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Autore: Lechatvert    07/02/2014    4 recensioni
Dicono che delle persone si serbino, in genere, tre ricordi.
Di lei, da qualche parte nella mia mente, ne conservo soltanto due, entrambi popolati da quella paura che fa tremare le gambe, quel terrore del buio che fa piangere i bambini quando si soffia sulla candela per spegnerla.

Cominciarono a chiamarla طّ, Qitt, Gatto.
Ma si sa, quando i gatti muoiono, muoiono soli e lontani dal mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Altro personaggio, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Sef Ibn-La'Ahad
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dove cresce l'erba gatta

Venticinquesimo – il duello dei poveri
(https://www.youtube.com/watch?v=nPuQu498PSI)




La prima cosa che mi fece pensare ad Anbar come a una tempesta in attesa del primo fulmine per spazzare via tutto ciò che il suo cammino avrebbe incontrato fu il suo silenzio.
Rimase due giorni interi senza proferire parola se non obbligata, persa in chissà quale pensiero, a pettinare i lunghi capelli scuri delle sue due figlie.
Ufficialmente, era scappata da Masyaf la mattina dell’omicidio; in realtà, avevo arrangiato un giaciglio di fortuna nell’anticamera e sfruttavo quel poco potere che mi era rimasto per tenere la servitù lontana dalle mie stanze.
Era lampante che non potessimo andare avanti così; sarebbe bastato un pianto, una risata fatta a voce troppo alta, per allarmare qualcuno a far cadere i sospetti su di noi.
Mentre nella fortezza temporeggiavo con la caccia all’assassino, in casa lo facevo per mantenere la quiete. Con Abbas e la sua stupida idea di mettere su un consiglio e con Anbar, che si avvicinava sempre più al punto di rottura in cui avrebbe preso un coltello e sarebbe andata a concludere quella faccenda personalmente.
Nel bel mezzo della notte del terzo giorno fui strappato alla lettura dal rumore di una lama che entrava nel fodero. Alzai lo sguardo su Anbar, tutta impettita nell’armatura di suo marito mentre, con la grazia di un ubriaco, cercava di legarsi la lama celata al polso.
« Spiegami dove hai intenzione di andare », commentai, alzando un sopracciglio quando lei buttò a terra l’arma in uno sprizzo di stizza.
« Parto », sbottò di risposta.
« E per dove? »   
« Vado a cercare Darim ».
Roteai gli occhi.
« Credevo ne avessimo già parlato », le dissi, chiudendo il tomo che avevo aperto in grembo. « Altaïr e Darim stanno combattendo una guerra per il nostro Ordine. Ordine che tu hai deciso di abbracciare sposando Sef. Se dovessero tornare a Masyaf – e lo farebbero di certo – tutte le fatiche di questi anni sarebbero state vane. Ammesso che tu riesca a raggiungerli senza che qualcuno ti uccida sulla strada, certo ».
« Quantomeno ci toglieremmo dai piedi questa ridicola situazione! » Fece una pausa, controllando con un’occhiata che le sue figlie fossero ancora addormentate nel loro giaciglio nell’anticamera. « Non ho intenzione di starmene qui mentre là fuori si cerca l’assassino di mio marito. Mentre vengo accusata a causa della mia improvvisa scomparsa ».
Io le feci cenno di sedersi di fronte a me, abbassando appena il capo.
« Avevo le mani legate », risposi. « Abbas vuole metterci fuori gioco entrambi per assicurarsi il potere tramite il consiglio formato dai suoi tirapiedi. Ti avrebbe di certo rinchiusa nei tuoi alloggi con la scusa del lutto. E dimmi, che utilità avresti mai potuto avere, una volta confinata in una stanza? »
Le mani di Anbar si irrigidirono lungo i suoi fianchi.
« Certo, invece un’accusa di omicidio mi terrà libera e lontana dai guai! », ironizzò.
« L’unica prova che hanno contro di te è la tua scomparsa ».
« All’assassino di Sef servirebbe molto meno, per farmi fuori ».
Sospirai.
« La cosa migliore che puoi fare, ora come ora », spiegai, accigliandomi di nuovo. « È aspettare il ritorno di tua madre. Di certo i fratelli di Imaad la scorteranno fino a qui. Sono l’unico supporto su cui possiamo contare senza sospettare un tradimento ».
« Potrebbero passare mesi, Malik. Potrebbero passare anni. Potrebbe non fare ritorno. Se persino i messi potrebbero pugnalarci alle spalle e non abbiamo modo di farle sapere cosa sta succedendo, cosa dovrebbe mai farla tornare? »
Aveva ragione. Conoscendo Qitt, avrebbe di certo lasciato Gerusalemme dopo pochi giorni, ma cosa l’avrebbe fatta tornare a Masyaf? Anbar era grande, ormai, nella sua ottica poteva tranquillamente cavarsela da sola.
Eppure, qualcosa mi diceva che sarebbe tornata.
Per una volta, avevo fiducia di credere a quella promessa fatta per strada.
« Abbi fede », le risposi, quindi, poggiandole una mano sulla spalla. « E, per una volta, non fare di testa tua ».
Lei annuì.
« Ti do ancora una settimana », rispose, scostandosi da quel contatto. « Dopodiché prendo il primo cavallo che riesco a trovare e vado a riprendere Darim o chi per lui ».
Si alzò e camminò spedita fino alla tenda che delimitava l’entrata nell’anticamera, la stanza di fortuna che eravamo stati in grado di mettere in sesto per permetterle di dormire assieme alle sue figlie. La toccò con la punta delle dita inguantate, dopodiché si voltò verso di me.
« Leggevi delle missive da Alamut¹, ieri », mi disse.
Io annuii piano, circospetto.
« Che cos’è? »
« Una fortificazione degli Assassini a mezza lega a nordest da qui ».
« Quali nuove ci scrivono? »
Sospirai.
« Maometto, l’uomo posto a capo della fortezza, non è un servo dell’Ordine; ha conquistato Alamut con la forza due anni fa.  Deve essersi ingolosito delle vittorie di Altaïr, poiché chiede un riavvicinamento agli Assassini ».
Soltanto quando finii di esporre quella spiegazione mi resi conto di quanta attenzione richiedesse quella faccenda. Avevo sempre liquidato le pacifiche insistenze di Alamut e avevo iniziato a prenderle come sciocche moine dopo la morte di Sef.
In quel momento realizzai che la fortezza di Maometto poteva rappresentare la nostra salvezza, se avessi saputo schierare i suoi soldati dalla mia parte. Se invece Abbas fosse arrivato prima assieme al suo consiglio, bé, in quel caso non sarebbero stati che due plotoni in più a tagliarmi la gola nel sonno.
Guardai Anbar di nuovo, cercando di mostrarle un sorriso rassicurante.
« Va’ a dormire », la esortai, pacato. « Non sono cose a cui una donna dovrebbe pensare ».
Doveva essere davvero esausta, poiché non raccolse quella misera provocazione e si limitò ad annuire, sparendo dietro la tenda che per tutto quel tempo si era persa a fissare.
Si rinfacciò subito dopo.
« Buonanotte, Malik ».
La salutai con un cenno del capo, prima di spegnere a mia volta il lume.
« Buonanotte ».



