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Autore: shimichan    09/02/2014    5 recensioni
L'organizzazione nera è ormai un ricordo, ma cominciare una nuova vita sarà, per Shiho, tutt'altro che semplice. Cosa aspettarsi quando non si ha un passato alle spalle? Come affrontare un mondo che i suoi occhi non hanno mai conosciuto?
"Così, seppur con leggera esitazione, aveva ingoiato la pillola, dicendo addio ad Ai Haibara, cercando di dimenticare per sempre Sherry e aspettando di scoprire quale futuro il destino avesse in serbo per Shiho"
[Post Black Organization] [ShihoxHigo] [Accenni ShinRan]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Hiroshi Agasa, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. Cambi di gioco
 
Shiho si presentò nell’ufficio del professor Yuto poche settimane dopo l’inizio dei corsi.
L’entusiasmo per la sua avventura universitaria si era consumato in fretta e, ai buoni propositi iniziali, era presto subentrata una sorta di sofferente apatia.
Trovava antiquato il programma offerto dalla facoltà, lacunoso, ed anche quando s’imbatteva su argomenti nuovi, la voracità di giungere al nocciolo, la portava a studiarli di propria iniziativa, ad approfondirli, a renderli propri a tal punto che, una volta terminato, sembrava non ricordare più se averli davvero scoperti qualche giorno prima o durante la sua vita precedente.
Lo studio era piccolo, ordinato e inodore, dominato dal contrasto tra il bianco delle pareti e l’arredamento in mogano.
Tamburellò piano sulla porta e dall’interno il professore non fu sicuro se stessero bussando a lui o all’ufficio accanto, perciò passarono alcuni secondi prima che dicesse “Avanti” sperando di non fare una figuraccia.
Shiho aprì e mosse un passo oltre lo stipite. “Buongiorno”.
Lui scosse la testa di lato, in quello che Shiho interpretò come il massimo cenno di saluto di cui fosse capace, e la invitò ad accomodarsi.
La poltroncina di pelle nera stridette sotto il suo peso in una sorta di lamento animale che la distrasse, facendole dimenticare un momento perché era lì.
“Allora?” la esortò, osservandola accigliato.
“Sono qui per il posto da tirocinante”.
Yuto fece una smorfia, simile ad un sorriso ironico.
“Mi scusi, ma lei chi è?” chiese senza nascondere il sarcasmo e incrociando le braccia al petto, come se volesse godersi un attimo di divertimento.
“Mi chiamo Shiho Miyano. Sono al primo anno e…”.
“Signorina. Sa che, per il tirocinio, prendo in considerazione solo studenti del terzo e che questi devono dimostrarmi il loro grado di preparazione con un elaborato autonomo?”.
Lei annuì, senza scomporsi, e prese dalla borsa un plico di fogli numerati e scritti in bella grafia, che posò sulla scrivania con un leggero colpetto delle dita affinché scivolassero fino al bordo. Yuto aggrottò le folte sopracciglia ed il suo sguardo si accese, studiando più attentamente la studentessa che si ritrovava di fronte. Era bella, ma aveva la postura di chi non sa occupare lo spazio del proprio corpo, come se quel fascino fosse più un peso che un vantaggio. Cercò di inserirla in uno degli stampini che, durante i lunghi anni d’insegnamento, aveva preparato per gli studenti: c’erano i sopravalutati che crollavano alla prima sbavatura nella loro carriera e i bisognosi di attenzione, quelli che nello studio riescono perché nella vita sono dei fessi e, non appena finiscono fuori dalla strada ben tracciata dell’università, si rivelano sempre dei buoni a nulla, e ancora i talenti incompleti, grandi cervelli e scarsa capacità di sfruttarli, inghiottiti da qualche anonimo laboratorio di terza categoria.
Tuttavia, Shiho, almeno in apparenza, non rientrava in nessuno dei modelli precostruiti dalla sua mente, così, con la sfuriata già pronta, bloccata in gola come uno starnuto che non arriva, prese il suo lavoro e, inumidendosi l’indice, sfogliò le pagine sino in fondo.
Con la fronte ancora corrugata, lesse veloce la dimostrazione di Shiho, senza capirci molto, ma neppure trovando qualcosa da obiettare.
Poi la riprese da capo, più lentamente, soffermandosi con attenzione eccessiva su ogni riga, e questa volta il ragionamento gli parve chiaro, rigoso e inappuntabile. Mentre seguiva i passaggi, la sua fronte si distese e lui prese ad accarezzarsi, inconsapevolmente, il labbro inferiore, che vibrava, scosso da mugolii di approvazione.
Di tanto in tanto i suoi occhi si staccavano dai fogli in una sferzata d’invidia per quella studentessa che sembrava così inadatta all’esistenza ma senza dubbio dotata per la biochimica, come lui stesso non si era mai davvero sentito. Shiho, dal canto suo, gli restituiva sguardi assenti, al limite della noia, quasi trovasse quella prassi del tutto priva d’importanza.
Yuto appoggiò nuovamente i fogli sulla scrivania e si schiarì la voce, che uscì comunque rauca,
per articolare: “L’ha copiata?”.
Lei ascoltò quella breve sequenza di parole, ma ci mise alcuni secondi a ricostruirne il significato e denegò la testa con l’espressione impassibile di una bambola di porcellana.
“Bene. Le farò sapere. Può andare”.
Shiho si alzò, biascicò un “Grazie” tutto fuorché sincero ed uscì, mentre il professore si accostava alla finestra, pensando che nel suo personale catalogo mancava la voce imbroglioni.
 
