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Autore: Kiki87    07/02/2014    3 recensioni
Ognuna di loro era una principessa e sapeva che le avrebbero insegnato qualcosa, seppur ancora non fosse abbastanza grande da considerarsi una di loro. Ma un giorno, le ripeteva la stessa melodica e soffusa voce, anche lei lo sarebbe stata e, finalmente, avrebbe compreso tutto.
Da sempre amante delle favole, Brittany deve affrontare una nuova realtà ben diversa da quella conosciuta e rassicurante. Con le presenze rassicuranti della madre e di Lord Tubbington, incontrerà nuove persone e inizierà una nuova vita. Sarà duro il cammino per sentirsi come le sue principesse preferite? Troverà, infine, quel principe di cui sognava da bambina?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Hunter Clarington, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 11
La Bestia: Belle, tu... tu sei tornata.
Belle: Ma certo che sono tornata. (…)
Andrà tutto bene. Adesso siamo insieme.
Andrà tutto benissimo, vedrai.
[La Bella e la Bestia – film d'animazione di Walt Disney]

Capitolo 11


Lo stesso scenario: l’orizzonte minacciato dalle nuvole scure, la costruzione imponente con quell’aura d’autorità che sembrava impressa nell’assemblaggio stesso dei mattoni. Una distesa di campi e l’immensità della natura piegata a location di una realtà con sue regole e identità.
Un sorriso sulle labbra, i capelli scossi dal vento e un trolley di uno sfacciato rosa shocking che trascinava senza alcun timore: lo sguardo di chi aveva ritrovato sicurezza e fiducia a farne scintillare lo sguardo azzurro. Sentì, anche in quel momento, gli sguardi curiosi puntati su di lei: un saluto sorridente alla vista del naso di Finn Hudson, schiacciato conto il finestrino del pullman, su cui erano sedute circa trenta reclute.
Poco prima dell’ingresso si stagliava una figura maschile che Brittany guardò con aria serena: l’uomo, lo sguardo fino a quel momento puntato sulla cartelletta su cui stava leggendo e scribacchiando con aria concentrata, si riscosse, quando le ruote del bagaglio cozzarono contro le pietruzze del vialetto. Inarcò le sopracciglia ma, l’attimo dopo, le labbra furono increspate da un sorriso divertito e insieme lieto. La guardava come se si fosse aspettato che sarebbe arrivata prima o poi.
“Buongiorno, Brittany,” la salutò con aria allegra, “spero che la villeggiatura sia stata di tuo gradimento”.
La giovane si fermò ed annuì, il viso lievemente reclinato all’indietro per osservarlo. “E’ stata molto utile, ” asserì per poi piegare la testa di un lato, “è un piacere rivederla, Signor Clarington”.
Lo sguardo tradì per la prima volta una punta d’esitazione e di timore. “Lui è-?”.
Aveva annuito, Jonathan Clarington, prima ancora che concludesse la domanda. “Immagino che ti vedrò tra non molto ma, per il momento, bentornata”, le strinse la spalla, quando le passò accanto e si diresse verso il pullman le cui porte erano ancora aperte, evidentemente attendendo che facesse il suo ingresso.
“Signor Clarington?”.
L’uomo si era voltato e Brittany esitò un solo attimo, ma ricoprì rapidamente la distanza per stringerlo: affondò il capo contro il suo petto ampio, appena sopra il tambureggiare del suo cuore. Sembrava quasi di cingere una montagna per la sua stazza imponente, ma questo non rese il gesto meno sentito per nessuno dei due.
Un solo attimo d’evidente sorpresa ma l’uomo le batté gentilmente la mano libera sulla schiena.
“Spero tu non mi chieda di passarlo a mio figlio: potrebbe essere imbarazzante in luogo pubblico”, aveva commentato con una lieve traccia d’ironia che aveva fatto ridacchiare la giovane.
“Non tardare”, l’aveva ammonita, con un sorriso, dopo che si fu scostato.
Aveva annuito, Brittany, e si era diretta con passo più deciso verso l’edificio, ben consapevole che ciò che stava per intraprendere era solo il primo passo.
Jonathan salì sul pullman, inarcò le sopracciglia ai fischi canzonatori del plotone, prima di stringersi nelle spalle. “Se vi state chiedendo se un uomo della mia età abbia più fascino di voi, direi che la risposta è alquanto evidente. Appurato questo, vogliamo andare? Siamo già in ritardo”.

~

Lo sguardo era corrugato, mentre scriveva sul foglio, ogni tanto sollevava gli occhi a rimirare la cornice sulla scrivania. La sfiorava, quasi quel sorriso fosse un’implicita promessa che sarebbe andato tutto bene, se non avesse perso la fiducia o quella parvenza di serenità.
Si interruppe per strofinarsi il volto in un gesto di reale stanchezza: avrebbe dovuto affrettarsi per non ritardare e venir meno al suo dovere, in rappresentanza dell’Accademia.
Stava per appoggiare nuovamente la penna sul foglio, ma si riscosse al bussare che infranse il gravoso silenzio dei suoi pensieri. Sperando che Jonathan non si fosse intestardito a scortarlo di persona, come se fosse stato un figlio capriccioso e riottoso, Neal pronunciò uno svogliato: “Avanti”, e levò lo sguardo verso l’ingresso.
Sembrò restare congelato alla vista della ragazza e il tempo stesso sembrò cristallizzarsi, mentre cercava in quel volto i segni della stessa persona che aveva lasciato andare. Così straordinariamente esile e puerile al suo sguardo, i cui occhi sembravano lasciar carpire più di quanto palesasse, fino a cogliere profondità celate ad uno sguardo distratto o poco interessato.
“Brittany”, l’esclamazione quasi rauca e il tono allarmato. Si levò dalla sua sedia, circumnavigando la scrivania per esserle di fronte: gli occhi sgranati e le labbra schiuse. “Stai bene?”.
Non riusciva a spiegarsi la sua presenza se non per qualcosa di negativo: si era irrigidito al pensiero dell’uomo il cui sguardo suadente quanto privo di reale calore umano, lo aveva reso poco fiducioso fin dall’inizio. Brittany aveva promesso di tornare, ma aveva sperato con tutto il cuore che tali parole non fossero state pronunciate soltanto per lenire il dolore della madre.
La ragazza gli sorrise con una dolcezza che ne fece scintillare le iridi. Riusciva a percepire una nuova quiete provenire da lei, come mai era accaduto da che l’aveva conosciuta. Ma non sembrava aver fretta di parlare: continuava ad osservarlo, quasi solo in quel momento riuscisse veramente a guardarlo e realizzare qualcosa.
Cercò di rilassarsi e le sorrise: si trattenne dal coprire le distanze e cingerla, quasi vi fosse la consapevolezza implicita che prima dovesse lasciarla parlare.
“Tua madre sa che sei qui?”, si aspettava di vederla varcare la soglia da un istante all’altro e con lo slancio che l’animava, quando si trovava di fronte ad un parquet.
Sorprendentemente, Brittany scosse il capo, ma non perse il sorriso. “Ho preso un taxi dall’aeroporto,” spiegò con tono tranquillo, “nessuno sa che sono qui, a parte il Signor Clarington e un plotone di ragazzi ma,” si avvicinò, tormentandosi i capelli per la prima volta, il viso inclinato di un lato, lo sguardo più puerile e timoroso che aveva già scorto in precedenza, “ho tanto bisogno di parlare con te, prima di tutto il resto”.
E Neal si sentì trattenere il fiato nello scorgere un anelito di speranza e di un’evidente attesa: era soltanto la sua curiosità a trattenerlo dal cingerla tra le braccia e cullarla. Ma, in quel momento, a prescindere da ciò che gli avrebbe detto, si promise che non l’avrebbe più lasciata andare per alcun motivo.


