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Autore: Lys3    06/02/2014    1 recensioni
Tutti a Capitol City amano gli Hunger Games. Tutti tranne Leo.
Lui è diverso, lo è sempre stato fin da piccolo, ma nessuno comprende le sue ragioni. E in un mondo così grande, così forte, lotterà nel suo piccolo per far valere le sue idee in una società travagliata da questi Giochi mortali.
Martia era una ragazza come tante altre. Questo prima di vincere gli Hunger Games. Ora lotta per non perdersi nei suoi incubi, per mantenere la sua famiglia che sta cadendo verso l'oblio e per dare a sé stessa una speranza di una vita migliore.
Dal testo:
“Siamo diversi. Apparteniamo a due mondi diversi. E questa cosa non cambierà mai. [...] Vuoi un ragazzo che ti salvi dagli Hunger Games, non uno il cui padre ha progettato la tua morte.” [...]
“Ti sbagli. Tu mi salvi dagli Hunger Games. Mi salvi dagli Hunger Games ogni volta che mi guardi, ogni volta che mi stringi la mano, ogni volta che mi sorridi. Ogni singola volta in cui tu sei con me, mi sento libera di nuovo, come se nulla fosse mai accaduto. [...]”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 19 – La fotografia
 
Leo dovette andare via a metà mattinata per tornare a casa e farsi una doccia.
Martia lo aveva salutato a malincuore e si erano dati appuntamento in piazza. Lei, però, sapeva che non sarebbe stato più lo stesso ora che a stento potevano sedere vicini. Si convinse che già stare a qualche metro di distanza da lui fosse una cosa stupenda, così si preparò e scese nella piazza principale, dove dovette affrontare qualche giornalista che voleva intervistarla per quanto riguarda Roland.
Concesse poche parole, quelle essenziali per ricordare quel ragazzino fragile che era riuscito comunque ad arrivare a buon punto nei Giochi.
Poi si sedette su una panchina e osservò per gran parte del tempo i Tributi, mentre attendeva l’arrivo di Leo.
Vide da subito una cosa che non le piacque: Mags aveva l’aria inferocita e si aggirava per l’Arena brandendo in una mano il machete e nell’altra il coltello. Non si curava di far rumore e camminava molto rapidamente.
Ciò voleva dire solo due cose: o stava tentando di farsi ammazzare, o voleva essere trovata da qualcuno per ammazzarlo. E, date le sue armi e la sua espressione, la seconda era la cosa più ovvia.
Martia si sentì a disagio.
Molti Tributi, usando questa tecnica, erano riusciuti a togliere di mezzo molti nemici. Lei, invece, se n’era stata buona fino alla fine e poi aveva dato il meglio di sé solo quando necessario.
Mags voleva lo scontro, subito. Ma la cosa poteva andare anche a suo svantaggio dato che non era comunque la numero uno del combattimento tra i ragazzi rimasti.
I suoi pensieri furono interrotti da un cambio di inquadratura e dall’arrivo di Leo, che si sedette due o tre panchine più in là.
Martia avrebbe voluto tantissimo potergli parlare, stringergli la mano, proprio come tutte le persone normali. Purtroppo doveva starsene lì, obbligatoriamente, a vederlo da solo mentre faceva finta di ignorarla.
A peggiorare le cose, arrivò Verin, che a quanto pareva aveva un tempismo perfetto. Si sedette accanto a lui e iniziò a parlare senza mai fermarsi. Leo l’ascoltava, la rispondeva e ogni tanto rideva pure. Martia non poté fare altro che far finta di niente, chiedendosi perché quel ragazzo doveva essere uno di Capitol City e non un semplice ragazzo del 4.
Lo voleva per sé, nel suo Distretto, magari anche nella sua casa e nel suo letto.
Era strano. Aveva sempre pensato che per il suo primo ragazzo avrebbe avuto una certa attrazione anche a livello sessuale, ma con lui era diverso. Lo voleva semplicemente accanto a lei. Poteva benissimo starsene vestito per l’eternità, a lei non importava. L’unica cosa davvero importante era averlo al proprio fianco.
Peccato che era l’unica cosa impossibile.
 
Leo era uscito dall’albergo con aria malinconica.
Quando aveva salutato la sua ragazza, lei lo aveva guardato con aria afflitta, come se anche quel saluto temporaneo fosse qualcosa di insostenibile. E se lei era triste, anche lui lo era.
Per di più non voleva tornare a casa e vedere il sorriso compiaciuto di sua sorella, consapevole di averlo sottomesso al proprio volere. Non voleva parlare con suo padre, non voleva vedere sua madre.
Voleva solo stare con lei, perché solo in quei momenti era felice.
