leggere un unico segno rosso su quel foglio: una A in alto a sinistra, accanto al nome Salvatore, prima che il mio vicino di posto accartocci tutto in una pallina che vola di nuovo precisa nel cestino.
 
“Hai preso una A” – sussurro.
 
“Elena… ti chiami così, giusto?” – annuisco – “Io non sono un tipo socievole. Non cercare di fare amicizia con me” – mi risponde brusco – “ e non piangere. Sai dove sei venuta? Resisterai due giorni se continui così”
 
Non ho il tempo di articolare una risposta, perché il signor Saltzman chiama il mio nome.
 
“Elena… vuoi dirci tu chi sono le sorelle Bronte?”
 
Non so se rispondere.
Non so quale sia la scelta migliore da fare: farmi nuovi nemici dimostrandomi una secchiona priva di vita sociale o prendere l’ennesima insufficienza dopo meno di un’ora di scuola.
 
“Haley vai a posto. T’interrogo domani, preparati per bene”
“Professor Saltzman sono pronta anche adesso”
“Domani lo sarai senza dubbio di più”
 
La ragazza sorride, poi cammina lungo la classe per raggiungere il suo posto nell’ultimo banco, ondeggia sui fianchi con eleganza e Damon si volta, poggia il mento sulla spalla  seguendo minuziosamente ogni suo passo.
E’ arrogante, ma senza dubbio succube del fascino femminile.
Nessuno guarderà mai le mie gambe così.
 
“Ragazzi facciamo il punto della situazione” – riprende Saltzman – “come ci ha fatto notare con gentilezza Damon, non siamo una classe di fenomeni. Caroline Forbes è la prima della classe, e io non la sponsorizzerei per nessun  college degli Stati Uniti. Siamo la miglior scuola pubblica di Brooklyn, ma voi non valete neanche un centesimo del riconoscimento che ci accollano. Voi tutti, eccetto una persona. Ed è la vostra nuova compagna di classe, si chiama Elena, viene dal Colorado e se il suo compito col professor Wes è andato male è solo perché nel liceo che ha frequentato fino ad oggi non si studiano né chimica, né fisica né tanto meno economia. Ho avuto il piacere di parlare con lei e di leggere alcuni dei suoi scritti: pensa e propone idee che voi neanche vi sognate. Quindi… adesso lei vi spiegherà chi sono le sorelle Bronte, chi è Heatcliff e cos’è Cime tempestose. Il primo di voi che ride non potrà propormi la sua domanda per il college, non vi supervisionerò, non vi aiuterò. Neanche tu Loockwood, neanche se speri di andare al collage per meriti sportivi, chiaro?”
 
“Professore” – intervengo, con un sussurro flebile quasi inudibile –“potrei evitare di alzarmi? Almeno questo”
 
“Resta pure lì Elena. Vuoi spiegare al signor Salvatore chi è Heatcliff?”
 
“Non penso sia interessato” – massacro i miei ricci con le mani mentre sento le guance in fiamme. Vorrei solo sprofondare nel maglione deforme che indosso. Quelli che adoro portare sempre, quelli che mi nascondono dal mondo, quelli che mascherano i miei chili di troppo facendomi sembrare un sacco dell’immondizia dal visino dolce di bambina.
 
“Io invece credo di si” – rimarca con dolcezza il professor Saltzman – “Damon muore dalla voglia di ascoltarti. Perché non lo ammetterà mai, ma è un osservatore nato. Un tipo curioso per intelligenza. Non far caso al fatto che non sappia usarla”
 
“Ti sbagli Rick. E non cercare di farmi socializzare con la nuova arrivata” – si passa una mano tra i capelli, infastidito – “non funziona con me. E poi… dio mio, ma l’hai vista? Non ti offendere ma…” – si volta verso di me prima di terminare la frase – “mi piacciono le donne adulte, con le bambine ho smesso da un pezzo”
 
Un pugno in pieno viso mi avrebbe fatto meno male di quel giudizio gratuito e non richiesto.
Perché sono tutti così ostili? Perché sono così cattivi?
Non rispondo.
Non so cosa dire.
Fa male allo stomaco, alla gola, alle parole.
Al mio cuore. Alla mia autostima.
Al dolore che sento dentro.
Lo ingigantisce e lo lascia rimbombare.
New York non è la mia nuova possibilità, è una prigione feroce da cui non so scappare.
 