Brittany sospirò, le mani strette in grembo nel guardare l’uomo che aveva dato nuova felicità a sua madre, l’uomo che aveva sempre rispettato i suoi spazi o la sua scarsa presenza e partecipazione e sempre con un sorriso dolce e una disponibilità e spontaneità quasi commoventi. Pronto ad incoraggiarla, anche quando la decisione lo avrebbe ferito in prima persona, l’uomo che le aveva chiesto un posto nel suo cuore che era sempre stata trattenuta dal concedere.
“Neal,” lo richiamò con voce tremante. “io sono tanto dispiaciuta”, esordì e lo vide sgranare gli occhi ma prima che potesse replicare, riprese parola.
“Ti ho sempre tenuto a distanza, ” aveva ammesso: flash d’immagini che sembravano confermare quei momenti passati, quelle occasioni perse come un monito a non lasciare che ciò avvenisse nuovamente, “e tu non hai mai fatto nulla per importi, neppure quando ti ho ferito”.
“Brittany”, le sorrise con tale comprensione e tenerezza che Brittany temette di non riuscire a concludere.
“Credevo di star proteggendo la mamma all’inizio, anche se ho capito quanto vi amate”, continuò e le parole scivolarono in modo più fluido, quasi ansiose però di dare suono ad una verità seppellita a lungo nei meandri della sua quotidianità.
“Ma stavo soltanto proteggendo me stessa, perché non avrei potuto sopportare che qualcun altro mi lasciasse, da un giorno all’altro”, era stata la confessione più rauca che ne aveva fatto luccicare gli occhi e reso la gola più stretta.
Sembrò in procinto di replicare, Neal, ma ancora una volta la ragazza lo procedette: gli si avvicinò, guardandolo dal basso, il viso inclinato di un lato, il sorriso più timido e delicato, prima di proferire quelle parole trattenute probabilmente troppo a lungo e più che mai vitali e necessarie per ripartire. Questa volta insieme. “Sarò tua figlia, se ancora vorrai essere mio padre”.
Era la prima volta che vedeva quel luccichio nello sguardo dell’uomo che aveva di fronte, ma non vi fu bisogno di risposta pronunciata a chiare lettere. Neal finalmente coprì la distanza e la strinse con calore e un’energia tale che sembrava serbare tutto l’amore e la dedizione serbati in silenzio fino a quel momento, tutte le parole ancora non pronunciate e tutte le promesse che avrebbero stretto da quel nuovo inizio.
Brittany affondò contro il suo petto come se null’altro fosse possibile e non restasse che abbandonarsi completamente a lui con fiducia e bisogno. Lasciò che le sfiorasse i capelli in un tocco vellutato e quasi devoto, e finalmente comprese il significato di un legame scaturito da una reciproca necessità e non da una traccia genetica.
“Scusami per tutto, ” mugugnò con la voce soffocata contro la divisa che indossava.
Scosse il capo, Neal, la scostò appena per sfiorarne le gote a rimuoverne le lacrime e ne baciò la fronte. “Avrei atteso altri cent’anni per questo momento”, aveva rivelato, per poi trarla a sé un altro lungo istante, quasi non fosse stato sufficiente o necessitasse di un’altra stasi per convincersi che fosse tutto reale.
“E ora andiamo, ” si era scostato rapidamente, recuperando quel guizzo sbarazzino e complice ma guadagnandosi uno sguardo confuso da parte dell’altra, “abbiamo un Glee Club da far vincere”.
Boccheggiò, Brittany, facendo mente locale prima di scuotere il capo. “Ma io non sono più iscritta”.
Fu allora che Neal sorrise con aria persino più accattivante. “Potrei distrattamente non aver ancora firmato la tua richiesta di ritiro: potrai partecipare e da domani non sarai più una studentessa di quest’Accademia”.
Aveva sorriso, Brittany, all’idea di ciò che poteva averlo trattenuto dall’apporre una semplice firma e da ciò che ne sarebbe conseguito. Un altro pensiero, tuttavia, le procurò un brivido lungo la spina dorsale e sentì il respiro farsi più rado, nonostante le sue motivazioni dopo la partenza da Washington. “Lo apprezzo molto, ma non so se sia il caso”.
Si era accigliato, Neal. “Qual è la prima regola di un buon soldato? Non abbandonare mai i compagni in difficoltà, qualunque sia il tipo d’ostacolo”.
Brittany si era morsa il labbro. “Non credo che mi vorranno con loro e non potrei biasimarli”, aveva obiettato, lo scintillio più affranto all’idea dell’addio tanto freddo e formale con Hunter.
Neal scosse il capo e le cinse le spalle, conducendola verso l’uscio per poi rivolgerle uno sguardo divertito. “Se stai parlando di un aitante Capitano, per cui sospetto che tua madre abbia un’infatuazione inquietante, alto un metro e ottantatré centimetri, spalle larghe e occhi verdi, allora temo di dover dissentire”.
Una nuova vampata di calore aveva sfiorato le gote di Brittany. “Te l’ha detto la mamma?”, aveva pigolato dopo essersi schiarita la voce, cercando di darsi un contegno.
“Diciamo che i soldati hanno un loro modo di dimostrare affetto e di questo sono più che informato e poi… è così evidente?”, aveva chiesto con aria quasi rassegnata che aveva fatto ridere la ragazza, smussando l’imbarazzo e la tensione.
“No, ma apprezzo lo sforzo”.
Si era nuovamente fatto serio, Neal, e le aveva cinto le spalle. “Era all’aeroporto quel giorno, ma non ha avuto tempo di parlarti”.
Aveva sentito il cuore fermarsi in gola, Brittany, una nuova speranza che si accompagnò ad un moto di calore ad irradiarle dal petto. Un vago sorriso nel domandarsi come sarebbero andate le cose se il volo avesse ritardato a sufficienza da consentire loro un ultimo dialogo. Chissà se sarebbe ancora stata disposta a partire o avrebbe compreso in modo più nitido di appartenere alle persone che l'avrebbero guardata andarsene.
Si era riscossa per osservare l’uomo con aria più dolce e un misto di gratitudine e di tenerezza. “Sarai un papà meraviglioso”, aveva asserito in un sussurro più tremulo.
Parve molto compiaciuto, Neal, ma la strinse più forte, prima di rilasciare un sospiro. “Dovremo fissare delle regole se tra voi… sì, insomma, se diventerà qualcosa d’ufficiale, capisci?”. Era sembrato lui stesso quasi timoroso di esprimere quell'eventualità e ciò aveva fatto sorridere la ragazza con persino più tenerezza.
Nonostante il nuovo rossore sulle gote, si era portata la mano alla fronte. “Signorsì, Signore!”, aveva esclamato nella tonalità che più compiaceva Kitty.
Se quello era stato soltanto l’inizio, non aveva alcun dubbio che tutto sarebbe stato meraviglioso da quel momento in poi.

