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Autore: GiuggyCastiel    08/02/2014    3 recensioni
"Ciao bimbo!"
Capelli ricci a ricoprire degli occhi verdi smeraldo.
"Ciao, come ti chiami?"
Era timido, eppure aveva parlato, detto qualcosa di sensato.
"Harry, tu?"
"Louis William Tomlinson."
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"William, non devi parlare con loro, sono ebrei fuori posto! Non farlo mai più intesi?"
Annui con il capo e lo chinai a terra.
Era forse sbagliato?
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It's Larry.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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                                                          Different Worlds





28 Gennaio 1929 Auschwitz

Era un pomeriggio di fine Gennaio, nevicava.
Louis Tomlinson era ancora un bambino, eppure aveva già una mentalità aperta, ed era un comandante nato.
Non poteva che essere così, avendo un padre dittatore il suo destino era segnato.
In quel momento stava proprio passeggiando con lui, nella piazza più grande di Auschwitz.
Saltellava, spensierato proprio come ogni essere umano di quest’età dovrebbe essere, anche se per il padre non era corretto, perché “Io alla tua età non ero così!” diceva subito dopo aver tirato uno schiaffo al povero bambino.
Insieme, rigidi come due pezzi di legno, arrivarono davanti ad una giostra, una di quelle che con i cavalli che girano in tondo.
“Papà, papà, mi fai salire li? Ti prego!” Disse Louis con gli occhi che brillavano di gioia.
Da sempre desiderava andare in quella giostra, gli sembrava più divertente di ogni altra cosa, forse perché in casa Tomlinson ogni divertimento era vietato, e la serietà, la disciplina, e le regole, prevalevano su ogni altra “sciocchezza” , così le chiamava Mark.
E per la prima volta in vita sua, si impietosì, il dittatore.
Non aveva mai visto gli occhi di suo figlio brillare in questo modo, il suo cuore gelato, ghiacciato e freddo proprio come la neve che lo circondava, si sciolse leggermente.
“Va bene Louis, solo qualche giretto però, ok?”
Alzò le braccia al cielo e si mise a correre in tondo, lanciando piccoli urletti di felicità.
Insieme si avvicinarono al gioco, il signor Tomlinson consegnò un euro al padrone del parco che gestiva anche la giostra, e lasciò salire il figlioletto su uno dei cavalli.
Si allontanò un po’ per accendere la sua pipa, e decise di restare li fin quando il giro non sarebbe finito.
Nel mentre Louis si avvicino ad uno dei cavalli, era dorato con le redini e il sellino azzurri, pensava di essere solo e “Meglio, così è tutta per me!”  pensava, ma si dovette ricredere quando voltò il capo a destra e vide un bambino, molto probabilmente suo coetaneo, che stava tranquillamente sdraiato supino.
Aveva dei boccoli che coprivano gli occhi, verdi come due smeraldi, e soffiando li cacciava via.
Guardava il cielo e sorrideva. Louis sorrideva di rado, anche se aveva tutto a sua disposizione, mentre lui, pur non avendo niente, curvava le sue piccole labbra, guardando una semplice distesa azzurra con qualche punteggiata di bianco.
Ma poi si sedette normalmente, e guardò verso di lui.
“Ciao bimbo!” Esclamò con una vocina vispa e allegra, proprio come il suo viso.
Louis era un bambino abbastanza timido, non era abituato ad essere circondato da amici, solo persone adulte che parlavano di affari con suo padre.
Gli sembrava così strano.
“Ciao. Come ti chiami?”
Riuscì a rispondere degnamente, senza balbettare o dire cose assurde, proprio come se stesse parlando con una persona che conosceva da tempo, tono deciso ma rilassato allo stesso tempo.
Da li iniziarono a conversare per tutta la durata del giro.
Scoprì che il suo nome era Harry, e che non era tedesco come lui, ma ebreo, e che era scappato qui ad Auschwitz perché non c’era posto nel suo paese, pieno di guerra, soldati, insomma, uno scenario non adatto ad un bambino.
Di lui invece disse, che il suo nome completo era Louis William Tomlinson, ed era figlio del dittatore, niente di più.
“Il secondo nome possono averlo solo le persone ricche, Louis, io sono un bimbo povero vedi? Non ricordo nemmeno il mio cognome. Sono qui da solo, i miei genitori sono degli angioletti adesso sai? E quel signore li mi ha preso con se.” Indicò il padrone del parco e guardò il cielo. Sorrise come se nulla fosse, ma Louis, anche se era un bambino, si rattristò alle parole di Harry.
Deve essere brutto.
E il turno finì.
“Louis scendi e andiamo a casa.” Pronunciò il padre con voce più roca, spenta.
“Ok, ciao Haz a presto! Ci vedremo ancora,lo giuro!” Urlò, perché Mark l’aveva già trascinato via, e a sua volta sentì una risposta.
“Ciao Lou!”
A quel punto il dittatore afferrò Louis dalle spalle e, quando ormai erano fuori dal parco, tirò uno schiaffo sulla guancia al figlio.
“William, non devi parlare con loro, sono ebrei, completamente fuori posto. Non farlo mai più. Intesti?”
Si limitò ad annuire con il capo e chinarlo a terra.
Era forse sbagliato?


