Tutto il mio affetto e il mio
ringraziamento a 3ragon
che
ha caritatevolmente
acconsentito a farmi da Beta. Tutti uniti in un minuto di silenzio per
il suo ancora
presente coraggio!!
I’m
not a Murderer
07
Si
aprano le danze
Se
avesse
dovuto essere sincero con sé stesso – sebbene
raramente, nell’ultimo periodo lo
fosse stato – Castor non avrebbe saputo definire esattamente
il sentimento che
lo aveva spinto ad uscire di casa, infilarsi in macchina e raggiungere
la
Polisportiva.
Avrebbe
quasi potuto dire
di essersi
reso conto di non stare più rimuginando nella solitudine del
suo salotto solo
nel momento in cui una forte
zaffata di cloro aveva raggiunto le sue narici, nel momento in cui
aveva aperto
una delle grandi porte a vetri della Polisportiva.
Ricordava
vagamente di essere uscito di casa, di aver salutato il portiere e
guidato per
venti minuti prima di parcheggiare – aveva
chiuso l’auto? Era una Mercedes SLS, blu notte,
mica un Ford, come quella
accanto a cui si era messo. Sapeva solo che, in quel preciso momento,
si
trovava in piedi sugli spalti gremiti di gente e rumorosi a guardare di
sotto,
in direzione dei numerosi ragazzi pronti a gareggiare – tutti
rigorosamente in
costume.
Era
troppo lontano per riconoscere chiunque, vero?
Non
poteva certo trovare Max in mezzo a quella confusione, quindi non era
certo
andato lì per vedere lui.
Certo, raccontala ad un altro.
Era
lì
perché… aveva avuto un improvviso desiderio di
dedicarsi ad uno sport.
Sei lì per guardare, altro che
palle. Avessi veramente voluto praticare qualche sport, saresti andato
alla
piscina di famiglia.
Il
nuoto era una delle attività più complete, adatto
a tutte le età e salutare.
Certo, e tu ti ci dedicheresti parecchio
ad una certa attività. Castor scosse la testa, infastidito e
come incapace di darsi un freno. Era tutta colpa di
quell’odore di cloro,
decise. Colpa sua e delle immagini che emergevano con esso.
Anche
se molto probabilmente centrava anche un certo indolenzimento che
sentiva alla
spalla, dove una certa persona lo aveva morso nella foga
del momento.
Una
certa persona che stava proprio…
Castor
si accorse di Max nel momento stesso in cui la prima batteria dei 400
stile
libero salì ai blocchi di partenza.
Lo
aveva riconosciuto, nonostante la distanza.
Forse
erano stati i capelli – quella stramaledetta sfumatura di
miele nel castano –
prima di venire celati dalla cuffia blu. Oppure quel suo modo
particolare di
soppesarsi su una gamba prima di chiudere gli occhi e passare
all’altra. O
magari poteva pure essere quel livido scuro – si vedeva anche
a distanza –
ultimo segno di un morso, gemello al proprio.
Lo
vide
prendere posizione e curvarsi armoniosamente in avanti.
Quell’immagine
ne rievocò un’altra, e poi un altra e
un’altra ancora,
Chiuse gli occhi quasi inconsciamente e si passò
la lingua secca sulle labbra altrettanto aride.
Si
perse la prima vasca e anche la seconda, ma
quando tornò a riaprirli non ebbe bisogno di chiedersi chi
fosse, tra le dieci
teste incappucciate di blu che si distanziavano e riprendevano.
E
non perché si ricordasse la corsia.
C’era qualcosa – nel suo modo di muoversi,
nuotare, immergersi e riemergere –
che
gli diceva che era lui. Sembrava
tagliare l’acqua come fosse stata aria, volando in avanti
senza sforzo.
Seguiva la contrazione e il guizzo dei suoi
muscoli e faceva fatica a distogliere lo sguardo.
Quando
lo vide battere il sensore con la mano seppe che qualcosa era cambiato
– e non
in quel momento, ma da prima, quando aveva per la prima volta posato
gli occhi
su quel particolare soggetto, facendo un’eccezione al suo
solito tipo. Seppe
che non sarebbe stato in grado di voltarsi e lasciare tutto alle spalle
come
aveva sempre fatto.
Capì,
non senza un certo sconcerto, che stava pensando a lui. Seriously.
