Epilogo
Ritratto di te
Il
mio cuore manca un battito, letteralmente, iniziando a sbattere
più
forte e intensamente, causandomi in simultanea una violenta ondata di
calore. Pompa
più convulsamente il sangue nelle mie vene non appena i miei
occhi
nocciola, questa sera elegantemente truccati di scuro e ora appena
socchiusi, intravedono la tramezza bianca che consente l'accesso alla
stanza squadrata al fondo del corridoio, solo a qualche passo di
distanza da me e la prima di una lunga serie di stanzoni, tutti
identici. Un
odore di pulito e di pino mi solletica intanto le narici,
stuzzicandole leggermente mentre un rigoroso silenzio mi circonda
placidamente, conferendo all'ambiente quasi una atmosfera altera e
impeccabile. Sono
sola fortunatamente, considero distrattamente l'attimo dopo con un
profondo sospiro, quasi più simile ad uno sbuffo,
adocchiando
intorno a me e non notando nessun altro. Sam,
troppo occupata a finire di organizzare le ultime cose, si è
chiusa
una manciata di minuti fa in uno dei tanti uffici con lo staff per
una riunione dell'ultimo secondo per sistemare i dettagli finali,
spronandomi a fare intanto un giro in sua assenza. Un
po' annoiata e un po' ansiosa, avevo annuito, acconsentendo e
superando la zona dedicata ai dipendenti, cogliendo così al
volo
l'opportunità di godermi il privilegio e il momento senza la
confusione della folla. Cosa
incredibilmente catartica. Stringo
appena la bocca, umettandola prima di deglutire, mentre chiudo con
più forza le dita intorno alla piccola pochette nera che
tengo in
mano, cercando di sfogare almeno così il positivo nervosismo
che
provo, divorante. Con
la gola leggermente stretta da un magone di emozioni differenti
continuo intanto a camminare, ancheggiando appena a causa dei tacchi
alti delle mie scarpe e percorrendo quasi interamente il corridoio,
giungendo alla camera. Le
mie iridi, ansiose e curiose, vagano voracemente attorno a me,
studiando l'ambiente mentre scrollo simultaneamente le spalle,
fasciate dal tessuto nero del semplice tubino nero che indosso, nel
vano tentativo di scacciare l'agitazione che mi sconvolge. Quasi
dispettosamente, al contrario, una sottile punta di frenesia si
mischia al poderoso turbamento emotivo ed interiore che provo,
dilaniandomi e facendomi sentire contemporaneamente euforica e
inquieta. Un
mix decisamente strano di sentimenti, constato mentre mi inoltro
nella stanza, le sue pareti di un freddo bianco, quasi immacolato,
che mi accolgono istantaneamente, rese ancora più gelide e
asettiche
dalla luce che i faretti sul soffitto producono. Cozzando
con il parquet in legno scuro e lucido che costituisce il pavimento,
risultano appena intaccate da alcuni quadri, perfettamente appesi ai
muri laterali, l'unica cosa che le adorna. Senza
una ragione precisa il mio sguardo scuro e pensieroso si posa proprio
su quello centrale, ignorando di fatto gli altri. Di
più ampie dimensione e circondato da una cornice nera,
semplice e
quasi minimal, attira incomprensibilmente la mia attenzione,
assorbendola totalmente. Inspirando
un breve respiro mi concentro, difatti, sulle poche linee colorate
che spiccano su uno sfondo di un cupo nero, così intenso da
risultare corposo e contemporaneamente inquietante, infondendomi una
sensazione quasi esistenzialista. Dei
tratti astratti, quasi appena abbozzati, delineano le figure di tre
papaveri rossi dallo stelo di un verde spento, quasi sbiadito: quello
più a sinistra quasi ridotto ad un approssimativo bocciolo,
quello
centrale che, invece, rappresenta il fiore nel suo massimo splendore
ed, infine, quello più a destra che lo ritrae quasi
appassito,
accartocciato su se stesso. Aggrotto
la fronte, tentando di decifrarne il significato, il cervello
focalizzato altrove che, però, fatica a concentrarsi
unicamente su
questo, provocando un distratto rimuginare che assomiglia
incredibilmente ad un fastidioso ronzio. Incuriosita
ed allettata, mi avvicino con un paio di falcate l'attimo seguente,
la gonna dell'abito, aderente, che mi impedisce leggermente i
movimenti, rallentandomi mentre i miei tacchi producono un lieve
ticchettio. Oltrepassando
distrattamente la piccola panca in metallo nero posta davanti alla
parete, con il chiaro scopo di accogliere i vari osservatori, mi
avvicino intanto abbastanza da poter leggere la targhetta composta da
un cartoncino argentato posta a lato dell'opera, scrutandola con le
sopracciglia corrucciate. Lea
Wilson, La vita. Leggo
silenziosamente nella mia mente queste poche parole, assaporandole e
rendendomi conto con un attimo di ritardo di cosa l'autrice abbia
voluto rappresentare. Gli
stadi dell'esistenza, i passaggi che ognuno deve attraversare: la
nascita, la gioventù ed, infine, l'invecchiamento. Allargo
leggermente gli le palpebre, intrigata e sorpresa da questa
rivelazione inaspettata e piacevole, considerando come io non abbia
mai sentito il suo nome nonostante la mia passione per l'arte
contemporanea. Deve
essere una artista emergente, mi dico subito dopo, analizzando la
data relativamente recente. Beh,
infondo, è proprio questo lo spirito di questa serata, far
conoscere
artisti sconosciuti che fino ad ora hanno vissuto nell'ombra,
arriccio appena le labbra in una smorfia consapevole. Dopo
vari mesi, infatti, di organizzazione e di riunioni, lo staff della
galleria in White Street dove lavora Sam questa sera
presenterà
finalmente una mostra composta da duecento quadri di autori
completamente poco conosciuti dal pubblico. Mi
contraggo appena mentre una riflessione sibillina e sincera mi
attraversa la testa, sottolineando una mesta e dolce verità. Compresa
la mia. Istintivamente,
mi tendo maggiormente a questo pensiero fulmineo, sentendomi
elettrizzata e un po' timorosa al tempo stesso. Soffiando
l'aria tra i denti, espiro seccamente, le mie pupille che smettono di
vedere razionalmente ciò che hanno davanti, diventando
leggermente
più vacui mentre il mio cervello viene subitaneamente
riempito da
numerose elucubrazioni, tutte contorte e petulanti. Quasi
come se avessi appena riavvolto il nastro della mia memoria, tutti
gli eventi di questi ultimi sei mesi mi invadono la testa, passando
così velocemente davanti a me da impedirmi quasi di
afferrarli e
captarli. Immagini
sfocate e spezzoni di discorsi mi provocano un soffuso senso di
stordimento, una confusione al tempo stesso complicata e nitida che
mi porta inevitabilmente ad estraniarmi dalla realtà. Rivedo
questi ultimi giorni di agitazione e frenesia, le molte settimane
precedenti e passate caratterizzate da momenti di
tranquillità e
dalla ricerca di un nuovo equilibrio e quelle ancora prima occupate
dagli strascichi dello scandalo del New York Times, architettato nei
minimi dettagli da Noah. Sospiro,
mordendomi il labbro inferiore mentre piego leggermente di lato il
capo, ricordando quegli istanti torvi e difficili, una fitta di
rammarico e rabbia che si riversa simultaneamente dentro di me. Sono,
ormai, infatti, passati ben cinque mesi da quando quell'articolo ha
sconvolto la mia vita, mettendola a soqquadro e portandomi quasi
smettere di credere nelle mie certezze. Ci
sono andata davvero vicina, realizzo incassando il capo tra le spalle
mentre mi rendo conto di come io sia stata prossima a perdere tutto. Semplicemente
a perdere lui, nonostante poi tutto si sia risolto
per il
meglio con il nostro chiarimento. E,
forse, in qualche modo è stato anche tutto quello a darmi la
giusta
spinta a riprendere a dipingere. Un
sorriso pallido e sollevato mi inclina al in su le labbra l'attimo
seguente, illuminandomi sommessamente in viso mentre questo dolce
rimuginare mi ammorbidisce, aizzando nuovamente il mio buonumore. L'ondata
di positività e piacere che questo rimuginare mi suscita mi
investe
in pieno, violentemente e così intensa da risultare
impossibile da
arginare, stordente. Ho
ripreso a dipingere, assaporo ancora la portata di questa
riflessione, non riuscendo a non gioirne, sentendomi incredibilmente
completa e leggera al momento. Serena. Inizialmente
era stato un gesto impulsivo, avvenuto di istinto e quasi
irrazionalmente subito dopo la mia riappacificazione con Andrew, come
se tutto il mio tumulto interiore si fosse incanalato nel desiderio
di esprimerlo. Era
stato quasi uno sfogo farlo, intingere le setole nella tempera e
iniziare e sporcare la tela, macchiandola inevitabilmente. Esattamente
come ha fatto lui, macchiandomi con i colori del suo ritratto,
fondendoli con i miei fin quasi a far sparire ogni confine. O,
forse, semplicemente, tra di noi non sono mai esistiti, annaspo
mentre il mio cuore pulsa più insistentemente, facendomi
sentire
disarmata e priva di equilibrio. All'impeto
del primo momento, però, si era sostituita una fase
più riflessiva
e quasi intima, interiore, in cui mi sono scavata dentro, iniziando a
prendere coscienza di ciò che avevo fatto. In
qualche contorto modo il mio cervello mi riporta a pensare a quei
momenti, le parole della discussione tra lui e suo padre che mi
investono l'attimo dopo, risultando quasi marchiate a fuoco sulla mia
pelle, indelebili e incapaci di essere cancellate. Di
conseguenza, anche i minuti subito dopo mi tornano in mente,
provocando un accentuarsi della stretta che mi stringe lo stomaco,
spezzandomi il fiato in gola. Sospiro,
socchiudendo leggermente gli occhi mentre i ricordi di ciò
che mi ha
detto Andrew mi scuotono vigorosamente. Ed
irrazionalmente proprio quei momenti si proiettando davanti a me,
concretizzandosi fin quasi a diventare reali e tangibili con mano. Semplicemente,
mi ritrovo ad esserne assorbita, a riviverli, senza poter opporre
alcuna resistenza. -
Parliamo -
Una
istantanea e violenta fitta di lancinante ansia ed agitazione mi
trafigge prepotentemente, perforandomi il petto da parte a parte,
facendomi mancare irrimediabilmente un battito. Il
respiro mi si blocca letteralmente ed istantaneamente in gola,
spezzandosi e raschiandola, finendo di fatto per farla bruciare
leggermente, causandomi una frustrante sensazione di fastidio. Persistendo
nel guardarlo dal basso, sbigottita e pallida, rimango immobile,
seduta con la schiena dritta e contratta sulla poltroncina in pelle
di fronte alla scrivania, non riuscendo per un attimo a ribattere
nulla. Non
una parola, non un sussurro o una frase. Niente di niente. Non
ci riesco, quasi come se fossi impossibilitata a farlo, qualcosa di
invisibile e corposo che me lo impedisce sibillinamente. Unicamente,
resto così a fissarlo, fondendo i nostri sguardi,
specchiandomi nei
suoi occhi cerulei nel tentativo vano e incerto di comprenderlo e
decifrarlo, senza, però, riuscirvi. Un
alone di impenetrabile e corposa imperscrutabilità, infatti,
adombra
leggermente le sue iridi, permeando i suoi lineamenti e rendendolo
quasi neutrale, solo una fulminea scintilla che mi fa intuire come un
tumulto di emozioni si stiano agitando anche dentro di lui,
dimenandosi. E
questo, in qualche contorto modo, mi rassicura e intimorisce al tempo
stesso, spaventandomi. Vuole
chiarire? Mi tartasso mutamente subito dopo, chiedendomelo
nitidamente mentre questa sua laconica affermazione, un misto di un
imperativo e di un gentile invito, mi rimbomba dispettosamente in
testa, causandomi una soffocante sensazione di stordimento. Deglutisco
a fatica, stringendomi leggermente tra le spalle quasi
nell'irrazionale tentativo di mettermi sulla difensiva mentre,
finalmente, rispondo, seppur indirettamente e con un gesto piuttosto
che con le parole. Muovo,
difatti, la testa su e giù, acconsentendo debolmente mentre
la
sensazione di angustia si riversa a fiotti nelle mie vene,
così
bruciante e devastante da risultare quasi un terribile veleno. Attimo
dopo attimo, intossicante entra sempre più in circolo,
permeando
ogni singola cellula del mio corpo e togliendomi di fatto ogni
briciolo di lucidità che mi rimane. La
annienta, lasciandomi in balia della mia passionale e struggente
emotività. Nonostante
il mio consenso, Andrew, tuttavia, non dice assolutamente nulla,
persistendo nel rimanere chiuso nel suo ostinato mutismo, stupendomi
mentre una espressione tetra e per nulla sollevata capeggia sul suo
volto. Istintivamente,
aggrotto leggermente la fronte, scrutandolo di sottecchi e
accuratamente, la voglia e il bisogno di leggerlo in modo nitido e
senza ambiguità che mi dilania. Nonostante
la positività del chiarimento che ha avuto solo qualche
attimo fa
con suo padre, difatti, non risulta per nulla rallegrato, come se i
suoi problemi fossero rimasti intatti e irrisolti. Appare,
anzi, maggiormente incupito, quasi come se i suoi tormenti non
fossero diminuiti ma aumentati. Ed
irrazionalmente mi ritrovo a chiedermi a cosa sia dovuto questo suo
sconvolgimento.