                                                                                                                      18Novembre1944 Auschwitz


Mi svegliai all’improvviso, ansimando forte, forse per via del sogno che, per la millesima volta, invadeva la mia mente.
Erano forse dei sensi di colpa per ciò che ero costretto a fare?
Si, costretto. Perché io non volevo sterminare milioni di persone solo per la loro religione, solo perché avevano una mentalità diversa dalla nostra.
Non volevo essere complice di questo massacro.
Eppure ero costretto a farlo, perché ero Louis William Tomlinson figlio di Mark Tomlinson.
Se questo era il suo lavoro, questo destino sarebbe spettato anche a me.
Ma non so come a lui possa fare piacere.
Che c’è di bello nell’uccidere persone della tua stessa razza, che non hanno fatto niente di male?
Non lo so.
E se penso a quelle povere persone, donne, vecchi, addirittura poveri ed innocenti bambini, mi farei uccidere anche adesso, pur di non essere obbligato ad uccidere.
Perché uccidere è peccato, non credere in un’altra religione.
Davanti agli occhi di Dio, siamo tutti uguali.
Eppure qui si ostinano a non capire.
Esco fuori, pronto ad “ammirare” quell’inferno che si trova fuori dai nostri accampamenti.
Noi viviamo bene, con tutte le comodità di questo mondo, mentre li, dentro ai campi, vengono frustati, uccisi ad uno ad uno, senza pietà.
In quei campi c’è solo guerra e sofferenza.
Tante persone ammassate, una sopra l’altra, con la consapevolezza che la morte non avrebbe tardato ad arrivare ormai.
Un appuntamento fatale.
I nostri camion, sono andati a prenderli un po’ ovunque, perché gli ebrei non hanno un luogo fisso in cui stare, e si trovano in tutto il mondo.
Hanno invaso le loro case, li hanno cercati ovunque, bruciato e rubato tutto ciò che gli è capitato davanti la loro visuale e li hanno portati qui, ad Auschwitz, e li hanno condannati.
Non possono più scappare, lo sanno tutti.
Tranne i bambini, a cui viene rifilata qualche scusa dai genitori.
Tutto questo è così…triste.
Devo dirigermi nelle postazioni degli uomini, sono stati affidati a me, ed io non voglio trattare male delle persone uguali a me.
Perché si, loro sono come me, non hanno alcuna differenza.
Apro la porta, e subito scattano in riga, come se avessero paura.
E purtroppo, hanno ragione ad averla.
“Ei, tranquilli, io non sono come loro.”
Faccio un sorriso rilassato e, fortunatamente, praticamente tutti riescono a tranquillizzarsi e fare un sospiro di sollievo.
Alcuni si abbracciano, altri osservano il cielo e benedicono qualche Dio di cui io non conosco il nome e mi guardano sorridendo a loro volta.