~

Era la prima volta che Brittany prendeva parte ad un’occasione simile: finora la danza, ad eccezione delle prove degli ultimi mesi, era sempre stata un evento privato e personale. Ma all’Accademia aveva imparato, più che mai, lo spirito di squadra, il cameratismo (talvolta anche nell’accezione peggiore) e il significato dell’unione: dell’essere una parte del successo dell’altro.
Erano arrivati trafelati al Teatro della città, il rinomato Fine Arts Center1, allestito per l’occasione e si confusero tra la folla: Brittany si guardò attorno con aria smarrita e preoccupata, fino a quando Jonathan Clarington, la cui imponente altezza lo rendeva facilmente rintracciabile, si fece largo per raggiungerli.
Il viso era notevolmente sereno nel vederli insieme.
“Come stanno andando?”, chiese ansiosamente Neal.
L'altro emise un breve sospiro. “Non sarà facile spuntarla: ci sono molti concorrenti e altrettanti talenti”, spiegò in tono pacato. “Il duetto di Hunter e del Capitano Wilde credo abbia avuto molta presa in generale, ma disgraziatamente la ragazza è sembrata dolorante nel secondo numero. Dipenderà tutto dal numero finale... il che ci rimanda all’arma segreta, immagino”.
Brittany parve ancora più confusa: se aveva sentito il cuore in gola alla realizzazione che Hunter fosse in quello stesso edificio e lo avrebbe rivisto da lì a poco, fu ancora più sconcertante, quando i due adulti la guardarono con un sorriso evidentemente allusivo. Fu quasi tentata di guardarsi attorno, quasi aspettandosi un ballerino di talento, magari fuoriuscito dalla fiction “Paso Adelante”, ma sgranò gli occhi alla comprensione. “Io?”.
“Lo sei sempre stata,” aveva asserito Neal con evidente orgoglio. “un pessimo soldato ma-”.
“Hey!”, aveva borbottato in risposta, le braccia incrociate al petto e il cipiglio di puerile disappunto.
“Ha anche fatto un ottimo saggio di storia”, intervenne Jonathan con un sorriso, “un peccato che non faccia media su un giudizio finale”.
“Ma è la danza che ti scorre dentro,” aveva continuato Neal in tono più dolce, “e mi dispiace di essermi lasciato trascinare e averti costretto a qualcosa di diverso”.
Aveva scosso il capo, Brittany. “Non rimpiango nulla… o quasi”, aveva appena raggrinzito il naso al ricordo delle angherie di Kitty.
“Allora, vuoi condurre il Glee Club alla vittoria?”
Aveva sorriso con aria più compiaciuta. “Sono qui per questo”.
Jonathan la scortò lungo il dedalo di corridoi verso il camerino, per poi indicarle la porta corrispondente all’alloggio della loro Accademia, contraddistinto da una targa che le procurò una nuova aritmia.
“Buona fortuna”, si era congedato con un ultimo sorriso.
Brittany temette il momento del ritorno persino più del momento in cui sarebbero saliti sul palco: quanti sarebbero stati effettivamente felici di rivederla? Hunter sarebbe stato uno di loro? Sentiva il cuore in gola in quel momento e sfiorò la superficie dell’uscio che la separava da quella verità.
Cercò di cacciare dalla mente l’immagine di un momento simile e ascoltò il brusio proveniente dall’interno: prese un profondo respiro e, infine, schiuse la porta.
Come un unico corpo, si erano tutti voltati verso l’uscio e parvero restare congelati sul posto. Brittany ebbe appena modo di scorgere lo sguardo sorpreso e spiazzato di Hunter e di Kitty, prima che Marley, uno strillo felice, le gettasse le braccia al collo.
“Sei tornata per vederci?”, le chiese quest’ultima quasi dondolandola in quell’abbraccio e strappandole un sorriso mentre la cingeva a sua volta, quasi necessitasse, in assenza del suo gatto (sperò che l’autista del taxi lo avesse consegnato a casa con cura: un peccato non poter scorgere la reazione della madre alla vista della gabbietta e del messaggio accluso), di quel contatto.
Brittany guardava Hunter che, dopo quel momento di puro sbigottimento, era tornato a scrutare il foglio che teneva tra le mani: appariva più che mai concentrato, soltanto la mascella contratta e l’irrigidimento della postura ne tradivano una qualche emozione.
“Molto commovente, Barbie, ma non abbiamo tempo per i convenevoli”, fu la secca replica di Kitty. La stava scrutando con aria arcigna, mentre si sedeva su un divanetto, stendendo la gamba per appoggiare del ghiaccio sulla caviglia2.
Scosse il capo, Brittany, dopo essersi dolcemente svincolata dall’abbraccio dell’amica a cui trattenne la mano. “Sono venuta per partecipare”, aveva precisato, la voce leggermente tremula.
Sentì il silenzio gravoso sugli astanti, Marley aveva rafforzato la stretta, Ryder, Jeff e Mike le sorrisero con evidente approvazione, ma era i due Capitani che stava tuttora scrutando, consapevole che fossero solo loro ad avere voce in capitolo.
“Se me lo permetterete”, aveva aggiunto.
“Dobbiamo, dobbiamo, dobbiamo”, era stato il suggerimento di Jeff che sembrò letteralmente saltellare sul posto, ma fu allo sguardo gelido di Hunter che si fermò, la stessa espressione di un bambino trovato con le mani sporche di marmellata.
Fu Kitty ad alzarsi, gettando la confezione di ghiaccio sul pavimento, facendo sussultare Brittany.
“Te ne vai, lasciandoci nella merda totale per il tuo bisogno di riconciliarti con il mondo di Barbie e poi torni, pretendendo che noi ti permettiamo di tornare, come se nulla fosse accaduto”, lo sguardo era glaciale, la voce altisonante che aveva fatto congelare tutti sul posto, compresa Marley a cui Brittany si aggrappò con più intensità.
Aveva annuito, sostenendo lo sguardo del Capitano e sospirando. “Non posso cancellare i miei errori,” sussurrò in tono contrito in quell’ammissione, “e mi dispiace di avervi egoisticamente coinvolto, ma lasciate che mi scusi, facendo l’unica cosa che mi riesce bene, specialmente se questo può aiutarvi”.
Si era voltato verso Hunter, Jeff, la stessa espressione di un bambino implorante, qualcosa di simile a quella che Marley stava gettando al Capitano Wilde che si era portata le mani sui fianchi e continuava a scrutare la sua ex recluta come non chiedesse di meglio di prenderla per i capelli. E farla cozzare contro la parete. Ripetutamente. Fino a quando non avesse perso i sensi.
“Ho capito che eri una piantagrane dal primo momento in cui ti ho vista e lo penso ancora”, aveva esordito e Brittany si mordicchiò il labbro, sollevando le mani.
“Io-”.
Aveva sbuffato, Kitty, le braccia serrate al petto nel fissarla con aria ancora piena di biasimo e di rancore, prima di scuotere il capo. “Ballerai al mio posto”, sancì e un silenzio stupefatto cadde tra gli astanti.
Non ebbe neppure modo di sentire lo squittio felice di Marley o il modo in cui le stava cingendo il braccio, letteralmente saltellando, perché non riusciva neppure a contenere quel nuovo scoppio di gioia e d’energia che le fece scalpitare il cuore.
“La coreografia è un po’ cambiata,” continuò Kitty, un’occhiata gelida alla sua amica per placarne il moto di felicità, “ma non abbiamo tempo di fartela memorizzare”, era avanzata in sua direzione e le aveva cinto le spalle per poi guardarla intensamente, costringendola a chinarsi verso di sé.
“Dovrai seguire Hunter e lasciarti guidare da lui: leggere e anticipare i suoi movimenti e far in modo che ogni tuo passo sembri completare il suo, credi di riuscirci?”.
Aveva deglutito nervosamente, Brittany, ma l’aveva guardata dritta negli occhi ed aveva annuito.
Si era rivolta a Marley, Kitty, con un cenno del mento. “Andate a cambiarvi, le darai il tuo vestito3”.
“Signorsì, Signora”, aveva replicato Marley che non sembrava affatto dispiaciuta. Brittany sapeva avrebbe dovuto ringraziarla e non soltanto per aver rinunciato a quell’ultima esibizione in suo favore e senza alcun risentimento. Al contrario, trattenendola ancora per mano, la stava lei stessa sospingendo verso il bagno.
“E Barbie?”.
Si era voltata, Brittany, e Kitty le fece cenno di avvicinarsi. Sembrava piuttosto contrariata nel continuare a scrutarla con le braccia incrociate al petto e le labbra serrate in una smorfia.
“Gli sei mancata,” aveva commentato in tono spiccio, quasi volesse assicurarsi di parlare, prima di cambiare idea, “ma se lo vedrò di nuovo giù di tono a causa tua, ti strapperò i capelli uno per uno e te li farò ingoiare, mi sono spiegata?”.
Aveva sentito il cuore farsi più pesante, Brittany, lo sguardo corse al ragazzo che non le aveva più neppure rivolto un’occhiata e che sembrava totalmente incurante del suo ritorno. Non aveva neppure preso parola sulla questione, malgrado fosse stato il primo a spronarla ed esortarla, il primo a desiderare di vederla unirsi al Glee Club.
Era tornata ad osservare Kitty, consapevole quanto quelle parole dovevano esserle sofferte, soprattutto per il reale affetto verso lo stesso ragazzo. Aveva annuito con un sorriso di gratitudine.
“E ora fila, abbiamo già perso abbastanza tempo”.
Si era morsicata il labbro, Brittany, ma l’aveva cinta impulsivamente in un abbraccio che aveva strappato sguardi increduli e qualche fischio canzonatorio tra i ragazzi. Era rimasta rigida, Kitty, come un pezzo di ghiaccio.
“Grazie,” aveva sussurrato Brittany con voce pregna di reale commozione, ma Kitty si era divincolata bruscamente.
“Sto cercando di trattenermi dal darti un pugno, Pierce”, aveva borbottato per risposta, scostandola da sé.
La fissò incredula, Brittany.
“Che c’è?”, le abbaiò contro l’altra. “Non penserai di essermi davvero mancata?”.
“Mi hai chiamata per cognome”, era parsa incredula.
Aveva sbattuto il piede a terra, Kitty, le labbra contratte prima che notasse qualcosa e le prendesse rudemente il braccio. “Sono unghie finte?”, lo chiese in un sibilo minaccioso quanto il detonatore di una bomba. “Toglile, prima che te le strappi via io”, si era voltata per poi lasciarsi cadere sul divano, una smorfia risentita nel prendere il ghiaccio e borbottare, con aria contrariata: “unghie finte, puah!”.

