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Autore: Helena Kanbara    09/02/2014    4 recensioni
Dal Prologo:
‘‘Ero nata e cresciuta ad Austin, ma non volevo più starci. Il Texas ormai mi andava stretto. Avevo sedici anni e tanta voglia di indipendenza. Se fossi stata fortunata, quella che stava per arrivare sarebbe stata la mia ultima estate laggiù.
Quello stesso inverno mi ero segnata volontaria per un corso di intercultura in California. Se solo qualche famiglia avesse deciso di adottarmi, sarei andata a stare lì per ben nove mesi. E mi sarei liberata almeno per un po’ di tempo della mia terra natale. Avrei frequentato il mio penultimo anno di liceo a Beacon Hills, una cittadina piccola e tranquilla.
[...]
A quel punto non potei far altro che chinarmi a raccogliere la lettera, aprendola in fretta e furia e leggendola con la curiosità che mi divorava. Fantastico. Una famiglia californiana aveva acconsentito ad ‘‘adottarmi’’ per nove mesi.
Gli Stilinski.’’
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sceriffo Stilinsky, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People like us'
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parachute
 
 

 
 
11. Trust the instinct.
 
 
 
«Ti piace proprio essere una calamita per i pericoli di ogni tipo, eh? Ammettilo».
Un tono di voce piuttosto basso e divertito interruppe improvvisamente il mio sonno, facendo sì che ritornassi sveglia bruscamente e anche con immenso dispiacere. Strizzai gli occhi, avvertendo la testa pulsare furiosamente e ritrovandomi con l’immensa voglia di portare una mano alla fronte per cercare di placare un po’ la sofferenza. Avrei davvero voluto muovermi ma… non ci riuscivo, notai con crescente orrore. I miei muscoli erano indolenziti come se avessi passato tutto il giorno a correre senza sosta, e anche solo l’idea di sforzarmi un po’ di più per non sembrare una statua di cera riusciva a farmi avvertire dolore da tutte le parti.
Aprii gli occhi lentamente, sollevando una palpebra alla volta perché anche quel piccolo gesto riusciva a darmi fastidio. Avrei davvero tanto voluto restare a dormire per altre dodici ore filate, ma a quanto pareva qualcuno aveva deciso di negarmi del buon riposo che sicuramente mi avrebbe permesso di star meglio. Ed io volevo assolutamente sapere di chi si trattava.
Quando una figura fin troppo conosciuta si ritrovò nuovamente nella mia visuale, sentii la rabbia montarmi dentro con fin troppa facilità e mi misi seduta nel letto fregandomene altamente del dolore lancinante a braccia e gambe. Repressi un gemito mentre mi voltavo a cercare qualcosa di davvero contundente.
«Ancora tu!», strillai quasi subito, liberandomi della bottiglietta d’acqua trovata pochi secondi prima su uno dei due comodini di fianco al letto.
Non mi preoccupai del fatto che avrebbe potuto aprirsi e che il liquido avrebbe potuto combinare un gran bel casino: ero accecata dalla rabbia e ciò, ovviamente, non mi permetteva di pensare lucidamente. Più che altro mi preoccupai di avere una mira pessima, e me ne rimasi a fissare Derek che evitava ‘‘l’arma’’ come se niente fosse.
Ancora per nulla scoraggiata, sbuffai sonoramente, e il più velocemente possibile ripresi a cercare qualcos’altro da lanciargli contro. Possibilmente qualcosa di più grosso, perché volevo fargli davvero male e in un modo o nell’altro ci sarei riuscita. Tuttavia, Derek – ancora una volta – capì subito le mie intenzioni e mi raggiunse in un batter d’occhio, bloccandomi i polsi senza alcuna difficoltà.
«Toglimi le mani di dosso. Mi stai facendo male», sputai, dimenandomi non molto, ma comunque quanto bastava per far sì che Derek obbedisse al mio ordine.
Lo vidi fare un passo indietro e ritornare dove l’avevo trovato non appena sveglia, e sospirai massaggiandomi i polsi doloranti. Che cosa era successo? Non riuscivo a capirlo. Non ricordavo nulla. E dove mi trovavo? Di nuovo piuttosto tranquilla – almeno quanto bastava per impedire che mi mettessi ad aggredire Derek Hale senza successo – presi a guardarmi intorno mentre trattenevo degli altri lamenti. Ero… in una stanza d’ospedale. Oh mio Dio. Sgranai gli occhi, voltandomi a guardare Derek immediatamente.
«Che cosa è successo? Cosa mi hai fatto?», urlai, sperando che qualcuno potesse sentirmi e in un certo senso salvarmi.
«Che cosa ti ho fatto… io? Sei seria?», mi domandò lui, all’apparenza piuttosto indignato. «Quel tizio biondo aveva intenzione di aggredirti e tu hai il coraggio di chiedere a me cosa ti ho fatto?».
Quelle semplici parole ebbero l’immediato potere di innescare nella mia mente tutto un complicato meccanismo di ricordi. Vidi avvicendarsi tutti gli avvenimenti delle ultime ore e capii che Derek stesse riferendosi a Victor. Rimembrai immediatamente del nostro incontro ‘‘forzato’’ nel retro di scuola e del fatto che fossi stata salvata proprio da Derek. Ad un certo punto, però, c’era il buio.
