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Autore: _Melz93_    09/02/2014    1 recensioni
Tre, come i miei migliori amici.
Tre, come i tre protagonisti della mia storia.
Tre, il numero della mia vita.. e della loro.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Il Secondo Trio (Neville, Ginny, Luna), Il trio protagonista, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Prologo

 
Lo psicologo mi ha consigliato di scrivere la mia storia, così solo per sentirmi meglio. Pensa che, così facendo, tutti i miei turbamenti avranno fine, pensa che la smetterò di avere paura, di sognare tutte le notti quel giorno, quei rumori, quei cadaveri. Lo psicologo è babbano e non leggerà mai queste righe, dice di scriverle e bruciarle, se voglio.

Mi chiamo Ariana, Ariana Grande. Una persona normalissima. Vent’anni, capelli biondi, occhi castani, carnagione chiara e statura che amo definire normale, anche se so bene di essere un tantino bassina. Normalissima, certo, tranne per il fatto che sono una strega.

Come tutte le streghe nate in famiglie Londinesi, ho frequentato la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Quel castello è stata la mia seconda casa e la mia cerchia di amici la mia seconda famiglia.

Nata da padre mago e madre babbana, ero considerata da qualcuno una sorta di strega a metà. Non mezzosangue, ma nemmeno di sangue puro. Impura comunque, insomma, ma meno di chi aveva entrambi i genitori privi di magia. Ma a me non importava, io ero felice di essere sua figlia, anche se le origini mia madre erano il motivo di tanto astio da parte di qualcuno. Non potevo sperare di meglio. Insomma, quanti babbani avrebbero assecondato la cosa? I genitori di Hermione erano un’eccezione. Per mia madre, poi, era ancora più difficile. Lei sapeva la pericolosità della situazione dai racconti di mio padre, racconti che avevano come protagonista sempre lo stesso personaggio. Lo avevano temuto i maghi dei suoi tempi, come lo abbiamo temuto noi. Voldemort, colui-che-non-DOVEVA-essere-nominato. Al settimo anno il suo nome era persino una minaccia.

Non dovrei dilungarmi in queste inutili chiacchiere. Forse dovrei andare direttamente al punto. O forse no. Forse non iniziando dal principio la mia storia non avrebbe molto senso.

Ricordo una frase, la McGranitt diceva sempre ai miei amici: “Perché quando succede qualcosa, ci siete sempre voi tre?”. E anche quando la mia storia ebbe inizio, c’erano loro tre. E ci sarebbero stati sempre.

 
Avevo 11 anni quel settembre, quando il gufo portò la mia lettera di ammissione. Mio padre era orgoglioso, come la mia mamma babbana. Non che avessero dubbi dopo la rottura dello specchio in bagno senza toccarlo o l’incendio nel parco dopo che una ragazzina mi aveva fatta inciampare di proposito. Ma quell’anno era speciale. Il figlio di James e Lily sarebbe dovuto essere ad Hogwarts, il già noto Harry Potter. Aveva la mia stessa età e il suo nome era già leggenda. Lui era il bambino sopravvissuto, lui era rimasto illeso dall’anatema che uccide scagliato da Lord Voldemort in persona, cavandosela con solo una cicatrice.

Così, dopo aver comprato tutto l’occorrente e avendo fatto esplodere più di uno scaffale al negozio di Olivander per comprare la mia bacchetta, mi diressi al binario 9¾ per prendere il treno. I saluti dei miei genitori furono strazianti, mia madre pianse perfino! Io ero la persona più felice della terra, avevo letto e sapevo ormai a memoria tutta la storia di Hogwarts dalla felicità.

Presi il mio bagaglio e mi sedetti nella prima cabina vuota che trovai. Vuota fino a quel momento, quando un ragazzino bizzarro con una rana di nome Oscar mi si sedette accanto. Neville Paciock diventò uno dei miei più cari amici, forse perché entrambi amavamo la solitudine ed eravamo un tantino particolari. Fu qualche istante dopo che conobbi una delle tre persone che mi incuriosivano di più in assoluto. Una ragazzina dai capelli crespi, un po’ arruffati, con in mano lo stesso mio libro. Lo leggeva come se non avesse mai letto nulla di più interessante e ebbi come l’impressione che facesse così con ogni libro. Più tardi capii di non essermi sbagliata affatto.

