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Autore: La X di Miria    05/02/2014    1 recensioni
Avvertenza: non c'entra nulla con Hunger Games, sebbene il titolo sia simile.
La protagonista è Marta, una ragazza che lavora per una casa di moda, con il complesso della taglia 40 e dei fotografi. Impegnata nell'ennesima sfilata, sarà vittima di un gioco inumano e spietato.
Ma la verità era un'altra. La verità era che io avevo un terrore innato per i fotografi. Una fifa blu, perché la paura è blu, come i flash di quelle dannatissime macchine, che scoccavano all'unisono, tutte dirette verso un singolo obiettivo: tu.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uscimmo dal nostro nascondiglio verso le prime luci: io ci sarei rimasta tutta la vita, ma dovevamo trovare l'uscita di questo posto.

Camminavo vicino ad Erica, mentre gli altri due seguivano dietro: Giacomo teneva Serena per i fianchi e le raccontava le solite balle, senza curarsi del suo naso fracassato né che stesse camminando in zona di guerra. Tornai a guardare avanti: Serena che rideva vicino a lui mi faceva imbestialire, ero gelosa.

«Qualcosa non va?» buttò lì Erica.

«No. È tutto apposto.»

Non era da me essere così fredda, ma non mi andava di parlare.

Ora era Erica il capo. Non c'erano state né elezioni, né scontri, né niente, comandava lei e basta: decideva dove andare e quando fermarsi, se allungare il passo o avanzare piano. Giacomo pontificava, lei agiva.

Pensai che fosse una buona cosa: da qualche parte avevo letto che chi, come Giacomo, era costretto a ribadire di essere il capo, non lo era davvero. Forse qualche massima buddista o un proverbio di zia Pina, comunque sia, con Erica mi accorgevo che ciò era vero di passo in passo.

 

«Senti... dato che è da un po' che camminiamo, hai idea di dove stiamo andando?» La calma di Erica mi rendeva tranquilla, ma camminare a caso un po' meno.

«Da qualche parte ci sarà un confine.»

«E... e quindi tu... mi stai dicendo che stiamo camminando verso un “confine” che non sappiamo nemmeno dove sia??»

Erica mi sorrise come una bambina con le guance piene di dolci: «Sì che lo sappiamo: è tutt'intorno.»

Mi afferrai i capelli. «Ma hai almeno idea di quanto sia grande questo bosco, sì o no?! Potremmo metterci giorni e giorni!»

«O forse è questioni di ore, magari di minuti. Chi lo sa? Scusa, ma è l'unico modo che conosco per uscire da qui.»

«Oh... oh no, se pensi che io continui a girare come un'idiota, col rischio che quei tizi...»

«E cosa vorresti fare? Metterti qui, seduta, ad aspettarli? Andiamo.»

Il sole cominciava a scaldare quando giungemmo ad una cascatella. Bevemmo fino a soffocarci.

«E così, stiamo cercando una recinzione o qualcosa di simile?» Giacomo si sedette su un masso e si asciugò la bocca. Doveva aver ascoltato il nostro discorso ed era pronto ad illuminarci con un'altra delle sue orazioni: evidentemente voleva ingaggiare Erica in uno scontro verbale per riprendersi il tacito titolo di “capo”.

«Sì, è così. Hai qualche idea migliore?»

«Ah, no, no. Mi chiedevo soltanto cosa avessimo fatto, una volta arrivati là. Ci saranno uomini armati a presidiare il perimetro, suppongo.»

Era la prima cosa sensata che avesse detto.

Erica prese a raschiare l'erba con un bastone: «Non su tutto il confine, è chiaro.»

«Saranno in movimento. Di certo non vogliono correre il rischio che qualcuno sopravviva.»

«E allora cosa suggerisci?»

Giacomo ci guardò tutte negli occhi: se solo non avessi saputo che razza di uomo era, mi sarei sciolta come cioccolato sul termosifone.

