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Autore: rachel_hetfield    06/02/2014    4 recensioni
Presi una boccata d’aria troppo grande, mi girò la testa e mi appoggiai al metallo freddo della capsula. «Come puoi amarmi se mi odi?»
«Non so come dirtelo che non ti odio.»
Lasciai il metallo e mi avvicinai di più a lui. Con la mano destra mi allungai verso il pulsante del timer. Un suono robotico lo fece partire.
«Non fare cazzate» singhiozzò «ti prego. Resta qui. Non ce la farei senza di te.»
Avevo impostato il timer per sessanta minuti, un’ora esatta. Avevo un’ora di tempo per decidere se fare le valigie, o attirare Kevin e rimandarlo indietro, a Oslo.
Evitai le sue labbra che si erano chinate su di me. «Devo... devo restare da sola. Torniamo nella locanda. Devo pensare.»
«Non farlo...» mormorò con la voce strozzata dal pianto.
Scossi la testa mordendomi un labbro. Fortunatamente ero voltata di spalle, perché avevo iniziato a piangere anche io.
«Rachel, ti amo.»
Singhiozzai e mi sentì. Il mio cuore balzò. Mi aveva circondata con le braccia, di nuovo. Solo che stavolta piangevamo entrambi. Il destino ce l’aveva con noi.
«Ti amo anche io, Dan.» [capitolo 16]
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il vento mi sfiorava la faccia, mi lanciava addosso quei fiocchi di neve ghiacciata che al contatto con la mia pelle del viso scoperta mi facevano rabbrividire. Corsi verso il punto in cui la macchina del tempo mi lasciava sempre, e la vidi: era esattamente lì, ferma, quella maledetta capsula che aveva ripreso a funzionare sotto le mani di quel pazzo maniaco.
«Ora capisci perché non ti avrei lasciata andare da sola?» improvvisò Dan, e per zittirlo gli afferrai una mano. Erano congelate entrambe, sia la mia che la sua, ma io tremavo troppo per il freddo e la paura. Mi avvicinai lentamente alla capsula, con la mano stretta a quella di Dan, e sbucò da dietro la struttura metallica una figura alta, più imponente di me, e mi spaventai. Kevin Mason si appoggiò sul metallo freddo della capsula lanciandomi uno sguardo di sfida. Non riuscivo a parlare o a muovermi, mi ero totalmente paralizzata.
«Allora... Hetfield. Come vanno le cose? Vedo che ti sei fatta una “vita” qui in questo cesso di millennio. Cosa mi racconti? Hai un ragazzo? Lo vedo che hai un ragazzo, è molto carino, proprio il tipo adatto a te. Avete passato molto tempo insieme? Lo spero. Spero anche che vi siate salutati abbastanza. Io sono tornato, Rachel, sono tornato per vendicarmi, strapparti via l’ultima possibilità di essere felice come tu l’hai tolta a me. Mi hanno condannato all’ergastolo. Domani dovrò essere alla Corte Suprema perché mi sbatteranno dietro la cella per tutta la vita. Lo sai che vuol dire? Eh? Se non lo sai te lo dico io: tu soffrirai con me, soffrirai, io soffrirò dietro le sbarre e tu soffrirai per la solitudine, senza gli amichetti che ti sei fatta qui a Congledon, in questo lurido posticcio fetido dove non meritano di esistere nemmeno le pietre!»
I miei sentimenti ormai non si controllavano più. Non sapevo cosa stavo pensando. Non sapevo cosa volevo fare. Lasciai che il mio istinti agisca.
Lasciai lentamente la mano di Dan e lui sussurrò un “che vuoi fare?” spaventato, ma non gli diedi risposta. Mi avvicinai a Kevin, con cautela, lanciandogli le occhiate più malvagie e spaventose avessi mai fatto. Era così bello, anche da arrabbiato, anche a ventisei anni. Era sempre quel Kevin Mason che col suo fascino mi aveva attratta in una gabbia.
Tese le braccia, come se volesse darmi un abbraccio. Non era più alto di me, giusto qualche centimetro. Così potei senza difficoltà aprire la mano e stampargli un sonoro schiaffo sulla guancia.
La voce di Dan e le sue braccia furono l’unica cosa che sentii dopo una fitta leggera sull’addome, che si intensificò tantissimo, fino a farmi gridare di dolore.