Aprì la porta di casa ricordandosi di una cosa che avrebbe potuto fare per Martia, per renderla felice. Così si diresse in fretta in camera sua e iniziò a cercare nei cassetti il fogliettino che mesi prima aveva buttato da qualche parte.
“Cosa fai?” fece la sorella con i suoi nuovi capelli arancioni, guardandolo con un sorriso arrogante.
“Non ti interessa.”
“Non credo. Visto che la tua vita ormai dipende da me…”
Leo sbuffò. “Stavo cercando un volantino pubblicitario. Tu, piuttosto, che vuoi?”
La ragazza gli si avvicinò lentamente, il sorriso che andava allargandosi. “Ho detto a papà che so chi è la tua ragazza.”
Leo si sentì mancare. “Cosa?! Cosa hai fatto?!” fece lui alzando improvvisamente la voce.
Prima che lui potesse reagire in qualsiasi altro modo, Lana rise e aggiunse: “Tranquillo, non gli ho detto chi è. Ci avrebbe ammazzati entrambi.” Leo si rilassò un po’. “Ad ogni modo devi fare qualcosa. Papà si sta insospettendo.”
“Non ho intenzione di fare un bel niente. Pensi pure quel che vuole” rispose lui, brusco.
“Invece ti dico io cosa devi fare: passa più tempo con la tua amica Verin, sarà un depistaggio ottimo.”
“Perché diavolo dovrei? E poi perché t’importa così tanto?!”
Lana gli si avvicinò ancora di più, con fare minaccioso. “Stammi a sentire, imbecille. Da te dipendono troppe cose ormai. Se ti fai scoprire sarà lo scandalo, papà rischia di perdere il lavoro, cadremo in miseria, verremo cacciati o peggio diventeremo dei senza-voce. Non avrò più le mie amiche e il mio fidanzato, se tu non hai nulla da perdere non m’interessa. Io ho qualcosa per cui restare qui.”
Leo si allontanò dalla sorella. “Lasciami in pace.”
Avrebbe voluto urlare contro sua sorella, violentemente. Ogni suo atteggiamento lo irritava. Ma mentre se ne stava seduto sulla panchina, a guardare con finta indifferenza Martia, realizzò che si stava comportando da egoista: lui odiava quella vita, ma la sua famiglia no.
Così quando Verin si unì a lui, non le chiese di andar via come già aveva pensato di fare.
“Ehi, guarda. C’è Martia. Invitiamola a pranzo dato che è ora” propose la ragazza.
“Non so se sia una buona idea…”
“Ma che ti prende? Certo che lo è” disse Verin con un ampio sorriso.
Martia, d’altra parte, si fece pregare un po’ ma alla fine cedette.
Si recarono in uno di quei ristoranti che lei, prima di vincere gli Hunger Games, avrebbe solo potuto immaginare. Qui trovarono un amico di Verin, che Leo ricordava di aver visto a scuola, e che si unì a loro.
Leo prese posto accanto a Verin; di fronte a lui si sedette Martia con accanto il ragazzo di cui non ricordava il nome.
“Ehi, Leo. Qual buon vento ti porta da queste parti?” chiese con un sorriso.
Non sapeva se prenderlo come un’offesa oppure no, ma decise che non era il caso di farsi troppi problemi per queste cose stupide. Alzò le spalle: “ho incontrato per caso Verin che ha proposto di andare a mangiare qualcosa.”
“E tu, Verin, come conosci questa bella ragazza?” continuò lui guardando Martia con un ampio sorriso.
Leo passò frettolosamente il suo sguardo da lei a lui. Martia imbarazzatissima se ne stava seduta immobile e fissava il suo bicchiere. Il ragazzo la guardava, divertito.
Avrebbe voluto dirgli che non era affatto divertente quel tipo di comportamento. Lui odiava quelli che, appena possibile, ci provavano con tutte. Li aveva sempre odiati. O forse invidiati per la loro sfacciataggine.
“E’ un’amica di Leo, in realtà. Ci siamo conosciute poco tempo fa” rispose Verin.
“Ed io, se fossi in te, ci penserei due volte prima di fare il cascamorto con lei” aggiunse Leo con un enorme sorriso ironico.
“Per quale motivo?” domandò lui.
“Sono già impegnata e non mi sembra il caso di intrattenere conversazioni del genere” intervenne Martia senza distogliere lo sguardo dallo scintillante bicchiere.
Leo sentì un profondo compiacimento dentro di sé nel vedere l’espressione di quel ragazzo, vivamente sorpreso dell’affermazione. Evidentemente non era abituato a ricevere un no come risposta dalle ragazze.
