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Autore: EleUndFra_    05/02/2014    2 recensioni
«No matter what happen, no matter who's president. As our Lady of Disco, the divine Gloria Gaynor, has always sung to us.. We will survive
Cosa potrà mai accadere, a distanza di un anno, nella monotona città di Pittsburgh? Quali sorprese ha in serbo il futuro ai nostri ragazzi? Basta torturarvi in cerca delle risposte. Aprite questa fottuta storia.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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13.

I loro corpi nudi giacevano sopra i morbidi cuscini che li dividevano dal tappeto sul pavimento; si erano addormentati durante la notte.. dopo quello che era successo. La luce del primo mattino che già filtrava attraverso le finestre illuminava parte del corpo di Brian, mettendo in evidenza i muscoli della schiena e delle spalle. Quando i raggi di luce colpirono il suo viso girato da un lato, il suo sonno venne interrotto e istintivamente strizzò le palpebre, quasi stordito. Aprì lentamente gli occhi, e a quel punto riconobbe accanto a sé il corpo ancora dormiente di Justin, disteso a pancia in giù. Silenziosamente si tirò su a sedere e rimase a fissarlo. Si rese allora conto di quello che era successo la sera prima, dopo essere andato via dalla festa e rientrato a casa.. e dopo che Justin lo aveva seguito. Ripercorse mentalmente ogni passo dell’accaduto, senza mai distogliere lo sguardo dal corpo del ragazzo. Il silenzio insolito nella stanza gli permetteva di avvertire il suo lieve respiro. Si soffermò sui suoi capelli dorati che emanavano una luce quasi pari a quella del sole.
Raggio di sole..
Quelle parole aleggiavano nella sua mente così chiare che sembrava fossero uscite dalla sua bocca, come in un sussurro. Non potè fare a meno di allungare una mano sui suoi capelli, e sfiorarne le ciocche bionde. Le accarezzava come se stesse toccando qualcosa di prezioso e di proibito, poi ritrasse le dita.
Riusciva ancora a sentire la sua pelle contro la propria, avvertiva ancora la sensazione calda dei loro corpi intrecciati, sudati e desiderosi l’uno dell’altro. Tanto si erano desiderati in quei mesi in cui erano stati separati, che il contatto tra di loro quasi non gli sembrava reale. Non riusciva a spiegarsi quello che aveva provato, né quello che provava in quel momento. Ma quello che sapeva.. era che non doveva avere seguito.
Si alzò in piedi, passandosi una mano sul viso e rilasciando un impercettibile sospiro. Cosa aveva fatto? Si era lasciato andare, si era abbandonato ai sentimenti che avrebbe dovuto tenere seppelliti dentro di sè. Si sentiva improvvisamente debole, vulnerabile; ma, come sempre, non lo avrebbe lasciato intravedere. No, non poteva permetterselo. Non in quel momento. Doveva solo partire per San Francisco, e lasciarsi tutto alle spalle. Era la cosa migliore per entrambi.. anche se, ormai, neanche lui sapeva più cosa fosse giusto e cosa sbagliato.
Cercando di scrollarsi quel tornado di pensieri che gli invadevano la mente, si diresse in camera da letto, dove si vestì in fretta e furia. Poi, dopo aver controllato l’ora sul comodino –9:03-, trovò accanto al letto la valigia che aveva preparato ormai da giorni. Al resto avrebbe pensato dopo. In quel momento non voleva pensare a nient’altro che alimentasse il suo improvviso mal di testa. Così, facendo più silenzio possibile per non svegliare Justin, trasportò la valigia fino all’ingresso, e si infilò nel frattempo la giacca. Chiuse gli occhi per un istante e prese un respiro, prima di uscire e richiudersi la porta scorrevole alle spalle, lasciando con essa l’unico ragazzo che gli aveva fatto perdere la testa in tutta la sua vita e che, fortunatamente, stava ancora dormendo.
Non si sarebbe guardato indietro. Non si sarebbe arreso all’amore, di nuovo.