~


Carezzò il tessuto dell’abito, il cuore in gola e una sensazione di nausea a stringerle lo stomaco, il pensiero che da lì a poco avrebbe dovuto ballare di fronte ad una platea e avrebbe dovuto farlo con il ragazzo che amava e ancora non le aveva rivolto parola.
“Esci subito dal bagno, Barbie, non hai tempo di sentirti vagamente desiderabile”.
Un vago sorriso ad incresparle le labbra: per la prima volta ebbe la sensazione che non si trattasse di un mero tentativo di offenderla.
Si fece largo tra i compagni, un ultimo abbraccio a Marley, e seguì le indicazioni verso il palco sul quale si sarebbero esibiti. Con il cuore in gola e il respiro tremulo, il solo rumore delle sue scarpe con tacco a sfiorare la piattaforma, raggiunse la prima linea e la sagoma di Hunter già schierato e perfettamente padrone di sé.
Rimirò il sipario che si sarebbe levato da lì a pochi secondi: sentiva il cuore in gola, ma avrebbe potuto onestamente affermare che non fosse del tutto dovuto al nervosismo per la competizione, quanto il pensiero del giovane al suo fianco di cui stava scrutando il profilo, le mani strette in grembo. Restò ad osservarlo per quelli che parvero istanti interminabili, prima di allungare timidamente la mano a cingerne appena il braccio, quasi avesse il reale bisogno di sentirlo al suo fianco, in quel momento, malgrado tutto ciò che era accaduto. Malgrado quel divario che sentiva più intenso che mai.
Si era voltato ad osservarla e Brittany deglutì di fronte al suo sguardo impenetrabile, soltanto un lieve corrugamento delle sopracciglia nell’osservarne la mano che lo stava trattenendo: sembrava lo stesso Capitano rigido ed inflessibile che aveva conosciuto al suo arrivo in Accademia.
Ciò non fece che accrescere l’ansioso timore che fosse troppo tardi.
“Hunter, io-”.
Aveva scosso il capo, il giovane, tornando ad osservare innanzi a sé. “Non è questo il momento”, aveva commentato, quasi neppure muovendo le labbra.
Sospirò, Brittany, ma ne lasciò il braccio e cercò di farsi coraggio: dopotutto era già riuscita una volta a solcare quell’apparente freddezza e avrebbe dovuto concedergli più tempo.
In quel momento avrebbe soltanto dovuto concentrarsi sulla gara, su una coreografia che aveva subito modifiche e sul dover analizzare lui e sui suoi movimenti, lasciando da parte i trascorsi o lasciando che le sue emozioni fossero esternate a quella maniera unica e particolare, che lui lo comprendesse o meno.
Il sipario si stava levando e si concentrò su quell’aritmia quasi soffocante.

Le prime note infransero il silenzio: era la seconda volta che si accingeva a ballare con il giovane e, come la prima volta, i loro pensieri sembravano distanti come una muraglia, ma ciò non le impediva di riuscire ad entrare in contatto con lui, ad una maniera silenziosa.
Ancora una volta, tutto il resto del mondo sembrò confuso e distante: gli altri ballerini sulla pista, il pubblico partecipe: ne seguiva ogni passo, lo anticipava e lo accompagnava come fossero da sempre destinati a vivere insieme quel momento. Qualcosa sembrava farle credere, in quella circostanza, che non potesse esserci un reale distacco. Non fin quando i loro sguardi si fossero fusi come un’estensione dei loro movimenti complementari ed affini, non quando le sue braccia la sorreggevano perfettamente e le dava quello slancio per farle toccare le vette più alte per poi ricadere nella sua presa salda e sicura, una promessa silenziosa. La consapevolezza che quel legame non si era mai realmente infranto e non se ne fosse mai andata.
Erano entrambi affannati, il suo volto vicino, ma la rimise in piedi senza fatica: lo scroscio degli applausi pareva distante e lontano e così gli schiamazzi dei compagni.
Ne stringeva ancora la mano, Brittany. Hunter abbassò lo sguardo ad osservare le loro dita intrecciate, probabilmente condividendo la sua stessa sorpresa: rinsaldò la presa e le fece cenno con il mento alla platea e si chinarono in simultanea.
Ma il punto era, almeno per Brittany, che lui non la lasciò andare e ciò sembrò più eloquente di qualunque parola potesse pronunciare, prima che potessero ritrovarsi soli.