A
lui e
non a se stesso, per dieci minuti. E di più, concesse,
smettendo di raccontarsi
palle.
Molto
di più.
Ed
era
una settimana che non andava a letto con qualcuno. E non dormiva.
Damn Fuck.
Chiuse
gli occhi un’ultima volta, portandosi una mano a coprirli e
lasciando che i
capelli si posassero come una cortina tra loro.
Era
decisamente in un fottuto casino.
°°°
Bach
era tornato in quel negozio solo perché, l’ultima
volta in cui ci era stato,
aveva trovato un bel cappello. Nervosamente strinse tra le dita
l'anello
sottile che teneva appeso ad una catenella, al collo. Quel gesto
abitudinario
ebbe il potere di calmarlo.
Era
sera, era quasi orario di chiusura e la gara era andata decisamente
peggio di
quanto si aspettassero.
La
staffetta aveva totalizzato un punteggio di quattro punti inferiori
alla media,
si erano classificati sesti e non avevano potuto accedere di primo
turno alle
selezioni successive. Avrebbero dovuto confrontarsi nuovamente con le
posizioni
dalla quinta alla decima per garantirsi l’ingresso alle
eliminatorie della
Pennsylvania.
Wonderful.
Persino
Brook, pur essendosi posizionato secondo aveva dimostrato meno di
quanto
avrebbe potuto fare, fosse stato in forma.
Fortunatamente
Lionel e Max erano riusciti a dare dei buoni tempi, ma solo
perché il primo era
riuscito a rilassarsi a sufficienza prima dell’inizio
– era sparito con una
ragazza, e qui si sarebbe fermato con le spiegazioni, ‘kay? – mentre Max si era
spremuto come un limone.
Esattamente
come aveva fatto durante tutta la settimana precedente, senza fermarsi,
senza
riposarsi.
Distrattamente
si chiese quanto sarebbe potuto durare, con quel suo comportamento
autolesionista.
In
ogni
caso, mentre la squadra stava rimuginando, sbollendo e deprimendosi nel
modo
migliore di loro conoscenza, lui era lì, alla O’Connell
Fashion. Per comprarsi un cappello di cui non aveva il
minimo bisogno.
Ma
aveva bisogno di pensare.
E di
parlare a Max – a cui aveva dato appuntamento.
Con
un
gesto deciso ripose il copricapo che teneva in mano in favore di un
modello più
serio, in puro stile Dean Martin.
Pur
continuando a far scorrere la mano sulla stoffa liscia, la sua mente
era
completamente volta ad un ricordo, risalente il pomeriggio precedente.
Quando
l’allenatore lo aveva chiamato fuori, alle porte delle
Selezioni.
«Cosa sta succedendo alla
squadra?» aveva esordito Tom bruscamente, nel momento stesso
in cui lo aveva
raggiunto sul pullman.
Bach ne era rimasto stupito.
Non che non se lo aspettasse –
in fondo il loro coach era una persona recettiva e chiunque se ne
sarebbe
accorto dopo il loro comportamento insolito – ma,
conoscendolo, si sarebbe
aspettato una riunione logistica sulle modalità di affermazione
di indipendenza in una
squadra alle porte di un’importante
gara,
o qualcosa del genere.
Non certo che lo chiamasse
fuori per scaricargli addosso una sequela di domande a cui non aveva
voglia di
rispondere.
Era anche certo, comunque, che
Bach era sempre stato quello meglio informato su quanto accadeva nel
gruppo.
«Siamo tesi» aveva iniziato,
indeciso se dire la verità – come sempre ovvio,
altrimenti che gusto ci sarebbe
stato a sprecare fiato? – oppure soprassedere e dimenticare
una certa serie di
fatti di sua conoscenza.
«E non osare dirmi che è solo
per la gara, intesi?» lo aveva anticipato Tom – che
conosceva i suoi polli.
«Siamo tesi» si era permesso di
sospirare Bach, tornando sui propri passi «perché
ci sono un paio di cose che
non vanno».
«Nella squadra?» aveva chiesto,
cercando di ricordare litigi o scontri durante gli allenamenti.
«No, fuori».
Sempre conciso.
Tom sembrava esasperato.
«Va bene, ho capito. Non serve
che spieghi, rispondi solo» occhi negli occhi «tra
Jamie e Joakim è successo
qualcosa l’altra sera? Quando siete usciti».