———

“La colazione è servita, dolcezza.”
Lindsay venne svegliata dolcemente dalle parole della sua compagna, che si dirigeva verso il letto con un vassoio in mano e si sedette poi sul bordo del letto, accanto a lei. Aprì lentamente gli occhi stiracchiandosi tra le lenzuola, e un sorriso le comparse automaticamente sulle labbra, quando vide la mora che le mostrava il contenuto del vassoio: un croissant appena sfornato e una tazza di cappuccino caldo.
“Questo sì che è un buongiorno.”, le rispose sollevandosi col busto per poter consumare quella deliziosa colazione a letto. E mentre era intenta a gustarsi il croissant, teneva lo sguardo sulla sua metà, e pensava con grande sollievo che sembrava essersi rimessa completamente  dall’incidente. Di conseguenza si ritrovò a pensare a quei pochi giorni passati di nuovo con i loro amici: a quanto erano stati disponibili Ben e Michael ad ospitarle in casa loro e a quanto fossero state bene, incidente a parte. Sentiva la mancanza della vita a Pittsburgh, non c’era dubbio.
Quel momento di silenzio fu interrotto solo dalle risatine di Gus al piano di sotto e dai versetti di Michael preso a giocare con Jenny Rebecca. Anche i loro bambini, effettivamente, si trovavano bene lì.
Così, dopo aver finito di sorseggiare il cappuccino, decise di aprire bocca, facendosi vagamente seria.
“Mel, ho preso una decisione. Ma è una decisione per la quale dobbiamo essere d’accordo entrambe.”
“Sì? Ti ascolto.”, rispose lei, incuriosita.
Lindsay fece una pausa, poi si lanciò.
“Perché non rimaniamo qui a Pittsburgh? Torniamo a vivere nella nostra vecchia casa!”
“Cosa?”, fece Melanie con stupore, “Sei impazzita? Linds, ci siamo trasferite per assicurarci un buon futuro per i nostri figli. E’.. è Toronto la nostra casa adesso.”
“Pittsburgh è la nostra casa. Lo è sempre stata.”, ribattè l’altra mantenendo il tono pacato, “Questa città, a partire dalla nostra vecchia casa, è piena di ricordi.. piena di noi. Ed ora che le cose stanno cambiando, i nostri figli potranno crescere felici anche qui, circondati dall’amore della famiglia. Di tutta la famiglia. Pensaci bene.”, concluse guardando Melanie negli occhi, nella speranza di convincerla.
E lei fece quel che aveva detto: si fermò a riflettere. Ogni momento passato per le strade di quella città era un pezzo del puzzle della loro vita insieme e, non poteva negarlo, anche a lei mancava la vita lì. Tutte le cose che avevano a Toronto, non valevano la metà di quelle che avevano lasciato a Pittsburgh. Infondo lei voleva vedere la sua compagna e i suoi figli felici e, nel farlo, doveva esserlo anche lei.
Così, dopo vari attimi  di silenzio, incrociò lo sguardo della bionda e finalmente rispose.
“Okay.”
“..Okay?”, la guardò interrogativa lei, poco prima di realizzare.
“Facciamolo.” Mentre pronunciava quella parola, un sorriso le si allargava lentamente sulle labbra. “Ma a una condizione.”
“Quale?”, chiese Lindsay non potendo fare a meno di sorridere anche lei.
“Che chiami tu il camion dei trasporti da Toronto stavolta.”, ridacchiò ironica la mora parlando a basso tono, mentre avvicinava il viso al suo. Dopo una leggera risata, la sua compagna le agganciò le braccia al collo con un urletto di felicità, appena prima di affondare le labbra sulle sue. Serrarono così la decisione con un lungo bacio pieno d’amore, che parlava al posto loro. Non erano necessarie ulteriore parole. Non vedevano l’ora di annunciare ai loro amici che si sarebbero trasferite nuovamente a Pittsburgh, e questa volta definitivamente.
Finchè erano insieme, tutto sarebbe andato per il verso giusto.