«Rachel, Rachel ti prego, alzati, non fare stronzate» boccheggiò Dan, ma la mia testa era altrove. Vedevo doppio. Mi toccai la pancia, e sanguinavo, tanto, anche troppo, respiravo a tratti. Socchiusi gli occhi e vidi solo delle ombre che si avventavano su Kevin, non sentivo niente, ero diventata sorda. Qualcuno si mise davanti a me, mi accarezzava le guance, mi dava baci sulla fronte, mi dava abbracci leggeri. Quegli occhi che mi avevano salvata di nuovo. Non sapevo se mi avrebbero salvata ancora una volta.
Guardai il mio addome che ormai si cospargeva di sangue. In alto, in cielo, un vortice spazio-temporale si aprì risucchiando con sé ogni essenza della macchina del tempo trasportando Kevin dove meritava di stare.
Woody e Dan mi presero sotto braccio e mi portarono all’interno della locanda trascinandomi lentamente per strada. Un forte mal di testa e dei conati di vomito rischiarono di uscire. Respiravo a fatica. Un colpo, un suono spezzato, dei singhiozzi, delle parole che non comprendevo, la mano calda di Dan che si chiudeva sulla mia. Le sue labbra devastate dai morsi che si dava coi denti e i morsi che gli lasciavo io quando lo baciavo. I suoi occhi blu che straripavano, si gonfiavano come l’oceano in tempesta. Ma i suoi occhi erano l’oceano in tempesta, era confuso, non sapeva nemmeno lui cosa voleva, ma una cosa era certa: era fin troppo innamorato per permettere di perdermi. E non mi avrebbe persa. Mi sarei lasciata salvare dai suoi occhi, avrei combattuto, per lui, per noi.
Lentamente tornai a sentire.
«Non so se ce la farei senza di te... io non... non posso... non andrò avanti se tu mi abbandoni così...» singhiozzava accanto a me. Sopportai il bruciore alla ferita che Woody stava cospargendo di liquido trasparente passandoci sopra dei batuffoli bianchi di chissà quale materiale, sembravano nuvolette, allungai la mano verso il viso di Dan e lo trascinai verso il mio. Le nostre labbra si toccarono di nuovo. A quel tocco mi sembrò di rinascere.
«Io ti amo, Rachel, non so come dirtelo» mormorò sovrastato dalle lacrime.
Gli lasciai un bacio delicato sul mento. Mi schiarii la gola. «Non ce n’è bisogno...»
Mi voltai verso Woody che si soffiava il naso, Kyle che mi sorrise, Will che osservava Dan. Sorrisi a tutti quanti. Pensai fosse la fine, e invece stavo ricominciando. Di nuovo, per l’ennesima volta, stavo ricominciando. Perché niente poteva finire, ogni cosa era sempre l’inizio di una nuova vita.
Nemmeno la morte sarebbe stata la fine, perché l’anima è eterna, non poteva morire. Io non sarei morta. Mi misi a sedere, poggiai una gamba per terra, poi la seconda, e iniziai a camminare, con la testa che mi girava e lo stomaco in subbuglio.
Avevo smesso di sanguinare.
«Non gli avete fatto del male, vero?» chiesi riferendomi a Kevin.
Scossero tutti il capo. «È tornato a casa con solo qualche graffio.»
Sospirai procurandomi un fortissimo capogiro. «Vi voglio bene...» poi la mia voce venne soffocata da un bruciore alla gola che mi fece tossire violentemente.
Rivolsi gli occhi a Dan, che stava dicendo qualcosa che non riuscii ad afferrare bene a Chris, ero troppo impegnata ad osservarlo che ad ascoltarlo. Annuì e poi si alzò facendomi un sorriso lieve.
«Riesci ad alzarti? Ti prendo in braccio se-»
Gli tappai la bocca con una mano e mi rialzai da quello che sembrava un divano in stoffa ricamata, e camminai verso la stanza mia e di Dan barcollando, poi sopraggiunse Kyle che mi prese sottobraccio e mi accompagnò sulla soglia della stanza. Era un ragazzo d’oro, e l’avevo capito troppo tardi. L’unico che sembrava non importarsi della faccenda era Will, e ricordai il litigio avvenuto tra lui e Dan. Ma probabilmente avevano risolto, ed era stato un grosso sollievo per me. Il coma in cui ero caduta per quattro giorni forse li aveva fatti riavvicinare.
Will era diverso, più silenzioso e distaccato, e non potevo che compiacermi. Ringraziai Kyle con un buffetto sulla guancia, la prima volta che non mi sentivo in imbarazzo in sua compagnia.
«Ti porto accanto al letto se non riesci» insistette, ma rifiutai.
«Non sono diversamente abile» soffiai cercando di sorridere.