«Sono svenuta, vero?», chiesi con voce flebile, ansiosa di avere risposte e certezze. «Che cosa è successo?».
«Hai avuto un calo di zuccheri. Forse è stata colpa dell’eccessiva ansia. Ti sei spaventata non poco, è comprensibile».
«E perché sono finita in ospedale?», continuai, ancora piuttosto confusa.
Che io sapessi non era necessario farsi ricoverare per un semplice calo di zuccheri. Bastava mettersi a riposo e assumere più glucosio, di modo che non ne venisse più a mancare al cervello. Allora perché mi trovavo in quella stanza e non a casa mia? E soprattutto, perché ero sola con Derek?
«Ti ci ho portata io. Eri svenuta e non sapevo come aiutarti», mi spiegò subito lui, facendo spallucce.
«Perché non hai chiamato Stiles, o Stephen? Dove sono loro?».
Mi ero infiammata un’altra volta e sempre a causa di Hale. Certe volte, quell’uomo sembrava proprio mettersi d’impegno per rovinarmi la vita, prendendo una serie di scelte che puntualmente non facevano che peggiorare di più la situazione. Derek, di tutta risposta, sospirò mentre distoglieva le iridi chiare dal mio viso.
«Se n’è occupata un’infermiera. Arriveranno tra poco».
«E tu andrai via immediatamente», ordinai subito, più che decisa.
Assolutamente non volevo che né lo sceriffo né Stiles lo trovassero lì, con me. Derek aveva già combinato fin troppi guai, mettendo a repentaglio il minimo di rapporto che io e Stiles stavamo cercando di costruire con quel suo ‘‘scherzetto’’ assolutamente non gradito: non volevo che le cose peggiorassero irrimediabilmente anche con Stephen. Chissà come si sarebbe preoccupato nel vedermi insieme ad un tipo del genere!
«Puoi scommetterci».
E, forse per la prima vera volta da quando l’avevo conosciuto, Hale era d’accordo con me.
A quel punto mi limitai semplicemente ad annuire, improvvisamente più tranquilla. Forse non avrei dovuto fidarmi di una sua semplice frase e continuare invece a stare constantemente sulla difensiva, eppure qualcosa nel suo tono di voce o nello sguardo che aveva, faceva sì che riuscissi a credere alle sue parole senza poi tanti problemi.
Mi rimisi sdraiata e sospirai lievemente, lasciandomi andare ancora una volta ai pensieri finché non mi ritornò in mente una delle domande che avrei voluto porgli già da tempo.
«Posso sapere che problemi hai?», chiesi infatti, stranamente senza alzare la voce e fare scenate.
Mi limitai a mormorare quelle cinque semplici parole mentre fissavo le mie dita intrecciate sul ventre e non osavo rivolgere nemmeno mezzo sguardo a Derek. Non gli diedi neanche tempo di rispondere, comunque.
«Mi hai terrorizzata con quella storia dei post-it: non sei divertente! E ho anche litigato con Stiles, per colpa tua. Non ti voglio più vedere, Derek, dico sul serio».
Presi l’ennesima pausa, dopo aver continuato a parlare a raffica e soprattutto senza guardarlo in viso. Speravo che ripetergli sempre le stesse cose riuscisse a fargli capire che sul serio doveva starmi lontano, e anche che fosse la cosa giusta da fare assecondarmi e darmi ciò che volevo. A dire il vero ci credevo poco, ma tentare non costava nulla, no?
«Sei uno stronzo. E un cazzone. E perché mai non ti trovi in carcere? Sei evaso? Oh mio Dio».
Stavo iniziando a svalvolare, e me ne resi conto ben presto. Avevo iniziato a ‘‘sgridare’’ Derek nel modo giusto, per poi perdermi in insulti arrabbiati e in un mare di domande agitate. Solo alla fine era arrivata la preoccupazione. Mi portai una mano a coprire le labbra.
«Certo che no!», esclamò presto Derek, quasi indignato da quella mia – ennesima – accusa. «Mi hanno liberato. Non ho ucciso io mia sorella».
«Okay, ascolta», sospirai infine, stanca a causa di tutta quella situazione e desiderosa di farla finita. «Ti sono grata per avermi aiutata con Victor ma davvero vorrei che mi stessi alla larga. Puoi andare via prima che mi metta ad urlare di nuovo?».
Gli rivolsi un ultimo, speranzoso, sguardo, sperando che finalmente decidesse di farmi felice e lasciarmi sola ad attendere l’arrivo di Stephen e Stiles. Ovviamente le cose non andarono come avrei voluto, perché proprio nel momento in cui Derek annuì lievemente e fece per uscire fuori dalla stanza d’ospedale, lo vidi sobbalzare appena, e aggrottai le sopracciglia. Si allontanò via dalla porta d’ingresso velocemente e si diresse nella direzione opposta, sparendo poi subito dopo dietro una porta nelle vicinanze del mio letto conducente quasi sicuramente al bagno.