 

“Partita?”.
Ryusuke spinse in avanti la gamba destra facendole compiere una piccola mezzaluna verso l’esterno. Per una frazione di secondo il suo bacino rimase sbilanciato su un lato, quasi stesse per rovesciarsi da una parte, ma infine il suo piede toccò il suolo.
Aveva imparato a muoversi in quel modo, senza stampelle, per coprire brevi tratti come quello che separava l’armadio dal letto, dove stava impilando le poche cose che gli erano servite durante la sua degenza.
“Si. Ho pensato che ti sarebbe piaciuto risentire l’odore di un campo da calcio prima di iniziare la riabilitazione” gli rispose una voce alle sue spalle.
Ichiro Misaki stava fermo sotto lo stipite, con una mano in tasca, l’altra uncinata alla spalla per reggere la giacca e il colletto della camicia immancabilmente sbottonato. Era questo suo stile trasandato, a detta di molti, l’unico ostacolo tra lui e una carriera agli alti piani della dirigenza, che snobbava con una frase di rito. “Preferisco l’ambiente libero degli scout agli uffici!”.
“E la società che dice?”.
“Cosa vuoi che importi? La prima seduta di fisioterapia è stata fissata solo tra un paio di giorni!”.
Higo sollevò solo un angolo della bocca, come se necessitasse di altre garanzie per completare un sorriso, così Misaki controllò il programma e gli fece il nome di alcune squadre che aveva intenzione di visionare.
“….e il Konan. Non è il tuo vecchio liceo?”.
Annuì, riponendo una felpa nella sacca. “Contro chi gioca?”.
“Il Teitan”.

 
 
Il cortile esterno pullulava di adolescenti.
Alcuni si erano ritagliati uno spazietto isolato per fumare in tranquillità, altri chiacchieravano, ridacchiando ed esibendosi in strane smorfie.
Shiho si fermò al cancello, riempendosi i polmoni d’aria senza tuttavia muovere un passo, finché qualcuno non le chiese gentilmente di spostarsi.
D’impulso si accostò ad uno dei piloni di cemento, imprimendoselo sulla schiena, e per un attimo, osservando l’uomo che aveva parlato ed il ragazzo infortunato al suo fianco, l’idea di poter diventare tanto sottile da essere invisibile le procurò una piacevole stretta allo stomaco.
“Shiho!”.
Il suo nome urlato da distante penetrò nello strato di torpore e irrequietezza che l’aveva pervasa e le si depositò addosso come una mano di calcinaccio, visibile ma irrilevante. Nel momento in cui i suoi occhi misero a fuoco l’immagine di Shinichi, lui era già a meno di un metro.
“Sei venuta!”. Lo disse come se si stesse rivolgendo ad un’allucinazione, anche se nel suo sguardo, Shiho, poté cogliere una meraviglia inedita, vittoriosa.
Era stato così furbo da sfruttare la storia dell’università per costringerla ad assistere alla prima partita del torneo liceale e lei, sebbene avesse pronto sulla punta della lingua il rifiuto, si era sentita rimpicciolire a tal punto da accontentarlo.
“Di qua!”. Le fece un cenno con la testa e Shiho lo seguì, rassegnata. Quando Shinichi faceva così le gambe iniziavano a formicolarle e l’afferrava la voglia di andarsene via. C’era qualcosa nel suo modo di fare, nell’impeto con cui assecondava i suoi capricci, che lei trovava insostenibile.
Appena raggiunsero il campo, fu travolta dal saluto entusiastico di Ran, che le sorrise ed accennò un movimento in avanti del busto, forse per baciarle le guance, ma la sua immobilità  la trattenne. Shiho non seppe dire se si fosse offesa perché le sue sopracciglia si arcuarono e distesero nel giro di un attimo, quasi a sottolineare ‘Me lo aspettavo’. Poi si rivolse a Shinichi.
Nell’augurargli in bocca al lupo il suo viso si colorò di un leggero rossore e le mani iniziarono a tremarle dentro i polsini del maglione, tesi ben oltre le nocche. “Farò il tifo per te!” e lo lasciò lì, con un’espressione ebete scolpita in faccia, mentre trascinava Shiho verso gli spalti.