Il pranzo prese una piega migliore con l’arrivo dei piatti e con il racconto di Verin di una brutta figura dei suoi domestici.
Erano alla fine quando il ragazzo disse a Martia: “Credo di averti già visto da qualche parte. Veniva nella nostra stessa scuola?”
Leo cercò di capire come si potesse scambiarla per una di Capitol City: nonostante il trucco e i vestiti che i suoi stilisti la obbligavano a indossare, dentro di lei, nel suo modo di fare, di vedeva qualcosa di diverso.
Verin rise. “Ma cosa dici? Lei è Martia, ha vinto gli Hunger Games due anni fa!”
Il ragazzo la fissò attentamente per un attimo, poi rise anche lui: “Hai ragione. Solo che quell’anno dopo la morte del mio Tributo preferito non li ho guardati più. Non sai quanto avevo sperato che morissero gli altri solo per vederlo vincere e magari incontrare proprio come sto facendo con te, Martia. Avrei preferito di gran lunga avere lui qui. Era l’unico che meritasse di uscirne vivo.”
Leo si ritrovò a stringere forte i pugni. Come poteva, per quel ragazzo, la vita di una persona valere meno di quella di un’altra? “Stai scherzando?” disse digrignando i denti.
“Certo che no” continuò lui. “Da che Distretto veniva? Forse il nove… Meritava di vincere, era il migliore.”
“E secondo quali criteri, per te, gli altri meritavano di perdere? O, per dirla come stanno le cose, di morire?” rispose Leo, non accorgendosi del suo tono aggressivo.
“Non c’è bisogno di parlare degli Hunger Games proprio ora” disse Martia alzandosi.
Leo la imitò. “No, invece è necessario.”
“Cosa ti prende?” fecero all’unisono Verin e il suo amico.
Martia gli andò vicino e lo prese per un braccio, stringendolo forte. Lui si voltò a guardarla e vide nei suoi occhi una muta richiesta di evitare quella discussione scomoda. Rimase un attimo in silenzio, poi sospirò: “Nulla, è solo che… Devo prendere un po’ d’aria. Torno subito.” Senza attendere nemmeno una risposta si avviò verso i bagni a gran velocità.
 
L’amico di Verin andò via subito dopo Leo, sostenendo di avere altri impegni. Martia, invece, credeva che ne avesse abbastanza di quella situazione stramba. Si aspettava che anche Verin andasse via da un momento all’altro, invece rimase davanti all’ingresso del ristorante con lei.
“Potrei capire qual è il problema?” sbottò la ragazza tutto d’un tratto.
Martia finse di non capire a cosa si stesse riferendo. “Come, scusa?”
Verin sbuffò. “Leo, dall’asociale che era, tutto d’un tratto inizia a uscire misteriosamente per la città, stringe amicizia con te, state sempre insieme. Poi sembra che non vi parlate più, che non vi conoscete e non vi sopportate, eppure se non era per te oggi quella scenata sarebbe andata avanti. I suoi commenti poi erano proprio fuori luogo. Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo?”
Martia rimase per un po’ in silenzio, cercando di pensare alla cosa giusta da fare. Si guardò attorno, nel vano tentativo di trovare qualcosa per cambiare argomento, ma poi fu costretta a rispondere: “E’ un periodo difficile per lui. Suo padre vuole che diventi uno come tutti gli altri, come te. Lui ci ha provato e per caso ci siamo incontrati, mentre anche io tentavo di mischiarmi tra di voi. Riguardo al resto sono solo tue impressioni, siamo solo conoscenti e nulla di più. Ma poco fa ce l’ho fatta a finire quella conversazione perché so esattamente cosa prova nello stare in un posto in cui non si sente a casa. Il suo analista ha detto che sta guarendo ma deve avere anche un po’ di spazio, che nessuno gli sta concedendo.” Vide negli occhi della ragazza un barlume di tristezza, dovuta probabilmente al senso di colpa, alla consapevolezza che tra le persone che avevano ridotto quel ragazzo in quello stato c’era anche lei.
“So che lui è sempre stato… Diverso. Ma ultimamente lo è ancora di più e certe volte finisco col preoccuparmi” disse Verin.
“Mi dispiace di non poterti aiutare, lo conosco appena” rispose lei con un tono di voce talmente freddo da sorprendere se stessa. Eppure era la verità: lo conosceva appena.
Quando Leo tornò dal bagno, i ragazzi si salutarono quasi immediatamente. Ma, un istante prima di andarsene, il ragazzo si avvicinò a Martia e le sussurrò all’orecchio: “Seguimi.”
Così, lei fece finta di proseguire per la sua strada, per poi cambiare velocemente direzione e seguirlo attraverso la città.