Probabilmente con il tempo avrebbe smarrito quei ricordi ed immagini, la proclamazione della loro vittoria compresa: aveva lasciato che sfilasse con Kitty per ritirare il loro trofeo che sarebbe stato posto in una teca all’ingresso dell’Accademia.
Si affrettò a scendere dal palco quando scorse la sagoma della madre: il cuore in gola nel raggiungere lei e Neal. La donna la cinse con rinnovata energia e sentì le lacrime di gioia scorrerle sul volto.
Fu un lungo istante quello in cui tutte le voci sembrarono acquietarsi e si lasciò andare in quell’abbraccio, dimentica di tutto il resto e semplicemente accertandosi che lei fosse lì e l’avrebbe ancora trattenuta a lungo, senza più lasciarla andare.
“Oh, Britty Woman,” la sua solita intonazione allegra sembrava smorzata dall’autentica commozione.
“Sei stata un incanto: una principessa danzante”, aveva sussurrato una volta scostata dal suo abbraccio. Le aveva sfiorato le gote a rimuoverne le lacrime e ne aveva baciato la fronte, tornando a stringerla e dondolarla tra le sue braccia.
“Lo è sempre stata”, era intervenuto Neal nel baciarle a sua volta il capo, ma Shirley nuovamente la strattonò a sé, con fare possessivo ed energico che le strappò una risata.
“Non ti lascerò più andare: a costo di legarti: dobbiamo andare a casa, voglio che mi racconti tutto quanto”.
Si era divincolata dolcemente, Brittany, lo sguardo che cercava nuovamente il ragazzo che stava parlando altrettanto allegramente con il padre. Quasi attratto dagli occhi azzurri che lo stavano osservando, si era voltato in sua direzione e le aveva sorriso.
Aveva mantenuto quel contatto di sguardi, Brittany, prima di voltarsi verso i due adulti: “So che da domani non sarò più una studentessa dell’Accademia, ma vorrei passare là l’ultima notte, se per voi va bene”.
Persino vedere nuovamente quel sorriso compiaciuto della madre, che aveva seguito il suo sguardo, fu quasi commovente, persino concedendole di porre da parte le sue istanze. Neal, al contrario, sembrò invece sudare freddo, tormentandosi appena i capelli “I-Immagino che sia giusto, tecnicamente dovresti farlo, ma non sei obbligata e-”.
“Da domani sarai agli arresti domiciliari, a casa”, aveva sancito Shirley nella sua migliore espressione severa, malgrado l’ammiccamento finale.
Aveva riso, Brittany, per poi schiarirsi la voce ed assumere la posa di comando. “Signorsì, Signora!”.


“Dobbiamo festeggiare, vero Hunter, vero, vero?”.
Sterling stava letteralmente saltellando sul posto come un cucciolo sovra-eccitato ma, alla sua occhiata guardinga, si era congelato sul posto, realizzando la gaffe. Aveva assunto un’espressione quasi mortificata. “Volevo dire Capitano Clarington”, aveva soggiunto con voce quasi timida.
Scosse il capo, Hunter, un vago sorriso ad incresparne le labbra, ma lo sguardo verde era fisso sulla sagoma della giovane impegnata con la madre e il fidanzato. Giocherellava con una ciocca di capelli e si stava avvicinando lentamente al gruppo, dopo essersi congedata da entrambi con un bacio.
“Voi andate pure: niente coprifuoco stasera”.
Incurante del moto di felicità che aveva innescato e del modo scomposto in cui Sterling si era lanciato addosso a Chang e Puckerman per festeggiare, raggiunti da Hudson (la cui mole aveva fatto scricchiolare pericolosamente le assi di legno della pedana) che sembrava un’appendice del giovane con la cresta, si era allontanato dal gruppo.
La stava ancora rimirando ed attese che si sciogliesse dall’ennesimo abbraccio con la recluta Rose, prima che, a sua volta, gli si facesse incontro.
Non disse nulla, Hunter, le porse la mano che lei prese: un sorriso emozionato ma consapevole che i loro pensieri fossero più che mai allineati e che, una volta ritrovati, non avrebbero lasciato facilmente quel contatto.

