Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Samita    09/02/2014    2 recensioni
Rivisitazione di questo spettacolare film in chiave adulta, un po' missing moments, molto centrata sul rapporto Anna/Elsa, con qualche OOC per un'interpretazione più matura. A chi gradisca, è benvenuto.
«Vai.
Esci.
Anche per me.
Così che io la sera possa sentire ancora questi passi felici.»

«Questo è quello che dice la gente, ché alla gente piace dire molte cose. Dice che fosse l’inverno più freddo degli ultimi cent’anni, e che il manto innevato avesse bloccato le porte delle case, e le finestre: tanta era la neve che la stessa levatrice non aveva avuto modo di giungere in tempo al castello.
Questo è quello che dice la gente.
Chè la gente lascia che le parole fluiscano come nulla fosse, e crea le leggende.
Sono quelle, ciò che restano.
Ciò che dice la gente.»
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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4: Il suono del silenzio



Il Re stringeva Elsa al petto, saldo sul cavallo che correva rapido verso la catapecchia del GranPabbie: a fianco le guardie e la moglie, con Anna in braccio.

Poteva sentire la figlia scuotersi nei singhiozzi, aggrappata alla sua veste, che sembravano non avere mai fine.

"E’ stato un incidente!" ripeteva, urlando disperata con la voce ora forte e ora strozzata dalle lacrime.

Il Re era muto, non aveva più detto una parola: lo sguardo era rivolto in avanti, verso il sentiero, alla ricerca dello stregone.

E lì, fra le sue braccia, quella sua figlia magica, strana, quella creatura che sempre aveva temuto stava aggrappata a lui – lui, che l’aveva schiaffeggiata, lui che terrorizzato sempre l’aveva guardata con sospetto.

Quella bambina che aveva messo a rischio la vita della Regina ora aveva messo in gravissimo pericolo la vita della sorella.

La discendenza.

"Non volevo! Non l’ho fatto apposta!"

Che discendenza avrebbe mai potuto sperare di avere da una creatura del genere?

E se Anna fosse morta?

Che ne sarebbe stato della loro famiglia, del loro Regno?

"Padre! Perdonatemi!"

Elsa non vedeva, non sentiva, aveva solo il terrore dentro di sé, la paura nera, lo sgomento. Una bestia d’ombra molle le masticava il cuore, impazzito, le orecchie che le fischiavano, il galoppo furente del cavallo che la faceva sobbalzare. Elsa non pensava, non ragionava, voleva solo urlare e piangere, e così faceva mentre il fiato le si faceva sempre più pesante, mentre ogni respiro sembrava diventare più difficile.

La corsa disperata si fermò, e lei quasi non se ne rese conto: sentì solo che qualcosa la portava giù, il terreno sotto i piedi, e poi un odore pungente, come di stalla.

"GranPabbie! Aiutaci, te ne prego!"

Lo stregone aprì la porta della catapecchia, portandosi sulla soglia con un passo lento e lo sguardo sottile. C’era una nuova, anomala autorevolezza in lui.

Il Re temeva già per il peggio.

"Pizzica." fu la prima cosa che disse, guardando, dall’alto, Elsa.

La bambina, ancora intenta a piangere, sentì letteralmente addosso lo sguardo indagatore dell’uomo: a fatica levò lo sguardo su di lui.

Il Re non sentì più un singolo singhiozzo da parte della figlia: solo un fortissimo tremore, quasi una convulsione.

"Entrate."


Elsa rimaneva appiattita contro le gambe del padre, tremante, gli occhi sgranati sul GrandPabbie che passava le mani ossute sulla testa della sorellina. Sul capo di Anna era comparsa una ciocca di capelli bianchi, che catturava ora sia l’attenzione della bambina che quella dello stregone.

La Regina tratteneva le lacrime, anch’essa con lo sguardo immobile su Anna se non, ogni tanto, per qualche occhiata lanciata ad Elsa e poi al Re.

Ogni volta che incrociava gli occhi della madre, per Elsa era come ricevere una stilettata al cuore.

Una volta.

Due volte.

Il silenzio nella capanna, se non per i mormorii sommessi ed incomprensibili del GrandPabbie.

Tre volte.

E ancora, e ancora.

Elsa voleva morire.

Inspirava ed espirava, con foga, in quei momenti infiniti in cui attendeva di sapere cosa sarebbe successo.

Il danno.

Il danno.

Mio dio, Elsa. Che cosa hai fatto?

"Colpo in testa." sentenziò di colpo l’uomo.

Elsa smise di respirare.

"Grande fortuna."

"La mia bambina..."

