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Autore: Fireflie    13/06/2008    2 recensioni
"Con gli occhi aperti nel buio, il sonno quasi dissipato, Sirius ascolta suo fratello muoversi nella stanza accanto, insonne come sempre, passi delicati sul legno scuro del parquet. L’unica certezza di vita nel silenzio della casa. Le loro camere sono comunicanti, ma Regulus non ha mai aperto quella porta, e Sirius è sempre stato troppo orgoglioso per prendere l’iniziativa."
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In principio, questa fic si chiamava Black Rain - alcuni di voi l’avranno certamente letta sotto questo titolo, quindi se trovate qualcosa rimasto simile non pensate che si tratti di un plagio xD -, ed era assai diversa da com’è ora: ho aggiunto più di mille parole e riscritto interamente le parti precedenti, questo perchè la versione precedente di questa fic mi pareva buttata via, una bozza, insomma, un qualcosa che poteva essere ma non era. Come disse qualcuno "scrivere è riscrivere".
Ad ogni modo, il tema e i sentimenti, quello che volevo esprimere con questo scritto, sono rimasti uguali.

Per cui ecco la nuova e definitiva versione (betata dalla lovvosa Socia
Ale). Spero vi possa piacere.

ATTENZIONE: seppur con la dovuta delicatezza, in questa fic viene trattato il tema dell'incesto tra fratelli. Non c'è nulla di grafico, tuttavia si intuisce nel corso della fic lo sviluppo romantico della loro relazione. Pertanto, chiunque si sentisse offeso dall'argomento trattato, è invitato a non leggere. Grazie.





Fell In Love With A Dead Boy




Inverno 1975: behind closed doors


Grimmauld Place ha corridoi stretti, stanze piccole e soffitti alti, è tutta anfratti bui e lunghe, ripide e interminabili scale. Ha sempre avuto il potere di mettere Sirius a disagio. Sembra sussurrare nella notte, nell’aria stantia di finestre mai aperte. Ogni scricchiolio del legno è una parola, una testimonianza della vita che ha visto scorrere, ma lui ne conosce troppo bene ogni angolo, ogni sospiro per spaventarsi.
La sua stanza è al secondo piano. Carta da parati cinabro a motivi floreali di due tonalità più scuri; mobili antichi, legno scuro dalle venature rosse, quasi vivo, laccato e perfettamente intagliato; profuma di sandalo, e di sicomoro, lo stesso legno della bacchetta di Regulus.
Fuori cade la neve e rende il piccolo mondo all’interno della casa un po’ più sopportabile, in un Natale di guerra simile a molti altri, in cui lui non uscirà dalla sua stanza e loro non lo cercheranno.
Con gli occhi aperti nel buio, il sonno quasi dissipato, Sirius ascolta suo fratello muoversi nella stanza accanto, insonne come sempre, passi delicati sul legno scuro del parquet.
L’unica certezza di vita nel silenzio della casa.
Le loro camere sono comunicanti, ma Regulus non ha mai aperto quella porta, e Sirius è sempre stato troppo orgoglioso per prendere l’iniziativa.

Succede mentre sta per assopirsi, protetto dal calore ovattato delle pesanti coperte, quando il sonno, determinato, riesce ad avere il sopravvento su di lui. Uno scricchiolio delle assi del pavimento proprio dietro la porta che collega la sua stanza a quella di Regulus, il rumore dei suoi passi che si interrompono lì, pochi centimetri dietro la sua soglia.
Sirius si mette a sedere – le coperte che scivolano giù dalle sue spalle, lasciando le braccia esposte al freddo –, poi si alza veloce, dirigendosi verso la fonte di quel rumore, non curandosi di fare piano, conscio del fatto che Regulus lo sentirà avvicinarsi.
In piedi, davanti al passaggio sbarrato da troppi anni – e troppo dolore – che permette alle loro stanze di comunicare, rimane immobile, indeciso sul da farsi.
Poi si fa coraggio e ha già la mano sulla maniglia quando sente un suono leggero, ovattato provenire dall’altra parte e capisce che è il corpo di Regulus che si appoggia a quella porta mai aperta, il capo ricciuto contro il legno freddo. Così, Sirius ritira la mano e vi si appoggia anche lui contro. Rimane lì, ad ascoltare il respiro di suo fratello attraverso il sottile strato di legno, il suo calore che arriva fino a lui. E ammette a se stesso, per la prima volta nella vita, di essere desideroso di quel contatto, di quella vicinanza che non ha mai voluto – o saputo – chiedere. Si domanda quante volte Regulus abbia compiuto quell’atto nel cuore della notte, solo per ascoltarlo dormire, ignaro di tutto.