“Elena” – mi richiama il mio insegnante – “come definiresti Heatcliff?
 
E allora, ferita, le parole mi escono dalla bocca senza controllo, come se improvvisamente dovessi dimostrare a me stessa chi sono e quanto valgo. Quanto stupidi e inferiori sono i miei compagni di classe. Questi sconosciuti barbari che non conoscono le buone maniere.
 
“Heatcliff era orfano – come me, ma questo non posso dirlo – un bambino buono che incontra la cattiveria del fratellastro. Viene picchiato, umiliato, reso bastardo dalle sue condizioni di non nobile. La sua stessa famiglia lo fa sentire indegno, non meritevole d’amore. Così s’incattivisce, diviene folle di rabbia e d’amore, Heatcliff è un selvaggio che sa amare, un  duro dal cuore buono e dalle maniere rudi. L’amore per Katherine…”
 
“Fermati Elena. Fermati” – m’interrompe – “in realtà volevo solo che ti ascoltassero parlare. Io giovedì scorso ti ho già dato un voto, e per me è una A. Volevo solo che i tuoi compagni sapessero con chi si stanno confrontando: sponsorizzerò solo uno di voi per il college. E per me il tuo nome è già scritto” – abbasso la testa ancora più imbarazzata, non ho detto niente, non credo di meritarmi un tale trattamento – “che ne pensi Damon della tua compagna di banco?”
 
“Non ho compagni di banco. E’ solo un caso” – ribatte atono, allungando le gambe fasciate nei jeans scuri accanto a me.
 
“E di Heatcliff cosa ne pensi?” – incalza Saltzman, sfogliando il libro che tiene tra le mani.
 
“Penso che è un coglione. Quasi come te, Rick”
 
La classe sogghigna, il mormorio riprende vita e la ragazza seduta di fronte a me si volta sporgendosi con malizia verso Damon, il seno in bella mostra stretto in uno scollo profondo. E’ bella, bionda, di una bellezza piena e sfacciata che mi lascia senza parole.
 
“Damon vuoi dirci quanto hai preso al compito che ti ha consegnato prima Caroline?”
 
“Non lo so. L’ho gettato senza guardare” – risponde sarcastico, spalancando le braccia e scuotendo la testa. Ma i suoi occhi sono lì, sul seno della tipa che siede a pochi centimetri da noi. Si accarezza le labbra con la lingua e quel gesto intimo tra i due racconta una storia privata che non sono pronta ad ascoltare. Mi volto verso la finestra, per scappare lontana con gli occhi, per perdermi nei miei desideri buoni, nelle poche certezze che mi sono rimaste: quelle della gentilezza, dell’umiltà e dell’educazione. Niente a che vedere con la volgarità di quello scambio tra i due che mi siedono vicini.
 
“Elena… tu hai visto il suo voto?” – mi richiama il professor Saltzman con curiosità.
 
“No… no…” – balbetto, impaurita e ancora sconvolta – “Non ne ho idea professore”
 
Alaric Saltzman si alza dalla sedia, fa il giro della cattedra, la camicia ormai sgualcita, e si para davanti alla bionda molestatrice.
 
“Rebeka ti do fastidio?” – la osserva da sopra la spalla, sorridendole sornione... e lungimirante.
 
Ecco un altro nome da memorizzare.
Rebeka.
La seduttrice. Le darò questo appellativo nella mia testa.
 
“Oh no professore. Faccia pure” – risponde lei, sicura di sé, nessuna traccia di visibile imbarazzo.
 
“Potresti organizzare uno spettacolino sexy per tutta la scuola alla fine dell’anno… cosa ne pensi? Non puoi riservare certe gioie solo a Damon Salvatore. Se tuo padre lo sapesse… non credo ne sarebbe felice”
 
“Ho capito prof, ho capito. La smetto”
 
“Domani vieni con un maglione a collo alto. Chiaro?”
 