«Settimana scorsa» aveva tenuto
indispensabile precisare.
«Per una donna».
Ebbene sì, Tom conosceva bene i
suoi ragazzi.
«Mentre per Max-»
Bach lo interruppe subito.
«Max è un’altra storia»
chiudendo per un momento gli occhi, rievocando quando lo aveva visto
scendere
da quella macchina tirata a lucido. Non lo aveva nemmeno guardata,
quando gli
era passata accanto perché dai!, Max
non sarebbe mai salito
di propria spontanea volontà su un mezzo tanto appariscente,
ma gli occhi gli
erano inesorabilmente caduti su di lui che apriva la portiera e
scendeva, quando
aveva accostato poco distante.
«È entrato in un brutto giro?»
gli aveva chiesto preoccupato, ricordando qui segni sulla sua pelle.
«No!» aveva esclamato l’altro,
aggrottando le sopracciglia «Come ti viene in
mente?»
«È stato picchiato» non
sembrava una domanda.
Bach aveva scosso il capo
rassegnato, rievocando esattamente quegli stessi segni
sull’amico. No, quelli
non erano certamente i regali di una serata passata a battersi in un
vicolo.
Erano i segni di una nottata passata a farsi sbattere in un letto.
Ma quello non lo avrebbe mai
detto.
Never, specie a Tom. Non ne sarebbe uscito vivo.
«Li ho visti» aveva insistito
l’allenatore, indicando un punto imprecisato al di fuori del
finestrino -
indubbiamente atto ad indicare Max, presumibilmente ancora impegnato a
farsi
una doccia pre-gara «quei segni».
«Non è successo niente, di
violento intendo. Non è stato picchiato» aveva
affermato nuovamente, con
maggiore decisione «Max non è il tipo, lo sai
meglio di me».
«Allora cosa?» era sbottato Tom,
esasperato «Come ha fatto a ridursi-»
s’interruppe improvvisamente, la bocca
spalancata e gli occhi aperti a guardare lontano, fuori dal finestrino
«oh».
«Già» si limitò a confermare
il
moro «“Oh”…»
«Ma…» Tom era sembrato indeciso
su come continuare «Max non
è…» aveva allungato una mano,
presumibilmente a
sfiorare l’orecchio, bloccandosi a metà gesto allo
sguardo duro di Bach «voglio
dire» si era affrettato a correggersi «lui ha avuto
una ragazza. Tiana,
ricordi?»
«Quindi?»
«Quindi» aveva ripetuto
l’allenatore, come a rimarcare un punto fondamentale «o è
stato con una donna decisamente
possessiva e dominante o ha voluto provare qualcosa di nuovo. Lo
capisco, è giovane, è normale che abbia le sue
fantasie, ma questa
non è una giustificazione per presentarsi con strani segni
di mors-»
«Per favore» alla fine lo aveva
interrotto, portandosi una mano agli occhi esasperato – e per
nulla desideroso
di conoscere cos’altro la sua mente avesse prodotto
«Max è meglio se lo lasci
stare. Starà bene, davvero».
«Mi
scusi»
Bach
si
riscosse, guardando disorientato alla propria sinistra e vedendo una
commessa
dall’aria gentile – e in qualche modo timorosa
– che gli stava porgendo un
biglietto piegato in due.
«Sì?»
le chiese indifferente, senza accennare a prenderlo in mano.
Cos’era? Il conto
per i capi provati e rimessi a posto?
Possibile.
«Mister
O’Connell mi ha chiesto di darle
questo» proseguì la ragazza solo con un lieve
tentennamento, tornando a
spingere con discrezione il biglietto verso la sua mano.
Bach
lo
prese – evidentemente non poteva fa re altrimenti –
e lo spiegò con un dito.
Scorse
le poche righe e socchiuse gli occhi.
«E Mister
O’Connell è per caso nei
paraggi?» domandò lievemente, tenendo il biglietto
tanto stretto tra due dita
da sgualcirlo, mentre la ragazza – Lauren, dal cartellino
attaccato alla giacca
della divisa – faceva un istintivo passo indietro. Forse per
lasciargli un po’
di spazio, forse per il lampo freddo che si era improvvisamente
palesato dietro
le iridi grigie di quel ragazzo.
«È nel
suo studio» rispose esitante «se vuole
seguirmi…»
«Non
sarà necessario» un uomo s’intromise,
arrivando alle spalle di Bach e facendole
cenno di andare, che da quel momento in poi ci avrebbe pensato lui.