Non penso sia mai capitato un “dittatore” ,diciamo così, che li abbia trattati così.
Ma io sono diverso, lo so.
Guardo l’angolo della stanza e noto che un uomo non si è ancora mosso di li, è rannicchiato, e mi sta scrutando in ogni minimo particolare.
Chissà, forse non si fida ancora.
Meglio che non dico niente, uscirà da solo dal suo guscio.
“Mi chiamo Louis William Tomlinson, e sono il figlio del dittatore.”
A queste parole alcuni puntano il loro sguardo nella mia direzione e forse, pensano di essere stati presi in giro, pensano che tra un po’ li massacrerò tutti a frustate.
Ma soprattutto, vedo il ragazzo misterioso alzarsi, ed il suo sguardo punta direttamente al mio
Due smeraldi.
Mi ricorda qualcosa.
Boccoli che scendono sugli occhi.
Ma no, sarà un impressione.
Mi rendo conto che non posso stare così immobile, senza dire niente, per cui riprendo il mio discorso.
Dov’ero arrivato?
Oh si, sono il figlio del dittatore.
“Ma dovete stare tranquilli, davvero. Io non vorrei essere qui, ma purtroppo devo, il mio destino è sempre stato segnato. Devo fare ciò che fa mio padre.”
Vedo terrore nei loro occhi.
“Ma, farò solo finta. Voi non avete il diritto di essere trattati così.”
E tutti iniziano ad applaudire, fischiare e saltare di gioia.
Sono contento, forse riuscirò a fargli passare mesi migliori prima della loro imminente morte.
Purtroppo per quello, non posso fare niente.
“Vi avverto, non posso fare niente per sfuggire dalla morte, ma prometto, giuro sul mio Dio, che questi mesi, giorni, settimane o ciò che vi resta da vivere, ve li farò passare nel miglior modo possibile. Giuro.”
Annuiscono, sollevati da un lato, rattristati dall’altro.
Loro comunque, non dovrebbero essere qui, Louis.
“Dai adesso uscite fuori, facciamo un po’ di scena ok? Solo qualche giro di corsa.”
Annuiscono tutti contenti ed escono fuori.
Mi sento meglio ad averli fatti sorridere, li sto aiutando, è tutto quello che posso fare.
E lo farò, al costo della vita.
Mi volto per uscire dietro di loro, ma noto che ancora il ragazzo con gli occhi verdi, quello che prima stava seduto nell’angolino è ancora li, in piedi.
“Ei tutto bene? C’è qualcosa che non va?”
Immobile, non dice una parola.
Fa qualche passo e arriva davanti a me.
E’ molto più alto, alzo la testa per osservarlo meglio e…
Dio, è bellissimo.
Dopo attimi di silenzio che sembrano infiniti, decide finalmente di prendere parola.
“Ehm..si, è tutto ok.”
Mi supera ed esce anche lui.
No che non è tutto ok.
Io so che il ragazzo dagli occhi smeraldo, mi nasconde qualcosa.
E lo scoprirò.
Perché quando Louis William Tomlinson si mette una cosa in testa, niente può fargli cambiare idea.
Niente e nessuno al mondo.