~

Sorrise, Brittany, entrando nella camera del giovane: non pareva affatto cambiata dall'ultima volta. Era come se potesse serbare ricordi dei momenti più piacevoli vissuti tra quelle mura. Come se non vi fosse mai stata davvero una separazione. Pur nella speranza che quello stato d'animo fosse condiviso, sarebbe stata in grado, allora, di dare voce a quei pensieri, a quello stato d'animo?
Sospirò a quell'interrogativo, ma ne varcò la soglia e sorrise alla vista del gatto persiano che le si era subito avvicinato e che aveva preso in braccio, mentre il giovane si richiudeva la porta alle spalle.
“Non è cambiato nulla”, diede voce ai suoi pensieri e, al suo cenno, si accomodò sul materasso, imitata dal giovane che si strinse nelle spalle ma continuò ad osservarla intensamente.
“Quasi nulla”, replicò, infatti, e le indicò la scrivania.
Brittany sgranò gli occhi alla vista della cornice che aveva trovato nel cassetto. Sembrava passata una vita e, da una certa prospettiva, si sentiva diversa dalla ragazza che si era rivelata sprovveduta ed impulsiva in quel gesto indiscreto. Si volse nuovamente in sua direzione. “Mi dispiace per quel giorno”, iniziò morsicandosi appena il labbro.
Non finì la frase perché il giovane scosse il capo. “Non ti ho mai chiesto perdono come ho reagito”, sussurrò, ma prima che potesse replicare, continuò, quasi ciò rendesse più facile lasciar completamente andare quelle parole e dare voce ai propri pensieri. Era come se volesse liberarsi di quel velo di riservatezza che lo contraddistingueva, ma Brittany attese.
Distolse lo sguardo il giovane, la mascella contratta a tradirne il nervosismo. “Ero un bambino, quando morì ed è come se la mia vita da allora si fosse fermata”.
La sua voce era divenuta più bassa e Brittany ne aveva cinto la mano come silenziosa consolazione: l'aveva stretta tra le proprie, Hunter, e ancora una volta genuinamente la ragazza si sorprese di quanto fossero grandi ma dalla presa salda e forte.
“Era la notte di Capodanno e mio padre era impegnato per una festa qui in Accademia: lei pensò che fosse meglio che andassi alla festa di un compagno di scuola dove ci sarebbero stati i miei coetanei. Erano le due di notte, quando venne a prendermi e... ci fu l'incidente”, il resoconto si interruppe, lo sguardo volto al pavimento e Brittany si domandò se fosse la prima volta che pronunciasse tali parole a voce alta o se, ancora a distanza di tempo, il dolore fosse fresco ed intenso come allora. Lasciò che indugiasse in quel momento, non assecondò l'istinto di sfiorarlo, ma gli concesse tutto il tempo necessario a riprendere parola.
“Attesi per delle ore senza capire, fino a quando non giunse mio padre alle prime luci del giorno: non ricordo di averlo mai visto tanto sconvolto, per quanto cercasse di apparire in sé”.
Aveva sospirato, Brittany, lo sguardo nuovamente corse a quel volto, immortalato in un momento d’autentica serenità e di gioia, ma il cui ricordo era così fragile e delicato che sembrava potersi spezzare al solo sguardo. O essere troppo intimo per poterlo inficiare di una sincera curiosità.
Era tornata a scrutare il profilo del giovane, riuscendo mentalmente a ritrovare ordine e nuova spiegazione a tanti interrogativi passati e persino avendo quasi l'impressione che lui stesso fosse diverso dal giovane che aveva lasciato tra quelle stesse mura.
“Non lo dissi a nessuno, ” continuò improvvisamente e Brittany rinsaldò la presa e gli si fece più vicina ad appoggiare la spalla esile alla sua, “ma non ho potuto fare a meno di incolparmi e la cosa peggiore era il pensiero di essere mai voluto restare senza di lei a quella maledetta festa. Forse avrei dovuto insistere o pregarla di tenermi con sé o...”. .
Aveva scosso il capo, ma la sua voce spezzata bastò a procurarle una dolorosa fitta al petto: scosse il capo energicamente e gli avvolse le braccia intorno al collo e ne sfiorò la nuca ad una maniera dolce e rassicurante. Appoggiò la gota alla sua e parlò in un sussurro delicato, inframmezzato dalla sua stessa apprensione e da quel dolore condiviso che ne aveva fatto stringere la gola.
“Eri solo un bambino e nessuno a quell'età dovrebbe vivere un dolore simile o, peggio ancora, ritenersi responsabile”, lo aveva trattenuto quasi con forza, cercando di imprimere l'intensità di quelle parole con l'energia stessa di quel contatto, ma contrastandolo con la voce appena sussurrata, quasi timorosa di essere invasiva, persino nel dolore appena espresso ad alta voce. “Ha sempre voluto che tu fossi felice e sono sicura che è ciò che desidera anche adesso: non ti avrebbe mai lasciato per nessun motivo, se non avesse pensato che ciò sarebbe stato meglio per te”.
Aveva scosso fermamente il capo, Hunter, e Brittany aveva lasciato che si divincolasse dolcemente, il capo ancora chinato prima di sollevare lo sguardo di un verde striato in quel momento che le procurò un'altra dolorosa fitta al petto. “E' da allora che non più creduto di poter essere felice”.
Scosse il capo, Brittany, il viso inclinato di un lato. “Non dovresti torturarti così, sono sicura che non è ciò che vorrebbe: dovresti ricordare quel sorriso e sapere che anche il suo ultimo gesto era per assicurarsi che tu lo fossi. Se non vuoi farlo per te stesso, dovresti farlo per lei”, aveva suggerito con voce più dolce, lasciando che le dita ne sfiorassero la gota in un tocco rassicurante e vellutato.
“Non ho più festeggiato la notte di San Silvestro”.
Aveva annuito, Brittany, con aria più assorta. “Grazie di avermelo detto, ma non ti permetterò di passarla di nuovo da solo”, era stata la promessa solenne, per poi sorridere con fare più accattivante, nel tentativo di smussare la tensione.
“Potremo anche allenarci se è quello che preferisci, ma a patto che non piova”, aveva soggiunto ad una maniera più scherzosa, sollevata nel vederne un sorriso incresparne le labbra, malgrado tutto.
“Non sono una buona compagnia”, si era schermito con uno scrollo di spalle per poi soggiungere, altrettanto ironicamente: “E tu non sei proprio la recluta migliore”.
Aveva ridacchiato, Brittany, per poi raggrinzire il naso. “L'ho già sentito dire, ma visto che non posso dire il contrario, fingerò di non aver sentito”.
Lasciò che la cingesse nuovamente e affondò contro la sua spalla con gli occhi socchiusi a trattenerlo in quel momento di serenità e di reciproco conforto, dalla sola consapevolezza di esserti ritrovati in una solitudine simile. A lasciare che il suo profumo la cullasse e la sensazione della sua presenza, riuscisse a schermare le sue paure e i suoi dubbi, tranquillizzarla e farla, nuovamente, sentire a casa. Una promessa implicita che non se ne sarebbe più andata.