Lauren
annuì un poco sconcertata e chinò il capo prima
di andarsene e tornare alla
propria corsia.
Bach
inspirò profondamente prima di voltarsi e mettere a fuoco la
persona alle
proprie spalle.
«Tu».
«Io»
piegò le labbra in un sorriso beffardo che però
non raggiunse gli occhi.
Bach
non rispose alla provocazione e si limitò a squadrare il
volto sottile
dell’altro, sempre incorniciato da quei capelli fulvi in
maniera totalmente
tinta e quegli occhi sottili. Sembrava non aver dormito molto, di
recente:
occhiaie violacee incorniciavano la pelle pallida delle palpebre,
nascoste da
grandi occhiali da vista dalla montatura scura. Poco sonno e pure a
dieta,
forse, constatò nel notare anche un principio di guance
incavate.
Che
fosse reduce da una brutta influenza?
«Non ho
niente da dirti» affermò dopo aver smesso di
squadrarlo malamente.
«Oh, io
non credo» sorrise lievemente, con appena una punta di
amarezza, Castor «sono
certo che hai molto da dire – o da fare. Ma se permetti
inizio io» fece un
momento di pausa «abbiamo una cosa in comune, noi
due».
«Una
vena di sadica stronzaggine? Potresti avere anche ragione»
Bach fraintese
volutamente.
«Maximillian»
sospirò l’altro, abbassando il tono di qualche
ottava.
«Io non
credo proprio» fu il l'unico commento a cui permise di
affiorare da sotto la
radicata maschera di impassibilità che gli era solita.
«Non ti
sto costringendo a rimanere ad ascoltarmi-» tentò
nuovamente Castor, fermo e
apparentemente calmo, nonostante una ventura di stanchezza a opacizzare
l'impostazione
da giovane ragionevole. Sembrava un po' troppo disilluso per essere una
persona
tanto giovane.
«Infatti
ora me ne vado» ribatté pronto Bach, continuando a
guardare un punto indefinito
alle spalle del rosso.
«Non ti
sto trattenendo» chiarì il concetto, la voce
pacata e stanca.
«Tu e
io» rimarcò con forza Bach, pur continuando a
mantenere un tono lieve «non
abbiamo nulla in comune se non il fatto di conoscere Max. Non abbiamo
Max in
comune. Tu non ce l'hai».
Non
sarebbe potuto essere più chiaro di così.
«È
vero» ammise, mostrando un'umiltà che non pensava
di possedere ancora, facendo
un'incredibile fatica ad esprimere il concetto che aveva in mente
«quello che
ho… condiviso con Max non mi da alcun diritto su di lui,
specie dopo quello che
ho… dopo come mi sono comportato».
Se
Bach
se fosse aspettato altro in risposta a quella sua provocazione - ad
esempio una
battuta sulla linea di: "Ma io Max l'ho avuto, per una notte, ed
è molto
più di quanto tu non abbia mai fatto" - non ne diede segno,
limitandosi a
stringere le labbra in una linea sottile.
«Allora
cosa vuoi da me?»
«Parlarti».
«E se
io non volessi ascoltarti invece?» chiese pacatamente il
moro, spostando il
peso sull'altra gamba e riprendendo in mano il cappello precedentemente
posato
sullo scaffale, rigirandoselo tra le mani.
«Non ti
sto trattenendo» ripeté Castor, il tono
più rilassato e meno amaro rispetto
all’inizio «e tu non te ne stai andando.
Perché?»
Il
moro
rimase in silenzio solo per una manciata di secondi più del
solito, ma non per
trovare una risposta. Voleva valutarlo. That's
all.
Lo
aveva conosciuto attraverso il loro primo incontro - durante il quale
non gli
aveva dato alcuna rilevanza, registrando solo il fatto che era
interessato
all'amico. Poi aveva avuto modo di vederlo al locale - due meri minuti
-
durante i quali lo aveva osservato liberare sempre il sopracitato amico
da una
piattola e esserselo avvinghiato addosso più aderente di un
costume bagnato.
Alla
fine Max gli aveva - più o meno - raccontato il resto.
