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Autore: aliasNLH    09/02/2014    3 recensioni
«Tu lo sai, vero, che quando un uomo compra dei vestiti alla propria ragazza, lo fa perché vuole toglierglieli personalmente?» mormorò, rispondendo finalmente all’interrogativo.
Max deglutì, improvvisamente accaldato per via del contatto di quella mano – per non dire altro, considerato il fatto che si trovava tra decine di corpi sudati e uno in particolare felicemente spalmato su di lui.
Molto felicemente, in effetti. Avvampò.
«M-ma… io non sono la tua ragazza» cercò di erigere una – blanda – difesa a quello che sembrava qualcosa di inevitabile.
«Questo è vero» gli sussurrò in risposta, sfiorandogli il lobo con le labbra «non sei una donna».
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Tutto il mio affetto e il mio ringraziamento a 3ragon che ha caritatevolmente acconsentito a farmi da Beta. Tutti uniti in un minuto di silenzio per il suo ancora presente coraggio!!



I’m not a Murderer

07
 
Si aprano le danze
 
    Se avesse dovuto essere sincero con sé stesso – sebbene raramente, nell’ultimo periodo lo fosse stato – Castor non avrebbe saputo definire esattamente il sentimento che lo aveva spinto ad uscire di casa, infilarsi in macchina e raggiungere la Polisportiva.
    Avrebbe quasi potuto dire di essersi reso conto di non stare più rimuginando nella solitudine del suo salotto solo nel momento in cui una forte zaffata di cloro aveva raggiunto le sue narici, nel momento in cui aveva aperto una delle grandi porte a vetri della Polisportiva.
    Ricordava vagamente di essere uscito di casa, di aver salutato il portiere e guidato per venti minuti prima di parcheggiare – aveva chiuso l’auto? Era una Mercedes SLS, blu notte, mica un Ford, come quella accanto a cui si era messo. Sapeva solo che, in quel preciso momento, si trovava in piedi sugli spalti gremiti di gente e rumorosi a guardare di sotto, in direzione dei numerosi ragazzi pronti a gareggiare – tutti rigorosamente in costume.
    Era troppo lontano per riconoscere chiunque, vero?
    Non poteva certo trovare Max in mezzo a quella confusione, quindi non era certo andato lì per vedere lui.
    Certo, raccontala ad un altro.
    Era lì perché… aveva avuto un improvviso desiderio di dedicarsi ad uno sport.
    Sei lì per guardare, altro che palle. Avessi veramente voluto praticare qualche sport, saresti andato alla piscina di famiglia.
    Il nuoto era una delle attività più complete, adatto a tutte le età e salutare.
    Certo, e tu ti ci dedicheresti parecchio ad una certa attività. Castor scosse la testa, infastidito e come incapace di darsi un freno. Era tutta colpa di quell’odore di cloro, decise. Colpa sua e delle immagini che emergevano con esso.
    Anche se molto probabilmente centrava anche un certo indolenzimento che sentiva alla spalla, dove una certa persona lo aveva morso nella foga del momento.
    Una certa persona che stava proprio…
    Castor si accorse di Max nel momento stesso in cui la prima batteria dei 400 stile libero salì ai blocchi di partenza.
    Lo aveva riconosciuto, nonostante la distanza.
    Forse erano stati i capelli – quella stramaledetta sfumatura di miele nel castano – prima di venire celati dalla cuffia blu. Oppure quel suo modo particolare di soppesarsi su una gamba prima di chiudere gli occhi e passare all’altra. O magari poteva pure essere quel livido scuro – si vedeva anche a distanza – ultimo segno di un morso, gemello al proprio.
    Lo vide prendere posizione e curvarsi armoniosamente in avanti.
    Quell’immagine ne rievocò un’altra, e poi un altra e un’altra ancora,
    Chiuse gli occhi quasi inconsciamente e si passò la lingua secca sulle labbra altrettanto aride.
    Si perse la prima vasca e anche la seconda, ma quando tornò a riaprirli non ebbe bisogno di chiedersi chi fosse, tra le dieci teste incappucciate di blu che si distanziavano e riprendevano.
    E non perché si ricordasse la corsia.
    C’era qualcosa – nel suo modo di muoversi, nuotare, immergersi e riemergere  – che gli diceva che era lui. Sembrava tagliare l’acqua come fosse stata aria, volando in avanti senza sforzo.
    Seguiva la contrazione e il guizzo dei suoi muscoli e faceva fatica a distogliere lo sguardo.
    Quando lo vide battere il sensore con la mano seppe che qualcosa era cambiato – e non in quel momento, ma da prima, quando aveva per la prima volta posato gli occhi su quel particolare soggetto, facendo un’eccezione al suo solito tipo. Seppe che non sarebbe stato in grado di voltarsi e lasciare tutto alle spalle come aveva sempre fatto.
    Capì, non senza un certo sconcerto, che stava pensando a lui. Seriously.
    A lui e non a se stesso, per dieci minuti. E di più, concesse, smettendo di raccontarsi palle.
    Molto di più.
    Ed era una settimana che non andava a letto con qualcuno. E non dormiva.
    Damn Fuck.
    Chiuse gli occhi un’ultima volta, portandosi una mano a coprirli e lasciando che i capelli si posassero come una cortina tra loro.
    Era decisamente in un fottuto casino.
 