Non ebbi nemmeno tempo di metter su un’espressione sconvolta che dalla porta di ingresso vidi fare capolino Stiles e Stephen. Cercai di non sgranare troppo gli occhi mentre vedevo proprio Stiles corrermi incontro come se non mi vedesse da secoli e abbracciarmi per la prima vera volta da quand’ero a Beacon Hills. Me ne rimasi, piena d’ansia, stretta a lui, mentre fissavo Stephen con un’espressione colpevole che proprio non riuscii a reprimere.
Rischiavo di rovinare tutto un’altra volta ancora.
 
Contro quasi ogni previsione, alla fine in ospedale era andato tutto bene e non c’era nemmeno stato bisogno di dire a Stiles di Derek, anche se sinceramente stavo pianificando di farlo ben presto. Quando dicevo di non voler avere più segreti con lui, facevo sul serio.
Ero stata dimessa la sera stessa ed ero tornata a casa, dove sia Stephen che Stiles mi erano stati ansiosamente vicini per tutto il weekend, evitando di lasciarmi sola per anche solo due secondi dal momento che avevano paura potessi sentirmi male di nuovo.
La cosa mi aveva resa felice e mi aveva fatto sorridere, e continuavo a prendere bene il tutto soprattutto quando notavo l’avvicinamento che stavamo avendo quasi improvvisamente io e Stiles. Non mi aveva lasciata un attimo sola – non più – né sembrava avere intenzione di farlo, proprio come me. Il fatto che poi quel lunedì avremmo seguito gli stessi corsi, a scuola, era solo l’ennesimo lato positivo della situazione.
Non avevo idea di dove fosse finito Derek dopo la sua sparizione nel bagno, ma sinceramente me ne ero curata poco. Non era lui che mi interessava: volevo solo che le cose andassero bene e che il rapporto con Stiles e Stephen non venisse incrinato da niente e nessuno.
Sorrisi debolmente mentre mi richiudevo alle spalle lo sportello della Jeep: mancavano pochi minuti alle otto del mattino e stava per iniziare l’ennesima settimana di scuola. Nonostante tutte le insicurezze dei primi tempi, quel giorno mi fece anche fin troppo piacere trovarmi lì alla Beacon Hills High School, circondata da migliaia di studenti simili a me ma allo stesso tempo diversi da me. Non avevo più paura del confronto e dovevo ringraziare solo Stiles che mi stava accanto, e anche Stephen. Non mi sentivo più sola, né terrorizzata, e speravo solo che le cose potessero andare così per sempre.
«Ciao, Harriet! Stai bene?».
La voce di Scott mi riscosse dai miei pensieri, e mi voltai immediatamente a guardarlo con un sorriso. Né io né Stiles avevamo avuto il tempo di muoverci molto in direzione della scuola che McCall ci aveva raggiunti, senza che io tra l’altro lo notassi minimamente. Annuii debolmente, trovando la sua ‘‘euforia’’ un po’ troppo artefatta perché potessi credergli.
«È tutto a posto, ti ringrazio. Quello di sabato è stato solo un malore passeggero», gli risposi comunque, prendendo tempo prima di partire all’attacco con uno dei miei soliti interrogatori. «A te come va, invece? Mi sembri un po’ giù».
Non mentii, perché non ne avevo alcun motivo. Mi limitai ad esporre il mio pensiero senza problemi e vidi Stiles aggrottare le sopracciglia mentre Scott prendeva a muoversi agitato sul posto. Magari lui non si era reso conto di come stesse realmente Scott, ma io sì. Ai miei occhi attenti era raro che sfuggisse qualcosa.
«Stanotte ho… fatto un brutto sogno», mormorò McCall dopo un po’, tenendo lo sguardo puntato sull’asfalto.
Inutile dire che Stiles intervenne subito, sempre sinceramente preoccupato per le persone alle quali teneva. Mi aprii in un piccolo sorriso mentre lo guardavo avvicinarsi a Scott e passargli un braccio intorno alle spalle, e tutti e tre prendemmo a muoverci verso l’entrata della Beacon Hills High School.
«Ehi, amico. Di che si tratta?», gli chiese, piuttosto tranquillo nonostante tutto.
«C’eravamo io ed Allison, qui a scuola. Soli. Ad un certo punto l’ho portata in uno degli autobus vuoti parcheggiati in giardino e…».
Per un attimo mi chiesi se davvero quello che Scott ci stava raccontando fosse un brutto sogno. Insomma, la premessa suggeriva tutt’altro – per quanto mi sforzassi di non cogliere cose perverse ovunque – e non potei fare a meno di aggrottare le sopracciglia. Stiles, poi, dimostrò subito di aver pensato esattamente ciò che avevo pensato io, e per poco non scoppiai a ridere.
«Okay, frena, non voglio i particolari!», esclamò, allontanandosi da Scott velocemente mentre faceva una faccia piuttosto schifata.
«Non è quello che credi, deficiente!», si difese subito McCall, riservandogli un pugno sulla spalla mentre io scoppiavo finalmente a ridere di gusto.
«Allora cos’è successo dopo?», domandai quando mi fui finalmente calmata.
«L’ho aggredita».