Domani faranno entrambi finta di niente: Sirius sopporterà lo sguardo freddo di Regulus soffermarsi sul suo viso, per poi attraversarlo come se fosse invisibile, nei suoi occhi marini il solito lampo fugace di un sentimento non identificato fino a quella notte.
Regulus, invece, sopporterà le grida di Sirius, le sue maledizioni gettate su tutta la famiglia, la sua ira per essere bloccato lì dentro, obbligato a passare pomeriggi interi con una famiglia che proclama di odiare.
Ma dopo quella notte, nel vedere suo fratello entrare nella stanza, smetterà di gridare.



Estate 1976: there's no way that I'll sleep when you're near me


Sirius è certo che quella casa abbia qualcosa che non va. Perché anche in estate, con oltre trenta gradi e il sole che batte impietoso sull’intera facciata per quasi tutto il giorno, lì dentro riesce a fare freddo.
E Sirius lo odia, quel freddo umido che scava nelle ossa.
Trascorre le vacanze estive chiuso nella sua stanza, come tutti gli anni, guardando le giornate scorrere via attraverso il vetro della finestra e, solo quando scende la notte, sgattaiola fuori dalla sua camera per cercare qualcosa da mangiare in cucina, e recarsi nella biblioteca di suo padre, in cerca di un gufo per spedire le lettere che ha scritto ai suoi amici.
Una sera – la sfera bianca della luna spaccata a metà che brilla alta nel cielo –, rimane per qualche istante in più nella biblioteca, solo per il gusto di farlo, rilassato in una delle poltrone di pelle nera – rigida e dalle forme severe, austere, come la sua famiglia, come lui.
Quando ritorna nella sua stanza, le scale e la strada di ritorno percorse al buio, quasi non si accorge della presenza di Regulus sdraiato sul suo letto, semicoperto da lenzuola di lino leggero, ma poi lo scorge e rimane ad osservare la sagoma di suo fratello illuminata fiocamente dal chiarore della luna.
Nel scoprirlo lì, da una parte lo sorprende, dall’altra, invece, è come se avesse sempre saputo di queste sue scappatelle notturne nella sua stanza, non appena lui la lasciava per scendere da basso.
Vederlo lì è come una certezza dimenticata, il dèjà vu di un fatto mai accaduto che risulta comunque familiare e caro come il viso di un amico. Sirius muove verso il letto e si sdraia accanto al fratello, come non aveva mai fatto, nemmeno da bambini: loro madre li aveva sempre abituati a mantenere le distanze, ad essere perfetti.
Mentre Sirius gusta quel calore sereno e inaspettato, Regulus si desta lievemente, voltandosi verso di lui e guardandolo con i suoi grandi occhi, e in quelle pozze scure, Sirius trova tutte le risposte alle sue domande, senza bisogno di chiedere.
Poi, Regulus gli si avvicina, distendendo il proprio corpo per la sua intera lunghezza contro quello del fratello, spalla contro spalla, le mani che si sfiorano, le dita che si intrecciano.
Restano così per tutta la notte, svegli, consci della presenza l’uno dell’altro. Verso il mattino – l’alba incerta che si fa largo attraverso un cielo coperto –, Sirius prende leggermente sonno, solo per un attimo, e quando si risveglia Regulus è sparito, oltre la porta che separa le loro stanza, lasciando dietro di sé solo il calore della sua presenza.
E per una volta, quella casa non gli sembra più tanto fredda.