Le prime file erano state riservate agli studenti del liceo ospitante.
Lei rappresentava un’eccezione e, forse anche per questo, a Sonoko sfuggì uno sbuffo seccato nel vederla scivolare sul seggiolino accanto al suo.
Tra tutti coloro cui si era reso necessario fornire una spiegazione sull’improvvisa scomparsa di Ai, la giovane ereditiera dei Suzuki era stata quella più difficile da persuadere. Sembrava che per un qualche motivo avesse fiutato l’olezzo della menzogna e non accettasse l’idea di venirne contaminata, così, ogniqualvolta se ne presentava l’occasione, incalzava Shiho di domande, anche indiscrete, squadrandola attentamente, come se un semplice gesto, un parola azzardata o un silenzio prolungato costituissero inoppugnabili prove dei suoi sospetti.
“Oh, ci sei anche tu? Non avevi da fare con l’università?”.
“No”.
Sonoko piantò il mento sul palmo e strizzò gli occhi in quelli di Shiho.
“Più ti guardo, più mi ricordi quella strana bambina. Sembra impossibile che siate solo lontane parenti”.
“La genetica agisce in modo affascinante. Tu e tua sorella avete un grado di parentela più stretto, eppure non vi somigliate per niente”.
Sentì le parole graffiarle la lingua come sabbia. Mentre le diceva studiò la sua espressione per cogliere un accenno di delusione o rabbia e potercisi aggrappare, ma il suo sguardo, colpito dal sole, era troppo chiaro per distinguere il guizzo che l’accese.
“Basta Sonoko!” s’intromise Ran. “Lascia che si goda la partita!”.
In quell’istante, a termine di un’azione personale, il numero 11 del Teitan scaricò la palla in rete, portando in vantaggio la squadra.
“Hai visto? Che ti avevo detto! Segnati questo nome: Shinichi Kudo!” esclamò Higo soddisfatto, punzecchiando con amichevoli gomitate l’uomo al suo fianco. Misaki crollò il capo senza staccare gli occhi dal campo, dove il gioco era già ripreso.
“Il tuo fiuto è ottimo! Potresti avere davanti una carriera da osservatore!”.
Dopo aver parlato, socchiuse le palpebre e portò le labbra in dentro; quello inferiore lo trattenne per un attimo con gli incisivi, come se quella confidenza fosse sfuggita al suo volere.
“Non intendevo…”.
Higo gli posò una mano sulla spalla e gli sorrise, poi abbassò la testa e la sua visuale fu coperta dal gesso che gli avvolgeva metà della gamba. Si ricordò che, appena dopo l’incidente, non aveva sentito nulla, se non il raschiare dell’asfalto sulla faccia e il calore rovente che emanava, mentre ora, in piedi, con il sangue che circolava veloce nelle vene, avvertiva un pizzicore sempre più nitido all’altezza del ginocchio, dove sapeva trovarsi una spessa cicatrice.
Col tempo i medici gli avevano garantito che i lembi di pelle si sarebbero rinsaldati, che la crosta scura avrebbe sostituito i punti e che, infine, anche questa sarebbe sparita sotto uno strato di pelle liscia ed elastica, ma sulla tenuta nessuno aveva osato pronunciarsi con certezza.