Dopo quella sua risposta, il silenzio cadde e il momento di ilarità finì. Quello di Scott era stato solo un sogno, certo, eppure perché non riuscivo a stare tranquilla? C’entrava forse il fatto che fosse un licantropo? Distolsi lo sguardo dal mio amico per puntarlo sulla porta di ingresso del liceo, avvicinandomi ad essa per entrare dentro scuola, ancora completamente in silenzio.
«L’hai uccisa?», chiese Stiles allora, spingendo il portellone mentre si voltava a guardare Scott, rimasto indietro.
«Non lo so. Mi sono svegliato. Ero completamente sudato e non riuscivo a respirare: non mi era mai successo prima d’ora».
«A me sì», mormorai all’improvviso, voltandomi a cercare lo sguardo di Scott mentre mi chiedevo per quale assurdo motivo volessi in quel momento metterlo a conoscenza degli strani incubi che facevo di tanto in tanto.
«Okay, provo ad indovinare», intervenne Stiles, spostando l’attenzione su altro.
McCall, però, non gli lasciò nemmeno il tempo di parlare.
«Lo so cosa stai per dire. Credi sia dovuto al fatto che domani esco con Allison e che magari potrei perdere il controllo».
«No, certo che no. , in effetti sì».
Risi, muovendomi in direzione del mio armadietto.
«Oh, dai. Andrà tutto bene, d’accordo? Credo che tu stia gestendo la cosa in modo eccezionale. Non esiste un corso per giovani licantropi alle prime armi», continuò Stiles, rassicurando Scott senza nemmeno pensarci su.
«Un corso non c’è ma… un maestro sì».
Capii improvvisamente l’antifona e mi voltai a guardare Scott con ancora una mano ben salda sull’armadietto aperto, e lo sguardo truce. Non poteva davvero insinuare che…
«Derek?», strillò Stiles, colpendo Scott con uno schiaffo nient’affatto leggero. «Ricordi che l’abbiamo fatto mandare in prigione?».
McCall si limitò a sospirare mentre io me ne restavo ancora in silenzio, più che determinata nel voler sentire cosa avrebbe detto per giustificarsi. Riprese a parlare dopo un po’, a voce bassa.
«Lo so, Stiles, ma… trascinare Allison in fondo allo scuolabus sembrava così reale!».
Sbuffai lievemente, recuperando il libro di chimica dall’armadietto mentre cercavo di allontanare via dalla mia mente qualsiasi tipo di brutto pensiero. Non potevo permettere davvero che Scott chiedesse anche solo un minimo aiuto a Derek, autorizzandolo così ad entrare ancora una volta – per forza di cose – nella mia vita, ma cosa avrei potuto fare davvero per impedirlo? Nulla.
«Tanto reale?», chiese Stiles dopo un po’ di tempo, camminando al mio fianco e stando comunque vicino a Scott mentre ci dirigevamo fuori in giardino.
«Non ci credereste nemmeno».
Oh no, ci crediamo eccome.
Questa fu la prima cosa che pensai nel momento esatto in cui uno dei tanti scuolabus messi a disposizione per gli studenti dalla Beacon Hills High School apparve di fronte ai miei occhi, non appena tutti e tre ci ritrovammo all’esterno del liceo. Era praticamente distrutto, e macchiato da parecchio sangue. Non osavo chiedermi a chi appartenesse, soprattutto perché non ci riuscivo. Ero sopresa da quella situazione, e ovviamente non in modo positivo.
«Merda…», riuscii semplicemente a sussurrare, ritrovandomi anche incapace di distogliere lo sguardo da quello scenario assurdo.
«Scott. Ti crediamo».
 
Il panico assoluto aveva preso possesso di tutti non appena realizzammo cosa avesse fatto, quasi sicuramente, Scott. Mi resi conto di non aver pensato ad Allison quasi per nulla, durante tutto il weekend e anche quella mattina, nonostante il fatto che come al solito avrei dovuto vederla a scuola e passare del tempo insieme a lei.
L’unica cosa che sapevo per certo era che le cose, con Scott, stessero andando a gonfie vele. I due si erano scambiati un bacio dopo la partita di lacrosse del sabato precedente, e la Argent mi aveva descritto la scena in modo entusiastico con un SMS che mi aveva inviato domenica e al quale io avevo risposto piuttosto velocemente, con mio grande dispiacere.
In un certo senso l’avevo ignorata, e mi pentii amaramente della cosa nel realizzare in quell’esatto momento dell’alta possibilità che avevo di non rivedere Allison mai più. Se solo il sogno di Scott non fosse stato solo un sogno e lui l’avesse davvero aggredita, quante probabilità c’erano che lei fosse sopravvissuta? Certo, prepararsi ad un funerale così presto forse non era proprio la cosa giusta da fare, ma troppe emozioni contrastanti avevano preso il possesso di me, in quel momento, e chiedermi di pensare lucidamente sarebbe stato assurdo.
Il fatto che la Argent fosse poi del tutto impossibile da rintracciare non aiutava di certo. Ma tutte quelle paure si dimostrarono poi, per fortuna, infondate. Allison era a scuola, e tutta quella situazione era stata nient’altro che il frutto di una spaventosa coincidenza. Sia io che Stiles e – soprattutto – Scott, avevamo tirato un sospiro di sollievo e ci eravamo diretti piuttosto tranquillamente nella classe del professor Harris, pronti – io più degli altri, dato il mio amore per la materia – ad un’ora di chimica.