Niente sulle parti
piccanti, chiaro, il provetto nuotatore era più abbottonato
di una suora quando
si trattava di raccontare le parti interessanti,
quindi aveva imparato ad intuire. No, quello che aveva veramente
estrapolato
dal discorso sconclusiontato di Max, da sotto la massa arruffata dei
capelli e
da dietro la più grande tazza di cioccolata cura-cuori
avesse mai visto, era
che Castor era molto più complicato di quanto non sembrasse.
Affettato
in alcuni suoi modi, sarcastico, manipolatore e intelligente -
spaventosamente,
gli verrebbe addirittura da dire. Sincero, pure se in un modo
tutt'altro che
gradevole, la maggior parte delle volte in cui lo aveva sentito
parlare. In
effetti non c'era proprio niente in Castor che lui trovasse anche solo
attrente.
E
poi
Max non era minimamente tipo da
innamorarsi o cascarci facilmente in quel modo - certo, con la ragazza
precedente
era stato uno sbaglio dall'inizio alla fine, ma erano passati anni e si
era
migliorato, era cresciuto. E sembrava essere seriamente preso da
Castor,
checché ne dicesse.
Doveva
quindi esserci qualcosa di più in quel damerino tinto.
E
lui
chiedeva per quale motivo non se ne fosse ancora andato?
«Forse
voglio ascoltare cosa hai da dire».
Pochi
secondi, ma Castor avea avuto come l'impressione di essere stato
risucchiato in
quegli occhi grigi del suo interlocutore, e la cosa lo aveva lasciato
non poco
infastidito, oltre che una strana sensazione di patina ghiacciata sulla
pelle. Non
sapeva molto - Oh right, niente -
di
Bach, ma quel poco gli aveva dato un assaggio di che razza di persona
fosse .
Era
sincero, imprevedibile e pericoloso. Non era certo del motivo per cui sapeva quelle cose su Bach, ma il suo
istinto gli stava dicendo di essere sé stesso con uno come
lui.
Altrettanto
sincero e diretto.
«Sono
stato un vigliacco, per prima cosa» disse semplicemente
«non avrei dovuto
lasciare che la mia famiglia lo buttasse fuori al posto mio. Sono
rimasto a
guardare» fece una pausa «non mi pento di averlo
cercato e portato da me, no,
solo non pensavo… sarebbe andata così».
Bach
continuava a guardarlo senza dire niente, la falda del cappello tra le
dita e
l'espressione indecifrabile.
«Sarebbe
dovuta essere un'avventura, come molte altre. Anche Max non si sarebbe
aspettato niente di diverso, ma poi…» per un
attimo sembrò perdersi in chissà
quali pensiero «poi, cazzo! Non lo so! Poi mi sono ritrovato
con lui ancora addormentato
a letto, mia sorella in cucina e mio fratello che è arrivato
al momento
peggiore. Li ho lasciati fare. Di questo mi pento».
Il
moro
sembrò riflettere un momento.
«Cosa
avresti fatto tu?» chiese lentamente «Se la tua
famiglia, come dici, non ti si
fosse presentata tra capo e collo. Come ti saresti
comportato?»
«Non lo
so» scosse la testa frustrato «certo non lo avrei
mandato via su due piedi… Mi
è piaciuto passare la notte con lui, non lo so. Ma adesso mi
sembra tutto così
strano» le labbra si tesero in un sorriso malinconico prima
di ridere ironico
«ma sentimi, parlo come una ragazzetta di un romanzo. Non era
questo che avevo
in mente di dirti».
«E cosa
pensavi di dirmi?» domandò nuovamente Bach, sempre
fermo, sempre con il
cappello in mano e sempre apparentemente impassibile.
Castor
gli lanciò un'occhiata tra il perplesso e il risentito.
«Ti
stai divertendo, vero? A vedermi in questa situazione».
«L'hai detto
tu, non io» si limitò a commentare, un'ombra di
sorriso negli occhi «Quindi?»
«Quindi»
espirò stancamente Castor «mi sarei presentato, ti
avrei chiesto come stava Max
e poi avrei cercato di convincerti a rivelarmi dove si trovava in
questo
momento».
«E
secondo te io ti avrei risposto?» alzò un
sopracciglio scettico.
Castor
sorrise appena.
«No,
probabilmente no. Ma sperare non costa niente».
«Mi
spieghi cosa vuol dire?» domandò allora Bach,
stringendo ancora tra le dita il
biglietto che gli era stato portato da Lauren, sarcastico «"Ho bisogno di parlargli", ti sembra
il caso?»