°°°
 
    Bach era tornato in quel negozio solo perché, l’ultima volta in cui ci era stato, aveva trovato un bel cappello. Nervosamente strinse tra le dita l'anello sottile che teneva appeso ad una catenella, al collo. Quel gesto abitudinario ebbe il potere di calmarlo.
    Era sera, era quasi orario di chiusura e la gara era andata decisamente peggio di quanto si aspettassero.
    La staffetta aveva totalizzato un punteggio di quattro punti inferiori alla media, si erano classificati sesti e non avevano potuto accedere di primo turno alle selezioni successive. Avrebbero dovuto confrontarsi nuovamente con le posizioni dalla quinta alla decima per garantirsi l’ingresso alle eliminatorie della Pennsylvania.
    Wonderful.
    Persino Brook, pur essendosi posizionato secondo aveva dimostrato meno di quanto avrebbe potuto fare, fosse stato in forma.
    Fortunatamente Lionel e Max erano riusciti a dare dei buoni tempi, ma solo perché il primo era riuscito a rilassarsi a sufficienza prima dell’inizio – era sparito con una ragazza, e qui si sarebbe fermato con le spiegazioni, ‘kay? – mentre Max si era spremuto come un limone.
    Esattamente come aveva fatto durante tutta la settimana precedente, senza fermarsi, senza riposarsi.
    Distrattamente si chiese quanto sarebbe potuto durare, con quel suo comportamento autolesionista.
    In ogni caso, mentre la squadra stava rimuginando, sbollendo e deprimendosi nel modo migliore di loro conoscenza, lui era lì, alla O’Connell Fashion. Per comprarsi un cappello di cui non aveva il minimo bisogno.
    Ma aveva bisogno di pensare.
    E di parlare a Max – a cui aveva dato appuntamento.
    Con un gesto deciso ripose il copricapo che teneva in mano in favore di un modello più serio, in puro stile Dean Martin.
    Pur continuando a far scorrere la mano sulla stoffa liscia, la sua mente era completamente volta ad un ricordo, risalente il pomeriggio precedente. Quando l’allenatore lo aveva chiamato fuori, alle porte delle Selezioni.
 