                                                                                                              19 Novembre 1944 Auschwitz



L’indomani, tutto è tranquillo ad Auschwitz, o almeno per ora, niente è prevedibile.
Ieri sono riuscito a guadagnarmi la fiducia di tutti gli uomini presenti, ne sono contento.
Vorrei aiutare anche le donne, ma ovviamente non mi è concesso.
Mio padre è fiero di me, ma se sapesse ciò che faccio…
Mi ucciderebbe, sicuramente.
Il tempo di lavarmi la faccia, ed esco, dirigendomi, per la seconda volta, dai “miei uomini”.
“Buongiorno ragazzi!” Urlo leggermente e faccio un sorriso smagliante.
Sorridono a loro volta e fanno un cenno con la mano, mentre alcuni con il capo.
“Oggi, con la scusa del “vi controllo per farvi restare immobili nei vostri letti”, racconterete le vostre vite, uno ad uno, ok?”
Alzano un dito e sento un “ok” di massa.
Perché sto facendo questo?
Semplice, voglio scoprire le loro storie, se c’è un motivo valido per cui sono qui, ma dubito che ce ne sarà uno, lo so perché sono qui.
Ma soprattutto voglio capire chi sono loro veramente.
Se magari hanno lasciato figli, mogli, o hanno già visto qualcuno andare via dalla loro vita, scivolare dalla punta delle dita.
“Inizia tu.”
Indico un uomo di mezza età, il suo volto è scavato dalle rughe, e molto probabilmente ha già perso qualcuno.
Glielo leggo negli occhi.
E gli occhi sono lo specchio dell’anima.
“Mi chiamo Geoff, ho quarantasei anni e vivevo a Parigi, in Francia.
Non mi aspettavo niente di ciò che è successo, ero tranquillamente a casa con mia moglie e i miei due figli, anzi, uno doveva ancora nascere, solo che…”
Viene un attimo interrotto dai singhiozzi che, a quanto pare, arrivano naturalmente tutti d’un colpo.
E a questo punto capisco che tutti, qui dentro, prima di arrivare ad Auschwitz, hanno passato un inferno.
Dei camion hanno travolto la loro vita.
“L’hanno uccisa, perché non sarebbe stata utile qui, per nessun genere di lavoro.
Mentre l’altro mio figlio ancora in vita, Jacob, non l’ho più visto da quando siamo scesi dai camion. Molto probabilmente è già entrato nella camera a gas con la scusa della doccia.”
Tutti noi lo guardiamo con pietà.
Nessuno merita questo, nemmeno gli assassini, forse, e loro sono persone per bene.
Non dovrebbero essere qui.
La mia mente continua a dirmi questo, e la cosa deprimente è che lo so ma non posso far niente per farli tornare a casa.
“Bene, grazie Geoff, mi dispiace tantissimo, e sapete, mi sento in colpa. E’ colpa di mio padre se siete qui, colpa di quel fottutissimo bastardo!” Urlo, in questo momento credo di essere fuori di me. “E mi faccio schifo, perché non ho il coraggio di dirgli di smetterla, perché so che morirei, ed io non voglio morire.” Sussurro, debolmente e mi accascio a terra.
Qualche lacrima amara, comincia a uscire dai miei occhi. Aspetta, non posso mostrarmi debole attorno a queste persone.
Non posso.
Alzo il capo e sono tutti attorno a me, ma davanti ho il ragazzo dagli occhi smeraldo, che mi fissa in pena.
Ma sono io che devo difenderli, non loro che devono difendere me.
“Davvero ragazzi, è tutto apposto, scusate…”
“Non mentire, non ne sei capace, Lou.”
Quel soprannome.
Non l’ha mai usato nessuno.
Se non…
“H-Haz?”
Non può essere.
“Si Loulou, sono io.”
L’istinto prevale sulla ragione e non riesco a trattenermi.
Lo abbraccio e cadiamo a terra dalla sua parte, a causa della mia spinta.
Il mio corpo sopra il suo, combaciano alla perfezione.
Gli altri ci osservano straniti, ma per me in questo momento, nemmeno esistono.
In quella stanza siamo solo io e lui.
“Ti ho visto solo una volta ma già ti volevo bene e..è così bello rivederti.” 
La mia voce trema, escono singhiozzi e lacrime.
Non riesco ancora a crederci.
E pensare che gli avevo promesso che ci saremmo rivisti.
“Haz, te l’avevo promesso che ci saremmo rivisti, ma questa non è il posto ideale…”
Questo fa un po’ ridere tutti, anche se è una cosa triste.
Restiamo così  per un po’, riceviamo sguardi di compassione dagli altri, che sembrano dire “guardali, si sono ritrovati ma non hanno molto tempo per stare insieme, tra un po’ tutto finirà”.
E purtroppo è vero.
“Lou, adesso non ti lascerò andare via, non per la seconda volta.”
Quelle parole mi mettono i brividi.
Ha una voce così roca, sensuale, che…
Dio Louis, che pensieri fai?
Ci alziamo da terra e mi lascia un bacio sulla guancia, prima di andare in bagno.
Le sue labbra sono così morbide…
Gli lascio una carezza e torno nel mondo reale.
Perché si, fino a poco prima non ero qui, ma completamente altrove, in un mondo dove tutto è perfetto, senza guerra, solo pace.
Solo io e lui, Louis ed Harry.
“Ragazzo, ci sei?” Sento dire da un uomo che mi da una pacca sulla spalla.
Arrossisco e annuisco, prima di dire.
“Sentite ragazzi, io vado, ci vediamo in giro. C-ciao.”
Ancora rosso per l’imbarazzo mi giro andando verso la porta, finchè la apro e sento delle risatine provenire dalle mie spalle e chiudo la porta.
Harry.
E’ il mio pensiero prima di andare a dormire.
Harry Styles.



