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Autore: _joy    07/02/2014    7 recensioni
"La sera in cui Ben Barnes lasciò Rebecca Milani era una sera piovosa e grigia."
Quello che accadde tra un addio e un ritrovarsi.
Perché niente altro conta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto si aspettava Rebecca, tranne quello che vide.
 
Entrò praticamente volando nel bar del paesino, con i capelli scarmigliati, senza borsa e senza aver neppure chiuso le portiere della macchina, e finì dritta tra le braccia di una pallidissima Carolina, che l’aspettava in piedi vicino all’entrata.
Rebecca stava un po’ ansimando e un po’ singhiozzando per la paura e non riuscì a proferire parola, finché una altrettanto muta Carolina non le indicò Tommaso, che mangiava beato una coppetta di gelato, impiastricciandosi la faccia con il contenuto.
 
A Rebecca parve che il mondo smettesse di girare di botto.
Prese fiato, barcollò, chiuse gli occhi e si portò una mano alla fonte, quindi riaprì gli occhi per accertarsi che suo figlio fosse veramente lì e stesse bene e crollò in ginocchio sul pavimento, tendendogli le braccia.
Tommaso la vide, fece un sorriso dal quale si intravedevano quattro dentini e caracollò verso di lei.
Rebecca lo strinse e si sforzò di non mettersi a piangere per non spaventarlo.
Gli accarezzò i capelli e lo riempì di baci.
Tommaso ridacchiò e le si avvinghiò addosso, come faceva solo con lei, sporcandola tutta di gelato.
Quando lo lasciò andare, era conciata peggio di prima.
Sempre seduta sul pavimento, alzò due occhi gelidi sull’amica e scandì:
«Hai la minima idea della paura che ho preso? Quindici chiamate! Che cavolo è successo?»
Una pallidissima Carolina rimase muta e guardò in direzione dei tavolini raccolti su un lato della stanza.
Rebecca seguì il suo sguardo e si trovò a fissare gli stessi occhi scuri di suo figlio, in un viso adulto.
 
In un silenzio irreale, lei e Ben si fissarono a lungo.
 
Quindi, Rebecca notò il ragazzo accanto al suo ex: il biondino cui aveva dato informazioni per strada e che le aveva provocato quella fortissima sensazione di deja-vù.
Ecco perché.
Vedendoli vicini non si potevano avere dubbi: erano fratelli.
Ben le aveva parlato molto di Jack, quando stavano insieme, ma non le aveva mai presentato nessuno della sua famiglia. Era solo per curiosità che lo aveva aggiunto su Facebook, ma poi Jack non l’aveva mai contattata e lei si vergognava a farlo per prima.
E poi, semplicemente, non ce n’era stata più occasione, perché Ben l’aveva lasciata.
 
 
Mentre Carolina fissava in silenzio la battaglia di sguardi tra Becky e Ben, Jack aveva occhi solo per il bambino: sedeva in una posa apparentemente rilassata, ma i suoi occhi continuavano a seguire Tommaso.
Sembrava ipnotizzato.
 
Alla fine, con uno sforzo di volontà, Rebecca distolse lo sguardo, si alzò dal pavimento, si passò una mano tra i capelli e fece cenno all’amica.
«Andiamo» mormorò.
Si voltò per prendere la mano di suo figlio e Ben si alzò di scatto.
«Becky!» la chiamò.
E lei si fermò, dandogli le spalle.
 
Rivedersi.
Che cosa assurda.
 
«Dove…dove stai andando?» chiese.
Sempre di spalle, lei scosse il capo e si avviò verso l’uscita.
Gli altri tre le furono subito dietro.
Lei aveva già aperto la portiera e stava tentando di convincere il figlio a mollare la presa sui suoi capelli.
Ben la osservò parlare al bambino a bassa voce: non capiva le parole, ma il tono era dolce ed affettuoso.
Provò una strana stretta allo stomaco.
Era convinto di non provare più nulla per lei, era venuto per chiarire quel dubbio che lo divorava… ma, all’improvviso, fu assalito di ricordi di lei.
Lei che rideva, che mangiava, che si rotolava con lui tra le coperte, che lo baciava.
Tutta la dolcezza e il rimpianto per la loro storia gli si riversarono addosso in un secondo.
Ben batté le palpebre, disorientato, quando una gomitata di suo fratello lo riportò al presente.
Rebecca era riuscita a mettere il figlio in macchina, sul seggiolino.
«Becky» la chiamò ancora «Aspetta…ti prego»
Lei non lo guardava: fece segno all’amica di salire in macchina e Carolina fece goffamente il giro della vettura.
Sembrava aver perso la parola.
Ben si avvicinò di un paio di passi.
«Becky, ascoltami, io… Io… Io sono venuto…»
Non riuscì a terminare la frase.
«Sei venuto per lui?» chiese, all’improvviso, Rebecca.
Ben sussultò, ma annuì.
«Sì… io… io devo… sapere» concluse in un soffio.
Rebecca non lo guardava, ma rispose bruscamente, a bassa voce:
«Non c’è niente che devi sapere»
«Perché non me lo hai detto?» bisbigliò lui.
 
Il tono di voce era triste e lei, pur odiandosi, non riuscì a non guardarlo negli occhi.
Quella voce maledetta l’aveva sempre ipnotizzata.
Attenta a mantenere un’espressione gelida, rispose:
«Detto cosa?»
«Dai, Becky!» si spazientì lui «Mi sembra…ovvio!»
Indicò il bambino, al di là del vetro.
Tommaso lo fissava con gli occhioni sgranati.
Rebecca rispose, furiosa:
«Non vedo nessuna ovvietà»
«Non è…?»
«No» rispose lei, categorica «È mio. E basta»
Jack scosse il capo.
«È il ritratto di Ben, lo vedrebbe chiunque» disse piano, in inglese.
 
Era una verità incontrovertibile.
 
Ben era spaventato, adrenalinico e confuso, tutto insieme.
Rebecca era terrorizzata. E furiosa.
Lui stava vivendo quello che gli sembrava un sogno folle, lei era di fronte alla sua peggiore paura.
 
Rebecca scrollò le spalle.
«Questo non fa di te un padre»
«È mio?» domandò lui.
 
Per tutta risposta, lei salì in macchina, mise in moto e partì.
 
 

   
 
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