Potevo avvertire senza problemi la curiosità di tutti gli studenti del liceo in quanto alla faccenda dello scuolabus macchiato di sangue in giardino, e si era accorto della situazione anche il nostro preside. Con un annuncio fatto dagli altoparlanti, aveva infatti cercato di rassicurare tutti dicendo che la polizia stesse già lavorando al caso e che dovevamo limitarci a stare tranquilli e seguire le lezioni proprio come se niente fosse, cosa che alla fine avevamo fatto.
«Potrebbe essere mio, quel sangue».
La voce di Scott, seduto ad un tavolo vicino al nostro ma comunque non proprio insieme a me e Stiles, interruppe il silenzio che era calato dal momento esatto in cui la lezione del professor Harris era iniziata. Distolsi lo sguardo dagli appunti di chimica che ero riuscita a prendere fino a quel momento e che mi stavo preoccupando di analizzare con attenzione, puntandolo su McCall con espressione interrogativa.
«O quello di un animale», spiegò Stiles al contrario, rivolgendo anch’egli un’occhiata a Scott prima di prestare nuovamente attenzione alla spiegazione, seppur per finta. «Potresti aver preso un coniglio».
Dubitai della sua teoria fin da subito, anche perché mi sembrava molto più che improbabile il pensiero che un piccolo coniglietto potesse lasciare in giro tutto quel sangue. Pensai che per giustificare le condizioni dello scuolabus bisognasse come minimo figurarsi il coinvolgimento di un orso, o comunque di un animale molto grande. Eppure me ne rimasi in silenzio, senza dire niente. Tra tutti gli altri motivi, non volevo dare ad Harris una scusa per sgridarmi.
«Che ne ho fatto?», domandò quasi subito Scott, sempre guardando il viso di Stiles e mettendo anche su un’espressione piuttosto sconvolta.
«L’hai… mangiato?».
Nella voce di Stiles c’era un po’ di insicurezza, cosa che assolutamente non riuscì a passare inosservata. Trattenni un verso a metà tra una risata divertita e uno sbuffo schifato, limitandomi a spostare gli occhi tra Scott e Stiles come se stessi assistendo ad una partita di tennis.
«Crudo?».
«No, l’hai prima cucinato al forno!», esclamò a quel punto Stiles, facendomi sobbalzare mentre mi voltavo velocemente a guardare il professore.
Sembrava non essersi accorto dello scambio di battute tra i due, sebbene Stiles avesse alzato un po’ troppo la voce con quella sua ultima affermazione sarcastica. Ad ogni modo, non ero tranquilla, e cercai di risolvere la situazione.  
«Ragazzi…», mormorai infatti, richiamando sia Stiles che Scott al silenzio o comunque ad un po’ più di discrezione.
Ma non servì a nulla.
«Stilinski, McCall: volete smetterla? Cambiate posti, forza».
Il rimprovero di Harris era arrivato, proprio come mi aspettavo, e non potei far altro che pensare: ‘‘Dannazione’’ guardando Scott mettersi in piedi e prendere posto in prima fila, mentre Stiles faceva per seguirlo.
Improvvisamente l’agitazione prese possesso di me e mi mossi inquieta sullo sgabello. Harris voleva che Scott e Stiles stessero lontani così da smetterla di chiacchierare per tutta la lezione, ma dal momento che Scott si era allontanato, che bisogno c’era che lo facesse anche Stiles? Perché mi stava lasciando sola?
«Non ti spostare», sussurrai infatti, rivolgendogli uno sguardo implorante del quale non mi vergognai nemmeno un po’.
Stiles non disse nulla e si limitò a prendere nuovamente posto di fronte a me, annuendo lievemente mentre mi riservava un piccolo sorriso. Ma Harris, ancora una volta, decise di rovinare tutto.
«Stilinski, spostati», ordinò, con voce decisa.
Sarebbe stato impossibile contraddirlo, lo capimmo entrambi. Feci spallucce allo sguardo dispiaciuto che Stiles mi riservò mentre si sedeva, obbligato, lontano da me, lasciandomi sola al tavolo. Magari esageravo con tutti quei problemi che mi facevo venire ogni volta, ma mi resi conto solo in quel momento del fatto che quando dicevo di essere abituata alla solitudine, stessi mentendo. Molto probabilmente non mi ci sarei abituata mai.
Mi guardai intorno a disagio, e una strana sensazione di fastidio prese possesso di me non appena incontrai gli occhi azzurro ghiaccio di Jackson Whittemore puntati sulla mia figura. Mi trattenni dall’aggrottare le sopracciglia nel notare che mi stesse riservando un’occhiata piuttosto truce senza nessun motivo logico, ma non ebbi tempo di farmi alcuna domanda al riguardo perché l’urlo sconvolto di una delle ragazze nella nostra classe mi distolse da tutti i miei pensieri.
«Ehi, la polizia ha trovato qualcosa!».
E bastarono quelle sei semplici parole a creare un vero e proprio caos. Guardai tutti gli studenti, nessuno escluso, correre alle finestre per poter dare un’occhiata all’esterno, e decisi di aggregarmi a loro non appena incontrando gli occhi di Stiles lo vidi annuire nella mia direzione ed alzarsi contemporaneamente a me e Scott.