———

Ci aveva pensato e ripensato tutta la notte, da quando Carl le aveva rifatto la proposta. Aveva riaperto una storia chiusa un anno prima, il che voleva dire che ci teneva davvero. E questo l’aveva tormentata per tutta la notte. Lui voleva sposarla, e lo voleva anche lei, senza il minimo dubbio. Si era chiesta se magari Carl non avesse avuto ragione sul fatto che ‘si erano calmate le acque’, e che quindi le cose di lì a poco sarebbero cambiate. Se così fosse stato, le cose sarebbero andate diversamente.
In conclusione, dopo una notte di domande e riflessioni, Debbie era già lì al suo turno di mattina al Diner, e aveva ormai preso una decisione che l’avrebbe resa felice. Era tempo di cambiare le cose.
“Eccomi, tesoro. Sono venuto appena ho potuto, cosa c’è di così importante?”, esordì l’agente Horvath dopo essere entrato alla tavola calda ed essersi seduto di fronte al bancone e alla donna che amava.
Era il momento di dirglielo. Così, una volta salutato, fece il giro del bancone e andò a sedersi di fronte a lui, cercando di sembrare il meno imbarazzata possibile.
“Ecco, dovevo dirti una cosa. Vedi.. io..”, cominciò a balbettare la donna, con un sorriso nervoso. Non sapeva da dove iniziare. “Cristo, non so come dirtelo. Perciò ti dirò semplicemente..” Ci fu un’ultima pausa, il tempo di prendere fiato e raccogliere coraggio. “La risposta è sì.”
“..‘Sì’ a cosa?”, chiese il detective leggermente confuso. Ma quando Debbie gli sorrise, non fu necessario aggiungere altro, perché lui capì. “Oh, tesoro!” E detto ciò, la chiuse in un abbraccio, prendendo possesso delle sue labbra. Solo allora si accorsero che tutti i presenti nella tavola calda avevano ascoltato la conversazione e si erano alzati in piedi ad applaudirli, compreso Michael, che sembrava felice quasi quanto lo era la madre.  
Una volta distaccate le labbra, Carl diede a Debbie un ultimo bacio su una guancia.
“Ti amo.”, sussurrò, al che lei arrossì lievemente, e per poco non si mise a piangere. Rimase abbracciata al suo uomo, mentre entrambi si voltarono divertiti a prendersi gli applausi.
Con le lacrime agli occhi, ma felice, Debbie sorrideva. Stava per legarsi per sempre all’uomo che amava; questa era la sua decisione. Sì, Carl Horvath era l’uomo con cui avrebbe passato ogni ora, ogni minuto e ogni secondo del resto della sua umile vita.

———

Justin si svegliò frastornato, e si accorse di non essere in casa propria. Mugolò leggermente, mentre metteva a fuoco il tutto. Lentamente sollevò il busto dagli ampi cuscini che lo sostenevano, e si guardò intorno. A quel punto riprese coscienza e ricordò ogni cosa.
“Brian..”, mormorò flebilmente.
La sua mano si mosse quasi di vita propria, andando a sfiorare con i polpastrelli il proprio labbro inferiore, dove ancora avvertiva la lussuriosa sensazione delle labbra di Brian che vi premevano contro. La pelle del labbro gli pizzicò appena, così lo morse da un lato, nel tentativo di nascondere un sorrisetto che vi era comparso spontaneamente. Abbassò lo sguardo sul resto dei cuscini accanto a lui e… vuoto. Dov’era Brian?
Di colpo tornò alla realtà e cercò con lo sguardo il moro all’interno del loft. Dopo averlo chiamato un paio di volte ad alta voce e non aver ricevuto risposta, decise di alzarsi, recuperare da terra i propri vestiti del giorno prima e indossarli velocemente, dopodiché andò a controllare in camera da letto. Fu allora che rimase di sasso, quando vide la camera completamente vuota: non c’erano più vestiti nell’armadio, ogni cassetto presente era vuoto, niente di niente.. eccetto un giornalino informativo (che probabilmente aveva dimenticato) su San Francisco.
Justin quasi sbiancò e trattenne il fiato, intuendo a quel punto perché Brian non fosse in casa. Preso dall’agitazione, afferrò velocemente la sveglia sul comodino, anch’essa rimasta, e lesse l’ora. Le 10. Si convinse del fatto che probabilmente Brian non era ancora partito o, perlomeno, lo sperava con tutto il cuore. Poteva farcela. Doveva fermarlo.
Senza badare a niente e a nessuno, scese di corsa le scale che portavano fuori in strada, e cominciò a correre. Ma all’improvviso una figura di fronte a lui lo bloccò bruscamente, parandoglisi davanti.
“Perché sei davanti casa di Brian? Che ci facevi qui?” Il tono di voce di Connor non era stato affatto gentile, sembrava invece sull’orlo di una crisi isterica.
“Senti, in questo momento non ho proprio tempo di darti spiegazioni, Connor, quindi se fossi così gentile da lasciarmi andare..”, tagliò corto il biondo in tono seccato. Si spostò alla sinistra del bruno per poter proseguire, ma quest’ultimo lo prese per le spalle, fermandolo ancora una volta.
“No, io mi aspetto eccome una spiegazione. Me la devi, e sai perché? Perché sei il mio ragazzo! Adesso vieni con me e chiariamo questa situazione.”, insistette, ormai chiaramente sopraffatto dalla gelosia.
 Ma questa volta fu Justin ad innervosirsi, non poteva sopportare tale arroganza. E aveva decisamente troppa fretta per mettersi a discutere.
“Sai una cosa? Non abbiamo proprio un cazzo da chiarire. Io non sono un oggetto, non sono roba tua, e soprattutto tu non puoi dirmi cosa fare o non fare! E’ chiaro?” Era arrabbiato, nervoso e in quel momento l’unica cosa che voleva fare era raggiungere il ragazzo che amava davvero in aeroporto. “E adesso, se non ti dispiace lasciarmi passare, avrei una leggera fretta.”, concluse fulminandolo con lo sguardo.
Lasciando l’uomo così sconvolto e di stucco, finalmente lo sorpassò e ricominciò a correre, sentendosi gridare alle spalle un misto di insulti. Lui non se ne curò minimamente. Se ne fregava di aver appena mollato il suo ragazzo di New York, se ne fregava di qualunque altra cosa. Semplicemente continuava a correre, verso la ragione di ogni suo gesto, verso l’uomo che l’aveva fatto diventare ciò che era, e verso l’unico uomo che gli aveva rubato il cuore e che, un anno prima, stava per sposare.. se solo non fosse partito.
All’improvviso si rese conto che non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare in poco tempo a piedi, così frenò sul marciapiede e chiamò alla svelta un taxi, che fortunatamente non ci mise molto ad arrivare. In men che non si dica salì a bordo e comunicò la destinazione al tassista. Per tutto il tragitto si picchiettò nervosamente le dita su una coscia, poi finalmente il taxi parcheggiò all’aeroporto. Pagò senza neanche preoccuparsi di prendere il resto, e riprese a correre come il vento all’interno dell’aeroporto, facendosi spazio tra la gente e non badando a chi andava a sbattere contro.
“Posso esserle d’aiuto?”, chiese gentilmente una donna che gli si trovò davanti e che, a giudicare dal completo che indossava, lavorava in aeroporto.
“Magari! A che ora è il volo per San Francisco?”, ansimò Justin col fiatone.
“Tra poco più un quarto d’ora, stanno per finire il check-in al piano di sopra. Sarà meglio...” La donna non fece in tempo a finire la frase, che lui la liquidò con un veloce ringraziamento sollevato e corse via.
Doveva trovare Brian il più presto possibile, e fermarlo ad ogni costo. 