Osservavo attentamente quella ragazza che sicuramente mi avrebbe dato del filo da torcere alle lezioni, visto che odiavo le saputelle, quando Oscar decise di farsi un bel giretto per il treno e l’urlo del piccolo Paciock mi distolse dai miei pensieri. La ragazzina poggiò il librò sul sedile e sbuffò, poi, dopo aver chiesto il nome della rana, uscì e io la seguii. Si era messa in testa di chiedere in ogni cabina se avessero visto la rana di Neville, così la aiutai.

Tutti quei visi, quell’allegria che aleggiava nel treno mi rendevano ancora più euforica. Ma dopo aver fallito del tentativo di trovare l’animale ritornai alla cabina dove trovai lei ancora più euforica di quanto lo ero io.

«Tu non capisci,» ripeteva ad un Neville un po’ spaventato dal suo tono di voce «ho conosciuto Harry Potter! Mi ha anche mostrato la sua cicatrice»
«Harry Potter?» chiesi io sull’uscio della porta scorrevole.
«Si, il bambino sopravvisuto a…»
«So chi è» probabilmente interromperla non fu un’ottima idea «mio padre conosceva suo padre, mi ha parlato tanto di lui. Ma non mi sono ancora presentata, Ariana» porsi la mano, ma lei non la prese. Si limitò a guardarmi e a dirmi semplicemente il suo nome. Fu in quel modo che conobbi Hermione Granger. E la odiai abbastanza.
 
La mia euforia incrementò quando arrivati ad Hogwarts vidi la sala grande per la prima volta. Mentre Hermione faceva la telecronaca per tutti su come il soffitto fosse una magia (come se non fosse abbastanza ovvio, visto che avevamo delle stelle quasi vere sul soffitto) io continuavo a guardare i quattro lunghi tavoli, immaginando a quale casa potessi mai appartenere. Non volevo finire a Serpeverde e nemmeno i Tassorosso mi piacevano molto. Mio padre era stato Corvonero, ma molti maghi famosi erano stati Grifondoro. Famosi, ma non come Voldermort, lui era ovviamente una serpe, come di certo lo sarebbe stato il ragazzino biondo alla mia sinistra che continuava a ripetere quanto suo padre fosse importante.

La professoressa McGranitt, così si era presentata poco tempo prima, ci mise tutti davanti la postazione dei professori dove uno sgabello di legno con sopra un cappello a punta, regnava sovrano. Ci spiegò in quel momento che quel cappello era il famosissimo cappello parlante e che proprio lui ci avrebbe assegnato la nostra casa di appartenenza. Mio padre mi aveva già spiegato ogni cosa, ma averlo davanti faceva tutt’altro effetto.

«Hermione Granger»

L’appello aveva avuto inizio e la mia cara amica del treno era stata assegnata a Grifondoro immediatamente. E io che puntavo tutto sui Corvonero. Pensai allora che quella era la casa degli intelligenti, infatti, non dei secchioni so-tutto-io. L’appello andò un po’ avanti e anche Neville era un Gifondoro, così come un certo Ronald che aveva tutta una tifoseria dal capelli rossi provenire da quel tavolo. Mi avevano sempre affascinata le famiglie numerose, forse perché ero figlia unica. Come previsto, invece, il biondino era finito a serpeverde, come altri.

«Harry Potter»

La felicità era anche sentire quel nome. Finalmente avrei visto il famoso Harry.
Salì goffamente e altrettanto goffamente si sedette sullo sgabello. Avevo visto una foto di James Potter, somigliava davvero a suo padre, solo con degli intensi occhi verdi che si notavano nonostante gli occhiali rotondi che portava. I capelli erano in disordine e pensai fosse un’abitudine, ora non mi spiego il perché di quel buffo pensiero, ma ricordo che con lui il cappello ci mise un po’, solo più tardi capii il motivo. Alla fine era un Grifondoro, sperai a tutti i costi di finirci anche io.

Così fu. Ad essere sincera il cappello non ci mise molto, nemmeno il tempo di appoggiarlo completamente sulla mia testa. Ma in quel momento, e anche prima, avevo intenzione di conoscere Harry. Forse il fatto di sentir così tanto parlare di lui. Che fosse una sfortuna, o una fortuna, si capirà solo dal racconto dei miei 8 anni di scuola.

 

  
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