«Lo so
perfettamente anche da solo di aver sbagliato»
sbottò Castor, chiudendo gli
occhi per un momento – quel Bach era decisamente spossante
«ti sto solo
chiedendo di permettermi di spiegare».
«Sono
tutto orecchie».
Castor
lo guardò un attimo di sottecchi, come a volersi assicurare
che quella frase
non fosse la solita presa in giro, ma un'affermazione seria, prima di
sospirare
e raccogliere le idee.
«Non
avrei dovuto» ripeté per l'ennesima volta,
sentendosi più patetico ad ogni
ripetizione «l'ho usato, ferito e ho lasciato che la mia
famiglia gli facesse-
lo ridicolizzasse. Solo stato uno stronzo, me ne rendo conto. Non sono
così di
solito».
«Lo
spero bene» si limitò a commentare Bach,
sollevando un sopracciglio.
«Non mi
aspettavo sarebbero arrivati e la loro presenza mi ha… ero
arrabbiato. Non ho
riflettuto sulle conseguenze» scosse nuovamente la testa,
come a voler
scacciare quanto detto e fatto quel giorno «senza preavviso
mi sono trovato
davanti mia sorella, con la quale avevo una discussione aperta, e
successivamente mio fratello, con cui sono in litigio continuo. Queste
non sono
giustificazioni» precisò subito, nel vedere
l'espressione scettica dell'altro
«sto solo esponendo i fatti come si sono svolti. In quel
mentre è arrivato Max
e- cazzo, era indecente, svestito com'era. Ho dovuto pensare ad altro e
ho
finito per ferirlo in un modo in cui non mi sarei mai
aspettato».
«Cioè»
Bach alzò una mano per interrompere il flusso quasi
incoerente di parole «mi
stai dicendo che pur di non ammettere davanti alla tua famiglia che ti
saresti
fatto» stiramento di labbra, ad evidenziare quanto il termine
non gli piacesse
«Max anche davanti a loro, hai preferito concentrarti su
altro e cancellare la
sua presenza dalla stanza?»
Evidentemente
il senso doveva essere più o meno corretto,
perché Castor si trovò in qualche
modo ad arrossire.
«Non ho
detto questo…» tentò di correggersi,
allargando le braccia con fare
rassicurante.
«No,
no» lo contraddisse Bach «intendevi proprio questo.
E posso capirti, in un
certo senso» Castor lo guardò allibito
«tra famiglia e una scopata, sono certo
che la famiglia abbia la precedenza» sorrise maligno
«ma questo non spiega come
mai ora siamo qui, dico bene?»
A
disagio. Era parecchio tempo che Castor non si sentiva a quel modo.
«Insomma»
il moro non sembrava intenzionato a interrompersi
«perché tu sei qui per un
motivo. Per Max. Allora, che cosa vuoi tu, da lui? Cosa hai da
offrirgli?»
ripeté ancora,
«E tu
perché sei venuto qui? Speravi veramente di
incontrarmi?» in corner, deviò la
domanda – la più pesante, a cui non era ancora
certo di voler rispondere –
attaccandolo a propria volta.
«Smettila,
basta» lo interruppe Bach pacato, fissandolo direttamente
negli occhi «stiamo
parlando da mezz’ora, ma ancora tu non hai risposto alla
domanda più importante.
L’unica cosa che voglio sapere è: che intenzioni
hai con lui?».
Non
aveva più vie di scampo, si arrese il rosso, cercando di
riassumere e portare a
livello conscio un concetto che gli era sempre sembrato troppo
astratto, prima
di quel momento. Prima di Max.
Socchiuse
le labbra.
E,
finalmente, mentre Castor sembrava essere sul punto di fornire una
risposta,
una terza voce – purtroppo conosciuta da entrambi –
s’intromise, raggelante.
«Che cazzo ci fai qui?»
…
Okay, eccomi di
ritorno… scusate il
ritardo ma si è presentata tutta una serie di
contrattempi… eheh Ø.Ø
Dunque dunque, cosa
dire? (e se non
lo so io...)
La storia ha
iniziato a prendere una
piega decisamente inaspettata (l'idea originale era un tantino
differente) e da
qui in poi mi sa che dovrò rivedere più di una
parte. Speriamo bene.
Voi cosa ne pensate?
baci
NLH