“Chiarissimo” – sbuffa la bionda, prima di allargare le labbra in un sorriso consapevole, che forse sa un po’ di colpa, o di paura… dopo che è stato menzionato suo padre.
 
“Damon ha preso una A. Capito ragazzi?” – riprende il nostro insegnante rivolgendosi alla classe e passando lo sguardo su ciascuno dei nostri volti – “Damon Salvatore, il menefreghista, è il miglior allievo del corso del dottor Wes. E voi sapete quanto sia difficile avere un voto positivo con quell’uomo…”
 
“Smettila Rick” – Damon si alza, infastidito, interrompendo le chiacchere sul suo conto – “per me l’ora è durata anche troppo”
 
“Salvatore” – lo richiama – “Vai a farti un giro, ma alle quattro fatti trovare in aula!”
 
“Perché mai?” – lo sguardo allibito, quasi scioccato – “sai che non mi presenterò mai”
 
“Si, che lo farai. Perché vuoi andare a studiare business in Europa. E perché adesso te lo ordina il tuo professore, non il tuo pseudo amico Rick” – rimarca, divertito – “E perché se vuoi che firmi la tua domanda per l’Europa dovrai avere una A anche nelle mie materie”
 
“Non succederà mai” – sibila a denti stretti – “e smettila di raccontare cazzate sul mio conto”
 
“Sei un genio in chimica, Damon. Smettila di vergognartene. E smetti di fare il coglione. Voglio una A per Elena al prossimo compito di Wes. Dovrai aiutarla, come lei aiuterà te in letteratura.”
 
“Tu sei pazzo” – afferra il giubbotto, e se lo porta sulla spalla con un gesto plateale che cattura l’attenzione di tutti.
 
“Glibert… oggi alle quattro. Mettetevi d’accordo. Voglio una relazione sulle sorelle Bronte entro la settimana prossima. Una a testa” – mi ordina puntandomi il dito indice contro.
 
“Professore io oggi devo…” – protesto – “devo… cioè, dovrei andare a cercarmi un lavoro… non posso…”
 
“I vostri problemi personali non mi riguardano. Siete il primo gruppo di recupero dell’anno, da domani toccherà anche al resto di voi. Chiaro per tutti?”
 
Caroline Forbes cerca di protestare ma la sua voce viene schiacciata dal suono fortissimo della campanella.
 
“Buona mattinata ragazzi. Evitate di picchiarvi ancora” – il professor Saltzman afferra la sua ventiquattrore e esce dall’aula, veloce come un fulmine, dimenticandosi anche della sua bella giacca di tweed.
 
 
 
 
 
  • Note dell’autrice 
Eccomi qui con questo primo capitolo. Mi ero ripromessa di non pubblicarlo prima della fine di Visionaries Award, ma questa è una storia a cui tengo tanto e che scrivo con tanta passione, per questo… ho deciso di lasciarvi il primo capitolo.
Spero vi piaccia, spero vi aiuti ad avere un approccio giusto con i personaggi.
Sarà la storia di Damon e Elena, ma anche quella di Alaric, di Caroline, di Haley.
Sarà una storia d’amore e di passione, ma anche di dolore. Di vita.
Di prime esperienze.
Spero che abbiate la pazienza di vederla crescere con me, e spero che piano piano impariate ad amarla come la amo io.
 
Vorrei dirvi che aggiornerò spesso, ma tenere in piedi due storie così “piene” senza mancare di rispetto all’una o all’altra non è cosa facile. Cercherò di aggiornare una volta ogni dieci giorni, spiegando di volta in volta questo nuovo mondo che si agita nella mia testa.
 
Fatemi sapere cosa ne pensate, vi scongiuro, ho bisogno del vostro parare spassionato per andare avanti in questo nuovo viaggio. E’ importante per chi scrive e per chi legge, trovare un’interazione positiva che renda tutto ancora più appassionante.
 
Vi abbraccio forte.
E vi ringrazio.
 
Elise.
  
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