Quando fummo vicini anche noi ai vetri, vedemmo senza problemi un uomo sulla cinquantina che veniva trasportato dai paramedici su una barella. C’era anche un’ambulanza, pronta a portarlo in ospedale, e di nuovo avvertii la paura attanagliarmi le viscere al solo pensiero che potesse essere stato Scott a ridurre l’uomo in quello stato. Forse Derek aveva ragione. Forse era pericoloso sul serio.
«Non è un coniglio», disse proprio lui, con espressione funerea.
Mi trattenni dal rivolgerli uno sguardo dispiaciuto, restando concentrata sulla scena che si stava svolgendo all’esterno di scuola nell’attesa che succedesse chissà cosa. Forse in fondo me l’aspettavo che non sarebbe stato tutto così normale come sembrava, perché infatti – quasi a conferma delle mie sensazioni – all’improvviso l’uomo sulla barella fu colto da uno spasmo violentissimo che fece sobbalzare tutti dallo spavento.
Con il cuore a mille, seguii Stiles e Scott lontano dalla finestra. McCall era ancora più agitato di me, ovviamente, e non si preoccupava affatto di nasconderlo. Stiles gli posò le mani sulle spalle, sperando di riuscire a rassicurarlo in qualche modo.
«Stai calmo, okay? Quell’uomo è vivo. È una cosa positiva, no?».
Per quanto quelle parole fossero belle e rassicuranti, non riuscii a crederci io in primis. Figurarsi Scott.
«Sono stato io», sussurrò infatti semplicemente, con la voce che quasi gli veniva a mancare.
Oh, merda.
 
Stiles si affrettò a prendere posto di fronte a Scott ed io lo seguii, sedendomi alla sua sinistra. Era l’ora della mensa, e proprio come accadeva quasi giornalmente, bisognava combattere per potersi accaparrare un tavolo libero. Non potevamo permettere che qualcuno sentisse i nostri discorsi, e proprio per quel motivo ci eravamo diretti a passo di carica verso la caffetteria della Beacon Hills High School. Alla fine, ce l’avevamo fatta. Eravamo soli e lo saremmo rimasti quasi sicuramente. Certe volte, il non essere persone ‘‘popolari’’ aveva i propri vantaggi.
«Scott, i sogni non sono ricordi», esordì Stiles, sospirando e spezzando il momentaneo silenzio.
«Be’, allora non è stato un sogno».
McCall gli rispose velocemente, quasi senza nemmeno pensarci su. A quel punto, era ormai più che convinto di essere lui il colpevole. Credeva che il sogno non fosse stato del tutto tale e che avesse aggredito lui, la sera prima, l’uomo che avevamo visto trasportato in ambulanza dai paramedici. Credeva di essere pericoloso, di non essere in grado di controllare la sua natura di licantropo… e voleva chiedere aiuto. A Derek.
«Perché pensi che Derek abbia tutte le risposte?».
La domanda di Stiles era più che lecita, e solo a quel punto decisi di interrompere il silenzio che avevo tenuto fino a quel momento, sollevando appena lo sguardo per donare un’occhiata neanche fin troppo veloce ad entrambi.
«Non stiamo prendendo davvero in considerazione l’idea di cercarlo, vero?», domandai, con la voce piccola piccola.
Scott si limitò a sospirare. Poi fornì l’ennesima motivazione.
«Durante la luna piena lui non è cambiato: aveva il controllo totale. Io invece sono addirittura riuscito ad aggredire una persona innocente!».
«Scott…», lo richiamai immediatamente, fissandolo con espressione dispiaciuta.
Non volevo che si colpevolizzasse così per qualcosa che non poteva controllare. Soprattutto quando era, almeno fino a prova contraria, innocente.
«Non puoi essere certo di essere stato tu».
«E tu non puoi dire che sono innocente per forza. Non posso uscire con Allison. Annullo».
Sgranai gli occhi, scattando in avanti, preda di un riflesso involontario. Cosa aveva intenzione di fare, quel testone lì? Mandare a monte la sua intera vita?
Non feci in tempo a parlare, perché ci pensò Stiles. Riuscì chissà come a mantenere la calma, e quando ebbe finito di rispondere a Scott, mi trattenni dal battergli le mani e mi limitai ad annuire in accordo.
«No, non annulli proprio niente. Non puoi annullare tutta la tua vita. Ci inventeremo qualcosa».
A quel punto, credetti che la situazione si sarebbe conclusa presto e che finalmente tutti e tre saremmo potuti stare tranquilli. Perché alla fin fine, per uscire dai problemi basta semplicemente volerlo davvero. Una soluzione si trova sempre.
«Cos’è che ci inventiamo?».
Mi voltai fulminea a fissare in maniera raggelante la figura di Lydia Martin, in piedi vicina a Scott. Cosa ci faceva lì con noi, Sua Altezza? E soprattutto, come aveva osato ascoltare i nostri discorsi? Sperai non avesse sentito cose fraintendibili e cercai di mantenere la calma, facendomi più vicina a Stiles quasi involontariamente nel momento in cui vidi Lydia prendere posto alla sinistra di Scott.