«Dobbiamo procurarci delle armi.»

Silenzio. Sconcertato silenzio.

Le labbra di Erica si contrassero, ma non riuscirono ad arginare una sonora risata: «E sarai tu ad andare a rubarle? Da loro? Senza nessuna difesa?»

«Ti ricordo che è l'unica possibilità che abbiamo.»

«Ti ricordo che al primo sparo te la sei data a gambe come un coniglio.»

Tra tutte le cose che Erica poteva dirgli, questa era la peggio del peggio: Giacomo si rabbuiò, gli spuntarono le vene sulle tempie, stava per diventare verde, quando un tocco di fata arrestò la trasformazione: Serena fece gli occhi dolci e mister Hulk frenò le radiazioni.

«E va bene, e va bene.» sbuffò « Ho... sbagliato... ma il fatto è che...» gli occhi gli brillarono«che c'era Serena vicino a me!» Le allungò una nervosa carezza sul capo. Dannato. «Non potevo far correre dei rischi a questa splendida creatura. Piangeva, non è vero?» Lei annuì appena e senza alzare gli occhi. «Lo so, ho sbagliato, mi sono comportato da incivile, ma ho fatto tutto questo per lei. Io...» , si scambiarono un'occhiata talmente mielosa che la glicemia mi schizzò allo zenit, «Io la amo.»

Bleah.

Mi voltai tutta verso Erica, che scuoteva la testa con una mano sulla fronte. Provai schifo, schifo immenso per quei due che si slinguazzavano senza pudore, quasi mi misi a piangere.

Il fatto che Serena mi avesse declassato in maniera così clamorosa mi faceva star male, era come se non ci fossi, non mi aveva più parlato, neanche un monosillabo. E io che facevo progetti per il futuro, che già vedevo me, lei e Ale sedute al bar davanti una tazza di caffè: io la presentavo ad Ale, lei diceva molto piacere, prendeva un caffè macchiato, si preparava per il terzo grado della mia amica... tutto sfumato.

Volevo una sigaretta. Ma dai pantaloni estrassi solo un ammasso di tabacco, fango e telefono. Lo gettai a terra e ci pestai sopra i piedi finché non divenne un tutt'uno con la melma brulicante di vermi, girai su me stessa, mi grattai le braccia, i capelli, il viso e di nuovo le braccia, ora anche le gambe!, ma possibile che non la smettessero di pomiciare?!

Forse, se non fossi stata così agitata, mi sarei accorta prima di un uomo che avanzava a pochi metri da noi. Mi gettai dietro i massi. Era di spalle, era di spalle, non poteva avermi vista, no, nel modo più assoluto!

«Cosa succede?» bisbigliò Erica allarmata.

«Uomini!» sussurrai.

Si acquattò al mio fianco, seguita a ruota dai due colombi.

«Cosa hai visto?» chiese Giacomo.

«Un pelato. Di spalle. Con la tuta mimetica.»

Erica fiutò la situazione oltre il nascondiglio: guardava a destra e a sinistra come quei cosi dei sottomarini.

«Ho paura... » guaì Serena, stringendosi alla felpa del forte Giacomo: «No, no... 'sta tranquilla, vedrai che non c'è nessuno, 'sta tranquilla, piccola... »

Anche io avevo paura. Mi strinsi al muschio del grosso masso, solo che non mi disse nulla di carino.

«Merda.» Erica scattò in basso. «Ne ho visti due.»

Mia madre aveva detto la stessa cosa la prima volta che presi i pidocchi.

«Che facciamo?» chiese Giacomo.

«Nulla. Non sembrano averci visto: si stanno allontanando da tutt'altra parte, camminano tranquilli. Aspettiamo che passino e poi ce ne andiamo anche noi: è troppo scoperto qui.»

«No, dobbiamo seguirli.»

Per poco non sradicai la parete di muschio. Erica rimase senza parole e persino Serena intese che questa volta Giacomo l'aveva sparata fin troppo grossa.