"Nessuna preoccupazione. Basta un poco di sacrificio, basta un poco di magia, per testa. Testa funziona, logica. Chi ha logica? Padre o madre?" Guardò i due, che non accennarono a schiudere le labbra. Con uno scatto l’uomo riabbassò il capo, tornando su Anna: "Non importa, faccio io. Piccolo sacrificio, logica è cosa facile." Lo videro mordersi il pollice con un colpo secco, con inaudita semplicità per quella che era una pratica altamente dolorosa. Levò puoi la mano sulla fronte della bambina, lasciandovi cadere sopra il suo sangue.

"Con testa basta logica, io ne ho, posso guarire. Ma meglio se togliamo magia, magia è illogica. Così guarisce."

"Vivrà?" chiese la Regina, incredula.

"Certo, vivrà bene. Via tutta magia, anche ricordo di magia. Tutto bene. Ecco fatto."

Il respiro di Anna si era improvvisamente regolarizzato.

I due sovrani distesero contemporaneamente il volto, invasi dalla felicità di vedere la bambina guarita, salva.

Solo Elsa rimaneva tesa, immobile, inspirando ed espirando, inspirando ed espirando, panico dai polmoni, l’orrore negli occhi.

"Bimba vaniglia e pepe bianco."

Elsa non si mosse. Il Re le posò la mano sulla spalla, spingendola avanti: "Sta dicendo a te, Elsa."

"Vaniglia e Pepe Bianco?" mormorò quella avvicinandosi con un paio di titubanti passi allo stregone.

"Tu pizzichi, bimba. Tu ascolta: non va bene."

"Non va bene?"

Il GranPabbie scosse leggermente la testa: "Tu hai paura, dentro il sangue. Paura esplosa, attenta. Ascolta, bimba pepe bianco: tu ha grande magia. Magia bella. Magia brutta. Dipende da te."

"Io non voglio la magia brutta..." Elsa prese a piangere nuovamente, il petto che si scuoteva sotto il suo respiro affannato. "No!"

Lo stregone abbassò lo sguardo: sul pavimento, dalla bambina, si dipartivano e lentamente crescevano piccoli cristalli di ghiaccio.

"Tu impara a controllare magia, e magia non è brutta. Ma tu ricorda: paura. Paura non va bene."

Il Re si avvicinò alla figlia, prendendola per le spalle: "Faremo in modo che lo controlli. D’ora in poi staremo attenti. Molto più attenti –" sottolineò, portando lo sguardo sulla moglie. " – e faremo tutto ciò che è possibile fare per aiutare Elsa."

Elsa, con la presa salda del padre sulle spalle, abbassò lentamente il capo, fissando il pavimento.

"Grazie, padre" sussurrò.



***


Il Re aveva deciso: avrebbe preso lui in mano la situazione.

Elsa non diceva nulla, e così la Regina, se non qualche vago sospiro rassegnato.

"Ho sbagliato tutto..." si limitava a sussurrare.

"No, amore. Vedrai che adesso sistemeremo questa storia. Vedrai che andrà tutto bene"

Nel castello entrò lentamente il silenzio: piano piano i servitori venivano congedati, i saloni chiusi.

Anna si risvegliò dopo qualche giorno, stropicciandosi gli occhi, sorridendo. Abbracciò la madre, che le aveva detto che era scivolata per terra, e poi trotterellò verso la sorella.

Elsa teneva le braccia incrociate, strette contro al petto, e con la testa incassata la schivò, indietreggiando.

"Anna, lascia in pace tua sorella..."

Quella sera scoprì che sua sorella era troppo grande per dormire ancora assieme a lei.


Il castello era deserto.

In mezzo all’immensa stanza ch’era diventata la sua cameretta, Elsa guardava il padre inginocchiarsi affianco a lei: lo sguardo duro dell’uomo le indagò il volto, fissandosi sugli occhi, nel tentativo di riuscire a vedere dentro di lei – come se volesse catturare la magia che le si nascondeva dentro.

"Sarà sempre così?" chiese la bambina, a voce bassa.

Poco prima aveva congelato con un sol tocco tutta la finestra.

Non voleva farlo.

Il Re guardava i frattali ghiacciati che si dipanavano sugli infissi, geometricamente perfetti.

"Io non..."

"Elsa."

Quella levò a fatica gli occhi dal pavimento, incrociando lo sguardo del padre.

L’uomo ci mise un po’, per poi sfiatare: "Mi dispiace. Ho sbagliato a colpirti."

"Padre..."

"Adesso sono qua per te. Vedrai, andrà tutto bene."

La discendenza.


Elsa era la sua discendenza.

Magia o non magia.

Quanti anni ci aveva impiegato per capirlo?


"Tieni. I guanti aiuteranno."

"Grazie, padre."


***


Quella che pensava essere la sua casa, ormai, agli occhi di Anna sembrava irriconoscibile: non un movimento, non un’anima.

Il cancello del castello era stato chiuso. C’erano solo due servitori. Le stanze vuote, senza luce.

Niente.

"Elsa?"