Scosse le spalle lasciandomi in piedi da sola, senza il suo sostegno. «Se muori mentre raggiungi il letto non è colpa mia!»
Scoppiai a ridere e ritornò a farmi male la ferita, facendomi piegare in due per il dolore. In qualche modo Kyle cercò di risollevarmi ma gli ordinai di andarsene. Obbedì e mi trascinai sul materasso morbido coperto da delle lenzuola azzurre e un piumone blu. Tutto era così nitido. Così semplice. Guardai la finestra, quello che c’era oltre la finestra. Il niente, un cielo vuoto e nero, nemmeno una stella, che vedevo di rado quando ero a casa mia.
Chiusi gli occhi cercando di sopportare il bruciore acuto che avevo all’addome, che fortunatamente non bruciava, ma invano tentai di dormire perché avevo troppo freddo. La porta cigolò, non guardai chi fosse. Finsi di dormire. Qualcuno si stese accanto a me, a debita distanza, e iniziò a fare domande.
«Come stai?»
Non risposi, ma tremai per i brividi. Quella voce mi era familiare, la conoscevo benissimo, era la voce che amavo, senza la quale non avrei potuto vivere.
«Ti amo, Rachel» sussurrò. E non potei fingere oltre.
«È l’ennesima volta che me lo dici» mi lamentai aprendo gli occhi, bloccando il respiro per qualche secondo perché i suoi occhi blu erano più lucidi e belli del solito. Ma erano inondati di lacrime. E mi faceva male.
«Non basteranno mai.»
Strisciai lentamente verso di lui così da trovarci a pochi centimetri di distanza. Mi afferrò la mano che tenevo poggiata sul piumone blu e intrecciò le dita osservandola. Non avevo più freddo, mi stava riscaldando, lentamente, ma potevo sentire il suo calore entrare dentro di me e facendomi sentire protetta, al sicuro.
Ci guardammo negli occhi per un po’, poi distolsi lo sguardo poggiando la fronte sulla sua. Il suo braccio scivolò sul fianco e dietro la schiena, facendo aderire perfettamente il mio corpo al suo. Sospirò, dandomi un bacio a fior di labbra. Rabbrividii di nuovo, ma non per il freddo, perché l’amore che avevo dentro voleva uscire ed esplodere.
«Rachel» mi chiamò sottovoce. Aprii gli occhi e stava giocherellando con le mie dita, non me n’ero nemmeno accorta. Ero troppo assorta nei miei pensieri.
«Non possiamo restare qui» continuò, ma non capii il senso di quella frase.
«Come sarebbe?» domandai inspirando un’altra boccata d’aria e del suo profumo.
I suoi occhi troppo vicini brillarono. Ci vidi l’immensità in quelle iridi blu. «Io voglio stare con te ma... insomma, qui non siamo solo io e te. Ci sono Woody, i clienti...»
«Non capisco dove vuoi arrivare.»
«Quando ero piccolo ho vissuto a Londra per un paio d’anni, conosco la gente della zona in cui sono stato, e potremmo... potremmo affittare un appartamento lì e, non so, vivere da soli.»
Riassemblare tutte quelle parole che mi avevano letteralmente mandato in panne fu un’impresa, proprio come tentare di restare lucida.
«Aspetta, tu-tu mi stai dicendo di andare a vivere insieme?»
Annuì. Dovetti portare una mano sul petto nella speranza di calmare il battito cardiaco e il fiato che si era accorciato. Non ci potevo credere che me lo avesse chiesto.
«Non vuoi?» chiese quasi dispiaciuto.
Sforzai la mia gola di tirare fuori qualche parola. «I-io... certo che sì! Non so, mi hai presa alla sprovvista...»
Fece un largo sorriso e mi stampò un bacio. Gli accarezzai la guancia. Ormai era sparito ogni tipo di dolore, fisico e psicologico. Kevin non c’era, ero al sicuro, stavo con Dan, stavamo per andare a vivere insieme.
«Riesci ad alzarti?» si mise seduto. Provai ad imitarlo ma mi tirò un poco all’addome, tornò a farmi male, ma non come prima. Mi girò la testa, riprendendomi quasi subito.
«Non lo so» ammisi tenendomi la pancia. Notai che c’era un rigonfiamento spugnoso e cartaceo, sollevai l’indumento e c’era appunto un pezzo di carta adesiva che teneva fermo un pacco di tessuto spugnoso, bianchiccio.
«Woody doveva fare il medico» fece un mezzo sorriso. Impazzii in quella frazione di secondo che lo vidi.
