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Autore: _Elexy_    07/02/2014    0 recensioni
Strani incidenti, un ragazzo misterioso e un diario di un antenato... Samantha racconta ciò che le successe in quel periodo dove il mistero alloggiò nella sua piccola cittadina. Tutto le pareva non avere un senso, ma i tasselli sono tanti e anche se pare non esserci soluzione, l'unica cosa da fare è unirli... O ignorare tutto? Ma com'è possibile farlo con ciò che stava succedendo? Le sue scoperte le cambieranno la vita, e sarà costretta a compiere enormi decisioni. Le scelte che prenderà cambieranno molte cose e mai potrà tornare tutto come prima!
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Genere: Azione, Dark, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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-Questa è una storia vera. Questa è la mia storia. Probabilmente nessuno ci crederà, ma posso assicurarvi che nulla di ciò che vi sto per raccontare è di fantascienza-.

 

A giorni sarebbe ricominciata la scuola, ed io ero lì, a scrivere i miei racconti. Ma sì! Prima del sette gennaio sarei riuscita a finire i compiti! Oppure chiederò a qualcuno di farmi copiare i suoi. Tanto, per quel che mi riguardava, ai professori già non piacevo, non gli sarebbe interessato molto se non li avrei fatti. Guardai l'orologio e mi accorsi che erano già le due di notte. Quando scrivevo il tempo passava fin troppo velocemente. Finii l'ultimo paragrafo e spensi il computer. Senza indugi m'infilai sotto le mie tante coperte. Come sempre non mi addormentai subito. Nella mente balenavano infinite nuove idee per il continuato di questo, e nuovi racconti. Horror e Fantasy, questo scrivevo, e il mio sogno era pubblicarne almeno uno. Per quanto ricordi ho sempre amato leggere, ma scrivere ho cominciato solo quattro anni fa. 

Il sole era già alto quando mi svegliai. Mi pettinai davanti allo specchio, come facevo sempre. I miei lunghi capelli, neri e con i riflessi rossi, passavano senza problemi tra la spazzola. In cucina c'era già mia sorella che stava preparando la colazione. Le sorrisi. Era ancora spettinata, aveva sempre avuto i capelli ribelli. Erano biondi, ma di tante tonalità differenti. Le nove erano scoccate e uscii a prendere il giornale. Dall'altra parte della strada c'era un giovane che mi fissava con sguardo cupo. Mi chiesi a cosa stesse pensando perché guardava proprio me, talmente concentrato da farmi preoccupare. Era alto, con capelli neri e degli occhi verdi e bellissimi. Mi scrutava intensamente, senza guardare un punto preciso. Mi sentii a disagio, non amavo l'attenzione e solitamente i ragazzi non mi guardavano con tanta foga. Stavo per chiedergli cosa volesse ma mia sorella mi chiamò.

«Saaam! Porta dentro il cane!». Mi voltai verso la voce. 

«Entrerà quando gli pare!» urlai di risposta. Riportai lo sguardo sul giovane sperando di potergli chiedere cosa volesse ma se n'era andato. Provai a guardare a destra e a sinistra ma nulla. Rientrai. Sulla tavola c'erano delle crostatine e due tazze di latte caldo e cacao. Sapeva che mi piaceva. Mentre facevo colazione guardai il giornale. «"Incidente stradale sulla Norman Road"» cominciai a leggere l'articolo in prima pagina «"la vittima, Clarissa Bergan di ventitré anni, è stata trovata morta da un passante la mattina seguente. Un pezzo di vetro la tagliò all'altezza della spalla destra, provò a uscire dall'auto e a chiedere aiuto, ma morì prima dissanguata. Successe tutto circa alle 23.30 della notte del trenta dicembre"». Clarissa... Mi pareva di averlo già sentito quel nome. Sì! Era la figlia del proprietario dell'edicola! Era bassa, con i capelli neri a caschetto. L'avevo vista un paio di volte. Ormai qui conoscevo quasi tutti, era una piccola cittadina sperduta la mia, ed era raro che arrivasse qualcuno di nuovo. Insieme all'articolo c'era la foto dell'auto fracassata, rossa e abbastanza grande, o comunque costosa. 