È
dovuto allo shock o sotto vi è altro? Boccheggio
confusa, stringendo appena le dita e finendo di fatto per arricciarle
sulle mie cosce, i polpastrelli che vengono debolmente solleticati
dal tessuto lievemente ruvido del jeans senza, però,
provocare
alcuna piega o arricciamento. Umettandosi
le labbra in un gesto nervoso, Andrew si porta poi una mano dietro la
nuca l'attimo dopo, muovendosi contemporaneamente lievemente sul
posto, inquieto. Passa,
difatti, crucciato il palmo contro i suoi corti capelli,
scompigliandoli in modo quasi nevrotico, mentre sospira
accoratamente, quasi facesse fatica a dare un senso razionale ai
pensieri e a metterli in ordine, formulando un commento. Allontana
poi lo sguardo dal mio l'attimo seguente, puntandolo in una direzione
indistinta che non riesco a intercettare, la linea della mascella
dura e contratta che mi provoca un senso di ansia. Una
morsa stringente mi attanaglia simultaneamente, risultando quasi come
un pugno alla bocca dello stomaco. Ed
in qualche modo tutta questa attesa e questa atmosfera ombrosa non
fanno altro che irritarmi, esagitandomi ulteriormente. Incapace
di rimanere seduta e ferma, mi muovo concitatamente sul posto, la
tachicardia che mi suscita una percezione di precarietà
mentre
domande su domande si ammassano le une sulle altre, annodandosi
inevitabilmente. Ignorandolo
sfacciatamente, mi porto seccamente indietro una ciocca di capelli
castana, spostandola bruscamente dal mio volto pallido con un gesto
così stizzito da apparire quasi impregnato di rabbia mentre
sprofondo tra le mie elucubrazioni, venendone di fatto sommersa. Perchè
non parla ed esita? Mi ritrovo a domandarmi una manciata di secondi
dopo, non riuscendo a capire questo suo mutismo nonostante la
premessa che ha fatto, facendomi chiaramente capire la sua
volontà
di discutere. Si
aspetta che lo faccia io o, semplicemente, non riesce a trovare il
modo giusto per esprimere ciò che deve dire? Mi innervosisco
sempre
di più, un bruttissimo presentimento che prende velocemente
possesso
di me, assorbendomi e risucchiandomi. Spezzando
in tronco il filone privo di logica delle mie considerazioni,
tuttavia, Andrew mi richiama subito dopo, portandomi ad inclinare il
capo nella sua direzione nel tentativo di guardarlo, rivolgendogli
una fiammeggiante occhiata, tra l'arrabbiato e lo sconcertato, da
sotto le ciglia nere. Meravigliandomi,
infatti, lui si muove all'improvviso, compiendo una secca e brusca
falcata in avanti, facendomi quasi sperare per un attimo che mi
raggiunga, che mi tocchi. Purtroppo,
però, ciò non accade dal momento che mi supera,
solo lo spostamento
d'aria che suscita che mi sfiora insieme al suo odore sfocato,
lasciandomi con le palpebre socchiuse e l'ossigeno trattenuto a forza
nei polmoni. Le
mie speranze istintive si frantumano contro la verità dei
fatti,
sgretolandosi inevitabilmente e lasciandomi addosso quasi un senso di
amarezza, sottile e denso al tempo stesso. Aggirando
di fatto la poltroncina nera su cui sono seduta, non mi degna
ulteriormente di alcuna parola o cenno, sembrando quasi indifferente,
mentre i sui passi rimbombano debolmente nel silenzio della stanza,
frantumandolo. Con
la postura tesa e una smorfia alterata raggiunge mutamente l'angolo
bar dell'ufficio di suo padre, costituito da un semplice tavolino in
cristallo trasparente posto vicino alla vetrata, alla mia sinistra,
su cui spiccano alcune bottiglie di liquore e un paio di bicchieri
squadrati. Corruccio
simultaneamente le sopracciglia scure mentre un poderoso
disorientamento mi coglie tagliente, stordendomi e portarmi a non
capirlo.
Chiuso
nella sua testarda reticenza, Andrew vi si ferma affianco, allungando
subito dopo la mano pallida in avanti, le dita che vibrano appena
nel vuoto, tradendo la sua incerta indecisione nel scegliere cosa
bere, il panorama di New York fa da sfondo a questo momento. Espiro,
il cuore che persiste a pulsare scalmanato nella mia cassa toracica,
infastidendomi. Con
un gesto veloce e apparentemente distratto, agguanta poi una delle
tante bottiglie, passandole in rassegna con uno sguardo veloce e
svitandone celermente il tappo nel tentativo di aprirla, lasciandolo
cadere sul piano con un sonoro e acuto tintinnio. Whisky,
adocchio brevemente l'istante seguente, tentando di scorgerne
l'etichetta scura con una occhiatina sbieca, riuscendovi a fatica a
causa della posizione non propriamente ottimale in cui sono. Irrazionalmente,
raddrizzo la schiena mentre stringo le labbra in una linea netta, per
nulla contenta di questa cosa e del suo continuare a non dire
assolutamente nulla. Non
mi entusiasma, infatti, il fatto che stia continuando a rifugiarsi
nell'alcool, evitando questa discussione così agognata,
soprattutto
visto la delicatezza di questa circostanza e del mio bisogno
lancinante che ho di chiarire. Gonfio
le guance in un muto sbuffo che non concretizzo mentre, intanto, lui,
con una incredibile calma, si versa il liquore, il liquido
trasparente e appena ambrato che riempie velocemente il bicchiere ben
oltre la metà. Indispettita,
arriccio la punta del naso, i miei occhi che lo fulminano torvamente
a distanza mentre Andrew persiste nel non voltarsi, facendo quasi
come se io non ci fossi. Con
una mossa semplice e morbida, elegante, la riposa l'attimo dopo,
portandosi il drink velocemente alla bocca per prenderne una vorace
boccata, sentendone probabilmente il desiderio. Ed
è proprio questo in qualche modo a spingermi a parlare
subito dopo,
non facendomi resistere ulteriormente. La
mia voce non vacilla minimamente nonostante l'angoscia e il
turbamento che mi abitano e che la pervadono, suonando nitida e
cristallina. -
Non credi di aver già bevuto abbastanza? - lo richiamo
improvvisamente con questo semplice mormorio vagamente ironico,
suonando più pacata e controllata di quanto io non sia in
realtà,
apparendo quasi calma. Complimentandomi
quasi con me stessa per non essere apparsa fragile e destabilizzata,
alzo orgogliosamente il mento, non spostando neanche di un millimetro
il mio sguardo da lui mentre, di fatto, interrompo la sua bevuta. Stupito
dalla mia affermazione, lui si gira verso di me l'attimo seguente e
quasi di scatto, trafiggendomi con i suoi occhi azzurri appena
assottigliati, resi ancora più lucidi e profondi dal suo
essere un
po' ubriaco. Cosa
che decisamente complica la circostanza, realizzo mestamente mentre
le nostre pupille si sfiorano, incontrandosi finalmente. Non
vergognandomi di mostrargli il disorientamento che sento e
ciò che
provo, sostengo la sua occhiatina, consentendomi unicamente di
sospirare in modo flebile. Deglutendo
quasi a disagio, lui rimane con il braccio sospeso a mezz'aria per
una frazione di secondo, osservandomi leggermente sbigottito, quasi
come se non si aspettasse assolutamente questo mio attacco frontale e
diretto, inaspettato. Con
le guance arrossate e bollenti non aggiungo null'altro nonostante il
mio cervello risulti affollato di idee e quesiti, limitandomi ad
attendere e sentendomi contemporaneamente sempre più
asfissiata da
questa tensione. Andrew
piega le labbra in un ghigno un po' noncurante e un po' sarcastico
l'attimo seguente, apprestandosi a ribattere. -
No, devo … mm processare un attimo quello che mio padre mi
ha detto
– bofonchia lui in risposta, giustificandosi e stringendosi
debolmente tra le spalle, ancora fasciate dalla giacca dell'abito blu
scuro che indossa. Mastica
quasi a fatica le parole tra i denti, sussurrandole sbiaditamente,
mentre agita in contemporanea la mano nel tentativo di sottolinearle
goffamente, il liquore che si scontra contro le pareti in cristallo
del bicchiere, bagnandole. Decisamente
non soddisfatta, mi incupisco, guardandolo male. Un'ombra
scura e un po' mesta, cala poi repentinamente sui suoi tratti nel
momento stesso in cui allude sfacciatamente a ciò che
è accaduto,
adocchiandomi eloquentemente senza, tuttavia, smuoversi. Sentendomi
quasi a disagio dinnanzi a questo suo commento, mi paralizzo mentre
una strana quiete cala nuovamente su di noi dal momento che lui non
aggiunge altro, tornando a sorseggiare il suo whisky con una estrema
lentezza, assaporandolo totalmente come se fosse la cosa più
naturale del mondo e non un semplice sfogo momentaneo. Ed
è proprio ora che un pensiero mi attraversa celermente la
mente,
ghiacciandomi. Forse
sono di troppo, mi dico subito dopo, rimuginando su quanto lui voglia
davvero parlare con me o rimanere da solo. E
questa seconda possibilità diventa sempre più
plausibile e
concreta, portandomi ad alzarmi bruscamente l'attimo seguente, quasi
in modo istintivo e veemente. Di
conseguenza, la poltrona stride appena contro il parquet, anticipando
la mia frase. -
Allora, ti lascio un po' da solo – soffio sicura ed incerta
insieme
dopo una manciata di secondi, riprendendo a parlare quasi timidamente
mentre il mio risulta unicamente un soffio, così basso da
risultare
quasi impalpabile. Torturando
nervosamente il bordo del mio cappotto compio poi un passo in avanti,
abbassando gli occhi sbarrati mentre percezioni diverse si agitano
dentro di me, dilaniandomi. La