Probabilmente stava pensando qualcosa di simile perché, l'attimo dopo, la scostò appena per rimirarla in volto, le sopracciglia inarcate. “Non mi hai detto di tuo padre”.
Aveva contratto le labbra, Brittany, in un sorriso più amaro. “Non c'è molto da dire, temo: è andato avanti con la sua vita, come abbiamo fatto la mamma ed io ma... mi sentivo bloccata”, aveva distolto lo sguardo, un vago sospiro nel ripercorrere i suoi dubbi e tormenti segreti.
“Mia madre ha rinunciato a tutto, quando sono nata, aveva solo diciassette anni e un futuro nella danza, ma lo ha fatto senza rimpianti e io avrei voluto essere abbastanza forte da essere disposta a sacrificarmi a mia volta, ma non riuscivo a pensare di sostituirlo con Neal”.
Aveva scosso il capo, il giovane. “Nessuno si sarebbe mai aspettato che tu lo facessi: è stato importante per te... nel bene e nel male”.
Aveva annuito, ma non aveva potuto fare a meno di sospirare e scuotere il capo. “Credevo che sarei stata meglio, se avessi avuto le risposte che volevo e, anche se so che adesso è felice, sapere che ero un ostacolo alla sua carriera o alle sue ambizioni-”, si era morsicata il labbro e lo sguardo era divenuto più contrito e amareggiato.
“So che non dovrei, ma una parte di me continua a domandarsi se sarebbero stati più felici e se sarebbero stati ancora insieme, se io... se io non fossi nata”, aveva concluso in un gorgoglio e il giovane l'aveva accolta tra le sue braccia e aveva appoggiato il mento ai suoi capelli.
L'aveva cullata a lungo senza pronunciare parola e Brittany aveva socchiuso gli occhi, completamente abbandonata a quel contatto e quel calore che sembrò sciogliere quel nodo in gola. Tutto poteva essere rimandato, anche risposte più spinose: fino a quando fosse sostata alla sua presenza, consapevole che, fin quando fosse rimasta con lui, tutto sarebbe stato chiaro e limpido e non avrebbe più dubitato di sé.
L'aveva scostata da sé per guardarla in volto.
“La loro vita è cambiata, ma sono stati loro a decidere come: non è mai stata una tua responsabilità. Non dovresti mai pensare di essere un errore: faresti un torto a tua madre che ti ama più d’ogni altra persona al mondo. A Neal che vuole entrambe nella sua vita e... a me”, ne sfiorò le gote con movimenti circolari delle dita e appoggiò la fronte alla sua. “Non voglio pensare ad una vita in Accademia senza che arrivi una recluta dal trolley rosa e che sembra appena uscita da una beauty farm per Barbie”.
Aveva sorriso, Brittany, annuendo con vigore e ritrovando il sorriso. Lasciò che ne scostasse i capelli dal viso, le mani più esili appoggiate al suo petto, quasi a trattenerlo.
“E' la mia ultima giornata qui”, aveva asserito in un bisbiglio, l'attimo dopo.
“Lo so,” aveva risposto il giovane, senza smettere di osservarla intensamente, “ma aspetterò i weekend oppure”, parve pensarci sopra, un sorriso più vispo e divertito che raramente ne increspava le labbra, “potrei assumerti come aiuto cuoca o inserviente, a te la scelta”.
Aveva simulato un broncio vagamente offeso prima di tornare a adagiarsi contro il suo petto, socchiudendo gli occhi e crogiolandosi di quel dolce profumo e dalla consapevolezza che tutto era perfetto in quel momento e non vi erano più fratture tra loro. Quel semplice contatto sembrava dire tutto. O quasi.
Si scostò poco dopo per osservarlo. “Neal ha detto che eri venuto in aeroporto quel giorno”, aveva sussurrato e Hunter, per la prima volta, parve vagamente a disagio.
Annuì. Prese un libro appoggiato sul comodino e ne estrasse la busta che Brittany rimirò con occhi sgranati e le guance arrossate, quasi se ne fosse completamente dimenticata fino a quel momento.
Sorrise il ragazzo nel depositarla sul letto, cingendone maggiormente la vita, e attraendola nuovamente a sé. “Credevo che la Bestia smettesse di essere tale alla dichiarazione di Belle”, sembrò riferirsi a quell'appellativo finale del “Principe camuffato da Bestia”.
“I-Io”, era arrossita profondamente e, seppur la lettera avrebbe dovuto semplificarle il riuscire a palesargli i suoi sentimenti, sembrava più che mai difficile sostenerne lo sguardo limpido.
Sorrise, Hunter, ma scosse impercettibilmente il capo e la trasse maggiormente contro di sé, quasi disperasse di mantenere quel contatto, appoggiò le labbra alla sua tempia e rilasciò un dolce sospiro contro il suo orecchio. “Sarebbe la mia gioia, essere il tuo Principe”, aveva sussurrato con voce appena percepibile.
Scosse il capo, Brittany, scostandosi appena per rimirarlo e sfiorandone delicatamente il volto. “Una favola,” lo corresse, “non solo un Principe: vivo una favola, da quando ti conosco”.
L'aveva stretta più intensamente prima di rilassarsi e stendersi sul letto, trattenendola contro il proprio petto, sfiorandone delicatamente i capelli e sollevando le coperte su entrambi, quasi isolandosi dal resto del mondo in quell'anfratto soltanto loro.
O quasi, considerando come Mr Pussy, che aveva trottato ai loro piedi, si fosse a sua volta accoccolato in grembo alla giovane.
“Avremo il nostro happy ending?”, le chiese, la voce sembrava provenire anch'essa da un mondo fatato, continuando a cingerla per poi porgere una carezza al micio.
Annuì, Brittany, sostenendosi appena al gomito per osservarlo. “Devi solo crederci e seguire il tuo sogno”.
“E' da tanto che non mi chiedo più quale sia”, aveva ammesso con voce distante, probabilmente ripensando al passato.
Aveva sorriso, Brittany, mantenendosi su un fianco. “Allora è il momento di ricominciare”
“Come?”, la incalzò, il viso inclinato di un lato, quasi allietato da come le risposte le sembravano naturali, quasi fosse lei stessa fonte di quella sicurezza a cui aggrapparsi.
“Non andandomene più da qui per cominciare”, aveva riflettuto, le bionde sopracciglia contratte per l'aria pensierosa.
Aveva annuito, con aria fintamente pensierosa. “Sono d'accordo”, sussurrò e rinsaldò la pressione delle braccia attorno alla sua vita.
“E comunque non te lo avrei permesso”, aveva concluso nell'appoggiare nuovamente la fronte alla sua.
Non era probabilmente la frase d'amore più consueta o la formula più diffusa, Brittany lo sapeva, ma in cuor suo era certa che non avrebbe potuto esservene una migliore o più vissuta.
L’inizio di una loro favola.