 
 
Quando l’arbitro si portò il fischietto alla bocca per porre fine al match, gli studenti del Teitan scattarono in piedi, osannando la squadra.
Shiho notò che alcuni ragazzi tenevano le mani a coppa sulle guance ed urlavano a squarciagola il nome dei loro compagni. Shinichi fu, naturalmente, il più gettonato.
“Ran, il tuo amoruccio si aspetterà una lauta ricompensa per la sua prestazione!”.
Trovò del tutto inopportuna la malizia che aveva accompagnato le parole di Sonoko, ma si limitò a roteare gli occhi al cielo, cercando di dedurre quale ora potesse essere dalle sfumature all’orizzonte, mentre Ran borbottava un severo rimprovero con una vocina stridula che pareva essere rimasta troppo tempo incastrata nella gola, sgusciando oltre le transenne.
Mosse la testa, facendo oscillare lo sguardo da una parte all’altra del campo per riuscire a scorgere l’ombra di Shinichi.
Lo trovò solo quando uno sconosciuto con una camicia azzurra ed un cartellino appeso al collo si avvicinò al cerchio caotico di giocatori e alunni festanti e pronunciò il suo nome. La distanza era troppa per udirlo chiaramente, ma intuì fosse così perché poco dopo Shinichi si sciolse dall’abbraccio dei compagni, scambiò qualche rapida battuta con quell’uomo e iniziò a seguirlo verso gli scaloni.
“Io vado da Shin, voi che fate?”.
Sonoko mise un broncio accondiscendente, risparmiandosi il facile sarcasmo, e Shiho si vide costretta ad imitarle.
Pensava che in quel modo avrebbe saldato il suo debito, che sarebbe bastato scoccare a Shinichi un eloquente sorriso ed inventare un lavoro importante da consegnare l’indomani per allontanarsi dal cortile, dove c’erano troppe persone a respirare l’aria che lei sentiva sempre scarseggiare.
“Oh, questa è Ran!” disse, passandole un braccio sulla schiena ed invitandola a fare qualche passo in avanti per presentarsi. Lei obbedì a disagio, nonostante Higo si fosse dimostrato tutto fuorché altezzoso.
“La sua fidanzata!”.
La voce di Sonoko giunse alle spalle della karateka, che sobbalzò ormai del tutto in preda all’imbarazzo. Shinichi, invece, s’irrigidì, ruotando il busto con un gesto meccanico, gli occhi ridotti a due rancorose fessure, le labbra strette mosse per articolare qualche insulto, di cui Higo colse solo vaghi e distorti suoni d’ovatta.
Appena si risistemò la fesa del berretto e sollevò il capo, infatti, i suoi occhi furono catturati dalla figura che li stava osservando in disparte.
Gli sembrava così bella, così seducente, così diversa dalla gente comune, che non capiva perché nessuno rimanesse frastornato come lui al rumore ritmico dei suoi passi sul lastricato, né si ribellassero i cuori quando il suo sguardo spariva, anche se per una frazione di secondo, dietro le ciglia, né evaporassero le parole davanti a labbra tanto tese ed i pensieri non orbitassero attorno ad una soluzione per farle sorridere.
Quando con un leggero colpo di tosse avvisò gli altri della sua presenza, Higo sentì il suo corpo accartocciarsi, come un foglio di giornale che brucia nel camino e proprio come un pezzo di carta contorto dalle fiamme allungò una mano, incurante della stampella lasciata cadere a terra in un tonfo.
“Ryusuke Higo”.
Lo disse veloce, quasi il nome gli fosse fuggito inavvertitamente dalla bocca.
Lei squadrò prima le dita tremanti che aveva di fronte, poi il loro proprietario e ricambiò la stretta con un misto di titubanza e vergogna.
“Miyano”.
“Shiho”aggiunse, come se ci avesse ragionato su.
 
 
 
 
 


 

Angolo Autrice
E c'è l'incontrooooooooooooooooooo!!!!!!!
Lo so, avevo detto che avrei aggiornato venerdì, ma il mio piedino (rotto) ha fatto i capricci questa settimana, così mi sono imbottita di antidolorifici.
Risultato: coma profondo. Però con questo capitolo conto di essermi fatta perdonare! ^^
Il prossimo sabato (venerdì non credo di riuscirci...). Il titolo? 'Nuove Prospettive'!


bye bye
 
 
  
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