«Pensate un attimo: potrebbero condurci all'uscita. Potrebbero essere la nostra salvezza!»

Erica rise secca: «Senti bello, frena l'entusiasmo: potrebbero condurci alla salvezza come potrebbero condurci alla morte. Loro dirigono il gioco, ok? Non sono stati così gentili da spiegarci le regole, ma se ce n'è una che forse ho intuito è che loro sono i cacciatori e noi le prede. Non ci vuole un genio per capire che dobbiamo starcene il più lontano possibile da quella gente!» Respirava forte ed era rossa in volto. I suoi occhi sfavillavano, dicevano “Tu non sai nulla, non hai vissuto quello che ho vissuto io.”

Giacomo la scrutò con calma, in silenzio. Poi, sospirando, parlò: «Per quanto il cervo corra forte, non potrà mai cambiare il suo destino. Noi sì, invece: da inseguiti a inseguitori, cambieremo il nostro destino.» Si erse alla luce splendente tra le fronde: «Bada alle ragazze, Erica. Le affido a te. Io vado a tirarvi fuori di qui.»

Balzò fuori dal riparo e trottò nel folto.

Erica si prese il volto tra le mani.

 

 

 

Naturalmente dovemmo seguire Capitan Scemo nella sua impresa.

Giacomo si avvicinava a quegli uomini con la disinvoltura di un gorilla in mezzo al bambù.

Ci tenemmo a distanza di sicurezza, come si fa con le foche monache durante l'accoppiamento: erano tre, due rasati e uno col cappello, tutti coi fucili in spalla. Procedevano in fila indiana e qualche volta uno si girava per parlare con quello dietro.

«Quello si fa scoprire, me lo sento. Si avvicina troppo!» ringhiò Erica.

«Io dico che non è stata una buona idea seguirlo. È troppo rischioso, se lo scoprono fanno fuori anche noi. E a me non va di morire per un babbeo come... » Serena prese a singhiozzare e io mi trattenni.

«No... ti prego... dobbiamo aiutarlo. È così dolce, un così bravo ragazzo... .» Quasi mi misi a piangere anche io, ma per la disperazione. Mi prendeva in giro, vero? Perché non lo diceva?

«Ehi, no...'sta calma ora, su, non piangere... » mormorai.

Pareva che quei tizi avessero una meta ben precisa, e infatti ce l'avevano. Nascoste tra i rami di due grossi alberi, addossate a un costone di roccia, si intravedevano le assi di una casetta. Doveva essere uno dei loro punti di ritrovo.

«Ma cosa fa?» bisbigliò Erica.

Giacomo era balzato fuori dal sottobosco e stava strisciando verso la casetta.

«Oh no, no, dobbiamo andarcene, ormai è spacciato.» Erica ci tirò indietro per i polsi.

«No, no, no! Non lascio Giacomo, io non lo lascio!»

«Serena, non fare cazz...»

«GIAC..!!» Erica le tappò la bocca e la sollevò di peso. Lei scalciò, muggì, frignò.

«Vieni... dai! Andiamo! Marta, cazzo, dammi una mano!»

Afferrai Serena per un braccio e la tirai forte, volevo farle male; ci affondai anche le unghie, nel suo polso. Erica la spingeva da dietro, ma quella scalciava e ragliava imbizzarrita, inchiodava, sgroppava, dovetti tirarla con due mani per farla muovere.

«Sere, ascolta: è per il tuo bene. Ti prego, ascoltaci, non fare così. Sono io... Marta... la tua amica... .» Questa volta piangevo sul serio, e mi stava lievitando l'ansia, tiravo..., un grido di dolore ci investì alle spalle.

«GIACOMO!!!»

Erica allentò la presa, rovinò a terra in un turbine di foglie secche e Serena sgusciò dalle mie mani.

«Noooo! Serena, torna qui!!» gridai.

«Marta, no, lasciala!»