* * *


Camminavo spedito per i corridoi della fortezza, spada legata al fianco e braccio occupato a reggere due rotoli di cartine geografiche sottratte senza troppi complimenti alla biblioteca.
La notte precedente, avevo riflettuto a lungo sulla possibilità di stringere un’alleanza del tutto ufficiosa con Alamut e, se da una parte l’idea di prendere sotto la mia ala una schiera di soldati del tutto estranei al credo degli Assassini non mi piacesse affatto, dall’altra mi rendevo perfettamente conto che era l’unica via  per garantire l’incolumità di Masyaf.
Incrociai Abbas e i suoi tirapiedi che ero ormai di ritorno verso le mie stanze.
« Salute e pace », esordii, avvicinandomi con fare severo. Scambiai un paio di occhiate con Abbas, prendendo un grosso respiro prima di continuare a parlare in tono grave. « Non credo vi sia permesso camminare su questi corridoi. Ci sono gli appartamenti privati del Mentore e della sua famiglia ».
Abbas sostenne il mio sguardo con arroganza.
« Stiamo controllando ogni stanza », rispose uno dei suoi servitori.
Mi accigliai.   
« In cerca di cosa, esattamente? »
« Sef non aveva con sé il suo coltello. Pensiamo si tratti dell’arma usata per sgozzarlo ».
Ricordo che pensai che soltanto uno stupido avrebbe tenuto con sé l’arma del delitto. E soltanto un minorato mentale l’avrebbe nascosta nelle sue stanze, soprattutto nella fortezza, arroccata sopra una gola talmente profonda che qualunque cosa fosse finita laggiù poteva dirsi persa per sempre.
Tutto ciò avrebbe dovuto darmi un presentimento lampante su ciò che sarebbe successo in seguito, ma a causa della stanchezza non lo fece.
Nella mia testa, il coltellaccio di Sef con la lama arricciata in punta era ancora nelle mani di Anbar.
« Immagino vogliate controllare anche le mie stanze », dissi, quindi, fingendomi seccato. Pregustavo già il momento in cui Abbas sarebbe uscito di lì a mani vuote.
« È esatto ».
Sottovalutarlo fu il mio errore più grande.
Guidai tutto il gruppo verso i miei alloggi, fermandomi dinanzi alla porta di legno per bussare prima di azzardarmi ad aprirla.
Tre colpi erano il segnale che qualcuno di pericoloso era in avvicinamento.
Dalla stanza, sentii i passi veloci di Anbar spostarsi nell’anticamera assieme ai bisbigli nervosi di Malika.
Sospirando, mi chiesi perché mai le donne dovessero essere così rumorose in tutto ciò che facevano, dopodiché aprii la porta.
La tenda sull’anticamera era sparita, di Anbar non c’era traccia, Malika era in piedi al centro della stanza con le mani congiunte sul ventre rigonfio e un sorriso innocente stampato in faccia.
Persino un cieco si sarebbe accorto che stava nascondendo qualcosa.
E così fu.
Abbas mi superò a passo spedito, affacciandosi all’anticamera e indicando la porta che dava sulla biblioteca.
«Cercate dappertutto!», sbraitò, prendendosi la libertà di aprire i cassetti delle librerie.
Nella furia di cinque uomini che si impegnano a mettere a soqquadro cinque stanze intere, mi avvicinai a Malika e le presi la mano.
« Anbar? », chiesi sottovoce, senza spostare lo sguardo dai miei poveri registri che venivano scaraventati da una parte all’altra della camera. Anni e anni di lavoro buttati all’aria così irrispettosamente. In un altro momento, avrebbe fatto male.
Malika si strinse a me.
« Le ho fatte uscire dalla porta della biblioteca », rispose con un filo di voce. « Si sono nascoste nelle camere di Altaïr ».
Se non altro, qualcosa di intelligente erano state in grado di farlo.