To be continued...

Spero di essere riuscita a farmi perdonare l'atmosfera più amara di questi ultimi capitoli: mi sembra davvero incredibile essere giunti a questo punto, quando si ha la sensazione di aver cominciato da poco.
Ma non credo sia il caso di cominciare discorsi d’addio, quindi vi lascio qualche piccola anticipazione dell'epilogo:

Realizzerò la tua favola: credo di avere già l’idea adatta”.
Sono entrata per mia madre, ma era per te che volevo restare”.
Vorrei chiederle di concedermi il primo ballo padre e figlia”.
Oh, avanti, non fare-“. “La bestia?”.

Come sempre ringrazio tutti voi che mi seguite e un esercito di unicorni per tutte voi che siete sempre così dolci e gentili da condividere le vostre emozioni e allietare il mio Venerdì <3 Non sarebbe lo stesso senza di voi!
Non mi resta che augurarvi un buon fine-settimana,
a presto,

Kiki87


1 Per info (o per controllare che non me lo sia inventato :P), vi lascio il link ufficiale a disposizione: Fine Arts Theatre
2 Se qualcuno se lo stesse chiedendo, no, Shirley non ha attentato alla sua vita :D Diciamo che è stato il karma.
3 Spiacente per Marley ma è l’unica la cui altezza sia analoga a quella di Brittany nel contesto :D
   
 
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