Mi gettai a capofitto tra gli alberi, mentre la voce di Erica veniva risucchiata come un'eco al contrario. Correvo, correvo, eppure Serena era sempre più lontana, la persi di vista, no, eccola di nuovo! E c'era anche Giacomo che veniva verso di noi! Si teneva il braccio ma era vivo!

Qualcuno mi afferrò la spalla e mi scaraventò in un avvallamento ricoperto di edera e foglie.

«Sta' giù.» mi intimò Erica.

Serena aveva raggiunto Giacomo ma lui non parve nemmeno notarla. Si guardava indietro, emetteva versi acuti ad ogni respiro, il braccio destro era zuppo di sangue, sembrava essersi dimenticato anche di quello. Correva, camminava, inciampava: «Devo andarmene, devo andarmene di qui... mi hanno visto!»

«Giacomo, che è successo?!» Solo allora si accorse di Serena: si addossò a lei, l'abbracciò.

«Aiutami... aiutami, ti prego!»

«Ah! Eccoti qui!»

Di nuovo, quella voglia matta di scappare.

Serena lanciò un grido, Giacomo inciampò, si trascinò, si rialzò: «No... ti prego... ti prego, non uccidermi... no... .»

L'uomo striò la bocca: «Sì, continua a pregare, mi piace... » Caricò la pistola.

«No, no, cazzo, no!!»

«Non farlo! Ti prego!» urlò Serena e si nascose dietro Giacomo.

«Al nostro breve ma intenso incontro, amico mio.»

Non emise un lamento, non un guaito, nemmeno un minuscolo sibilo. Si accasciò in un lago di sangue, morta.

Erica mi prese la testa, mi soffocò contro il suo petto, non mi lasciò più guardare, piangeva e respirava forte: «Vigliacco, stronzo vigliacco... !!»

«Ma bene. Che galantuomo, farsi scudo con le signorine.»

«Ehi, no, ti ho detto di no, non puoi farlo!!»

«Se vuoi vivere, comincia a scappare. Ti do dieci secondi.»

Scricchiolio di foglie sotto i piedi, i versi acuti di Giacomo, sempre più rapidi.

«Dieci... .»

Inciampa, si rialza.

«Nove... due... .»

«No... noooooo!! Noooooo!!»

«Uno... .»

Uno sparo, un singulto, corpo che rotola, silenzio.

Mi strinsi forte a Erica, mi nascosi contro la sua gola, lì dov'era sporca di fango e la paura le ingrossava le vene: voglio sparire, non voglio più stare qui, cancellami e portami via...

«Dobbiamo andare.»

«Sì, portami via... .»

«Marta, ci hanno viste!»

Mi afferrò per i colletto della giacca: «Alzati! Alzati!» Mi agguantò per le ascelle, per i fianchi, le ginocchia mi cedevano, vai avanti, corri senza di me, anche io sono morta, «Marta!!!»

Un'ombra spiccò un balzo nel fossato ed Erica si schiantò a terra urlando. Scalciava, si contorceva e lottava e gridava. Mollai un pugno alle costole di quel bestione, lo tirai per la coda e ancora un pugno sul muso e un calcio sul ventre e un sasso in testa: il molosso nero si accasciò mezzo morto.

Corremmo tra gli schiaffi dei rami e i cespugli di rovi, che ci afferravano le caviglie e ci strappavano la pelle, tra le radici ricurve verso l'alto e gli spuntoni di pietra.

«Eccole! Ci siamo!!»

Risa, sghignazzi, abbaiare furioso, di cani, di uomini.

Erica mi prese la mano, ancora un ramo, e un altro, e... no!!

Saltammo inseme, ci mettemmo tutta la forza possibile, e per un attimo parve funzionare, cielo!, volavamo!, sopra il crepaccio, sopra le rocce, volavamo...! La spalla di Erica schizzò in avanti, persi la sua mano, cademmo uccise, colpite e smembrate, tra i flutti freddi e bui.

 

  
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