Rimasi in piedi al centro della stanza mentre tutto ciò che avevo scritto, pensato e archiviato per l’Ordine veniva distrutto nella foga della ricerca, osservando ogni singola ora di lavoro perdersi nel marasma di fogli e registri che si era creato sul pavimento.
Ci avrei messo mesi, se non anni a rimettere tutto in un ordine quantomeno accettabile, ma Abbas avrebbe di certo ascoltato ogni mia singola lamentela circa l’accaduto. Era inaccettabile che lui e la sua ridicola compagnia di debosciati si permettesse di sospettare di me, non l’avrei accettato.
Poi, quasi quei bellicosi pensieri fossero stati ascoltati dal fato, uno degli uomini prese a frugare tra le coperte e i materassi del letto.
Accanto a me, sentii Malika irrigidirsi.
La guardai, perplesso.
L’occhiata che mi mandò di rimando chiarì ogni cosa.
Troppo tardi, però.
« L’ho trovato! »
Non ebbi bisogno di guardare verso il mio giaciglio per sapere di cosa si trattasse. Il coltello di Sef, quello con la punta arricciata, quello che Darim aveva ricevuto in dono da suo padre e che Sef gli aveva chiesto in dono così tante volte da esasperarlo. Quello che Anbar aveva sfilato dalla cintura del cadavere di suo marito per sicurezza, come aveva detto lei. Quello che ora se ne stava lì, brillante tra le mani di Abbas, sporco del sangue di chissà quale animale.
Quello che era stata lei, a nascondere tra le coperte.
Scoccai a Malika un’occhiata esasperata.
« Perché? », mugugnai, mentre gli uomini di Abbas mi si buttavano addosso per immobilizzarmi. Come se avessi avuto possibilità di fuggire. Come se ne avessi avuto la forza.
Lei si aggrappò a me con gli occhi pieni di lacrime.
« Mi dispiace! », gridò, coprendosi la bocca con la manica dell’abito.
Presi un grosso sospiro, imponendomi la calma. Non potevo permettermi il minimo sgarro.
« Questo non prova niente », dissi, voltandomi verso Abbas mentre i suoi tirapiedi mi tenevano fermo per le spalle.
Lo vidi sogghignare.
« Al contrario », rispose, beffardo. « Questo prova tutto, ma non sarò io, a giudicarti. Ci penserà il consiglio ». Fece una pausa, ricercando quel briciolo di teatralità che si ritrovava per poi allargare le braccia con fare pomposo. « Portatelo nelle prigioni, che attenda il giudizio! »
Mi risparmiarono l’umiliazione di portarmi in carcere di peso, lasciandomi quantomeno la dignità di camminare di mio passo.
Dove potevo scappare, in fondo? Agli occhi degli Assassini più giovani, non ero che un vecchio con l’assurda presunzione di poter ancora comandare l’Ordine.
Mi allontanai assieme ai miei carcerieri, lasciandomi alle spalle i miei alloggi e maledicendo ogni singolo momento in cui avevo messo da parte il lavoro per dedicarmi al mio personale interesse. In quegli istanti, non mi sarei stupito se qualcuno mi avesse detto che Abbas e Malika erano in combutta fin dal matrimonio di Imaad.
Credevo che non ci sarebbe stato nulla, in quel momento, capace di lasciarmi senza fiato.
Ancora una volta, il fato mi dimostrò quanto mi stessi sbagliando.
Nella camminata verso la prigionia, trovai una delle porte degli appartamenti di Altaïr ancora socchiusa.
Voltandomi verso di essa, vidi brillare qualcosa, nel buio.
La punta di una freccia già incoccata sul suo arco.
Il verde delle iridi di Anbar, concentrato sulla mira da prendere per abbattere almeno una delle guardie, mi diede speranza.
Cadde tutto quando la vidi sospirare.
Completamente inosservata dagli Assassini, abbassò l’arco e tornò nel buio della stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
Affranto pensai che, quel giorno, ero stato tradito due volte.