Autunno 1978: after all of these years, is the time drying near, when a love song flies from my throat


Sirius ha finito la scuola da pochi mesi, il diploma giace dimenticato su qualche scaffale polveroso del suo buco di appartamento nella periferia londinese – carta da parati modesta, non di seta come a Grimmauld Place, ma di carta, la stessa della donna che abitava lì prima di lui, piccoli fiori azzurri su un letto marrone scuro.
Non ha nessuna intenzione di trovarsi un lavoro: i soldi che gli ha lasciato suo zio Alphard gli dureranno ancora per molto.
Era stato da James, quella mattina, il quale, intanto che affettava le fragole per la colazione, gli aveva confidato di volere un figlio. Mentre gli raccontava di voler diventare padre, James era imbarazzato, rideva, la pelle liscia baciata dal sole, e gettava occhiate piene d’amore verso Lily, seduta sul sofà color crema del loro salotto, che rideva insieme a Remus.
Così, dirigendosi verso casa – un passo dopo l’altro, quasi come camminare sulle nuvole –, Sirius è felice, la gioia che affiora da dentro e si espande.
Quando gira l’angolo, però, tutta la sua felicità svanisce nel notare Regulus seduto sui scalini di casa sua – ha l’aria nervosa, il corpo teso, pronto a scattare. Anche a quella distanza, Sirius non ha difficoltà a notare che suo fratello è dimagrito; gli si avvicina e viene preso in contropiede dal sorriso appena accennato che Regulus gli rivolge – può scorgere il sollievo dietro quel gesto, dietro lo specchio che sono i suoi occhi azzurri. Il peso in meno ha reso i tratti del suo viso ancora più spigolosi, più marcati, la mascella e gli zigomi sono uno stacco netto sul resto del volto, ma è sempre lui, anche così, e per un istante, rivede il ragazzino che era un tempo, quello che si infilava nel suo letto quando lui lasciava la stanza.
Sa perché è lì, eppure glielo chiede lo stesso, perché almeno una volta, vuole sentire la sua voce. Non sono mai stati bravi con le parole, nessuno dei due, i fatti hanno sempre parlato per loro, come prove tangibili dei loro sentimenti, testimonianze vere e impossibile da rimangiare.


“Cosa ci fai qui?”
“Niente, solo… niente.”
“Saliamo.”


Protetti dalle quattro mura dell’appartamento di Sirius, dietro quelle porte chiuse che gli sono sempre state tanto care, Regulus acquista un po’ di coraggio e parla a Sirius, senza interruzioni, lasciando semplicemente la parole fluire via, leggere e inutili, solo suoni nell’aria. Nel dire che quella è l’ultima volta che si vedranno, la sua voce trema un po’, mentre spiega a Sirius che sono sorti alcuni problemi – gli occhi di suo fratello sempre fissi nei suoi. Regulus si domanda se riesca davvero a capire quello che gli sta dicendo, se ha mai capito qualcosa di lui. Poi, d’un tratto, colto dal terrore che lui non abbia davvero compreso i suoi sentimenti, gli dice che lo ama, anche se quelle sono solo parole.
A mezzo metro dal fratello, senza la forza di allungare un braccio per toccarlo, si limita a respirare la sua stessa aria, il suo profumo; cerca di imprimere nella memoria il suo volto, ancora di più, come per scolpirlo dentro di sé.
Fa per andarsene, ma Sirius lo blocca – limitandosi ad allungare un braccio, la pelle abbronzata in netto contrasto con la sua lattiginosa – e gli dice che lo ama anche lui, che credeva lo avesse capito, almeno una volta, in tutti quegli anni.

Trascorre con Sirius il resto della giornata e la notte, le ore che scorrono via veloci come lampi. Parlano poco e si limitano a godere l’uno della presenza dell’altro; poi, Sirius si fa audace e nella tenera luce dell’alba – colori pastello contro l’immensità blu del cielo notturno – arrivano i baci, le carezze e l’amore.
E Regulus, per la prima volta nella vita, respira quella felicità che sembra oltraggiosa agli occhi di chi non sa cos’è, e in quella felicità c’è solo Sirius che ride e lo guarda con i suoi occhi luminosi.
Quel mattino, Regulus se ne và. Sirius lo saluta con un bacio ed un gesto della mano.
Entrambi sanno che non si rivedranno mai più