volontà che non mi mandi via, infatti, si scontra contro la
necessità di agire, facendomi sentire divisa tra bisogni
differenti
ed essenziali. Mi
fa sentire fuori luogo in questa stanza al momento, quasi come se la
mia presenza non gli facesse poi troppo piacere e non lo rendesse
più
leggero. E
questa perplessità non fa altro che peggiorare il mio umore
nero,
provocandomi una stizzita fitta di melanconia. Con
questa consapevolezza ad appesantirmi il cuore, tuttavia, non indugio
ancora, apprestandomi velocemente ad abbandonare la camera. Infatti,
aggiro con semplicità la poltroncina, allontanandomi, di
fatto,
dalla scrivania nel tentativo di raggiungere celermente la porta. A
dispetto delle mie aspettative, però, non ho praticamente il
tempo
materiale di farlo dal momento che Andrew reagisce veementemente. Lui,
cogliendomi, difatti, in contropiede, mi anticipa bruscamente, non
permettendolo. -
No! - si oppone con stupefacente impeto e forza, alzando appena il
tono di voce di una ottava mentre sbarra le palpebre, fissandomi
insistentemente, portandomi di conseguenza a bloccarmi
improvvisamente, disorientata dalla suo modo di rivolgersi a me. Arresto,
così, la mia nevrotica camminata, fermandomi esattamente al
centro
dell'ufficio, pochi passi che mi dividono sia da lui che dall'uscio,
mettendomi davanti ad un bivio, due scelte opposte. Scioccata
dal suo modo passionale e quasi duro, faccio scivolare la mia
occhiata sui suoi lineamenti, l'ennesimo gesto enigmatico che compie. Inquieta
ed esagitata, non sapendo assolutamente cosa fare, se assecondare lui
o il mio sesto senso, rimango rigorosamente immobile, intimandomi di
calmarmi. Inspirando
una profonda boccata tento poi l'attimo seguente di farlo almeno in
minima parte, intimandomi perentoriamente di tranquillizzarmi. Persistendo
nell'alimentare il nostro gioco di occhiatine, lo scruto sbigottita e
sgomenta, non dicendo nulla in risposta, non osando muovermi per non
spezzare questo inconsueto equilibrio. Andrew,
comprendendo forse la troppa intensità con cui ha esordito,
si
umetta la bocca l'attimo dopo, espirando seccamente prima di
riprendere a parlare nervosamente, nonostante una invisibile punta di
carezzevole dolcezza impregni il suo timbro. Semplicemente
lo rende in qualche modo diverso. -
No, resta – mi invita ancora con un sospiro debole e fiacco,
una
emozione intensa che campeggia nelle sue iridi, illanguidendole e
rendendole contemporaneamente più profonde, quasi senza
fine, senza
che io riesca ad afferrarne il senso. La
portata di sentimenti che si trascina dietro e che ne scaturisce,
infatti, rimane indecifrabile, non consentendomi di comprendere
ciò
che gli frulla in testa in questo momento. Ancora,
mi affliggo, esitando. E
lui sembra quasi percepirlo, forse a causa del suo conoscermi
così
bene o forse, unicamente, per un colpo di fortuna. –
Per
favore - mi prega,
finendo quasi per insistere e inclinando appena simultaneamente il
capo, il bisogno che io lo faccia che emerge chiaramente dal suo modo
di dirlo, di mormorare questo semplice sussurro mentre la sua postura
si appesantisce. Ed
io cedo il millesimo di secondo dopo, non riuscendo a negarglielo e
abbandonandomi di fatto alla morsa di tenerezza che questo suo modo
così incomprensibile mi ha suscitato, una stretta che mi
stringe il
cuore. La
stessa che è dovuta all'amore divorante che provo nei suoi
confronti. Questo
muscolo traditore, infatti, nonostante tutti i dubbi e le sibilline
incertezze, continua a sbattere violentemente nel mio petto per
lui, rispondendo in automatico alla sua vicinanza
e alle
sue frasi. Senza
dire niente, annuisco appena, quasi cedevolmente mentre,
specularmente, la necessità di discutere e chiarire cresce
sempre
di più, ad iperbole, raggiungendo il suo apice nel momento
stesso in
cui lui torna a bere, facendomi scoppiare. Mi
spinge, difatti, a ribattere, incalzandolo e aprendogli
contemporaneamente una porta sulle mie considerazioni, non riuscendo
più a sopportare questa lenta staticità e
desiderando unicamente di
porvi fine. Senza
quasi riflettere da che parte iniziare, spezzo nettamente la quiete. -
Questa mattina non ho capito subito il senso della tua conferenza
stampa – affermo di punto in bianco mentre mi torturo le
mani,
spiegazzandole quasi nel tentativo di dare almeno parzialmente sfogo
all'angoscia che mi pervade. Seppur
con un leggero imbarazzo ad intaccare la mia onesta
sincerità
mormoro queste frasi, stringendomi tra le braccia mentre non smetto
neanche per un attimo di fissarlo, sentendomi quasi incapace di non
farlo. Dubbiosamente
stordito, Andrew rimane immobile, un'espressione stralunata stampata
in faccia, aggrottando appena la fronte mentre incassa
simultaneamente il capo tra le spalle, non muovendo un passo in
avanti o un muscolo. Non
si avvicina, infatti, persistendo nel lasciare intatta la distanza
che ci divide, incredibilmente dolorosa nonostante siano solo pochi
centimetri, poco più di un metro. Resta
semplicemente in ascolto, il suo sguardo azzurro che scivola sui miei
tratti pallidi e stanchi mentre una ciocca di capelli mi offusca
parzialmente la vista, non venendo, però, scacciata o
scostata. Non
chiedendomi perchè io sia partita proprio da questo, tento
subito
dopo di continuare il discorso seppur con qualche fatica. -
Non... - inizio una frase, non portandola, però, a termine
per una
manciata di secondi mentre alzo gli occhi al cielo, non riuscendo a
combattere il magone che improvviso mi scuote – Inizialmente,
io
non sono riuscita a capire il motivo che ti ha spinto a rinunciare ai
fondi statali per il tuo progetto – mi spiego meglio,
accorata
mentre quelle stesse incomprensibili domande riemergono facilmente,
tornando a galla. Esattamente
come allora, taglienti mi trafiggono, affondando spietatamente dentro
di me, attimo dopo attimo sempre di più senza che nessuna
risposta
le plachi o le annulli totalmente. In
simultanea, anche le memorie di quegli attimi turbolenti tornano a
tormentarmi sibillinamente, non lasciandomi scampo e opprimendomi
maggiormente, finendo quasi per sconfortarmi. -
Ci ho pensato davvero molto – gli confido mesta senza che lui
dica
nulla, rivelandomi uno spiraglio dei miei tormenti – Mi sono
chiesta se fosse dovuto al tuo volerne uscire pulito o se fosse
solo una tua ammissione indiretta di colpa, mascherata da altro
–
mormoro, deglutendo mentre gesticolo, agitando appena le dita in aria
- Poi, però, ho iniziato lentamente a rendermi conto del
reale
motivo delle tue azioni – sospiro quasi pesantemente, la
consapevolezza dei suoi atteggiamenti che risulta quasi un gravoso
macigno per me, piovendomi spietatamente addosso. Prendo
un traballante e tremolante respiro, esitando, mentre il petto si
alza in modo anomalo e aritmico, sollecitato dal mio ansare in modo
sconclusionato. Sempre
più sconcertato, lui arriccia le labbra, non
interrompendomi,
tuttavia, mentre io abbasso il capo, perdendomi per un attimo tra le
sensazioni che tutto ciò mi causa, prima di rialzarlo,
guardandolo
in modo sicuro e determinato, sincero. -
Ho capito che lo hai fatto per me
– trovo il coraggio di dirgli mentre calco volutamente
sull'ultima
parola, enfatizzandola con una incredibile e stupita
ingenuità,
risultando quasi incredula
La
certezza di non essermi sbagliata arriva esattamente l'attimo
seguente, bruciandomi sulla pelle. Una
fugace scintilla di consapevolezza, difatti, attraversa celermente le
sue iridi, confermando i miei sospetti. –
Quindi,
beh, grazie –
mormoro nuovamente quasi timidamente, il senso di imbarazzo e disagio
che mi pervade ancora, facendomi sentire quasi fragile e senza
barriere sotto il suo adocchiarmi sbieco. E
il fatto che io non riesca ad intuire cosa stia pensando non fa altro
che peggiorare questo mio stato d'animo, turbandomi interiormente. Quasi
messo in difficoltà dal mio goffo ringraziamento lui abbassa
il
capo, facendo semplicemente spallucce. Stupendomi
un po', difatti, non dice nulla, ondeggia semplicemente la mano che
stringe ancora il bicchiere, alzandolo al mio indirizzo quasi in un
muto brindisi. Un'ombra
triste, tuttavia, persiste ad adombrarlo, rendendolo serio e
malinconico, abbattuto, mentre io continuo ad assillarmi. E,
nuovamente, la spinta ad agire mi giunge dal suo mutismo, portandomi
ad abbandonare la controllata pacatezza che mi sono imposta fino ad
ora mentre compio una paziente falcata in avanti prima ancora che
possa pensarlo. Determinata
a ricevere una spiegazione, mi fermo al suo fianco mentre il suo
profumo, contemporaneamente, mi solletica debolmente le narici. Quasi
beandosi del mio fissarlo insistentemente, però, Andrew non
si
scompone, non voltandosi e non accennando minimamente all'argomento
mentre le sue pupille rimangono fisse su quel poco di liquore
presente sul fondo del bicchiere. Una
poderosa ondata di irritazione mi porta ad allungare subito le dita
in avanti, afferrandolo di istinto, il freddo del cristallo che mi
solletica debolmente i polpastrelli. Delicatamente,
glielo sfilo con
un gesto
controllato, appoggiandolo all'istante sul ripiano del
tavolino. Non
ho, infatti, decisamente, alcuna intenzione di passare il tempo a