    «Cosa sta succedendo alla squadra?» aveva esordito Tom bruscamente, nel momento stesso in cui lo aveva raggiunto sul pullman.
    Bach ne era rimasto stupito.
    Non che non se lo aspettasse – in fondo il loro coach era una persona recettiva e chiunque se ne sarebbe accorto dopo il loro comportamento insolito – ma, conoscendolo, si sarebbe aspettato una riunione logistica sulle modalità di affermazione di indipendenza in una squadra alle porte di un’importante gara, o qualcosa del genere.
    Non certo che lo chiamasse fuori per scaricargli addosso una sequela di domande a cui non aveva voglia di rispondere.
    Era anche certo, comunque, che Bach era sempre stato quello meglio informato su quanto accadeva nel gruppo.
    «Siamo tesi» aveva iniziato, indeciso se dire la verità – come sempre ovvio, altrimenti che gusto ci sarebbe stato a sprecare fiato? – oppure soprassedere e dimenticare una certa serie di fatti di sua conoscenza.
    «E non osare dirmi che è solo per la gara, intesi?» lo aveva anticipato Tom – che conosceva i suoi polli.
    «Siamo tesi» si era permesso di sospirare Bach, tornando sui propri passi «perché ci sono un paio di cose che non vanno».
    «Nella squadra?» aveva chiesto, cercando di ricordare litigi o scontri durante gli allenamenti.
    «No, fuori».
    Sempre conciso.
    Tom sembrava esasperato.
    «Va bene, ho capito. Non serve che spieghi, rispondi solo» occhi negli occhi «tra Jamie e Joakim è successo qualcosa l’altra sera? Quando siete usciti».
    «Settimana scorsa» aveva tenuto indispensabile precisare.
    «Per una donna».
    Ebbene sì, Tom conosceva bene i suoi ragazzi.
    «Mentre per Max-»
    Bach lo interruppe subito.
    «Max è un’altra storia» chiudendo per un momento gli occhi, rievocando quando lo aveva visto scendere da quella macchina tirata a lucido. Non lo aveva nemmeno guardata, quando gli era passata accanto perché dai!, Max non sarebbe mai salito di propria spontanea volontà su un mezzo tanto appariscente, ma gli occhi gli erano inesorabilmente caduti su di lui che apriva la portiera e scendeva, quando aveva accostato poco distante.
    «È entrato in un brutto giro?» gli aveva chiesto preoccupato, ricordando qui segni sulla sua pelle.
    «No!» aveva esclamato l’altro, aggrottando le sopracciglia «Come ti viene in mente?»
    «È stato picchiato» non sembrava una domanda.
    Bach aveva scosso il capo rassegnato, rievocando esattamente quegli stessi segni sull’amico. No, quelli non erano certamente i regali di una serata passata a battersi in un vicolo. Erano i segni di una nottata passata a farsi sbattere in un letto.
    Ma quello non lo avrebbe mai detto.
    Never, specie a Tom. Non ne sarebbe uscito vivo.
    «Li ho visti» aveva insistito l’allenatore, indicando un punto imprecisato al di fuori del finestrino - indubbiamente atto ad indicare Max, presumibilmente ancora impegnato a farsi una doccia pre-gara «quei segni».
    «Non è successo niente, di violento intendo. Non è stato picchiato» aveva affermato nuovamente, con maggiore decisione «Max non è il tipo, lo sai meglio di me».
    «Allora cosa?» era sbottato Tom, esasperato «Come ha fatto a ridursi-» s’interruppe improvvisamente, la bocca spalancata e gli occhi aperti a guardare lontano, fuori dal finestrino «oh».
    «Già» si limitò a confermare il moro «“Oh”…»
    «Ma…» Tom era sembrato indeciso su come continuare «Max non è…» aveva allungato una mano, presumibilmente a sfiorare l’orecchio, bloccandosi a metà gesto allo sguardo duro di Bach «voglio dire» si era affrettato a correggersi «lui ha avuto una ragazza. Tiana, ricordi?»
    «Quindi?»
    «Quindi» aveva ripetuto l’allenatore, come a rimarcare un punto fondamentale  «o è stato con una donna decisamente possessiva e dominante o ha voluto provare qualcosa di nuovo. Lo capisco, è giovane, è normale che abbia le sue fantasie, ma questa non è una giustificazione per presentarsi con strani segni di mors-»
    «Per favore» alla fine lo aveva interrotto, portandosi una mano agli occhi esasperato – e per nulla desideroso di conoscere cos’altro la sua mente avesse prodotto «Max è meglio se lo lasci stare. Starà bene, davvero».
 
