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Autore: Blackbird_    04/02/2014    2 recensioni
Emma è una ragazza di Liverpool amante dei Beatles. Semplice, introversa, chiusa in se stessa, segue un solo mantra nella vita: ‘Mi innamorerò solo quando troverò qualcuno che sia bello, talentuoso e divertente come John, Paul, George e Ringo messi insieme’. Una richiesta assurda. Non più tanto impossibile, però, quando incontra Jay, un ragazzo che, all’apparenza, è il mix perfetto dei Fab Four. Ma la perfezione, si sa, non esiste, e Jay non è di certo un’eccezione.
La storia di Emma è accompagnata dalle parole e dalle melodie del suo gruppo preferito, colonna sonora perfetta per ogni situazione che vive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Hey Jude
 
“La canzone di adesso la conoscete sicuramente tutti” disse il biondino, mentre l’altro chitarrista sfogliava distrattamente lo spartito che si trovava a pochi passi da lui. Sembrava un gesto meccanico, assolutamente non necessario ma ormai usuale, tanto che quel libro pieno di accordi non ricevette nemmeno un’occhiata durante tutto il resto della serata.
“Quindi vi chiediamo di aiutarci, tutti quanti. D’accordo?”
Un urlo si levò fra la gente.
Mentre continuavano ad esaltare il pubblico con qualche urlo e qualche accordo a vuoto, sia il cantante che il chitarrista finirono di scolarsi la loro birra, accompagnati dal rullo di tamburo creato dal percussionista.
 
Hey Jude
 
Non appena udii le prime due parole della canzone scattai in piedi, battendo pesantemente le mani sul tavolo.
“Cosa diavolo ti prende?” mi chiese Allie, preoccupata, sgranando i suoi enormi occhi blu.
Scossi la testa, interdetta, cercando di sembrare il più naturale possibile.
“Niente, niente. È che devo andare in bagno. Sai, la birra inizia a fare effetto” mi giustificai, portandomi una mano sulla pancia.
Svicolai abilmente dal suo sguardo inquisitorio e dalla panca sistemata dietro al tavolo di legno, e mi diressi a grandi passi verso il bagno. Passare vicino al palco era inevitabile, ma mi impegnai a non alzare minimamente il volto per guardare il terzetto che stava suonando la mia canzone.
Aprii di scatto la pesante porta di legno massello del bagno delle donne. La differenza di luminosità con il resto del locale era impressionante e, come al mio solito, fui costretta a socchiudere gli occhi per non rimanere accecata dalla brillantezza delle mattonelle di ceramica gialline. Salutai con un veloce cenno della mano Hayley, la donna delle pulizie, e mi fiondai dentro il primo bagno libero.
 
Hey Jude, don't be afraid
 
Nonostante fossi chiusa lì dentro, riuscivo a sentire nitidamente la voce, le chitarre e le percussioni della cover band. Alzai gli occhi al cielo: la foga di andarmene dal tavolo mi aveva fatto dimenticare che le casse erano presenti anche in bagno.
Avrei dato volentieri una testata su una qualsiasi parete del cubicolo in cui mi ero rintanata, ma probabilmente avrei provocato troppo rumore, destando i sospetti di Hayley.
Non dovevano e non potevano suonare quella canzone. Mi portai una mano nei capelli, scompigliandoli, sull’orlo di una crisi di nervi. Un’insensata ed incondizionata crisi di nervi.
Cercai di regolarizzare lentamente il respiro. Quella non era assolutamente la prima volta che qualcuno, dentro quel posto, suonasse una cover di Hey Jude. Eppure, in quel momento, la cosa m’infastidiva, mi urtava. Avrei voluto uscire da quel bagno, salire sul palco e far zittire quei tre.
Ero spaventata dalla mia stessa reazione.
La tranquillità che ero riuscita a raggiungere poco prima era totalmente sparita.
Provai a frenare quell’irrazionale paura, causata da chissà cosa. Abbassai il copri water, pulitissimo come sempre, e mi ci sedetti sopra. Poggiai i piedi sulla plastica bianca, appuntando mentalmente di ripulirla prima di uscire, e strinsi le gambe al petto, accoccolandomi su me stessa. Con la fronte sulle ginocchia e la faccia affondata, tenevo gli occhi chiusi, alla ricerca di un po’ di lucidità e razionalità.
Era inutile fingere anche a me stessa, sapevo benissimo che il fattore scatenante di tutta quella reazione esagerata fosse quella canzone. Ma, semplicemente, non ero in grado di spiegarmi il perché. Con gli anni avevo imparato a convivere coi ricordi che mi comportava e ormai non aveva quasi più nessun effetto su di me. Raramente mi capitava di tornare triste e malinconica, ascoltandola. Era passato molto tempo, dopotutto.
 