«Perché si siede con noi?», gli chiesi a quel punto, sussurrandogli praticamente nell’orecchio.
Stiles si limitò a fare spallucce mentre mi riservava un’occhiata confusa e prendeva poi a guardare altrettanto sorpreso Jackson, Danny – il suo migliore amico gay – ed Allison, che raggiunsero Lydia dopo pochi attimi e presero posto insieme a noi. Nonostante il fatto che fosse un po’ strano ritrovarsi all’improvviso un sacco di persone intorno, Lydia a parte non riuscivo ad essere infelice di quella compagnia. Sorrisi addirittura ad Allison, seduta di fronte a me, contenta di vederla stare bene. E decisi che avrei ignorato Lydia nel momento in cui la Argent ricambiò il mio gesto, radiosa come al solito.
«Sembra che l’uomo di prima, quello ferito… sia stato attaccato da un animale. Forse un puma», esordì Danny, facendo sì che immediatamente mi voltassi a cercare il suo viso.
Era seduto alla destra di Stiles, e dovetti sporgermi un po’ per poterlo vedere bene. Era un bel ragazzo, niente di speciale ma nemmeno ‘‘da buttare’’, come si suol dire. E soprattutto era simpatico. Non aveva niente del carattere di Lydia o peggio di quello di Jackson. A vederli insieme c’era da chiedersi costantemente cosa fosse in grado di legarli, ma forse era proprio vero che gli opposti si attraggono.
«O un leone di montagna», propose proprio Jackson, alzando un sopracciglio.
Lui era a capotavola, invece, ed evitai di guardarlo mentre ritornavo seduta composta e afferravo il mio cellulare. Tutte quelle nuove informazioni sulla strana vicenda non stavano facendo altro che incuriosirmi ancor di più, e volevo cercare di scoprire qualcosa di più utile di quelle che sarebbero potute essere nient’altro che voci. Avevo bisogno di informazioni attendibili, date da fonti certe.
«Il puma è un leone di montagna», sentii precisare a Lydia, e il tono di voce da saputella col quale parlò fece sì che tutti noi – nessuno escluso – prendessimo a fissarla con le sopracciglia aggrottate e gli occhi sgranati.
La sua osservazione era giusta, per carità, ma… possibile che Lydia Martin fosse molto di più di ciò che sembrava? Mi presi del tempo per scrutarla attentamente ad occhi socchiusi mentre notavo un piccolo rossore farsi spazio sulle sue guance. Era evidentemente imbarazzata e mi stupì vederla così impacciata e alla ricerca di un escamotage.
«… non è così?», domandò alla fine, con voce flebile.
A quel punto, tutti ci rilassammo all’improvviso, tornando a fare ciò che stavamo facendo prima che Lydia parlasse. Lei scivolò sulla sedia con aria quasi colpevole, ed io feci spallucce poco prima di riprendere a fare ricerche varie col mio cellulare. Avevo trovato alcune cose interessanti, ma niente che facesse perfettamente al caso mio. Eppure sapevo di esserci vicina.
«Che importa? Quell’uomo sarà stato un drogato… sarebbe morto comunque».
Proprio la fine che farai tu se non la smetti immediatamente di sparare minchiate, cazzone. Se solo non fossi stata troppo impegnata a fare ricerche, avrei dato sfogo a quel mio commento arrabbiato e quasi sicuramente io e Jackson saremmo finiti a discutere violentemente. Per fortuna, mi limitai a donargli un’occhiata truce poco prima di riposare lo sguardo sul mio cellulare. Ce l’avevo fatta, finalmente. Avevo trovato un sito affidabile e c’era anche un video dell’ultimo notiziario mandato in onda in tv. Richiamai subito Stiles mentre premevo il tasto play.
«Ehi, guardate cos’ho trovato», dissi poi, lasciando il mio telefono al centro del tavolo proprio mentre il video partiva, permettendo così a tutti di guardarlo.
Durava poco ma aveva tutte le informazioni utili che ci servivano. Insieme, osservammo e ascoltammo attentamente una reporter sulla quarantina che spiegava tutti gli sviluppi del caso. L’uomo ferito si chiamava Garrison Mayers, ed era sopravvissuto. In quel momento si trovava al Beacon Hills Memorial Hospital, l’ospedale dove prestava servizio proprio la madre di Scott.
«I-io lo conosco! Guidava l’autobus», esclamò lui, sobbalzando.
Tutti rimanemmeno un po’ sconvolti da quella nuova scoperta, ma nessuno trovò il coraggio di dire nulla. Be’, tranne Lydia, che fece schioccare la lingua sotto il palato prima di riprendere a parlare con la sua tipica voce squillante e fastidiosa.
«Perché non passiamo a qualcosa di più allegro? Tipo… dove andiamo domani?», domandò, cambiando totalmente discorso e guadagnadosi un’occhiata stranita da parte di Allison.
Anch’io misi su la stessa espressione confusa, proprio come credo tutti i ragazzi seduti intorno a quel tavolo. Posai il cellulare nella mia borsa, sistemando l’orlo della minigonna nera nell’attesa che Lydia continuasse a parlare e spiegasse cosa intendeva davvero dire con quelle sue parole.