__________________________

Note d'autore
[1] Alamut era storicamente una fortezza iraniana che, dal 1090, fu dimora degli Assassini. Passò di mano per qualche anno, finendo poi nelle mani dei mongoli nel 1256. Nel periodo della storia (1225 circa) il comandante del castello era Maometto III. Su di lui non si hanno informazioni, ma ho dedotto che non fosse originario del luogo perché tutti i precedenti sovrani vengono accompagnati da un "of Alamut" che Maometto è l'unico a non avere.
Per il resto, ho tirato a indovinare quale potesse essere la situazione politica c:

Lo so, è un po' che non mi faccio sentire.
Lo so, sono una persona orribile.
Ma sono orribile e libera.
Sì, perché dopo due mesi di preparazione, tre appelli cancellati e uno spostato io. ho. finalmente. dato. quel. benedettissimo. esame. Yoho! Yuhu! Yaha! Yihi!
Avevo intenzione di pubblicare ieri, ma ho dormito fino alle cinque del pomeriggio per recuperare le ore di sonno buttate al vento per questo stupidissimo esame.
Per rifarmi, prometto di sbrigarmi della stesura del prossimo. Ora sono libbbbera! *corre per l'ateneo incintando la distruzione di ogni appello simile


Latte e biscotti,

Lechatvert


PS: -2!

   
 
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