Era ancora in fila per il check-in, con il trolley in mano, e attendeva il suo turno con impazienza. Di lì a poco sarebbe salito sull’aereo che l’avrebbe portato lontano da Pittsburgh, a una nuova vita, lontano da lui.. Non aveva fatto altro che ripetersi che sarebbe stata la cosa migliore per se stesso, che doveva pensare solo a se stesso, che doveva tenersi alla larga dall’amore. «Io non credo nell’amore, credo nelle scopate. Sono oneste, efficienti: ne entri e ne esci con il massimo del piacere ed il minimo di stronzate. », diceva sempre. L’amore portava solo sofferenze e problemi. E dopo l’esperienza che aveva avuto con Justin, non voleva più ricascarci, ma più. Ma, purtroppo, è risaputo: l’amore è la più grande debolezza dell’uomo.
Dunque era lì in aeroporto, ad auto-convincersi che prima fosse salito su quell’aereo, prima avrebbe voltato pagina e lasciato il passato alle spalle. Per questo non aveva salutato nessuno, nemmeno il suo migliore amico. Aveva fretta. Sembrava quasi.. che stesse scappando. Justin aveva forse avuto ragione?
Eppure, non riusciva ancora a liberarsi di quella sensazione che ancora lo tratteneva, gli teneva i piedi incollati al suolo e lo rendeva d’un tratto incapace di muoversi. Si propagava dentro di lui, non poteva controllarla, ed era una cosa che lo faceva impazzire. Sapeva esattamente cos’era, e ormai aveva preso il sopravvento. Il passato lo avvolse. Ogni singolo momento passato durante gli anni precedenti con Justin riaffiorò nella sua mente. Quei ricordi lo facevano stare bene. No.. non erano i ricordi; lui lo faceva stare bene. Quel ragazzino che era entrato inevitabilmente nella sua vita all’età di soli 17 anni era stata l’unica persona che gli aveva fatto scoprire l’amore, l’unica persona che aveva mai amato veramente, e che, in cuor suo, sapeva di non aver mai smesso di amare. Prese un respiro e, finalmente, ascoltò dentro di sé. Si rese conto improvvisamente che non poteva più combattere. Ogni volta che provava, per orgoglio, a reprimere un’emozione che non voleva provare, riusciva bene o male a nasconderla, a renderla invisibile agli altri. Ma non questa volta. Questa volta quello che provava era così forte che riusciva sempre a trovare uno spiraglio, e riaffiorare in superficie. Il buonsenso continuò a parlargli. Perché chiudersi ancora a quella parte di sé? Non valeva la pena cercare di scacciarla per non soffrire, se nel tentativo di farlo soffriva ugualmente. Quello che contava era quanto lo facesse stare bene. Quindi perché fuggire? Voleva essere felice; voleva vedere Justin felice. Avrebbero superato anche quella, e così ogni ostacolo che avrebbero incontrato. Perché si amavano.
“BRIAN!”
Un grido distante e ovattato lo riportò improvvisamente alla realtà. Avrebbe riconosciuto quella voce fra mille. E quando sentì che lo stava chiamando, fu un impulso: sganciò la mano dal trolley e lo abbandonò lì, insieme al suo volo per San Francisco, per mettersi a correre in direzione del suono. In quel momento, voleva solamente raggiungere quella voce.
Arrivò alle scale mobili che portavano al piano di sotto e cominciò a scenderle al contrario il più velocemente possibile. Fin quando non lo vide.
“JUSTIN!”
Stava salendo freneticamente le scale mobili che portavano al piano di sopra, anche lui percorrendole al contrario. Quando sentì pronunciare il proprio nome e si accorse di Brian dall’altra parte delle scale mobili che cercava di venirgli incontro, sentì il cuore sul punto di esplodere e automaticamente ripeté il suo nome. Cominciò a salire più in fretta, mentre Brian scendeva impaziente; un gradino al contrario dopo l’altro.. finchè non si incontrarono a metà e si gettarono l’uno verso l’altro, non aspettando oltre per sigillare il contatto con un intenso, lungo e viscerale bacio. A quel punto ogni emozione negativa scomparve, lasciando spazio solo alla calda e familiare sensazione di protezione che trovavano l’uno nell’altro. Le labbra si scontrarono frementi, le lingue si cercarono da subito, intrecciandosi avide e creando una danza all’interno delle bocche; le teste che si inclinavano ai lati opposti per approfondire ogni bacio. Si stringevano l’uno contro l’altro, Justin che circondava il collo di Brian con le braccia e l’ultimo che gli cingeva la schiena, mentre i piedi continuavano a muoversi da soli per tenere il ritmo delle scale mobili in azione, uno verso l’alto e l’altro verso il basso. Non sprecarono un solo istante di quel momento, lasciandosi piacevolmente inebriare e guidare dalla passione che li circondava, rendendoli una cosa sola.
Britin.
C’erano solo loro. C’era soltanto il presente, e l’avrebbero vissuto insieme. Erano tutto ciò che volevano essere. L’uno nell’altro, si sentivano leggeri. Si sentivano.. liberi. 