guardarlo mentre si ubriaca. Anche
perchè non ne ha assolutamente bisogno, sospiro l'attimo
dopo,
rendendomi conto di come tutto questo sia frutto unicamente di un
grande, grandissimo, malinteso. Irrazionalmente,
la mia occhiataccia si addolcisce impercettibilmente, assumendo una
sfumatura più quiete e amorevole mentre il desiderio di
calmarlo e
farlo stare meglio mi pungola, nascendo dal profondo. Lo
stesso che funge da input, portandomi a parlare quasi con tono basso,
come se avessi il timore di disturbarlo. -
Non ti serve bere, Andrew – mormoro, il mio commento che
fuoriesce
come un labile sussurro mentre lui alza finalmente il capo,
rivolgendomi uno sguardo afflitto e provato, non comprendendo appieno
il significato del mio sussurro volto in qualche modo a placarlo
–
La situazione si è risolta – gli ricordo ancora,
inclinando
leggermente il viso nel tentativo di studiarlo in modo più
agevole
in viso, cercando di sorridergli. Ci
riesco, però, solo pallidamente, non riuscendo a risultare
naturale
e spontanea a causa del mio stato sentimentale non proprio
equilibrato e stabile. Andrew,
tuttavia, vi si sottrae l'istante dopo, allontanando di nuovo le
pupille dalle mie mentre stringe la bocca, riducendola ad una linea
contratta, non apparendo per nulla sollevato. Tutt'altro. E
questo suo modo di fare acuisce il mio smarrimento, la soluzione che
scivola sinuosamente via, risultando di fatto inafferrabile. Prima
ancora che io possa insistere, però, Andrew si muove,
compiendo un
passo indietro, ritraendosi da me. E
mi ferisce. A
questa sua maniera una fitta di sofferenza mista a delusione,
infatti, si insinua prepotentemente dentro di me, addolorandomi ed
imbrigliando la mia voglia di toccarlo. Visibilmente
scombussolato e sconvolto, lui si avvicina poi mestamente alla
vetrata, non ribattendo assolutamente nulla, il suo soffio frustrato
e quasi impotente che sferza l'aria. Quasi
a volermi celare la sua reazione e ciò che pensa, si gira
poi
l'attimo dopo, studiando un punto indistinto nel panorama, dandomi di
fatto le spalle. Troppo
testarda e decisa a risolvere per desistere, tuttavia, e facendomi
contemporaneamente coraggio, infierisco ancora, continuando
ottusamente con il mio discorso, sempre più simile ad un
monologo. -
Hai anche chiarito con tuo padre e riallacciato i rapporti –
gli
dico, raggiungendolo con un solo balzo, la suola dei miei stivali che
produce un rumore sordo non appena si scontra con il parquet
– E
potrai portare avanti anche il tuo sogno – aggiungo subito
dopo,
appoggiando impulsivamente la mano sulla sua schiena ampia dopo un
attimo di esitazione, il mio palmo che vi aderisce perfettamente
–
Non hai motivo di ubriacarti – gli ripeto sibillina,
sottolineando
il concetto. Un
leggero tremolio attraversa il mio tocco, non rendendolo,
però, meno
determinato. E
il contatto con il suo corpo dopo così tanto tempo
è devastante,
letteralmente. Il
mio cuore manca una palpitazione, prendendo a sbattere più
intensamente nella mia cassa toracica, pompando il sangue
così
velocemente nelle mie vene da provocarmi quasi un ronzio alle
orecchie, disarmandomi. Un
istantaneo brivido, poi, mi scuote, attraversandomi da capo a piedi
fino a rizzarmi i capelli sulla nuca, destabilizzandomi. Annaspo,
riuscendo a fatica a controllarmi, a non far esplodere e prendere il
sopravvento il sentimento che provo nei suoi confronti. Così
forte e concreto, oggi più che mai. Socchiudo
le palpebre fin quasi a chiuderle totalmente mentre lo percepisco
contrarsi sotto il mio vezzeggiamento appena accennato, persistendo
nel non proferir parola, desolandomi. -
Hai portato tutto a termine al meglio, tutti i tuoi progetti
–
insisto dopo una manciata di secondi di sconforto, il silenzio
corposo che ci avvolge che sembra quasi dilatare all'infinito il
tempo, cristallizzandosi inevitabilmente – Tutto quello che
volevi
– aggiungo, il mio tono che inevitabilmente perde di
consistenza,
abbassandosi sempre di più. Quasi
fulminato, scottato da questa mia affermazione
Andrew si volta di scatto l'attimo dopo. Ed
io istintivamente mi ritrovo a chiedermi se sia semplicemente a causa
dell'alcool o per via di altro,
non essendo di fatto in grado di celare dietro un muro di confusione
l'amore che provo per lui.
Non
questa volta. Ed
è proprio mentre io brancolo nel buio che lui mi spiega la
sua
tristezza, parlando e cogliendomi totalmente di sorpresa, lasciandomi
basita e sconvolta. -
E nel farlo ho perso te – sussurra desolato e sconsolato, la
voce
ridotta ad un soffio tagliente ed impregnato di melanconica
consapevolezza, spezzandomi letteralmente il fiato in gola mentre si
specchia nei miei occhi. Violentemente
interdetta, sbarro i miei mentre la sua frase mi rimbomba in mente,
lasciando dietro di se un vuoto divorante, una voragine. Panico
e stupore si mischiano sibillini, dando vita ad una sensazione nuova
e inconsueta, esagitandomi convulsamente. Disorientata,
lo guardo a bocca aperta, aggrottando la fronte, addolorata quasi
specularmente. Pensa
questo, di avermi persa? Mi domando onestamente scombussolata, non
riuscendo a capire da cosa derivi questa sua apparente convinzione,
assolutamente infondata. Sentendomi
quasi ghiacciata sul posto, mi accorgo di aver contratto la mano e di
essermi di riflesso totalmente irrigidita unicamente nel momento in
cui percepisco il tessuto della sua giaccia arricciarsi sotto i miei
polpastrelli, venendo di fatto spiegazzata dall'impeto del mio
istintivo movimento. Dischiudo
le labbra con il cervello lento, offuscato dal profondo sconcerto che
questa inaspettata piega mi ha provocato. Scrollo
subito dopo il capo, i capelli che ondeggiano debolmente sulle mie
spalle mentre mi riscuoto, impallidendo dinnanzi al timore che
ciò,
per lui, sia una certezza e non unicamente un dubbio. -
Andrew... non mi hai perso – ribatto prontamente, balbettando
appena il suo nome e finendo ad esitare a causa del turbamento
corposo e denso che mi affligge, stritolandomi tra le sue spire
soffocanti – Anzi – aggiungo ancora sperando
disperatamente di
essere credibile, le palpitazioni che diventano sempre più
sconvolgenti mentre agogno disperatamente di sgretolare e distruggere
questo suo insensato pensiero. Come
fa a pensare una cosa del genere? Mi domando senza riuscire a
capirlo, l'urgenza di dimostrargli il contrario che mi paralizza
quasi, non permettendomi di reagire. Contraddicendomi,
lui muove leggermente la testa in segno di diniego, una ciocca di
capelli che gli solletica la fronte mentre il suo modo di scrutarmi
rimane cupo, torvo e carico di emozioni buie. -
In questi giorni non ti ho mai chiamato e quando lo hai fatto tu non
ho neanche risposto – afferma laconico lui, una smorfia amara
che
fa bella mostra di se sulla sua faccia, mentre la soluzione che tanto
ho aspettato mi viene fornita su un piatto d'argento – Ti ho
allontanata, Emma – aggiunge ancora, quasi a voler ribattere
il
concetto, una espressione afflitta che distorce i suoi lineamenti. E
una fitta di sibilante dolore mi perfora dinnanzi al suo modo di
porsi. Un
sordo nodo mi occlude intanto la gola, facendomi sentire quasi in
mancanza di ossigeno, un senso di soffocamento che mi travolge in
pieno. Ansiosamente
inquieta, faccio scivolare via le dita dal suo corpo, non riuscendo a
mettere in fila le riflessioni, la razionalità che
è venuta
improvvisamente a mancare, provocandomi una sorta di blackout
mentale. Soffio
in modo pesante l'aria tra i denti mentre mi arrovello per trovare un
modo soddisfacente per spiegargli come davvero è la
realtà. Dopo
attimi di panico, opto così semplicemente per la pura
verità,
tornando a guardarlo con una occhiata onesta, tagliente. -
E' vero, hai cercato di allontanarmi – infierisco, la voce
che
traballa appena nel ricordare come non mi abbia praticamente cercata,
finendo quasi per ignorarmi, dandogli di fatto ragione mentre
deglutisco. Come
colpito dal mio essere seria e implacabile, lui contrae appena la
mandibola, tentando ostinatamente di non far trasparire ciò
che
prova. Sotto
l'impeto di un moto di rabbia e frustrazione il ragionamento che mi
ero prefissata di fare che si spezza inesorabilmente, venendo
bloccato sul nascere da un quesito petulante che non freno,
palesandoglielo. -
Perchè non mi hai cercato Andrew? - gli chiedo l'attimo
seguente,
divorata dai dubbi e sentendomi quasi incapace di continuare a
parlare senza prima ricevere questa risposta, cedendovi. Aspettandosi
probabilmente questo interrogativo lui prende una boccata di
ossigeno, ribattendo. -
Non l'ho fatto perchè non sapevo cosa dirti – mi
dice subito, non
indorandomi minimamente la pillola e risultando concreto –
Non
sapevo come spiegarti la situazione e avevo paura che non mi avresti
creduto – conclude, abbassando gravemente il capo mentre
ammette
questo suo irrazionale timore, non ponendo alcun filtro tra me e lui. Vagamente
infastidita, gli rivolgo una lunga occhiata quasi offesa,
indispettita dal fatto che lui abbia anche solo potuto pensare una
cosa simile. Faticando
a trattenermi, continuo. -
Quindi per paura di questo
hai
preferito allontanarmi?