«Non ti pare strano?» chiese mia sorella. 

«Che cosa?» risposi addentando una crostatina. 

«È il secondo incidente. Successe anche sette anni fa, ricordi? Cinque incidenti simili nello stesso periodo. E i nostri genitori furono...» Anna s'interruppe. Chiusi un attimo gli occhi, a pensare finendo in un sospiro.

«Ascolta» la guardai severa «c'era la neve, era pieno di nebbia e le strade tutte ghiacciate. In quelle condizioni gli incidenti sono comuni» 

«Sarà... ma mi pare tutto così strano. Nel luogo degli incidenti era sempre pieno di sangue» 

«È normale: è un incidente. Basta una semplice ferita che in quei casi viene profonda con poco» 

«Se lo dici tu... ma io credo ci sia qualcosa» 

«Come un complotto? Un'organizzazione criminale?» 

«Sì, forse...» 

«Da parte di chi? Del ghiaccio e della neve?» feci scoppiano a ridere. Anna s'indispettì, mi lanciò un'occhiataccia che durò qualche istante. Immediatamente dopo scoppiò a ridere con me. 

«Scema no!» fece divertita. 

«Beh, ora devo andare da Roberta a farmi dare i compiti, tornerò più tardi» 

«Mi chiedo cosa ti sta succedendo» cominciò Anna ora seria, cambiò discorso «sei più distante, non presti più attenzione alle cose come una volta. Sicura vada tutto bene?» 

«Sì» feci un sorriso tirato «sono solo in pensiero: zia Lidia è stata gentile a proporsi di occuparsi di noi quando mamma e papà ebbero quell'incidente. Ma ti sarai accorta che non viene più tanto spesso. Se qualcuno se ne accorgesse che viviamo da soli, e in quanto io sia minorenne, ci porterebbero via. Ecco, tutto qui» conclusi. Della risposta Anna non ne fu troppo convinta, ma decise di non contestare ulteriormente. Non posso dirle cosa in realtà io stia pensando. Forse sono solamente pensieri infondati, ma sono la sorella maggiore, e come tale non posso mostrarmi insicura, o le mie preoccupazioni inevitabilmente cadrebbero su di lei. Ci salutammo e uscii verso la casa di Roberta. Abitava qui vicino, dovevo solamente fare cinque minuti a piedi. Siamo nella stessa classe, abbiamo la medesima età. Frequentiamo la terza del liceo. Per strada non incontrai il ragazzo di prima, e mi chiesi ancora chi fosse e cosa volesse. Una volta arrivata mi disse che non li aveva ancora finiti, ma mi poteva prestare quelli completi per ora. Era comunque meglio di niente. I suoi cappelli castani erano raccolti in una coda quel giorno, solitamente li lasciava sciolti. Tornando a casa sentii i vicini litigare. Coglievo poche parole e nemmeno m'interessava la cosa. Cinque giorni su sette urlavano. Tutti sapevano che di certo non andavano d'accordo. Con mio stupore una macchina vecchia e grigia, ammaccata, ma ancora funzionante era parcheggiata davanti al viale di casa. Lidia! La trovai in cucina con una borsa della spesa.

«Oh, ciao Samantha!» squittì allegra appena mi vide «Vi ho portato qualcosa da mangiare e un po' di soldi» fece sorridendo. Quelle poche volte che veniva qua lo faceva. L'aveva promesso ai miei genitori, in fondo, che in caso si sarebbe occupata di noi. E comunque possedeva un'attività, aveva un negozio tutto suo, e delle volte ci portava più soldi del necessario, e ovviamente erano graditi.

«Grazie» risposi.

«Dove sei andata?» era interessata. Anche se veniva poco qui, si preoccupava davvero.

«Sono andata da Roberta, mi ha prestato i suoi... Appunti!». Lidia mi guardò storto.

«No, quelli non sono gli appunti. Lo sai che così non devi fare». Veniva qui quasi una volta al mese e ogni volta fingeva che andasse tutto bene, e lei sapeva che non era così, e si dava il diritto di dirmi quello che dovevo e non dovevo fare? 