«Tu e Scott uscite, domani sera. Giusto?».
A quel punto sgranai gli occhi senza preoccuparmi di nascondere la mia sorpresa, e mi bastò donargli un’occhiata veloce per vedere Stiles fare altrettanto. Tuttavia, nessuno ad eccezione di Allison e Lydia parlò. Ci limitammo tutti ad osservare la scena e ad ascoltare, nemmeno stessimo assistendo ad un importantissimo match. Osservai Scott, seduto tra i due fuochi, spostare lo sguardo velocemente tra la Argent e la Martin. Era confuso almeno quanto noi altri.
«Veramente stiamo ancora decidendo», spiegò Allison tranquilla, dopo un po’.
«Non ho intenzione di restare a casa. Quindi se dobbiamo uscire, dobbiamo andare a divertirci».
«U-uscire, ha detto? Cioè, noi quattro?», chiese solo a quel punto Scott, come improvvisamente risvegliatosi da una trance.
E così avevano intenzione di fare un’uscita tutti insieme? Wow.
Vidi Stiles passarsi una mano sulla faccia, come se fosse scoraggiato, e gli rivolsi immediatamente un’occhiata preoccupata.
«Tu… hai intenzione di uscire insieme a loro?», continuò subito McCall.
Nemmeno lui riusciva a crederci, pazzesco. Trattenni un sorriso mentre attendevo con quasi più ansia del diretto interessato la risposta di Allison.
«Sì… sarebbe… divertente», sussurrò, piuttosto indecisa, a dir la verità.
Non ci credeva nemmeno poi tanto lei stessa, al fatto che si sarebbe potuta divertire con Jackson e Lydia. E fu solo ciò che mi trattenne dal fulminarla con lo sguardo.
«Certo. Divertente come un pugno su per il culo», mormorai comunque, a voce bassissima, scivolando giù sulla sedia con le braccia incrociate al petto e un broncio per nulla nascosto.
Ero gelosa? Sì, e da morire. E non mi preoccupavo affatto di nasconderlo.
Stiles – purtroppo – sentì chiaramente la mia frase, e non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Era ovvio che avrebbe sentito il mio commento piccato, dal momento che eravamo seduti vicinissimi, ma nel parlare non ci avevo pensato e mi ero limitata a dare voce ai miei pensieri senza imbarazzo alcuno. Fortuna comunque che avessi sussurrato così piano che solo lui mi avesse sentita. Tutti gli altri non avevano capito nulla, e li guardai osservare me e Stiles con le sopracciglia aggrottate mentre noi due ancora ridevamo a causa della mia esorbitante acidità.
«Scommetto che uscire insieme sarà divertente come bucherellare la mia faccia con questa forchetta», esalò a quel punto Jackson, ignorando le nostre risate e parlando mentre impugnava una forchetta di quelle della mensa.
Non appena finì, sia io che Stiles la smettemmo improvvisamente di ridere e ci voltammo a guardare Whittemore con gli occhi sgranati. Davvero avevamo pensato alla stessa cosa? Davvero eravamo così simili? Non potevo crederci.
«Smettila di fare l’antipatico, Jackson, dai», lo richiamò Lydia, togliendogli la forchetta dalle mani. «Andiamo al bowling: ci state?».









Partendo dal principio: il link lassù è quello dell'ultimo missing moment legato a questa long che ho pubblicato. I protagonisti indiscussi sono Stiles ed Harriet, ma come al solito c'è di mezzo Derek (che però viene solo menzionato). Leggerlo non è importante ai fini della storia, né obbligatorio. Ma non nascondo che mi farebbe un immenso piacere se ci faceste comunque un salto per leggere e magari, perché no, anche per lasciarmi un parere. Non è un granché, ma si fa quel che si può XD
Passando a questo capitolo... mado, già undici. Per me sono un'infinità, ahahaha. E siamo più vicini alla fine (?). Qui è tutto stranamente tranquillo, ma già dal prossimo ritorneremo ai "soliti ritmi", seppur lentamente. C'era bisogno di una pausa e di una parentesi spensierata, sì. Scrivere questo capitolo mi è piaciuto tantissimo e spero piacerà tanto anche a voi leggerlo :D
Derek qui s'è visto poco, ma rimedieremo nel prossimo (ovviamente). Harry forse parlerà con Stiles, e per quanto riguarda il dodicesimo capitolo vi dico fin d'ora che si aprirà col magico trio Scott/Harriet/Stiles (li voglio chiamare McCartinski, ahahahahah). Mi piace tantissimo scrivere di questi tre insieme, se non si fosse capito, e ancor di più mi piace vedere gli Starriet che legano, come spero piacerà a voi. A riguardo, vi posso dire che ci saranno tanti piccoli dettagli che li vedranno insieme ^^
E poi credo di non avere nient'altro da dire, vi lascio tutte libere e vi do appuntamento alla prossima, sperando sia presto. Le idee ci sono e devo solo trovare del tempo per buttarle giù, cosa comunque non facile. In ogni caso, ce la farò. Grazie di tutto a tutte, un abbraccio,
hell
   
 
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