- lo incalzo di nuovo, risultando quasi rabbiosa mentre calco
volutamente su “questo”, aggrottando
contemporaneamente le
sopracciglia, corrucciandomi amareggiata. È
questo che lo ha frenato? È stata questa stupidaggine ? Non
ribattendo a voce, Andrew lo fa con i gesti, annuendo unicamente. Tentando
di quietarmi almeno un minimo lo guardo a bocca aperta, cercando di
aggrapparmi disperatamente a quel poco di raziocinio che mi resta. -
Potevi semplicemente spiegarmi la circostanza, Andrew – lo
ammonisco, tra il dolce e il rattristato, il bisogno di stringermi a
lui che cresce in modo così esponenziale da rendermi
demoralizzata –
Io
ti avrei creduto,
dannazione – impreco mentre il mio tono si incrina,
indicandomi
veementemente il petto con l'indice, rendendomi conto di come tutto
questo, alla fine, sia unicamente frutto di fraintendimenti. Come
se qualcuno avesse dispettosamente rovesciato dell'acqua sulla tela
del nostro rapporto, tentando di inzupparla e distruggerla, abbiamo
perso tempo a nasconderci dietro insicurezze e il banale bisogno di
scoprire di chi fosse la colpa, finendo di fatto per dimenticarci di
asciugarla. Deglutisco,
squadrandolo attentamente e riuscendo a leggere sul suo volto lo
stesso identico rammarico che provo anche io, la voglia di
abbandonare questa discussione per rituffarci una volta per tutte tra
le braccia dell'altro. Perchè,
nonostante tutto e tutti, il nostro ritratto ha retto, risultando
impermeabile. Non una goccia, non uno schizzo lo ha inumidito,
lasciandolo praticamente intatto. A
dispetto della mia speranza di tranquillizzarlo con questo bonario
rimprovero, tuttavia, Andrew appare sempre più sconvolto,
innervosito, finendomi per rendermi di riflesso ugualmente contratta. -
Ti sarebbe sempre rimasto il dubbio – ribatte cocciutamente
lui,
alludendo alla irrealizzata possibilità di un confronto in
quegli
istanti immediatamente successivi allo scandalo, portandomi a
sbuffare seccamente nel tentativo di dissentire – Non era
quello
che volevo, Emma – mi rivela, terminando e lasciandomi sempre
di
più senza fiato. -
E quindi hai preferito prenderti la colpa anche per mio padre
– lo
fulmino con una occhiataccia sarcastica, suscitando inaspettatamente
il suo primo vero sorriso da quando l'ho rivisto. Un
piccolo e pallido sogghigno, infatti, lo illumina fiocamente in viso
dinnanzi alla mia smorfia imbronciata e corrucciata, portandolo ad
inclinare il viso mentre il suo modo di studiarmi di addolcisce,
riscaldandomi subitaneamente. -
Se dovevo farlo, tanto valeva fare una cosa in grande stile, no? - mi
dice con una tenera ironia, compiendo simultaneamente un passo in
avanti, avvicinandosi a me e facendomi mancare un battito. Ed
irrazionalmente dalla mia memoria riemerge una situazione simile,
questo stesso ufficio a far da sfondo ad una discussione per certi
versi opposta e per altri uguali a questa. I
ricordi riguardo la conversazione che ho avuto con Adam Senior la
sera del Ringraziamento, quando mi ha rivelato come preferisse
assumersi tutte le colpe e attirarsi così la rabbia di suo
figlio,
mi tornano celermente in testa, portandomi a considerare come
entrambi, a volte, preferiscano assumersi responsabilità non
proprie
pur di far star bene gli altri. Deve
essere un lato del loro carattere, un modo di essere che caratterizza
entrambi e che li spinge a prendersi responsabilità non
proprie. -
Tu e tuo padre avete più cose in
comune di quanto crediate
– sibilo, roteando gli occhi al soffitto senza riuscire ad
impedirmi di provare un moto di amorevolezza, maledicendo la loro
cocciutaggine. Un
po' compiaciuto e un po' divertito da questo inconsueto complimento
lui ridacchia, apparendo improvvisamente più rilassato, le
ombre
delle sue perplessità che, però, persisto
nell'oscurarlo appena,
inevitabilmente. -
Forse – borbotta in modo confuso - Ma non sperare che io ti
firmi
un assegno, però – scherza mellifluamente,
alludendo a ciò che
suo padre ha fatto poco meno di un'ora fa e tornando a mostrarmi quel
lato acuto e pungente che io adoro di lui. Quello
di cui mi sono innamorata. Persistendo
nel rimanere staticamente paralizzata in una posa difensiva, lo
scruto, un ilare ghigno che mi stende specularmente ed in modo
placido le labbra, curvandole al in su senza che io possa arginarlo. Più
positiva e quietata, annullo totalmente e all'improvviso la distanza
tra di noi, trovandola insopportabile e non desiderando aspettare
oltre. Quasi
di slancio e cogliendolo in contropiede, lo abbraccio, passando
sinuosamente le braccia intorno al suo corpo, stringendomi a lui
così
forte da percepire i muscoli dolere appena mentre affondo il viso nel
suo collo, non riuscendo più a fare a meno di lui. Una
ondata di magone e lacrime mi pervade subito dopo, così
violentemente da portarmi a chiudere irrazionalmente le palpebre,
serrandole, per arrestarle, un intenso scombussolamento interiore
dovuto probabilmente all'insieme di sentimenti che sentirlo
nuovamente contro di me mi suscita. Assolutamente
devastanti, annaspo mentre dopo un attimo di esitazione lui ricambia
la stretta, appoggia con una complice semplicità la guancia
contro i
miei capelli. E,
dopo interminabili giorni di angoscia e ira, torno per la prima volta
a sentirmi nuovamente bene, leggera e sollevata mentre una punta di
sibillino e sincero benessere mi perfora, penetrando le mie membra
con estrema facilità. Mi
sento completa, realizzo dopo un attimo mentre il suo respiro,
leggermente accelerato, è l'unico rumore che solletica il
mio udito,
i suoi palmi posati sulla mia schiena, scossa da un tremolio
impercepibile, che mi rassicurano, facendomi sentire forte e fragile
al tempo stesso. Ed
in qualche assurdo modo è proprio questo a portarmi ad
allontanare
la faccia dall'incavo del suo collo
l'attimo seguente, spingendomi a ricercare il contatto nuovamente con
il suo sguardo. Cosa
che accade il secondo dopo. -
Hai dato fiducia a tuo padre – sussurro con le iridi velate
da un
pianto di gioia e sollievo mal represso, fissandolo intensamente
mentre Andrew aggrotto appena i lineamenti, non capendo forse questo
mio improvviso mormorio – Hai dato fiducia a me nel
raccontarmi la
tua vita – continuo commossa e accorata, risultando quasi un
fiume
in piena, il cervello appannato e il cuore che sbatte freneticamente
nel mio petto – Puoi darla anche a noi? - gli chiedo dopo un
istante, il tono che inesorabilmente si incrina, raddensandosi fin
quasi a bloccarsi a metà frase, suonando quasi
più come una
preghiera che come una domanda. Percepisco
subito dopo i suoi polpastrelli contrarsi appena contro di me,
l'allarmante timore che la risposta sia negativa che non riesce,
però, a cogliermi dal momento che la sua veloce reazione
arrivo
l'istante seguente, prima ancora quasi che io possa cogliere il suo
movimento. Repentinamente,
infatti, Andrew, si abbassa su di me, il suo ansare che anticipa solo
di un millesimo il bacio che mi strappa, appoggiando la bocca
teneramente sulla mia. Meravigliandomi,
difatti, ribatte nell'unico modo in grado di zittire qualsiasi
dubbio, ogni quesito o elucubrazione. Elimina
ogni cosa mentre io mi abbandono a lui, ricambiando con la stessa
delicata dolcezza. E
rimane solo lui. Finalmente. Riemergo
a fatica dai miei ricordi l'attimo seguente con un sospiro leggero e
quasi di sollievo a solcarmi debolmente le labbra dischiuse,
perdendosi nel vuoto, una sensazione dolce e amara al tempo stesso
che le elucubrazioni in cui ero sprofondata mi lasciano addosso. Ancora
sospesa tra passato e presente inspiro un profondo respiro, gonfiando
poderosamente il petto e premendo inevitabilmente, di conseguenza, il
seno contro la scollatura squadrata dell'abito mentre continuo a
mettere un piede davanti all'altro, camminando in una direzione
sconosciuta senza badarvi poi molto. Troppo
sprofondata tra i miei pensieri e con l'attenzione focalizzata
decisamente su tutt'altro, infatti, non ho prestato molto interesse a
ciò che avevo intorno, finendo quasi per ignorarlo e
persistendo
nel vagare per le stanze della galleria quasi senza vedere realmente
i quadri in esposizione, rivolgendogli occhiate annacquate e
appannate. Mentre
mi inoltro nell'ennesimo ambiente mi porto una ciocca di capelli
castani dietro l'orecchio, scostandola dal mio viso con un gesto
veloce delle dita mentre nell'altra mano continuo a stringere la
pochette nera, tenendola abbandonata lungo il mio fianco, la cui
linea questa sera risulta leggermente più sottolineata dal
vestito
aderente, di un nero opaco. Lievemente
sconcertata e confusa, aggrotto poi la fronte l'attimo dopo,
fermandomi esitante sulla soglia mentre mi guardo interessata
intorno, adocchiando l'atmosfera. Scopro,
così, altre opere appese ai muri chiari, cozzando contro
l'intonaco
immacolato mentre mi accolgono con la loro portata di significati
silenziosi e i loro colori sgargianti, impregnando l'aria di arte e
creatività. Una
corposa quiete, intaccata da alcun rumore, continua a circondarmi
intanto, avvolgendomi tra le sue morbide spire, permettendomi di
godermi appieno il momento senza alcuna fastidiosa interruzione. Cosa
incredibilmente catartica, mi mordicchio appena il labbro inferiore,
torturandolo con gli incisi. Un
po' dilettata e un po' affascinata, inclino in seguito il capo,
compiendo una falcata in avanti nel tentativo di raggiungerli per
poterli guardare più facilmente ed in modo più
agevole, i tormenti
che svaniscono improvvisamente. Tuttavia,
il mio incedere si arresta l'istante seguente, arrestandosi
bruscamente del tutto, nel momento stesso in cui le mie pupille si
posano istintivamente ed in modo sbieco alla mia destra, attirate da
un qualcosa di istintivo e sconosciuto che, però, mi
ghiaccia sul
posto. Letteralmente. Il
mio cuore perde un battito nel medesimo attimo in cui scivolano su
una intelaiatura particolarmente famigliare, una cornice nera e
lucida, così semplice da apparire anonima, che ho scelto io
stessa
qualche mese fa. Boccheggio,
incredibilmente sconvolta dal trovarmelo davanti senza preavviso, un
misto di consapevolezza e stupore che si mischiano voracemente dentro
di me, causandomi una morsa allo stomaco che mi gela mentre emozioni
diverse mi dilaniano. Il
mio quadro. Realizzo,
riconoscendolo immediatamente, quasi con una frazione di secondo di
ritardo, come se il mio cervello si fosse improvvisamente impigrito,
faticando a collegare le immagini alle parole e darvi un senso
razionale. Ampio
e dal profilo vagamente rettangolare, si staglia proprio ad una
manciata di metri di distanza da me, circondato da altre due opere
più piccole e astratte, che passano, però,
velocemente in secondo
piano, non venendo assolutamente captate. Un
inconsueto sentimento di compiacimento e soddisfazione, si riversa
intanto a fiotti dentro di me, pervadendomi così celermente
da