Elsa non sembrava nemmeno esserci più.

C’erano sua madre e suo padre, sì.

E basta.

"Elsa?"

Ogni giorno ci riprovava. Non aveva altro da fare, in fondo.

Ma poi arrivava la Regina, e la prendeva dolcemente in braccio: "Non disturbare tua sorella, Anna. Forza. Vieni con me."


Era il vuoto, in quella camera. Il nulla.

I guanti sulle mani, Elsa se li guardava ora dopo ora. Sedeva e guardava, non faceva altro.

"Elsa." Proruppe suo padre, entrando in camera. "Vieni alla scrivania. Oggi ti insegnerò un po’ di Storia."


"Vieni con me, Anna. E’ ora che tu impari a leggere."


"Elsa?"

Toc. Toc.

Sua sorella era lì. Lo sapeva.

Ma non ne era più tanto certa.

"Elsa, c’è la neve!" cinguettò Anna.

Elsa era lì. Davanti alla porta, lo sguardo sulla maniglia. La maniglia, che non poteva aprire. Socchiuse gli occhi al sentire la parola neve.

Neve.

C’è la neve.

Sì, Anna.

C’è la Neve.

C’è sempre la neve, qui. Qui, in questa stanza. Qui, dove sono io.

"Facciamo un pupazzo insieme?"

"Vattene, Anna!"

Anna attese qualche altro secondo.

"Scusa..."


Per Anna, all’inizio, la solitudine era stata palliata dalla madre. Le insegnava a legger,e a scrivere, a contare.

Poi erano arrivati i libri.

Uno.

Dieci.

Infiniti.

Correva lungo i corridoi, sudava, si stancava: allora crollava, e nella grande stanza dei quadri Anna leggeva.

La solitudine era silenzio. La testa che ronza. I pensieri che vanno.

Parlano le voci, nel silenzio assoluto: lo riempiono con un continuo rimuginare, elaborare, inventare. La stancava.

E poi c’era il buio, le ombre.

"Madre!"

La solitudine, lentamente, era diventata abitudine.

Toc Toc.

"Elsa?"

Il rumore del silenzio ormai lo conosceva bene.

"Buon compleanno, Elsa."


Alla tavola della cena Elsa e Anna erano tenute lontane, separate dal Re e dalla Regina che si frapponevano fra loro.

La sorella maggiore, con i guanti, non schiudeva le labbra se non per chiedere cortesemente il sale o il pepe. Mangiava poco, e appena poteva chiedeva di congedarsi dalla sala: permesso che mai le venne negato.

Lo sguardo del Re la seguiva man mano che si allontanava, e qualche minuto dopo si congedava a sua volta.

"Madre, ho finito il libro." solo allora Anna si sentiva libera di parlare, angosciata dalla presenza della sorella silenziosa e scostante.

La Regina sorrideva, pulendosi delicatamente le labbra con il tovagliolo.

"Allora andremo a prendertene un altro, nella libreria."


Entrando nella stanza di Elsa il Re sentiva sempre, sempre più freddo.

I cristalli di ghiaccio avvolgevano sempre più le pareti, avanzando insistenti come lunghe ragnatele.

"Padre, non sta andando assolutamente bene. Non riesco a trattenerlo, non ce la posso fare." Elsa si lasciava cadere a terra, vinta.

"Elsa, devi avere pazienza e forza. Ricordati..."

"che deve restare un segreto, che è pericoloso. Che la gente non deve sapere. Che Anna non deve vedere. Lo so, padre. Lo so."

"Io so che ce la puoi fare, Elsa."

Lei levò lo sguardo verso il padre, guardandolo con quegli occhi color del ghiaccio, immobili.

"Elsa..." quello fece per avvicinarsi, ma lei rapida si ritrasse. "No – per favore, Padre. Lasciatemi da sola. Non mi toccate. Non sappiamo cosa più succedere."

Eccole lì, Re. Eccole, tutte le tue incertezze e i tuoi dubbi e le tue paure e i tuoi timori, quelli che avevi covato per otto anni, quelli che erano esplosi in quella notte folle in cui la vostra vita è cambiata, stravolta, distrutta. La chiamate vita, questa?

Eccole lì, le tue insicurezze: che mangiano l’animo di tua figlia, che giorno dopo giorno le accoltellano lo spirito fragile e dolorante, senza sosta insistono, senza alcuna pietà continuano e continueranno, per sempre.

La paura è male, aveva detto il GranPabbie.

La paura era lì.

Elsa stessa era diventata paura.


Com’era stato possibile?


"Andate, padre."

Il Re vide la figlia, ormai adolescente, abbozzare un sorriso da quella posizione a fagotto che oramai era la sua ultima culla, ultimo spiraglio di tranquillità nel suo mondo di gelo.

"Qui fa troppo freddo per voi."


   
 
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