                                                                                                                      24 Dicembre 1944 Auschwitz



E’ passato più di un mese da quel giorno in cui ci siamo ritrovati.
E non lo abbandonerò mai più.
Al costo della vita.
Harry non è d’accordo su questo, perché dice che la sua vita è inutile, mentre la mia no.
Ma senza di lui, cosa sarei?
Assolutamente niente.
Louis Tomlinson non ha senso senza Harry Styles, e Harry Styles non ha senso senza Louis Tomlinson.
Ci completiamo a vicenda.
E’ mattina presto, quando decido di andare a far visita ai miei uomini, così li ho soprannominati ormai.
Spalanco la porta, e li sveglio come solo io posso fare.
Urlando.
“Sveglia che è tardi, abbiamo tantissime cose da fare, giù dai letti!”
Mi avvicino ad Harry e, non so come dato che pesa più di me, lo prendo per lasciarlo cadere a terra e lancia un gemito di dolore.
“Louis sei un cretino.”
E si rigira dall’altra parte del pavimento.
“Dai cupcake.”
A questo diminutivo non resiste e si alza, guardandomi male, e va a lavarsi la faccia con quel poco d’acqua che gli concedono.
Gli altri sono già in piedi e mi guardano straniti.
“Scusa, che dovremmo fare?”
Ancora non sanno niente, ovviamente, ma sono sicuro che gli farà piacere.
Sono riuscito, dopo tante suppliche, ad ottenere un territorio libero, in cui portare tutti loro.
Ormai è Dicembre e nevica.
Tutto li fuori è bianco.
E molto probabilmente, è una delle poche cose belle che potranno vedere qui.
Anche perché ormai, non manca molto alla fine.
“Ho ottenuto un’area libera e…Andiamo tutti fuori sulla neve!”
Sembrano abbastanza contenti, e ne sono soddisfatto.
A quanto pare sono tutti pronti adesso, quindi apro la porta e veniamo subito accolti da candidi e soffici fiocchi di neve.
“Wow.” Dicono tutti in coro.
Iniziamo tutti a correre e ci buttiamo sul manto di neve.


La giornata passa alla grande, non abbiamo fatto altro che lanciarci palle di neve a vicenda.
E’ stato divertente, mi congratulo con me stesso, davvero. 
Ormai è quasi sera, sarebbe l’ora di rientrare.
Gli altri mi ringraziano e iniziano ad avviarsi verso il loro ripostiglio.
E li restiamo solo io ed Harry, il mio angelo.
“Auguri BooBear, non ho dimenticato proprio niente.”
Mi prende alla sprovvista e mi bacia.
Non è uno di quei baci violenti, desiderosi di passione, vogliosi di sesso.
E’ uno di quelli casti, puri, uno di quelli che stanno a significare veramente ciò che si prova ad una persona.
Chiede gentilmente accesso alla mia bocca, e glielo permetto, ma tutto continua ad essere lento, semplicemente perfetto.
Se ci vedessero adesso, ci ucciderebbero ma...
Al diavolo, sarebbe una morte bellissima, con ancora il sapore di Harry sulle labbra, ma soprattutto con lui.
Le sue labbra sono così morbide, come già avevo costatato, e sanno di menta.
E solo adesso riesco a rendermi veramente conto di quanto possa amare questo ragazzo dagli occhi smeraldo ed i capelli ricci.
Ci stacchiamo, e tutto ciò che riusciamo a fare è fissarci negli occhi.
Fino allo sfinimento.