And anytime you feel the pain
Hey Jude refrain
 
“La fai facile, tu” biascicai, stizzita, con la voce rotta.
Quelle note dolci ma strazianti mi stavano lentamente ricordando il motivo per cui avevo giurato di non legarmi più a nessuno, e questo non riuscivo proprio a sopportarlo. Non sopportavo il fatto che a cantare questo monito fosse proprio l’unico ragazzo che, dopo anni, era riuscito a farmi perdere un battito.
Emma, diamine, reagisci.
 
Don't carry the world upon your shoulders
 
Strinsi i denti, decisa.
Quella canzone era stata, in passato, la causa dei miei dolori, del mio cuore infranto.
Quella canzone era stata anche, però, l’unico rimedio per sconfiggere tali sofferenze.
Le sue parole, i suoi versi, mi avevano lasciata affogare nel baratro dei miei pensieri.
Le sue parole, i suoi versi, erano anche stati gli unici in grado di farmi tornare a galla, coi loro messaggi di positività.
Tirai su la testa, poggiando il mento nell’incavo fra le due ginocchia. Quello non sarebbe stato il giorno in cui mi avrebbe lasciata affogare di nuovo.
La bellezza delle parole di McCartney non meritavano di essere associate a brutti momenti. Non più.
Era arrivato il momento di associarle a momenti belli, indimenticabili. Come una serata di divertimento con Allie nel locale più famoso e bello del mondo. Come una serata ad ascoltare un’ottima cover band. Come una serata in cui mi ero chiusa in bagno, sull’orlo di una crisi di nervi, ma poi ero riuscita a cavarmela da sola. Come la sera in cui avevo deciso di chiudere definitivamente in un cassetto i vecchi ricordi.
 
Remember to let her into your skin
Then you begin to make it better
 
Mi alzai in piedi. Mi sistemai alla meno peggio la camicetta color pesca e pulii nel migliore modo possibile il copri water, che aprii con una mossa veloce.
Sospirai, cercando di recuperare l’aria persa. Tutta quella situazione non aveva avuto minimamente senso.
Continuavo a ripetermi che sentire il cuore accelerato per qualcuno non aveva alcun significato. E, sostanzialmente, avrei dovuto smettere di pensarci. Mi sentii una pazza ossessionata, e avrei dovuto darci un taglio.
Dopo un respiro profondo, finalmente aprii la porta.
“Tutto ok, cara? Sei chiusa da lì dentro da un po’” mi domandò Hayley, poggiando la mano sul cellulare, appoggiato sul suo orecchio.
Come al solito la grossa donna delle pulizie era seduta su una sedia posta fra il ripiano dei lavabi e una colonna, con indosso la sua solita divisa da lavoro blu marina e le treccine dei capelli tenute insieme da un enorme elastico variopinto e pieno di piume finte. Era una cara signora, ed era davvero molto piacevole parlare con lei, nei rari momenti in cui non si trovava al cellulare.
“Certo, Hay, non preoccuparti” replicai sorridendo, avvicinandomi allo specchio per controllare la situazione.
Sistemai alla meno peggio la mia chioma castana eccessivamente arruffata. A mente fredda, detestavo sempre la mia mania di passarmi le mani fra i capelli ogni qualvolta mi sentissi eccessivamente nervosa.
Quando mi sentii quasi soddisfatta del risultato, passai agli occhi. Erano terribilmente rossi, proprio come se avessi pianto per una giornata intera. Eppure non avevo versato nessuna lacrima. Se qualcuno me l’avesse chiesto, avrei optato per la soluzione più ovvia: il fumo. Sicuramente era una scusante meno imbarazzante del ‘mi è venuto un attacco di panico ascoltando una cover di Hey Jude al Cavern Club, niente di che’. Meno imbarazzo e meno domande indiscrete. Misi a fuoco il mio intero volto. Avevo la faccia di una ragazza che aveva appena fumato una canna? Sorrisi leggermente. Probabilmente sì. E pensare che nei miei ventitré anni avevo provato a fumare solo una volta, durante un viaggio estivo con degli amici, e quell’unica volta mi aveva anche fatto schifo.
Tornai a studiarmi gli occhi, alla ricerca di un qualsiasi difetto da correggere. Tolsi le linee di eyeliner colato strofinandomi con le dita, rendendo gli occhi ancora più rossi. Alla fin fine mi interessava molto poco che gli altri mi credessero un’accannata: in fin dei conti, almeno il novanta per cento della gente lì dentro lo era.
Una volta finito, mi sciacquai le mani e le asciugai con l’asciugatore. Come ogni volta mi scottai, ma ormai ci ero abituata.
Mi avvicinai nuovamente al ripiano con i lavabi, dove, a pochi centimetri dal gomito di Hayley, si trovava un piccolo cestino di vimini pieno di caramelle. Arricciai il naso e affondai la mano fra tutte quelle delizie, tirandone fuori una raccolta in una carta lucida rossa a strisce gialle.
“Sempre la solita, eh?” domandò la grossa donna delle pulizie, poggiando nuovamente una mano sul microfono del cellulare per impedire al suo interlocutore di ascoltare la nostra breve conversazione.
“Come sempre” replicai annuendo, accennando un sorriso.
Scartai la caramella ed iniziai a mangiarla con gusto. Era bello che Hayley mettesse a disposizione di tutte le clienti del locale delle caramelle. Era un’idea semplice ma dolcissima. Ogni volta che mi porgeva quel cestino mi sentivo accolta e coccolata, come in un abbraccio pieno di zucchero. E non erano state rare le volte in cui mi ero rintanata in bagno per una carenza d’affetto.
“Ormai le mou le compro solo per te, sai?” continuò ridacchiando, indicandomi la carta che ancora tenevo in mano.
“Io l’ho sempre detto che sei un tesoro” le risposi, in un grande e sincero sorriso.
Gettai la carta nel cestino vicino alla porta, salutai con un cenno la donna delle pulizie che, nel frattempo, era tornata a parlare al cellulare, ed uscii dal bagno.
 