inebetirmi, privandomi quasi della facoltà di formulare
qualsiasi
pensiero coerente e lucido. Ammaliata,
quasi colta da un senso di reverenziale soggezione mi irrigidisco,
non riuscendo a placare la tachicardia che mi sconvolge né a
non
sentirmi così nervosa, agitata. Perché,
nonostante io faccia di tutto per fingermi neutrale e tranquilla, mi
sento incredibilmente inquieta. L'idea,
infatti, di essere messa a nudo davanti a degli sconosciuti mi turba
profondamente, facendomi sentire strana e quasi intimorita, spaurita
da un qualcosa di irrazionale ed incomprensibile, quasi ancestrale. A
dire il vero non so neanche come Sam sia riuscita a convincermi a
farlo in effetti, noto mestamente l'attimo dopo, percependo il
nervosismo irradiarsi ad ondate dentro di me, stringendomi tra le sue
spirali senza lasciarmi scampo mentre stralci di quella
conversazione, risalente a una manciata di settimane fa, tornano
facilmente a galla. Risultando
così petulante da suonare frustrante e quasi esasperante,
infatti,
la mia esuberante amica ha iniziato ad instillare questo dubbio
dentro di me non appena mi aveva trovato con le mani sporche di
pittura a dipingere nel bel mezzo del salone di casa nostra. La
sua espressione sgomenta e sbigottita mi strappa quasi un istantaneo
risolino, una punta di divertimento che si infiltra sibillino nel mio
stato d'animo tumultuoso senza, tuttavia, smuoverlo davvero. Piacevolmente
meravigliata, aveva iniziato a tormentarmi praticamente a qualsiasi
ora del giorno, non dandomi tregue e blaterando in continuazione
come la mostra che stava organizzando per lavoro fosse una occasione
perfetta per esordire pubblicamente tra gli artisti. Inizialmente
la mia risposta era stata un no categorico, così deciso e
determinato da risultare quasi brusco e tagliente, accompagnato dalla
sonora e altera intimazione di smetterla all'istante di parlarmene. Lo
stesso in cui forse avevo ammassato le mie paure e le mie incertezze,
troppo destabilizzata e sconvolta dal tutto ciò che era
successo. Un
pallido sorriso mi inclina flebilmente la bocca subito dopo, non
appena ricordo anche come lei non avesse assolutamente desistito,
iniziando ad spronarmi con più insistenza per farmi
accettare ed
ignorando di fatto il mio rifiuto impulsivo. Quasi
presa per sfinimento dai suoi continui commenti, alla fine, mi ero
ritrovata a vacillare, sentendo sorgere lentamente nel profondo il
bisogno di farlo, di mostrare al mondo la mia passione e cosa ero in
grado di fare. Se
da un lato, infatti, quella stessa paura di risultare inadeguata ha
confluito nella timida reticenza a esibire una delle mie sfumature
più private ed intime, dall'altro col passare dei giorni, il
sapore
di questa sfida mi aveva iniziato a soggiogare sempre di
più,
affascinandomi silenziosamente. Un
penetrante tarlo, difatti, aveva cominciato a pungolarmi, picchiando
proprio laddove io ero più sensibile, sul mio lato
più spontaneo e
naturale. Quasi
senza accorgermene, mi sono così ritrovata ad accettare,
venendo
inserita nella lista degli autori debuttanti per la gioia di Sam. Ed
anche la mia. Curvo
al in giù le spalle nel momento stesso in cui decido di
avvicinarmi,
non resistendo oltre, il fiato ancora spezzato in gola, che la
raschia debolmente, e le guance arrossate che continuano a bruciare
sommessamente. Con
una febbricitante eccitazione a impregnare e contrarre ogni singola
cellula del mio corpo mi muovo, raggiungendo la piccola panchina
senza schienale posta al centro della camera. Stringendomi
leggermente tra le braccia mi ci seggo l'attimo dopo con un movimento
fluido e sciolto, mantenendo, tuttavia, la schiena dritta. Accavallando
le gambe e scacciando alcune inesistenti pieghe sulla gonna del mio
vestito con un gesto nervoso dei polpastrelli, alzo subito dopo il
mento, fissando insistentemente la mia opera. Assaporando
la dolcezza di questo momento espiro flebilmente, socchiudendo
impercettibilmente le palpebre mentre ne godo appieno mentre le miei
iridi scrutano avidamente la tela, quasi in modo ansioso. Le
corpose pennellate cariche di colore la macchiano inevitabilmente,
delineando figure e linee che percepisco come incredibilmente intime
e famigliari. Mie. Semplicemente
mi rappresentano, fanno parte di me, mi dico, il mio sguardo scuro
che lo adocchia quasi come se fosse la prima volta. Ed
in un certo modo è così, dal momento che
osservarlo in questo
contesto gli fa assumere una sfumatura differente, quasi più
concreta e reale. È
come se tutte le sensazioni e le percezioni che vi ho investito
assumessero ora un alone di completezza, tutti i tasselli che vanno
ad incastrarsi alla perfezione, dando origine ad un qualcosa di
unitario. Soffio
seccamente l'aria tra i denti, non riuscendo neanche io a decifrare
ciò che provo, sentendomi quasi scombussolata. Decidendo,
però, l'attimo dopo di non focalizzarmi troppo sui consueti
e soliti
dubbi, mi concentro sul ritratto. Su
uno sfondo di un grigio quasi metallico, emergono, infatti, due
figure scure e definite da dei tratti densamente neri, non
permettendo di distinguere alcun dettaglio somatico. Cosa
che ho scelto volutamente di fare, lasciando che un po' di
imperscrutabilità lo oscurasse, permettendo a chiunque di
identificarsi in esso. Non amo, difatti, le opere statiche, chiuse e
con una sola spiegazione. Tutt'altro. L'arte
deve essere in continuo mutamento, ogni schizzo che risulta
incredibilmente importante, andando a costituire una immagine
più
ampia. Una
ragazza e un ragazzo sono poi seduti su una panchina in atteggiamenti
confidenziali mentre davanti a loro compare un muro su cui spiccano
alcune cornici neoclassiche, permettendo di intuire una chiara
ambientazione in una galleria. Ed
in qualche modo è anche un po' ironico, sogghigno divertita,
ricordando perfettamente come avessi inserito volutamente questo
fatto prima ancora di decidere di esporlo, trovando sarcastico il
fatto che un quadro ne rappresentasse altri al suo interno. Tuttavia,
il corposo filone delle mie elucubrazioni viene bruscamente spezzato
in seguito da un mormorio basso e cadenzato, una punta di soddisfatta
allegria che lo pervade e lo rende specularmente più
determinato,
frizzante e vagamente allibito. -
Allora, era
questo il quadro per
la mostra? - questo quesito, un po' stupito e un po' consapevole,
sferza l'aria, frantumando la quiete statica e neutrale che pervade
la stanza.
Istintivamente
e di scatto, mi volto alla mia sinistra, il cuore che schizza in gola
a causa del sibillino spavento che ciò mi suscita mentre il
mio
corpo si contrae irrazionalmente, tendendosi spasmodicamente. I
miei occhi confusi e sgranati incontrano subito una figura mascolina
slanciata e alta ferma sulla soglia, solo a qualche passo di distanza
da me mentre il mio cervello lo riconosce subitaneamente. Andrew. Istantaneamente
delle intense palpitazioni mi colgono, pompando freneticamente il
sangue nelle mie vene e arrossandomi violentemente il volto, le
guance che si scaldano mentre irrazionalmente trattengo il fiato, il
piacere di vederlo che si mischia all'angoscia che provo,
scacciandolo quasi totalmente. La
sua presenza ha l'immediato e incomprensibile potere, infatti, di
calmarmi, quietando con una velocità disarmante, causandomi
un
pallido sorriso. Socchiudendo
leggermente le palpebre sogghigno maggiormente, inclinando appena il
capo di lato mentre gli rivolgo una lunga e penetrante occhiata,
scrutandolo accuratamente. Indicando
con un cenno della testa il mio quadro appeso alla parete non stacca
le iridi cerulee da me, trasparenti e liquide, persistendo nel
tenerle puntate ostinatamente sul mio viso. Mi
sfiora con una carezza invisibile terribilmente bollente e dolce,
scivolando flebilmente sui miei tratti con questo debole e delicato
vezzeggiamento. Deglutisco,
vibrando sotto il suo sguardo adorante e affascinante, stringendomi
appena tra le spalle mentre lui schiude nuovamente la bocca,
muovendola impercettibilmente e riprendendo a parlare, incalzandomi
placidamente. -
Ti rendi conto che hai fatto tutte quelle storie per un'opera che
avevo già visto, vero? - scherza leggermente con tono
ironico,
pungolandomi con questa battutina vera mentre compie simultaneamente
un passo in avanti, avvicinandosi di conseguenza a me. Persistendo
a fissarmi dall'alto e facendomi sentire imbarazzata, infatti, allude
nitidamente a tutte le scuse che ho inventato per non fargli vedere
la tela, né in corso d'opera né al suo termine,
non rivelandogli
neanche il nome e ritrovandomi a nasconderlo praticamente in casa nel
tentativo di celarglielo. Un
po' per scaramanzia e un po' per vergogna, difatti, non gliel'ho mai
mostrato, sottraendomi alle sue insistenze con varie rimostranze. Quasi
colpevolmente e sentendomi contemporaneamente infantile, affondo di
nuovo i denti nel mio labbro inferiore, ribattendo mestamente. -
Si – soffio laconicamente ed in modo mesto mentre lui prende
posto
al mio fianco con un movimento sciolto e pacato, sedendosi vicino a
me. Intanto,
le mie dita torturano avidamente il bordo del mio tubino nero,
spiegazzandolo e alzandolo leggermente. Quasi
intimidita e vergognosa lo osservo ancora silenziosamente, non
aggiungendo null'altro mentre la sua espressione rimane tranquilla e
spontanea, luminosa. Sembra
di buon umore, realizzo dilettata da questa constatazione. Sistemandosi
lievemente meglio, raddrizza poi la schiena, fasciata dalla giacca
dell'abito nero dal taglio classico ed elegante che indossa, abbinata
alla cravatta del medesimo colore che spicca sulla camicia bianca che
indossa. Inevitabilmente,
i nostri corpi si sfiora in un leggero struscio, la mia spalla che
scontra la sua in modo quasi impercettibile. Nonostante questo,
però,
i brividi mi attraversano fugaci e celeri, risultando piacevoli e
deliziosi, velandomi la pelle fino ad accapponarla languidamente. Rilassato,
Andrew mi adocchiata sereno e con un angolo della bocca curvata al in
su in un mezzo sogghigno che gli conferisce la consueta aria
sbarazzina che io adoro e che mi rende quasi imbambolata. -
Ti avevo detto che era un peccato non finirlo – sussurra
morbidamente, in modo basso e mellifluo, riferendosi sfacciatamente
ad un complimento velato. simile ad un consiglio. che mi aveva
rivolto molto tempo fa, oramai mesi. Meravigliata
dal fatto che se ne sia ricordato dopo tutto ciò che
è successo,
accantono per un attimo l'imbarazzo, allargando gli occhi e inarcando
entrambe le sopracciglia scure verso l'alto mentre il suo profumo mi
solletica le narici, stuzzicando il mio olfatto e portandomi
istintivamente a prenderne una lunga boccata, quasi annaspando. Andrew,
infatti, sta chiaramente alludendo a quando è venuto per la
prima
volta a cena a casa mia, un tranello organizzato astutamente da Sam
che mi aveva colto alla sprovvista e totalmente in contropiede. Sospiro
sommessamente, non riuscendo a non sorridere mentre ricordo