    «Mi scusi»
    Bach si riscosse, guardando disorientato alla propria sinistra e vedendo una commessa dall’aria gentile – e in qualche modo timorosa – che gli stava porgendo un biglietto piegato in due.
    «Sì?» le chiese indifferente, senza accennare a prenderlo in mano. Cos’era? Il conto per i capi provati e rimessi a posto?
    Possibile.
    «Mister O’Connell mi ha chiesto di darle questo» proseguì la ragazza solo con un lieve tentennamento, tornando a spingere con discrezione il biglietto verso la sua mano.
    Bach lo prese – evidentemente non poteva fa re altrimenti – e lo spiegò con un dito.
    Scorse le poche righe e socchiuse gli occhi.
    «E Mister O’Connell è per caso nei paraggi?» domandò lievemente, tenendo il biglietto tanto stretto tra due dita da sgualcirlo, mentre la ragazza – Lauren, dal cartellino attaccato alla giacca della divisa – faceva un istintivo passo indietro. Forse per lasciargli un po’ di spazio, forse per il lampo freddo che si era improvvisamente palesato dietro le iridi grigie di quel ragazzo.
    «È nel suo studio» rispose esitante «se vuole seguirmi…»
    «Non sarà necessario» un uomo s’intromise, arrivando alle spalle di Bach e facendole cenno di andare, che da quel momento in poi ci avrebbe pensato lui.
    Lauren annuì un poco sconcertata e chinò il capo prima di andarsene e tornare alla propria corsia.
    Bach inspirò profondamente prima di voltarsi e mettere a fuoco la persona alle proprie spalle.
    «Tu».
    «Io» piegò le labbra in un sorriso beffardo che però non raggiunse gli occhi.
    Bach non rispose alla provocazione e si limitò a squadrare il volto sottile dell’altro, sempre incorniciato da quei capelli fulvi in maniera totalmente tinta e quegli occhi sottili. Sembrava non aver dormito molto, di recente: occhiaie violacee incorniciavano la pelle pallida delle palpebre, nascoste da grandi occhiali da vista dalla montatura scura. Poco sonno e pure a dieta, forse, constatò nel notare anche un principio di guance incavate.
    Che fosse reduce da una brutta influenza?
    «Non ho niente da dirti» affermò dopo aver smesso di squadrarlo malamente.
    «Oh, io non credo» sorrise lievemente, con appena una punta di amarezza, Castor «sono certo che hai molto da dire – o da fare. Ma se permetti inizio io» fece un momento di pausa «abbiamo una cosa in comune, noi due».
    «Una vena di sadica stronzaggine? Potresti avere anche ragione» Bach fraintese volutamente.
    «Maximillian» sospirò l’altro, abbassando il tono di qualche ottava.
    «Io non credo proprio» fu il l'unico commento a cui permise di affiorare da sotto la radicata maschera di impassibilità che gli era solita.
    «Non ti sto costringendo a rimanere ad ascoltarmi-» tentò nuovamente Castor, fermo e apparentemente calmo, nonostante una ventura di stanchezza a opacizzare l'impostazione da giovane ragionevole. Sembrava un po' troppo disilluso per essere una persona tanto giovane.
    «Infatti ora me ne vado» ribatté pronto Bach, continuando a guardare un punto indefinito alle spalle del rosso.
    «Non ti sto trattenendo» chiarì il concetto, la voce pacata e stanca.
    «Tu e io» rimarcò con forza Bach, pur continuando a mantenere un tono lieve «non abbiamo nulla in comune se non il fatto di conoscere Max. Non abbiamo Max in comune. Tu non ce l'hai».
    Non sarebbe potuto essere più chiaro di così.
    «È vero» ammise, mostrando un'umiltà che non pensava di possedere ancora, facendo un'incredibile fatica ad esprimere il concetto che aveva in mente «quello che ho… condiviso con Max non mi da alcun diritto su di lui, specie dopo quello che ho… dopo come mi sono comportato».
    Se Bach se fosse aspettato altro in risposta a quella sua provocazione - ad esempio una battuta sulla linea di: "Ma io Max l'ho avuto, per una notte, ed è molto più di quanto tu non abbia mai fatto" - non ne diede segno, limitandosi a stringere le labbra in una linea sottile.
    «Allora cosa vuoi da me?»
    «Parlarti».
    «E se io non volessi ascoltarti invece?» chiese pacatamente il moro, spostando il peso sull'altra gamba e riprendendo in mano il cappello precedentemente posato sullo scaffale, rigirandoselo tra le mani.