Primavera 1979: fell in love with a dead boy


Sirius viene a sapere da un estraneo che suo padre è morto. Si chiede come sia possibile che un uomo imponente e forte come lui abbia potuto andarsene così, solo per un banale attacco cardiaco. Lo viene a sapere dopo il funerale e, pur recandosi a Grimmauld Place, non ha il coraggio di entrare, perché oltre quella porta c’è sua madre e i corridoi stretti e scuri che aveva tanto odiato da ragazzo. Mentre va via, si dice che, comunque, non avrebbe nemmeno dovuto essere lì.
È stato proprio per via della morte di suo padre che ha iniziato a rivangare vecchi ricordi: suo padre che gli ordinava di non parlare con i Potter, di non frequentare Remus Lupin, di non difendere sempre sua cugina Andromeda, ma anche suo padre che gli insegnava a legarsi le scarpe e fare il nodo alla cravatta, che gli diceva come radersi e di non esagerare col burro, e si stupisce nel riscoprire quanto era stato felice da bambino, mentre giocava insieme a suo fratello con le scope finte e correvano per i prati verdi e lucenti nella tenuta della loro casa di campagna, sotto un cielo azzurro che sembrava proteggerli da tutto.
Sembra trascorsa una vita intera – la vita di qualcun altro – da quegli anni, e lo rattrista notare come tutti i ricordi belli che ha avuto con la sua famiglia si siano fermati a prima che lui iniziasse Hogwarts. Dopo c’erano state solo urla, discussioni, ripicche e invidie.

È da Dumbledore, e non da un estraneo, che viene a sapere della morte di suo fratello. Quando glielo comunica, l’impatto di quella notizia lo colpisce con una tale potenza che per un istante ha la certezza di non riuscire più a respirare; poi, un dolore denso e sordo gli scoppia nel fondo della gola, così intenso da sembrare che la carne si stia lacerando.
Vorrebbe solo mettere metri tra lui e Dumbledore, uscire da quel salotto e rimanere solo, evitando le frasi di rito, le condoglianze; ma, seduto sul divano chiaro dei Potter, con James che lo scruta attentamente in volto in cerca di una sua minima reazione, l’unica cosa che riesce a fare è ridere, mentre qualcosa si spacca del tutto dentro di lui, lasciando dietro di sé solo macerie, disintegrandogli il cuore, quella risata viene fuori, amara e dolorosa.
Le lacrime stanno per arrivare quando si alza e fa per andarsene. Dumbledore parla ancora mentre lui si allontana attraversando la stanza con ampi passi, evitando gli sguardi di James e Lily, uscendo nella fresca e umida aria primaverile, lasciandosi alle spalle il cottage dei Potter.
Non gli importa di quello che Albus ha da dire, non gli interessano le sue teorie, le sue parole inutili. Non importa se Regulus è morto perché si è ribellato a Voldemort: questo non lo rende più vivo o migliore ai suoi occhi, perché migliore lo è sempre stato. A Sirius, le sue parole, sono sembrate molto simili a quelle frasi di circostanza che si propinano ai parenti dei defunti, per farli stare in pace con loro stessi, per fargli credere che i loro cari non hanno sofferto; ma che ne sanno loro se colui che è morto ha sofferto o no?

Preda di un dolore che trascende tutto, Sirius si smaterializza da Grodric’s Hollow riapparendo a Londra, e inizia a girovagare per le strade dei suoi quartieri più malfamati, in cerca di qualche guaio, con il pensiero fisso di suo fratello in testa; incurante della pioggia che ha iniziato a cadere, che si mischia – e nasconde – le sue impotenti lacrime.
Trascorre così il resto della giornata, incerto su dove andare, come se, all’improvviso, nessun luogo potesse nuovamente essere definito “casa”.
Perso tra edifici grigi, osservando senza vedere i graffiti sui muri, Sirius ricorda il cielo tinto di quell’azzurro vivido che sembrava quasi finto mentre lui e suo fratello si rincorrevano felici, un cielo così azzurro da sembrare il disegno di un bambino.
Ora c’è solo pioggia, che scende incessante e gelida, scivola sull’asfalto lucido e scuro, scorre, rendendo nero il suo mondo.




   
 
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