«Lo so...» mormorai «Copierò solo questi, il resto li farò da sola»

«Fammi vedere che materie sono almeno» disse avvicinandosi e prendendomi i fogli di mano «Storia dell'arte e Italiano... Almeno sono le materie dove te la cavi meglio» sospirò. In realtà non andavo male in quasi nessuna materia, solo in matematica ero carente.

Rimase per qualche ora, parlammo delle novità. Anna cominciò a parlare dei due incidenti avvenuti nell'ultimo mese e, confermando la mia teoria, Lidia non fece che incolpare le condizioni della strada. Infine se ne andò, come sempre senza dire quando sarebbe stata la sua prossima visita. Il resto della giornata fu monotona. Restammo a guardare la Tv, qualche film che trasmettevano alle reti libere.

Il giorno seguente copiai i compiti e mentre cominciai a fare quelli di matematica, qualcuno suonò alla porta. Andò ad aprire Anna. Erano Lucia e Robert, i nostri vicini di casa. Non avevo voglia di andare anch'io, così cominciai a fare i calcoli con la calcolatrice (ovviamente non era permessa).

«Saaaam, vieni qua!» mi chiamò. Io mi alzai sbuffando e andai da lei.

«Ci sono problemi?»

«Stanno traslocando, domani se ne vanno». Guardai i due vicini di casa. Robert teneva una mano attorno alla vita della moglie e sorridevano amabilmente. Cosa alquanto strana: che io sappia erano prossimi al divorzio, e ora parevano fidanzatini come quelli descritti nei libri d'amore. Forse del buon sesso aggiustava tutto, ma ovviamente non l'avrei chiesto. Comunque, ero felice per loro.

«Anche se partiremo domani stiamo portando le cose nella prossima casa, quindi non ci vedremo più. Volevamo solo salutarvi» fece Lucia. A parte gli urli sono stati dei buoni vicini. Se avevamo bisogno di qualcosa potevamo chiamarli. Siamo state un po' come i figli che non avevano potuto avere.

«Dove andrete?» chiese mia sorella. 

«Abbiamo trovato un appartamento a due piani molto carino. Il terrazzo è così grande che possiamo anche invitare venti persone a pranzo! Si trova a Larway, che sta a 150 Km da qui. Potete chiamarci quando vorrete» Robert era molto entusiasta di ciò. Anna non lo sapeva, ma io sì: loro avevano sempre odiato quella città. Per il turismo era fantastica! Brulicava di piscine, ristoranti a tema e Hotel. Senza contare il parco dei divertimenti. Infatti, cinque anni fa ci andarono, e mentre erano lì a Lucia rubarono la borsa con il cellulare, i soldi e il netbook. E in un incidente morirono la madre e la sorella di Robert, un ubriaco li investì. Però anche la vacanza in sé non era stata molto bella. Mi pare piuttosto strano che vogliano tornare in quella città colma di sventure per loro. Qualcuno chiamò i due, era uno dei traslocatori. Lucia e Robert ci salutarono e andarono a continuare i loro lavori. Da quel momento non li vedemmo più. C'era solo un camion che fece due giri. Misero un cartello davanti alla proprietà: "Vendesi". Mi pareva tutto così strano... Loro che si amavano ancora e poi il trasloco a Larway. Beh, speravo per loro che avessero una vita felice.

«Hai visto che strano?» chiese mia sorella quando fummo soli «Appena ieri urlavano, e ora sono una coppia così affiatata. Chissà, magari non scopavano da qualche tempo» concluse con una risatina. Aveva avuto il mio stesso pensiero.

«Anna! Non devi pensare a queste cose, hai sono quattordici anni» dissi ridendo.

«Dai! Non puoi negare di averlo pensato anche te!»

«Va bene, ma ciò non toglie che sei troppo piccola». Lei mi mostrò la lingua e corse in camera ridendo. Probabilmente si mise a leggere.