    «Non ti sto trattenendo» ripeté Castor, il tono più rilassato e meno amaro rispetto all’inizio «e tu non te ne stai andando. Perché?»
    Il moro rimase in silenzio solo per una manciata di secondi più del solito, ma non per trovare una risposta. Voleva valutarlo. That's all.
    Lo aveva conosciuto attraverso il loro primo incontro - durante il quale non gli aveva dato alcuna rilevanza, registrando solo il fatto che era interessato all'amico. Poi aveva avuto modo di vederlo al locale - due meri minuti - durante i quali lo aveva osservato liberare sempre il sopracitato amico da una piattola e esserselo avvinghiato addosso più aderente di un costume bagnato.
    Alla fine Max gli aveva - più o meno - raccontato il resto. Niente sulle parti piccanti, chiaro, il provetto nuotatore era più abbottonato di una suora quando si trattava di raccontare le parti interessanti, quindi aveva imparato ad intuire. No, quello che aveva veramente estrapolato dal discorso sconclusiontato di Max, da sotto la massa arruffata dei capelli e da dietro la più grande tazza di cioccolata cura-cuori avesse mai visto, era che Castor era molto più complicato di quanto non sembrasse.
    Affettato in alcuni suoi modi, sarcastico, manipolatore e intelligente - spaventosamente, gli verrebbe addirittura da dire. Sincero, pure se in un modo tutt'altro che gradevole, la maggior parte delle volte in cui lo aveva sentito parlare. In effetti non c'era proprio niente in Castor che lui trovasse anche solo attrente.
    E poi Max non era minimamente tipo da innamorarsi o cascarci facilmente in quel modo - certo, con la ragazza precedente era stato uno sbaglio dall'inizio alla fine, ma erano passati anni e si era migliorato, era cresciuto. E sembrava essere seriamente preso da Castor, checché ne dicesse.
    Doveva quindi esserci qualcosa di più in quel damerino tinto.
    E lui chiedeva per quale motivo non se ne fosse ancora andato?
    «Forse voglio ascoltare cosa hai da dire».
    Pochi secondi, ma Castor avea avuto come l'impressione di essere stato risucchiato in quegli occhi grigi del suo interlocutore, e la cosa lo aveva lasciato non poco infastidito, oltre che una strana sensazione di patina ghiacciata sulla pelle. Non sapeva molto - Oh right, niente - di Bach, ma quel poco gli aveva dato un assaggio di che razza di persona fosse .
    Era sincero, imprevedibile e pericoloso. Non era certo del motivo per cui sapeva quelle cose su Bach, ma il suo istinto gli stava dicendo di essere sé stesso con uno come lui.
    Altrettanto sincero e diretto.
    «Sono stato un vigliacco, per prima cosa» disse semplicemente «non avrei dovuto lasciare che la mia famiglia lo buttasse fuori al posto mio. Sono rimasto a guardare» fece una pausa «non mi pento di averlo cercato e portato da me, no, solo non pensavo… sarebbe andata così».
    Bach continuava a guardarlo senza dire niente, la falda del cappello tra le dita e l'espressione indecifrabile.
    «Sarebbe dovuta essere un'avventura, come molte altre. Anche Max non si sarebbe aspettato niente di diverso, ma poi…» per un attimo sembrò perdersi in chissà quali pensiero «poi, cazzo! Non lo so! Poi mi sono ritrovato con lui ancora addormentato a letto, mia sorella in cucina e mio fratello che è arrivato al momento peggiore. Li ho lasciati fare. Di questo mi pento».
    Il moro sembrò riflettere un momento.
    «Cosa avresti fatto tu?» chiese lentamente «Se la tua famiglia, come dici, non ti si fosse presentata tra capo e collo. Come ti saresti comportato?»
    «Non lo so» scosse la testa frustrato «certo non lo avrei mandato via su due piedi… Mi è piaciuto passare la notte con lui, non lo so. Ma adesso mi sembra tutto così strano» le labbra si tesero in un sorriso malinconico prima di ridere ironico «ma sentimi, parlo come una ragazzetta di un romanzo. Non era questo che avevo in mente di dirti».
    «E cosa pensavi di dirmi?» domandò nuovamente Bach, sempre fermo, sempre con il cappello in mano e sempre apparentemente impassibile.
    Castor gli lanciò un'occhiata tra il perplesso e il risentito.
    «Ti stai divertendo, vero? A vedermi in questa situazione».
    «L'hai detto tu, non io» si limitò a commentare, un'ombra di sorriso negli occhi «Quindi?»