P.O.V. Michael
-Chi dice che l’happy ending non esiste? La mia convinzione è che siamo noi a costruirci il futuro, siamo noi a decidere come devono andare le cose, è ogni nostra azione che influisce su ciò che accadrà domani. Ed è esattamente quello che è successo nella nostra cara Pittsburgh.
A quanto pare, le cose in città cambiarono davvero da quando la Proposizione 14 non venne accettata. Ogni cosa era al suo posto, era dove doveva stare. Liberty Avenue non era mai stata così colorata. Tutti erano felici.
Mia madre decise finalmente di sposare Carl Horvath, e io mi allenai a diventare una suocera rompiscatole per la loro gioia; Lindsay e Melanie, con grande piacere di tutti, tornarono a vivere qui e la loro a vita proseguì a meraviglia assieme ai loro figli che crescevano a vista d’occhio; Ted festeggiò il suo primo anniversario con Blake, felice come non si sarebbe mai aspettato di essere; Emmett viveva la sua favola insieme al suo principe azzurro, Drew Boyd, e lo convinse, grazie ai suoi incoraggiamenti da fan numero uno, a riprendere il football; per me e Ben la vita proseguì serena, come la normale vita di una normale coppia gay che una volta al mese deve combattere con i problemi del proprio figlioccio adorato.
“E che ne è stato della più grande storia d’amore di Pittsburgh?”, vi chiederete.
Le due Germanie si riunificarono di nuovo, da quando in aeroporto Brian rinunciò al volo per San Francisco di cui non faceva altro che parlare, per rimanere in questa misera città (come avrebbe detto lui) con il ragazzo che amava. Tornarono a vivere insieme e a scopare come ricci; dovevano “recuperare tutto il tempo perso”, a loro opinione. Tornarono al Babylon, in palestra, in sauna. E il mio migliore amico tornò se stesso.
Pareva che niente potesse separarli. Era il loro destino. Si appartenevano. La vita non è sempre rose e fiori, ma quando ci si ama davvero, si affronta e si supera tutto, insieme. E il loro amore era più forte di qualunque cosa.-
  
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