Camminavano distanti, fingendosi spensierati e interessati ai negozi. Ad avvantaggiare il tutto vi erano gli Hunger Games nei quali, mentre Mags faceva una lunga pausa, il ragazzo dell’1 e la ragazza del 5 avevano accoltellato ripetutamente e con violenza la ragazza del Distretto 3. Era una scena orrenda, che teneva i capitolini con gli occhi incollati sugli schermi.
Martia provò un’immensa pietà per quella ragazza che veniva torturata lentamente, squartata e scorticata viva mentre urlava e piangeva dal dolore. Il tutto per vendicare la ragazza del 2.
A causa di quell’evento drammatico, nessuno li notò sfilare in città.
Leo svoltò poi in un vicolo secondario, stretto e dall’aspetto pittoresco, arricchito da tanti negozi a quell’ora vuoti. In giro non vi era nessuno.
Quando Martia girò per seguirlo, se lo trovò di fronte, andandoci quasi a sbattere contro.
Lui le rivolse un sorriso caldo e la prese per mano.
Sentendo quella stretta salda, Martia non poté far altro che sentirsi meglio. La guidò attraverso il vicolo, portandola alla fine, dove la strada terminava senza via d’uscita. I rumori della città sembravano così lontani. L’unica cosa davanti a loro era un enorme scatola di metallo.
“Cos’è?” domandò Martia cercando di sbirciare.
Il ragazzo le si parò davanti, ostacolandole la vista. “Una sorpresa per te” disse con un sorriso. “E’ qualcosa di unico, probabilmente una delle poche ancora esistenti in tutta Panem. Veniva utilizzata nell’antichità per ricordare i momenti speciali.”
“Momenti speciali?” gli fece eco lei.
Lui annuì. Le prese il volto tra le mani e lo avvicinò al suo, tanto che le punte dei loro nasi si sfioravano. “Sta andando tutto così velocemente, ed io vorrei fermarmi un solo istante per poter stare di più con te, conoscerti meglio… Invece abbiamo così poco tempo a disposizione.” Martia provò a intervenire, dicendogli che non doveva preoccuparsi, che avrebbero trovato un modo, ma lui non la fece parlare. “Io non posso decidere come andranno le cose, purtroppo. Ma a volte uno può provare di tutto ma non si ha un lieto fine. Quindi voglio poter ricordare questo momento per sempre, perché è solo ora che mi sento davvero felice per la prima volta da tantissimo tempo.”
La guidò all’interno di quella scatola e solo quando vide l’obiettivo rivolto verso di loro riuscì a capire dove si trovavano. “Leo…” avrebbe voluto dire qualcosa, ma non aveva idea di cosa dire.
Erano sempre stati poveri, molto poveri. Le uniche foto che avevano erano del matrimonio dei suoi genitori e poi ne facevano una tutti insieme ogni volta che nasceva un nuovo membro. Ma dalla morte di suo padre le cose erano peggiorate, e se i soldi non bastavano per il cibo figuriamoci per le fotografie. E quando era tornata dagli Hunger Games, quando finalmente aveva tutti i soldi che poteva desiderare, la morte di Paul e la malattia con il seguente decesso di sua madre le avevano fatto pensare che non c’era proprio un bel niente da fotografare. La differenza tra le foto del passato e quelle del presente sarebbe stata troppo grande.
Ne scattarono tre, facendone per ognuna due copie. Tutte e tre piccole, tascabili, in modo da poterle portare sempre con sé senza che gli altri le vedessero.
In una Leo l’abbracciava da dietro, ed entrambi sorridevano; nell’altra lui le dava un bacio sulla guancia, e lei aveva un sorriso così buffo che ogni volta che guardava quella foto non poteva fare a meno di ridere; nell’ultima si baciavano, ed era la foto che entrambi preferivano.
Così quando si sarebbero salutati, quando ognuno avrebbe fatto ritorno nella propria casa, quando anche i ricordi si sarebbero affievoliti, quella foto avrebbe ricordato loro che tutto era realmente accaduto.
Che loro, in quel momento, erano stati insieme, ed erano stati felici.





Salve bella gente. Eccomi con il nuovo capitolo che è stato davvero difficile da scrivere. Il motivo? Non ne ho idea. Ho cambiato spesso idea su come far svolgere la vicenda, su cosa far accadere o altro. Insomma, è stato complicato. Per il prossimo capitolo ho in mente di porre fine ai Giochi, sarà incentranto quindi sulla fine di questa edizione che segnerà anche la fine del soggiorno di Martia a Capitol City. E poi finalmente arriverà la parte che davvero mi piace di più. Spero continuerete a seguirmi, a leggere e magari a recensire. A presto!
  
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