Better, better, better
 
Venni accolta da una marea di gente che intonava alla meno peggio il classico na, na, na della canzone. Con tutti gli uomini ubriachi nella sala, però, la dolce canzone poteva facilmente essere scambiata per uno squallido coro da stadio. Sorrisi all’idea di Fortress Anfield pieno di tifosi intenti ad intonare la canzone dei Beatles, ed iniziai a canticchiare tra me e me.
Allie mi attendeva al tavolo, cantando a sua volta. Quel coro conquistava sempre tutti. Notai due bottiglie di birra intatte poggiate sul ripiano e, sedendomi, squadrai la mia amica.
“Mi annoiavo e ne ho prese altre due” si giustificò, alzando le spalle e riprendendo a cantare.
Ne presi una e bevvi una sorsata. Birra, limone e mou erano un misto stranamente piacevole. Ormai, in ogni caso, avevo rinunciato a trattenermi, e l’alcool non avrebbe fatto altro che rendere più piacevole la serata.
Sbirciai con la coda dell’occhio sul palco e notai tutti e tre i ragazzi intenti a porgere i microfoni al pubblico, cantando a loro volta il coretto infinito di quella canzone. E, ne frattempo, bevevano da delle bottiglie di birra che qualcuno gli aveva offerto mentre ero via. Automaticamente ed incondizionatamente, alzai la voce, come se una parte nascosta di me volesse far arrivare la mia voce a quei microfoni, a quelle orecchie.
Era passata solo una manciata di minuti dalla mia stupida crisi di nervi, eppure già mi sembrava un’eternità. Il battito era regolare, salvo qualche accelerazione involontaria ogni qualvolta guardassi eccessivamente il cantante biondo, e la respirazione aveva riacquistato la normalità. Non avevo quasi più aria nei polmoni, ma quella era colpa della canzone. Non ero più nervosa, arrabbiata, triste, agitata. Improvvisamente mi sentivo bene e a casa, cullata da quelle note familiari cariche di positività.
I nuovi ricordi, con Hey Jude di sottofondo, erano cominciati davvero bene.




 

Angolo dell'Autrice:
Immagino sia inutile dire che l'intero capitolo è basato sulla canzone Hey Jude :) Con questo capitolo "di passaggio" veniamo a conoscenza delle turbolenze nel carattere di Emma, della sua lunaticità e della sua ossessione per certe canzoni, ma anche la sua voglia di ricominciare e di voltare pagina da quel passato che ancora la tormentava un poco... Spero solo di non aver confuso anche voi!
Alla settimana prossima,
Julia
   
 
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