l'iniziale sentirmi poco a mio agio dopo la notte di passione che
avevamo furtivamente consumato, stato d'animo che le sue battutine
incalzanti non avevano per nulla smorzato. Tutt'altro. Mentre
mi ritrovo distrattamente a considerare quanto si diverta a
stuzzicarmi, i ricordi di noi nel bel mezzo del mio salotto intenti a
discutere delle tele appese alle pareti riaffiorano facilmente dalla
mia memoria, investendomi in pieno. Le
sue affermazioni, sbigottite e positivamente interdette mi
echeggiano, difatti, in testa, riemergendo facilmente e lasciandomi
addosso una strana sensazione, forse semplicemente quella tipica di
un attimo fugacemente passato. Non
sapevo dipingessi … Si, dipingevo … Ho smesso
… La
affabile incertezza dei suoi quesiti e il mio timoroso ribattere, mi
assorbono momentaneamente con estrema facilità, rendendo il
mio
sguardo per una frazione di secondo più vacuo e sfocato, la
mente
che vaga altrove e le immagini che si proiettano davanti a me,
concretizzandosi fin quasi a diventare reali e tangibili con mano. …
Dovresti
finirlo, sei
brava … Magari un giorno …
Boccheggio,
persa tra i miei pensieri, rendendomi conto di come lui, in qualche
modo, abbia sempre creduto in me e nelle mie potenzialità
fin
dall'inizio, seppur in modo sottile ed indiretto, riservandomi un
incitamento che, ora, appare quasi come una premonizione. Espiro,
curvando leggermente la postura al in giù mentre il dolce
calore di
questa considerazione mi avviluppa nella sua morsa, le farfalle nello
stomaco che si agitano maggiormente, compiendo capriole impensabile e
articolate. Tuttavia,
è Andrew stesso l'attimo dopo a richiamarmi alla
realtà, portandomi
ad alzare di nuovo le pupille sul suo volto e sui suoi lineamenti
pallidi, guardandolo in faccia mentre la sua domanda mi raggiunge in
soffio. -
Perché non volevi che lo vedessi? - mi chiede. infatti,
ingenuamente
sconcertato e incerto, quasi come se non capisse davvero il motivo di
questo mio comportamento apparentemente senza logica. Andando
a toccare un tasto dolente e incredibilmente sensibile, mi ghiaccia
leggermente sul posto, il mio mutismo che persiste ancora per una
manciata di secondi nel non fornirgli una soluzione mentre le nostre
occhiate di sottecchi si incontrano, fondendosi e permettendogli
simultaneamente di scavarmi agevolmente dentro. Non
ho, infatti, alcun muro in questo momento, ogni barriera che si
è
sbriciolata, frantumandosi e dissolvendosi quasi come un castello di
sabbia, lasciandomi nuda e fragile dinnanzi a lui. Quasi
infantilmente e non riuscendo più a reggere il suo sguardo,
lo
sposto dal suo goffamente l'istante seguente, puntandolo nervosamente
in un'altra direzione mentre la verità mi appesantisce,
gravandomi
vigorosamente addosso e schiacciandomi con il suo peso ingombrante e
tagliente. Ed
io non mi nascondo ulteriormente, sussurrandola in modo semplice e
trasparente, privo di filtri. -
Mi vergognavo un po' – ammetto difatti quasi timorosa,
soffiando
così flebilmente le parole tra i denti da farle risultare
inudibili,
portandole a disperdersi nel vuoto rigoroso e altero che ci circonda,
il mio quadro che continua a fare da spettare silenzioso al nostro
chiacchiericcio. Lui
non ribatte subito, portandomi angosciosamente a rialzare il capo per
guardarlo, chiedendomi se ci sia in qualche modo rimasto male o se,
semplicemente, non riesca a capirmi. Cosa
che, infondo, riesco a fare io stessa a stento, arriccio leggermente
la bocca in una smorfia contrita appena accennata, quasi sconsolata
mentre uno strano subbuglio di sensazioni mi esagitano. Inaspettatamente,
non lo trovo, però, infastidito o offeso come temevo, ma,
semplicemente, dubbioso, come se faticasse a comprendere il senso di
questa mia affermazione criptica. Una
strana agitazione, simultaneamente, si insinua intanto tra le mie
pieghe più profonde, facendomi come sentire divisa a
metà tra il
bisogno di parlare e spiegarglielo apertamente e quello unicamente di
rimanere ammutolita. Con
la fronte leggermente aggrottata e le sopracciglia corrucciate lui mi
adocchia, studiandomi insistentemente. -
Ti vergognavi? - ricalca il mio mormorio, portandomi a muovermi
inquieta sul posto, non riuscendo a trovare una posizione quantomeno
comoda mentre lui flette il tono, rendendolo più confuso e
disorientato fino a renderlo interrogativo – Ti ho vista
nuda, più
volte, e ti vergogni di farmi vedere un quadro che ho già
visto per
metà? - quasi incredulo, continua. Rivolgendogli
l'ennesimo occhiatina, annuisco, tornando per un attimo a fissare le
mie ginocchia, che spuntano pallide dall'orlo dell'abito, mentre i
pensieri si affollano nella mia testa, stordendomi e non
consentendomi quasi di trovare un modo di ordinarli, di esprimerli
razionalmente. Semplicemente,
per definire un qualcosa di indefinibile a parole. Realizzandolo
mutamente, qualcosa di più forte e intenso che pulsa dentro
di me,
il cuore che pompa sangue e sentimenti, mischiandoli e rendendomi
inconsapevolmente un mix esplosivo di emozioni e
irrazionalità al
momento. Deglutisco,
la gola secca e chiusa, mentre adocchio il suo profilo con la coda
dell'occhio, le mie dita che si contraggono appena, irrigidendosi fin
o a far sbiancare le nocche. Sospiro
pesantemente, arricciando la bocca e apprestandomi contemporaneamente
a rivelargli ciò che mi ha fatto dannare così
tanto con un sussurro
dolce, intenerito. -
Mi vergogno perchè non è solo un quadro questo...
è qualcosa di
più – affermo con tono traballante e
deciso al tempo stesso,
un tremolio che lo attraversa rendendolo incredibilmente addensato da
diverse percezioni. Esito
appena, rendendomi conto di non riuscire a schiarire il suo
stordimento, peggiorandolo invece che migliorarlo, non essendo quasi
in grado di riuscire a spiegarlo. –
Ed
è così importante per
me perchè... - gesticolo convulsamente, muovendo il polso
con un
movimento rotatorio. Mi
arresto, però, per un millesimo di secondo, le labbra che
rimangono
dischiuse ma ammutolite mentre l'amore che provo per lui scalpita
così forte da annientare ogni presa della mia
razionalità,
annichilendola e rendendo più lucide le mie iridi. Le
sue pupille trovano nuovamente le mie l'attimo seguente proprio
quando trovo il coraggio di parlare di nuovo, permettendomi di
specchiarmici agevolmente. -
E' importante, perché rappresenta la consapevolezza di come
io abbia
bisogno di te nella mia vita – ammetto infine,
disperatamente,
sgonfiando il petto con un sospiro pesante mentre non smetto neanche
per un attimo di guardarlo, rivelandogli forse un qualcosa
più
potente di un ti amo. Trattenendo
ansiosamente il fiato mi mordicchio l'interno della guancia mentre
intravedo chiaramente lo stupore impregnare i suoi tratti e poi
scivolare via, confluendo in un positivo sgomento che mi
tranquillizza e spaventa al tempo stesso. Ed
istintivamente mi ritrovo a chiedermi come abbia preso questa mia
rivelazione, se in modo positivo o negativo, agognando ardentemente
che sia la prima. Nonostante
il mio modo goffo di esprimermi, infatti, quello che ho appena
esternato è un qualcosa di incredibilmente piacevole, il
desiderio
di averlo che si tramuta in una necessità. Boccheggiando,
rimango così immobile, limitandomi unicamente a scrutare
affannosamente la sua reazione nel tentativo vano e incerto di
intuirla. Andrew
sgrana dopo una frazione di secondo di più le palpebre,
quasi come
se avesse compreso solamente ora la portata reale di ciò che
gli ho
appena detto, il respiro che si spezza e accelera all'improvviso che
mi fa nitidamente capire quanto questo lo abbia profondamente
sconvolto. Sempre
più scioccato ed interdetto dal mio improvviso e
sconclusionato
monologo, lui si esibisce in una espressione stordita e disarmata,
decisamente preso in contropiede dalla mia dichiarazione. Scoprendomi
incapace di non rifugiarmi nelle sue iridi, parlo di nuovo,
sentendomi quasi come un fiume in piena, impossibile da arrestare. -
Dopo tutta la situazione dello scandalo e il nostro chiarimento mi
sono resa conto che non sono in grado di stare senza di te –
gli
confido ancora, accorata e candida, rivelandogli un qualcosa che
forse non ho mai avuto il coraggio di dirgli davvero se non con i
gesti, tenendolo gelosamente per me – Non voglio stare
senza
di te – continuo mentre un sibilante magone mi occlude
improvvisamente la gola, rendendomi faticosa la semplice azione di
inalare l'aria. Andrew,
paralizzato, continua a squadrarmi senza dire nulla, comprendendo
forse il mio bisogno di esprimere a voce tutto ciò, solo un
debole
sorriso che curva al in su un lato della sua bocca, rassicurandomi
intimamente. Deglutisco
ancora, imbronciandomi leggermente nel precario tentativo di riuscire
a mettere in fila le lettere, componendo un discorso sensato e
capibile nonostante la stordente confusione di riflessioni che vige
al momento nella mia testa. La
stessa che fatico io stessa a tenere a bada e a freno, un sentimento
su tutti che li zittisce e li agita incomprensibilmente in
contemporanea anche se non riesco a comprendere come sia possibile. –
Mi
sei entrato dentro –
affermo io stessa incredula, scuotendo impercettibilmente il capo e
rendendomi simultaneamente conto di come sia stato proprio questo in
qualche contorto modo a spingermi a dipingere ancora, a far scattare
una molla dentro di me – Sei nelle cose, nelle canzoni e
persino
nel cibo – snocciolo agitata una dopo una le cose e finendo
di
fatto per strappargli un altro debole sogghigno, carico di una
pacatezza disarmante – Sei entrato nella mia vita –
sussurro con
un filo di voce, spezzata ed incrinata – E non riesco
assolutamente
ad immaginarla senza di te - continuo. Faticando
quasi a continuare a causa del grumo di sentimenti che provo e che mi
scuotono deglutisco, esitando per un attimo mentre sbatto le
palpebre, un velo di lacrime che mi offusca dispettosamente la vista,
rendendola appannata e sfocando di conseguenza i suoi bei lineamenti. -
Ed è per questo che ho deciso di chiamarlo Ritratto di te,
nonostante inizialmente volessi chiamarlo Ritratto di me –
mormoro
con un filo di voce, indicando con un cenno del capo il quadro appeso
alla parete, le sue iridi che brillano sempre di più,
inebetendomi
mentre alludo al tormento che ho attraversato per dare un nome a
questa opera – Perché solo questo è
davvero adatto ad esprimere
quanto tu sia importante per me – sussurro. Nessuno,
infatti, apparentemente, sembrava essere adatto, andar bene per
spiegare efficacemente le mie emozioni e i miei pensieri, la
metamorfosi che in qualche modo ho incontrato anche io insieme al mio
dipinto. In
origine, infatti, non ci sarebbe assolutamente dovuta essere una
seconda figura, quella affianco alla ragazza. Non era semplicemente
prevista, così come non lo è stato l'incontrarlo
e l'innamorarmi di
lui. Il