    «Quindi» espirò stancamente Castor «mi sarei presentato, ti avrei chiesto come stava Max e poi avrei cercato di convincerti a rivelarmi dove si trovava in questo momento».
    «E secondo te io ti avrei risposto?» alzò un sopracciglio scettico.
    Castor sorrise appena.
    «No, probabilmente no. Ma sperare non costa niente».
    «Mi spieghi cosa vuol dire?» domandò allora Bach, stringendo ancora tra le dita il biglietto che gli era stato portato da Lauren, sarcastico «"Ho bisogno di parlargli", ti sembra il caso?»
    «Lo so perfettamente anche da solo di aver sbagliato» sbottò Castor, chiudendo gli occhi per un momento – quel Bach era decisamente spossante «ti sto solo chiedendo di permettermi di spiegare».
    «Sono tutto orecchie».
    Castor lo guardò un attimo di sottecchi, come a volersi assicurare che quella frase non fosse la solita presa in giro, ma un'affermazione seria, prima di sospirare e raccogliere le idee.
    «Non avrei dovuto» ripeté per l'ennesima volta, sentendosi più patetico ad ogni ripetizione «l'ho usato, ferito e ho lasciato che la mia famiglia gli facesse- lo ridicolizzasse. Solo stato uno stronzo, me ne rendo conto. Non sono così di solito».
    «Lo spero bene» si limitò a commentare Bach, sollevando un sopracciglio.
    «Non mi aspettavo sarebbero arrivati e la loro presenza mi ha… ero arrabbiato. Non ho riflettuto sulle conseguenze» scosse nuovamente la testa, come a voler scacciare quanto detto e fatto quel giorno «senza preavviso mi sono trovato davanti mia sorella, con la quale avevo una discussione aperta, e successivamente mio fratello, con cui sono in litigio continuo. Queste non sono giustificazioni» precisò subito, nel vedere l'espressione scettica dell'altro «sto solo esponendo i fatti come si sono svolti. In quel mentre è arrivato Max e- cazzo, era indecente, svestito com'era. Ho dovuto pensare ad altro e ho finito per ferirlo in un modo in cui non mi sarei mai aspettato».
    «Cioè» Bach alzò una mano per interrompere il flusso quasi incoerente di parole «mi stai dicendo che pur di non ammettere davanti alla tua famiglia che ti saresti fatto» stiramento di labbra, ad evidenziare quanto il termine non gli piacesse «Max anche davanti a loro, hai preferito concentrarti su altro e cancellare la sua presenza dalla stanza?»
    Evidentemente il senso doveva essere più o meno corretto, perché Castor si trovò in qualche modo ad arrossire.
    «Non ho detto questo…» tentò di correggersi, allargando le braccia con fare rassicurante.
    «No, no» lo contraddisse Bach «intendevi proprio questo. E posso capirti, in un certo senso» Castor lo guardò allibito «tra famiglia e una scopata, sono certo che la famiglia abbia la precedenza» sorrise maligno «ma questo non spiega come mai ora siamo qui, dico bene?»
    A disagio. Era parecchio tempo che Castor non si sentiva a quel modo.
    «Insomma» il moro non sembrava intenzionato a interrompersi «perché tu sei qui per un motivo. Per Max. Allora, che cosa vuoi tu, da lui? Cosa hai da offrirgli?» ripeté ancora,
    «E tu perché sei venuto qui? Speravi veramente di incontrarmi?» in corner, deviò la domanda – la più pesante, a cui non era ancora certo di voler rispondere – attaccandolo a propria volta.
    «Smettila, basta» lo interruppe Bach pacato, fissandolo direttamente negli occhi «stiamo parlando da mezz’ora, ma ancora tu non hai risposto alla domanda più importante. L’unica cosa che voglio sapere è: che intenzioni hai con lui?».
    Non aveva più vie di scampo, si arrese il rosso, cercando di riassumere e portare a livello conscio un concetto che gli era sempre sembrato troppo astratto, prima di quel momento. Prima di Max.
    Socchiuse le labbra.
    E, finalmente, mentre Castor sembrava essere sul punto di fornire una risposta, una terza voce – purtroppo conosciuta da entrambi – s’intromise, raggelante.
    «Che cazzo ci fai qui?»
 
 
Okay, eccomi di ritorno… scusate il ritardo ma si è presentata tutta una serie di contrattempi… eheh Ø.Ø
Dunque dunque, cosa dire? (e se non lo so io...)
La storia ha iniziato a prendere una piega decisamente inaspettata (l'idea originale era un tantino differente) e da qui in poi mi sa che dovrò rivedere più di una parte. Speriamo bene.
Voi cosa ne pensate?
 
 
baci
NLH
  
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