«Troppe novità in questi giorni» mormorai facendomi cadere sul divano. Tra il tipo misterioso del giorno precedente, la visita di Lidia e il trasloco dei vicini. Accesi la Tv, non avevo voglia di continuare con i compiti. Il cane, Bri, venne a fami compagnia. Lo trovò mia sorella, era stato abbandonato. Non so quanti anni avesse, ma era piccolo. Lo chiamò Briciola. In quel periodo, a scuola, tutti i racconti con i cani portavano quel nome. Bri era bianco con il pelo corto e soffice, non avevo nemmeno idea di che razza fosse, probabilmente un meticcio tra un barboncino e un akita, ma la veterinaria non ne era sicura. Comunque aveva circa quattro anni. L'indomani riportai a Roberta gli appunti.

«Hai visto Tati per caso?» mi chiese poi preoccupata. Tati era il suo cane, un boxer nero.

«No, mi spiace»

«Non la vedo da ieri sera»

«Tornerà, non ti preoccupare. Se la vedo ti farò sapere» sorrisi.

«Grazie...».

 

Aprii il primo cassetto della mia scrivania. C'era un diario chiuso da un lucchetto e sotto delle pagine strappate. Quelle furono le uniche che riuscii a leggere, erano già un po' fuori e con cautela riuscii a estrarle. Era di mio padre, o meglio, lo custodiva lui. Da quanto capii era di un qualche suo parente. Le pagine che lessi mi fecero pensare... Questo è il motivo per cui sono distratta ultimamente. Provavo in tutti i modi a dare un significato concreto a quelle poche pagine ma non ci riuscivo. Probabilmente parlava attraverso metafore che non riuscivo a capire.

Era tutto troppo silenzioso senza Lucia e Robert che non urlavano. Stavo proprio pensando che da giorni non c'erano visite o novità (escludendo l'incidente di pochi giorni prima, e mia sorella che non mi dava tregua per la questione. A dire il vero anch'io cominciavo a preoccuparmi lievemente) a quel punto sentii dalla casa affianco un fracasso infernale. Corsi a vedere zittendo Bri che aveva cominciato ad abbaiare. Qualcuno aveva comprato la casa e stava già portando i suoi mobili all'interno, o meglio, i traslocatori lo facevano. Il compratore era niente meno che un ragazzo alto e affascinante, vestito completamente di nero. Portava una camicia e i jeans. Mi accorsi solo poi chi fosse e il mio cuore perse un battito. Quel ragazzo non era altri che chi mi stava fissando qualche giorno prima! Ogni tanto diceva qualcosa senza scomporsi, immobile scrutando i lavoratori con le braccia conserte. Osservai i mobili che venivano trasportati. C'era una libreria antica, un bellissimo tavolo decorato con dei disegni complessi e un pianoforte nero e lucido. Si vedeva subito che erano costosi. Il resto era già dentro la casa e ancora nel camion. Riuscii solo a scorgere dei tappeti. Anna spuntò dietro di me chiedendomi cosa stesse succedendo. Il giovane alzò la testa subito dopo e mi fissò. Il suo sguardo era severo, ma non capivo bene a cosa stesse pensando. Solitamente riesco a intuire i pensieri della gente solo guardandola, ma ora no, per qualche motivo. La mia mente cominciò a dargli una storia. Pensai che fosse ricco, il classico figlio di papà. Chissà che attività possedeva? Beh, complimenti al ragazzo misterioso: sapeva nascondere bene le emozioni! Mi dissi provando a scherzare. Ora che lo vedevo meglio mi accorsi che non poteva avere più di ventitré anni. Cominciò a venire verso di me deciso, serio. Qualcosa non mi tornava: nella sua espressione c'era un misto di odio e rabbia, con qualcosa che lo incuriosiva.

«Anna, vai dentro» dissi non conoscendo le intenzioni del giovane.

«Voglio anch'io salutarlo!»

«Non credo sia qui per salutare». Lei annuì pensosa e scomparve dietro alla porta. Cominciai a temere il peggio. Nei suoi occhi vedevo qualcosa che nelle altre persone non c'era.

 

 

-In quel momento avrei potuto girarmi, entrare in casa ed evitarlo. Oppure rimanere e scoprire cosa volesse da me. Mi chiedo ancora se la mia decisione sia stata la migliore-.

  
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