mio cuore pulsa più forte a questa constatazione, agitandosi
così
violentemente nella mia cassa toracica da farmi sentire scombussolata
e in precario equilibrio. Doveva
rappresentare solo lei e nessun altro, esattamente
come era la
mia vita in quel periodo. C'ero
solo io, nonostante la presenza di Noah, nonostante i miei genitori e
Sam. Però,
con il passare del tempo, man in mano che imparavo a conoscerlo, a
capirlo e ad amarlo irrimediabilmente, mi sono resa conto di come non
mi rappresentasse più quella tela macchiata per
metà dai colori e
dai tratti che avevo tracciato. Era
incompleta, distante da me. Mancava
lui. Esattamente
come sono io senza di lui. Ed
è stato proprio quando ho rischiato di perderlo che ho
compreso
come, per rappresentarmi nuovamente e appieno, dovesse raffigurare
anche un'altra figura. Era
stata questa la spinta che mi aveva fatto riprendere a dipingere, il
bisogno di esprimere la necessità che io ho di lui, come mi
sia
entrato dentro fino a farmi totalmente sua. Anima, mente, corpo. Annaspo
tra le mie riflessioni, rivolendogli uno sguardo intenso e forte,
vibrante. Perchè
quel quadro senza quelle due figure non avrebbe senso, non
esiterebbe. Esattamente come io senza di lui. Con
una commozione scaturita dal forte, fortissimo, amore che provo,
riprendo a parlare, il tono così spezzato da risultare un
sussurro
vacuo e frammentato, impalpabile. -
Non esisto più senza di te, Andrew – gli confido
accorata in un
mormorio flebile, nessuna barriera a difendere la mia essenza
più
profonda e fragile al tempo stesso. Non
ho, infatti, alcun muro a separarmi da lui, nessuna
perplessità o
dubbio. Nulla
di nulla. L'emozione
violenta e dilaniante che sento nei suoi confronti è libera
semplicemente di sfogarsi, di investirmi in pieno senza alcuna remora
o restrizione. E
lo fa, sconvolgendomi e rendendomi terribilmente disarmata,
vulnerabile e contemporaneamente totalmente sua. Quasi
scioccato, congelato da ciò che io ho appena detto, Andrew
rimane
totalmente statico, la postura contratta e le iridi puntate dritte
sul mio volto, perforandomi con una occhiata così
trasparente da
togliere il fiato, da far male. Sorprendendomi,
si apre poi in un ampio e luminoso sorriso, facendomi sentire
incredibilmente leggera e sollevata. Lasciandomi
sempre più basita, allunga subito dopo una mano nella mia
direzione,
appoggiandola sul mio viso con un gesto delicato e incredibilmente
passionale al tempo stesso, tradendo tutto l'amore che prova per me. Mi
riserva una tenera carezza, percorrendo sommariamente la mia guancia
con un movimento impercettibile dei polpastrelli, sfiorando i miei
tratti. Il
suo calore mi scalda istantaneamente, una ondata di dolcezza e
amorevolezza che mi investe in pieno, attanagliandomi. Lentamente,
avvicina poi il suo viso il mio, il suo respiro accelerato che mi
solletica la pelle, anticipando un contatto che mi fa ribollire il
sangue nelle vene, facendomi sentire interiormente in subbuglio. Le
sue labbra trovano le mie l'attimo seguente, incastrandosi alla
perfezione in un contatto impregnato di calma e di tutti i sentimenti
che sentiamo l'uno per l'altra. Ed
io non esito, ricambiando con la stessa intensità mentre mi
sporgo
leggermente in avanti, appoggiando istintivamente i polpastrelli
sulla sua spalla, le mie dita che affondano nel tessuto della sua
giacca nera. Un
bacio che sa di noi, unicamente. Muove
poi voluttuosamente la bocca contro la mia dopo una manciata di brevi
secondi mentre le farfalle si agitano nel mio stomaco, stringendomi
in una morsa piacevole e occludente al tempo stesso. Tuttavia,
si allontana da me l'attimo dopo, troppo presto purtroppo, provocando
il mio disappunto. Con
i polmoni dolenti ed in carenza di ossigeno e le labbra gonfie, lo
guardo con le palpebre socchiuse, ancora sconvolta e alleggerita da
ciò che gli ho rivelato. Andrew,
al contrario, sogghigna in modo dolce e sbarazzino, illuminandosi in
volto senza aggiungere nulla. -
Neanche io esisto senza di te – soffia accorato e sincero,
visibilmente emozionato, causandomi un magone così
stringente da
spezzarmi il fiato in gola, non lasciandomi scampo. Divampa
e mi divora completamente, privandomi di ogni difesa mentre mi
strappa un nuovo bacio, più breve del primo. Stupendomi
sempre di più, però, si scosta poi celermente mio
volto, privandomi
del tuo tocco caldo e morbido mentre una scintilla che non so
decifrare lo illumina, rendendolo criptico. Portandomi
ad aggrottare la fronte, confusa ed interdetta, infatti, raddrizza la
postura, portandosi una mano nella tasca interna della giacca nel
tentativo di prendere qualcosa. Cosa
vuole fare? Mi chiedo simultaneamente, questa petulante domanda che
mi perfora, innervosendomi irrazionalmente senza un motivo preciso. Non
sapendomi dare una risposta soddisfacente rimango a fissarlo. Con
il cuore a martellarmi insistentemente nel petto, rimango in attesa
mentre lui ne tira subito dopo fuori una penna nera. Rivolgendomi
uno sguardo stordente ed imperscrutabile, non smettendo neanche per
un attimo di ghignare, si alza subito dopo, facendo leva sulle gambe
e tirandosi in piedi. Lasciandomi
sempre più basita e contrariata, lo fisso dirigersi con
passi decisi
e un andamento sciolto e determinato verso il mio quadro, non
riuscendo assolutamente a intuire le sue intenzioni. Non
potendo intravedere i suoi gesti chiaramente a causa della posizione
in cui sono, allungo leggermente il capo nel tentativo di riuscirci,
oscurandomi appena mentre lo osservo abbassarsi verso la mia opera,
concentrandosi in particolare sulla targhetta a lato. Quasi
come se stesse scarabocchiando qualcosa muove il polso proprio
laddove ipotizzo essere stampato il mio nome e il titolo, portandomi
a chiedermi nuovamente cosa diavolo stia facendo. Senza
proferire parola e persistendo nel rimanere chiuso nel suo mutismo,
si volta l'attimo seguente, le dita della mano sinistra ancora
strette intorno alla penna mentre mi scruta con i suoi occhi chiari,
limpidi e liquidi. Con
un paio di semplici falcate mi raggiunge l'istante seguente,
lasciandomi sempre più contrariata e disorientata. Tuttavia,
prima ancora che io possa chiedergli spiegazione, lui riprende a
parlare nel momento stesso in cui si siede nuovamente al mio fianco,
fissandomi tranquillamente. -
Credo, allora, che dovrebbe chiamarsi in un altro modo –
sussurra
debolmente, inclinando appena il viso nella mia direzione senza,
tuttavia, interrompere il nostro gioco di occhiate, persistendo ad
alimentarlo mentre io inarco dubbiosa un sopracciglio –
Ritratto di
noi – mi rivela subito dopo in modo incredibilmente dolce e
tenero. E
mi lascia totalmente senza respiro, con il volto rosso e lo sguardo
addensato di positive lacrime, troppo spontanee per essere arrestate. Sorridendogli
radiosamente lo bacio ancora, di slancio e senza ribattere nulla,
questo mio gesto che vale unicamente come risposta, seppur
istintuale. Entusiasta,
lo coinvolgo in un contatto vorace e intenso, manifestandogli tutto
il mio bisogno di averlo, di essere sua e di esprimergli ciò
che
sento nei suoi confronti. Andrew
mi ricambia con la stessa veemenza, il suo sogghigno che si scioglie
nella languida lentezza dei nostri movimenti, le nostre lingue che si
incontrano. Sospirando
contro le sue labbra dischiuse lo abbraccio maggiorente, esibendomi
in una espressione raggiante prima di baciarlo ancora a stampo, in
modo fugace e veloce. Mi
allontano subito dopo, sentendomi incredibilmente bene e allegra. Semplicemente
felice, realizzo con un sospiro mentre Andrew mi
richiama
dalle mie elucubrazioni, allungando una mano nella mia direzione. Intreccia
le sue dita con le mie l'attimo seguente, stringendole amorevolmente
e appoggiandole sulla mia gamba con semplicità, la sua
voglia di
ricercare un contatto che provoca un accentuarsi delle mie
palpitazioni e sancisce in qualche contorto modo il nostro legame. Riservandomi
un'ultima occhiatina da sotto le ciglia chiare inclina poi il viso,
posando le pupille proprio sulla mia opera, scrutandola con una
maschera di serenità e contentezza che lo rende
incredibilmente
affascinante, bello. Soddisfatta
e compiaciuta scrollo leggermente il capo, i capelli che ondeggiano
leggermente, smuovendosi, mentre inspiro, percependo una sottile
frenesia insinuarsi dentro di me, i quesiti che, una volta tanto,
scompaiono, annichilendosi. Rimane
solo un perfetto benessere ad avvolgermi, considero aumentando la
morsa che ci unisce, muovendo debolmente il pollice sul suo dorso
riservandogli una lieve carezza. Ed
è proprio, l'attimo dopo, quando mi appoggio quasi
totalmente contro
di lui, i nostri corpi che entrano maggiormente in contatto, che mi
rendo conto che ha ragione. Non
è solo il suo ritratto o il mio. Guardo
insistentemente le figure che io stessa ho tracciato e dipinto,
posando il capo sulla sua spalla muscolosa. È
il ritratto di noi. Note: Buonasera! Ed
eccoci qui con l'epilogo di Ritratto
di Te. Ammetto
che sto facendo un po' fatica a scrivere le note, questa volta, e
credo che ne farò almeno altrettanta a premere il pulsante
“completa” nelle caratteristiche di questa storia. Nel
corso degli aggiornamenti e delle stesure dei vari capitoli mi ci
sono molto affezionata, ritrovandomi nei personaggi, divertendomi a
scrivere le situazioni e, sono sincera, anche a incasinare
volutamente i fatti per fare un pochino arrovellare il lettore! Mi
dispiace molto che sia già terminata, ma sono altrettanto
soddisfatta di come l'ho portata avanti e ci tengo a iniziare con i
ringraziamenti questa volta. Innanzitutto,
ringrazio l'altra
persona con cui ho
scritto questa storia: senza la sua idea e il suo spronarmi
probabilmente non avrei scritto una storia originale, quindi il primo
grazie va a lui. Vorrei
poi ringraziare tutti i lettori silenziosi, chi ha recensito
supportandomi sempre e chi ha inserito la storia tra i
preferiti\seguiti\ da ricordare. Davvero, GRAZIE! Passando
all'epilogo, invece,
vorrei dire due
cose. Spero
innanzitutto che l'alternanza tra presente e passato sia stata chiara
e che vi sia piaciuto questo modo un po' alternativo di presentarvi
il chiarimento tra Andrew ed Emma, che, temporalmente, è
contemporaneo allo scorso capitolo. Inoltre,
spero che l'idea di concludere così la storia vi sia
piaciuta e non
vi abbia deluso. Personalmente,
è esattamente come lo pensavo da quando ho scritto il
prologo,
quindi sono molto compiaciuta. Molti
di voi, inoltre, mi hanno chiesto più volte se abbiamo altri
progetti in mente e, beh, vi volevo informare che abbiamo deciso di
scrivere un breve seguito
intitolato
Ritratto di Noi. Il
primo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
18
Febbraio. Per
ora, direi che non c'è altro da dire se non ringraziarvi
ancora e
sperare che il capitolo vi sia piaciuto e che mi farete sapere cosa
ne pensate. A
presto Live
in Love