«Da dove vengo io diventarlo è difficilissimo, in più tutti i medici sono sempre impegnatissimi dato che ci sono tante nuove malattie e in campo medico-scientifico c’è molto su cui lavorare.»
Quasi si sorprese. «È la frase più lunga che tu abbia composto oggi.»
Scossi le spalle. «Mi va di farlo.»
I suoi occhi quasi brillarono quando lo dissi; temetti avesse capito qualcos’altro, ma finse di non aver sentito e non rispose.
Mi guardai intorno ascoltando quel silenzio che era più rumoroso di ogni parola. Facevano rumore i miei pensieri, il mio respiro e i suoi battiti cardiaci, che potevo benissimo sentirli affievolirsi fino a regolalizzarsi.
Il cielo nero e cupo della notte venne squarciato da un lampo che saettò davanti alla finestra, e successivamente un tuono mi fece sobbalzare. Dan si voltò di scatto verso di me e rise dolcemente.
«Piove» mormorò.
«Lo vedo» risposi procurando altro silenzio tra di noi che effettivamente mi piaceva. Potevo contemplarlo, ricordarmi quanto sia estremamente bello, analizzando ogni particolare del suo viso che mi aveva fatta innamorare. Le mani, poi, che si intrecciavano tra di loro per il nervosismo, oppure che si infiltravano tra la sua folta chioma per la timidezza, il rossore che compariva sulle sue guance, a volte si mordicchiava un labbro o passava la lingua per inumidirlo. Ogni suo singolo movimento veniva registrato nella mia testa come se fosse stato essenziale per conoscerlo.
Quando si voltava a guardarmi arrossiva, e distoglieva subito lo sguardo, quello che io non riuscivo a fare. Mi stavo innamorando anche delle sue piccolezze oltre che di lui stesso: anche delle poche lentiggini che aveva vicino al naso che lo rendevano più bambino, ma subito la barbetta rossiccia lo trasformava in uomo. Gli occhi, invece, persi nel vuoto non avevano età, erano l’eterno, senza inizio né fine, io mi ci perdevo, non ne uscivo più una volta entrata. Mi trattenevo dal far scivolare la mano per accarezzarlo, toccarlo, mi mordevo le labbra per resistere alla tentazione di dargli un bacio, di sentire di nuovo che mi apparteneva.
Eppure, sotto sotto, avevo ancora paura di quel Daniel Campbell Smith che cambiava umore tutto d’un tratto, si sentiva oppresso e impossibilitato dal fare molte cose, ma io ero sua, poteva fare di me ciò che voleva. Glielo avrei permesso: lo amavo. E per amore, con amore, in amore tutto è lecito.
Sembrò che fosse lui, invece, quello che resisteva di più alla tentazione di stabilire un contatto fisico con me, quello che soffriva perché temeva di disturbarmi, ma avrebbe interrotto solo il mio amore per lui, niente di importante. O forse sì, forse era troppo importante ciò che provavo per lui. Era il motivo per cui avevo abbandonato il terzo millennio, il motivo per cui mi stavo rifacendo una vita dattandomi alla preistoricità del ventunesimo secolo, in un mondo in cui un uomo poteva tranquillamente picchiarmi, violentarmi, uccidermi. E quasi nessuno avrebbe potuto fare niente, al contrario dell amia epoca in cui le donne erano costantemente controllate.
Strisciai silenziosamente più vicina a lui finalmente distogliendo lo sguardo e riprendere a respirare senza esitare perché lui muoveva le labbra, le mani, o sospirava. In quei momenti mi sembrava di non possedere più alcuna capacità motoria, ero paralizzata, perché le singole cose che faceva voleva dire per me una ragione in più per esistere. La mia esistenza ruotava attorno a lui. Mi batteva forte il cuore. Mi mancava l’aria. Non riuscivo a fare a meno della sua voce e del suo respiro.
Dan spostò dapprima lo sguardo su di me, poi mi guardò negli occhi. Rimasi incantata di nuovo. Schiuse la bocca di poco, e scosse velocemente il capo dall’altra parte.
Con un coraggio che credevo di non possedere, gli sfiorai la mano. Rabbrividì al mio tocco e finalmente si decise a guardarmi senza voltarsi. Si era fatto vicino, le fronti si poggiarono, i nostri respiri si mescolarono.