“Questo mondo mi ha reso così freddo Haz…”
“Louis che senso ha tutto questo? Io sto per morire e…”
Lo metto a tacere con un silenzioso bacio.
“Ha senso Harry, finchè siamo insieme.”



                                                                                                                        26 Gennaio 1945 Auschwitz




Il nuovo anno era arrivato, e ancora andava tutto alla perfezone.
Io ed Harry ci eravamo messi insieme proprio quella notte del ventiquattro dicembre, quando mi baciò al chiaro di luna.
Ho sempre odiato il giorno del mio compleanno, ma… quello di quest’anno, o meglio dell’anno scorso ormai, è stato il migliore, il miglior giorno della mia vita.
Chi l’avrebbe mai detto che io, ad Auschwitz, avrei trovato tutto questo?
Nessuno, già, nemmeno io l’avrei immaginato.
E’ già pomeriggio oggi, non avendo molto da fare, passo a prendere Harry, per portarlo in giro a fare una passeggiata.
Si fa già trovare davanti la porta del ripostiglio, sempre magnifico, in tutto il suo splendore.
E chi l’ha detto che il principe azzurro debba sempre essere padrone di un castello, ricco e vestito con abiti costosi? Penso.
Lui è già il mio principe.
"Buongiorno splendore." Dice il mio Harry, con un aria più vispa del solito.
Si prospetta ad essere una bella giornata.
"Giorno amore."
Gli do un bacio dolce sulle sue morbidi labbra.
E da quando sono così spavaldo?
Harry ha fatto uscire fuori un altro lato di me, quello che vuole comandare, ma dolcemente, non con violenza.
"Dove andiamo Lou?" Mi chiede entusiasta e curioso.
"È una sorpresa Haz."
Gli metto una benda sugli occhi e lo afferro per mano.
"Louis, non è che prima che possa dire una parola mi trovo carbonizzato,vero?"
Inizio a ridere, ma poi mi rendo conto che è una cosa seria.
Lui non vuole morire.
"No amore, mi credi davvero così vigliacco, ipocrita ed insensibile? Ti sembro una di quelle persone che ne prendono in giro altre?"
Fa un cenno con il capo che sta a significare no e mi riafferra la mano, per continuare il nostro cammino.
Dopo aver percorso una settantina di meri, sembriamo entrambi esausti.
"Dio non camminavo così tanto da una vita." Dice Harry ansimando.
Effettivamente per lui, dev'essere stato faticoso.
"Bene Harry, ti leverò la benda al..tre,due,uno....Adesso!"
Slaccio il nodo della benda e vedo la sua bocca aperta in una "o", segno che è stupito.
Chissà da quanti anni non vede il mare.
"Ti sembrerà una cosa strana ma...Io non ho mai visto il mare,Lou. Davvero, è la cosa più bella che abbia mai visto e...non ti ringrazierò, non ti ripagherò mai abbastanza."
Dice con tono strozzato e subito dopo si butta su di me.
"Con il tuo amore,mi hai già ripagato abbastanza. Mi hai insegnato ad amare Harry, e questo è il dono più grande."
Mentre sto per baciarlo,arrivano delle guardie tedesche, mai viste in vita mia, che ci separano ed ammanettano.
Che sta succedendo?
Subito dopo spunta mio padre dalle loro spalle.
Merda.
"William è così allora,eh?"
Che avrei dovuto rispondere?
Adesso avrebbero ammazzato Harry, e che vita sarebbe stata senza di lui.
Non ci volle a prendere una decisione.
Non avevo rimpianti di tutto questo.
"Si padre, le cose stanno così."
Era come paralizzato.
Forse ancora non credeva che io, Louis William Tomlinson, suo figlio, avevo tradito la Germania.
"Portateli...nelle camere a gas."
Si voltò, senza avere il coraggio di salutarmi per l'ultima volta.
Perché si, ormai, anche per me era giunta la fine.


