Ehm…
dire che sono in
ritardo sarebbe un eufemismo… ^^”
Il fatto
è che ho
navigato per altri lidi per un bel po’ (E ogni tanto sono
ancor in alto mare)…
oh, lasciamo perdere i miei viaggi mentali.
Evidentemente
ho qualche
trauma infantile legato agli sgabuzzini delle scope, perché
non è la prima
volta che qualcosa del genere salta fuori nelle mie fic…
Oh,
beh… ^^”
Buona
lettura!
03. Jolt!
“Forza! Al mio tre: uno… due… tre!”
Takagi polverizzò definitivamente l’osso della sua povera spalla, prima di accasciarsi a terra dolorante.
“Avanti Takagi, vuoi dargliela vinta? E ti definisci un uomo?”
“La mai spalla al momento mi chiamerebbe in un altro modo, se solo potesse parlare…”
Un ennesimo tonfo dall’altra parte della porta, il legno vibrò ma resistette: dannati pannelli anti-incendio…
“Sato? Sei ancora lì?”
“Ti prego: dimmi che non hai anche paura del buio…”
“Considerando che è per colpa tua che sono chiuso qui, potresti anche sentirti un po’ in colpa!”
“Considerando che la colpa è della tua ingenuità, è già tanto che rimango qui a farti compagnia: il mio turno è finito da almeno venti minuti…”
“Saresti più utile se riuscissi a convincere Shiratori a darti la chiave di questo ripostiglio.”
“D’accordo, allora: ma ti avverto che ha proposto di darmi la chiave solo se accetto un suo invito a cena…”
“NO! No… in effetti, la mia spalla non è così malridotta… altre due o tre spinte…”
Thump! Niente. Tu-thump! Niente di niente: la porta dello sgabuzzino delle scope del quartier generale della polizia di Tokyo non fece una piega alle spallate dell’agente chiuso al suo interno.
Sato sospirò,
appoggiandosi al muro con gli occhi al cielo:
possibile che quel ragazzo ci cascasse sempre? Quello era un trucco da
età
della pietra: “Ehi, takagi? Sato ha
chiesto di te. Vuole che la raggiungi al secondo piano, davanti al
ripostiglio
degli inservienti… Ah, non c’è?
perché non dai un’occhiata
dentro…?”
E Shiratori era esattamente il tipo da lasciare quel poveretto rinchiuso lì per tutta la notte, se non si decideva a fare qualcosa… Forse non aveva digerito del tutto la notizia del loro fidanzamento…
“Basta così: vado da quel cretino ad accettare l’invito…”
“MAI! PIUTTOSTO
“Sei stupido o cosa? Vuoi restare a dormire lì dentro? Ti avviso che non mi troverai qui davanti, domani mattina… sempre che qualcuno ti faccia uscire…”
Un breve silenzio pensieroso, dall’altro lato della superficie di legno. Un’ultima spallata e la conseguente imprecazione soffocata tra i denti.
“D’accordo. Vai a casa. Domani alle cinque dovrebbero passare gli addetti alle pulizie, loro avranno pure un duplicato della chiave…”
Miwako Sato pensò di aver capito male.
“Fammi capire: piuttosto che farmi uscire con Stiratori, preferisci passare la notte in uno sgabuzzino?”
“Non voglio che ti sacrifichi per me…”
Non ebbe risposta: la ragazza dall’altra parte della porta era troppo impegnata a farsi passare il rossore che le aveva invaso il viso.
“Aspettami qui.”
“Sato? Dove…? No… NO! Ti ho detto che da Shiratori non ci devi andare… Sato? Ehi???? Sato!”
Takagi ricominciò a dare spallate contro il legno, incurante del dolore e della voce dal lato opposto della porta.
“Smettila di urlare! Sono qui… sto solo.. cercando… di… ah!”
Nel momento esatto in cui Sato riuscì a forzare la serratura con una forcina presa in prestito da Yumi, Takagi aveva preso troppa rincorsa per potersi fermare.
Ruzzolarono a terra nel corridoio deserto, uno sopra l’altra.
“Ouch… scusa! Scusa, io… OUCH!”
Era ufficiale: la spalla era andata.
Takagi rotolò su un lato per lasciar alzare la sua compagna, miracolosamente indenne.
“Fammi vedere…” esordì lei, una volta tiratasi a sedere sul pavimento lucido.
Tastò per un attimo la spalla visibilmente più gonfia, alla ricerca di qualcosa di rotto, ignorando i lamenti di Takagi, ma senza trovare nulla di preoccupante.
“Aspetta, nel ripostiglio dovrebbe esserci una cassetta di pronto soccorso…”
“Ti aiuto a cercarla.”
Non appena entrambi furono entrati di nuovo nell’angusto ambiente, un rumore secco e sinistro alle loro spalle li fece sobbalzare.
Ancora prima di voltarsi, Takagi si passo una mano sul viso, distrutto.
“Dimmi che la finestra qui davanti era chiusa e che una folata d’aria non ci ha chiuso dentro…”
“Ehm… non ne sono sicura…”
“Allora dimmi che non hai lasciato la forcina dall’altra parte!”
“Mi piacerebbe. Davvero, non sai quanto…”
Crollarono, strisciando la schiena lungo il muro, spalla contro spalla per la mancanza di spazio sufficiente per due persona.
“A che ora hai detto che arriveranno gli inservienti?”
“Alle cinque, o alle sei…”
Sato osservò incuriosita, sbirciando nella penombra, l’espressione stranamente tranquilla del suo ragazzo. Appoggiò la testa alla sua spalla – facendolo sussultare appena per il dolore – cominciando a sentire la stanchezza di un giorno di lavoro appesantirle il corpo e i pensieri.
Il respiro di Takagi, a pochi centimetri dalla sua tempia, faceva vibrare lievemente le ciocche scure
“Non vuoi nemmeno provare di nuovo ad uscire?”
Sentì la curva di un sorriso premere contro la pelle, trasformasi gradualmente il un bacio.
In effetti, Shiratori poteva anche tenersela, quella chiave…
“Questa volta no.”