Le sue labbra morbide toccarono prima la guancia, poi scivolarono sulle mie. Strinsi la sua mano e portò l’altra dietro la mia nuca così per impedirmi di scappare. Ricambiai il bacio e poi tornai a guardarlo negli occhi. Ormai non ne potevo più fare a meno. Erano l’unica cosa di cui mai dovevo privarmi. Il contatto visivo per me era la cosa più essenziale, e infatti tutto era iniziato da lì.
Pensai a prima, che fingevo di dormire e mi chiedeva come stavo, e un flashback mi abbagliò la mente riaffiorando i ricordi.
Io che tremavo dal freddo, con gli occhi chiusi, lui che si rintanava sotto le coperte, che mi chiedeva come mi chiamassi e da dove venissi. La paura di rispondere ad un uomo sconosciuto, che ora per me non nascondeva più segreti. I miei occhi che si aprivano, la sua maledetta curiosità e il mio cuore che riprendeva a battere, paralizzato dal timore. Quelle braccia, così calde, che mi ispiravano sicurezza e conforto. Quegli occhi, così blu e densi, infiniti, in cui mi ero smarrita, la sua voce calda e stanca.
E poi, le prime urla, le prime sofferenze, i segnali che mi ero già innamorata, lui che stava impazzendo. Il primo bacio, gli ultimi prima che partissi di nuovo nel futuro e la paura di non rivederlo mai più. Il mio disastroso ritorno, la nottata al gelo, vederlo e tornare a baciarci, la mia prima volta, l’amore che mi trasmetteva. Anche l’imbarazzo, ma soprattutto l’amore.
Il litigio, il coma, la sbronza, farlo di nuovo involontariamente. Le lacrime, che non smettevano di bagnarmi il viso.
In tutto quel tempo in cui io e Dan ci baciavamo, avevo ricordato tutto questo. Che era accaduto in pochissimo tempo.
Le sue dita che passavano sulle guance che erano state bagnate dalle lacrime, l’impossibilità di contenere le mie emozioni che uscivano tutte insieme.
«Dan» singhiozzai.
«Shh» mi zittì con un bacio morbidissimo «non parlare.»
Con i polpastrelli accarezzai le sue labbra arrossate. «Voglio che mi abbracci.»
Sorrise lievemente, e poi mi strinse tra le sue braccia. E di nuovo li sentii: i nostri cuori che battevano insieme, come un’unica sinfonia, sembrava volessero uscire e unirsi anche loro. Mi pulsava la ferita, ma non volevo saperne di staccarmi da quell’abbraccio che mi curava ogni dolore.
Tremai, e la presa si fece più forte. Di nuovo quelle labbra che premevano sulle mie, stavolta anche le sue lacrime che si univano alle mie, un sorriso a fior di labbra, il respiro mozzato.
«Non lasciarmi mai» sussurrò con la voce mozzata.
«Mai» risposi con la stessa voce «non sopravviverei.»
«Siamo in due a non sopravvivere» mi baciò la fronte.
Inspirai a fondo il profumo del suo collo, con la testa poggiata all’incavo, a bagnare la sua felpa grigia. Piansi tutte le mie lacrime. Ma non erano lacrime di dolore, erano lacrime di gioia. Lacrime perché ero innamorata di Dan, e lui lo era di me.
Dan e Rachel. Suonava anche bene.
Ma come si erano innamorati i miei genitori, saremmo finiti così anche noi? Lui vittima di qualche ingiustizia sociale, io impazzita per il dolore?
No, non sarei impazzita. Sarei stata vittima anch’io, con lui, perché la mia vita senza non serviva a nulla, era un semplice scorrere delle ore, dei giorni, dei mesi, di una vita senza valori, senza amore.
 
Writer’s wall
Sono tornata, gente! E con un capitolo che mi lascia fin troppo perplessa, non so davvero cosa pensare, credo che sto degenerando troppo la storia, è troppo drammatica, ma va bene così, so che la sistemerò come ho fatto con tutte le altre.
Mi scuso se nel capitolo 12 non ho messo l’angolo dell’autrice, in pratica lo avevo pubblicato di fretta e ho dimenticato di scriverlo haha so sorry guys.
Se non vi rispondo alle recensioni è perché ho poco tempo, mi sto mettendo sotto con lo studio perché non voglio rischiare di perdere l’anno..e insomma, si va avanti.
Del resto, voglio sempre ringraziarvi, siete sempre tante e sono in debito con voi, state sprecando il vostro tempo per quest’idiozia, grazie ancora <3
A presto col capitolo 14 che non so nemmeno come iniziare, e buona serata! :D vi voglio bene, scusate questo momento di dolcezza.
Angelica.
  
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