Eravamo già dentro,ma ancora non avevano attivato il gas.
"Louis, perchè l'hai fatto?"
Stava piangendo come un disperato, mentre io ero piuttosto calmo.
Perchè ero felice, sarei morto con lui, mentre se non l'avessi fatto, avrei avuto rimpianti per il resto della mia vita, e probabilmente sarei morto di depressione.
"Te l'ho già detto."
Gli presi il mento tra le dita e a quel punto,il gas tossico iniziò ad espandersi per la stanza.
Ci baciammo, per ricevere ossigeno a vicenda, per provare a resistere, e salutarci per l'ultima volta.
"Harry davvero, non ho rimpianti per tutto quello che abbiamo passato. Sono stati i tre mesi migliori della mia vita, ho trovato te, la mia ragione di vita, e ne è valsa la pena.
Adesso non fa niente se stiamo per morire, noi staremo sempre insieme, anche lassù, intesi Harry?"
"Ricominciamo tutto daccapo."
All'inizio non riesco a cogliere il senso di quelle parole.
Ma invece no,tutto ha un senso.
"Ok, inizia tu Haz."
Le lacrime iniziano a scendere anche dai miei occhi, per le parole che ha detto Harry.
Perchè vuole ricominciare tutto, per vivere in un altro mondo, senza guerra e sofferenza.
Proprio quello che volevamo.
"Ciao bimbo!" 
Una risata amara, si impasta con i singhiozzi.
"Ciao, come ti chiami?"
È la fine.
"Harry, tu?"
Ci prendiamo per mano, e gli lascio un bacio sulla punta del naso.
"Louis William Tomlinson."
Ti amo, Harry.



27 Gennaio 1945 Auschwitz



Quel giorno, arrivarono gli americani, per aiutare tutti gli ebrei nei campi di concentramento o che comunque, erano stati rapiti.
Vinsero.
E i tedeschi, com'era giusto che fosse, persero ogni ricchezza e potere.
Tutti i ragazzi della casata maschile si erano salvati.
Ma Harry e Louis, non ce l'avevano fatta, solo per un giorno.
Erano morti il 26 Gennaio.
Tutti li piangevano, e li ringraziavano, perchè senza di loro, a quest'ora, avrebbero fatto la loro stessa fine.
Ma comunque sapevano, che non avrebbero mai smesso di stare insieme.
Ovunque si trovavano in quel momento, erano insieme.
E si amavano, come nessuno aveva mai fatto in questo mondo.
I loro corpi erano stati trovati abbracciati, incastrati tra di loro, come per dire che niente, nemmeno la morte, potesse separarli.
Non avrebbero mai smesso di farlo, perchè...
Dopo il buio della tristezza, c'è sempre la luce eterna.



27 Gennaio 2014


"Bene, chi vi parla è James Smith, dal Breaking News. Oggi abbiamo qui con noi, uno dei pochi sopravvissuti della sterminazione ebraica, Liam Payne.
Voleva raccontarci una vicenda particolare, avvenuta proprio li, che a quanto sembra, gli abbia salvato la vita. Ormai centenne, Liam conduce una vita tranquilla. All'epoca era giovane, aveva solo vent'anni.
A lui la parola."
Così diceva il presentatore del telegiornale, tutti fremevano dalla curiosità.
Erano passati quasi sessant'anni dal giorno in cui gli ebrei erano stati liberati dagli americani, ma ancora nessuno aveva smesso di parlarne.
Era una vicenda che aveva scandalizzato tutto il mondo.
"Si salve James." Disse Liam con voce tremolante a causa della sua età.
"Volevo raccontarvi una storia d'amore.
Allora, quando eravamo nelle casate, c'erano due giovani, uno era un mio compagno, l'altro era il figlio del dittatore Mark Tomlinson.
Loro erano Harry Styles e Louis William Tomlinson."
  
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