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Autore: rachel_hetfield    10/02/2014    2 recensioni
Presi una boccata d’aria troppo grande, mi girò la testa e mi appoggiai al metallo freddo della capsula. «Come puoi amarmi se mi odi?»
«Non so come dirtelo che non ti odio.»
Lasciai il metallo e mi avvicinai di più a lui. Con la mano destra mi allungai verso il pulsante del timer. Un suono robotico lo fece partire.
«Non fare cazzate» singhiozzò «ti prego. Resta qui. Non ce la farei senza di te.»
Avevo impostato il timer per sessanta minuti, un’ora esatta. Avevo un’ora di tempo per decidere se fare le valigie, o attirare Kevin e rimandarlo indietro, a Oslo.
Evitai le sue labbra che si erano chinate su di me. «Devo... devo restare da sola. Torniamo nella locanda. Devo pensare.»
«Non farlo...» mormorò con la voce strozzata dal pianto.
Scossi la testa mordendomi un labbro. Fortunatamente ero voltata di spalle, perché avevo iniziato a piangere anche io.
«Rachel, ti amo.»
Singhiozzai e mi sentì. Il mio cuore balzò. Mi aveva circondata con le braccia, di nuovo. Solo che stavolta piangevamo entrambi. Il destino ce l’aveva con noi.
«Ti amo anche io, Dan.» [capitolo 16]
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Io e Chris eravamo rimasti alla locanda a dare un’ultima sistemata prima di fare le valigie e partire a Londra con Dan. Stavo per prendere il neurofono quando mi ricordai che Woody non ne sapeva niente di chi fossi, da dove provenissi esattamente, perché ero lì.
Sicuramente un motivo c’era, e il mio motivo principale era Daniel: non me ne sarei andata senza di lui.
Woody raccolse una risma di fogli di carta bianca in una specie di scatola di legno, un po’ più grande di ognuno di quei fogli, e la richiuse poggiandola sotto al bancone.
Una folata di aria umida e che odorava di fuliggine entrò nella stanza, e istintivamente buttai gli occhi sulla porta d’ingresso: era Kyle, con una busta – sempre di carta, era tutto cartaceo lì – che emanava un buon odore.
«Cos’è quella roba?» chiese Chris indicando il pacco che l’altro teneva in mano.
Kyle scosse le spalle e lo aprì, mostrando all’amico il suo interno. «Un hamburger, l’ho preso al Mac sull’autostrada.»
«Dovremmo andarci, sembra carino quel posto» aggiunse Chris, avvicinandosi alla porta.
Io mi sedetti su quelle maledette sedie senza spalliera di cui non ricordavo mai il nome, e Kyle mi affiancò sorridente. «Allora... partite eh?»
Annuii, imbarazzata.
«Ci stai portando via Daniel» soffiò, ma non aveva niente di minaccioso. Sembrava solo deluso. Ma cosa avevo fatto per deluderlo?
«Non voglio portarvelo via... è stato lui a chiedermi di partire a Londra.»
Fece un’amara risata. «Se non ci fossi tu, lui a quest’ora del mattino era già ubriaco fradicio, Rachel. Con una bella ragazza accanto, vogliosa, a fare p-»
«Kyle non mi sembra opportuno» interruppe Chris, il mio unico angelo custode in quel gruppo di scervellati.
Lui fece una smorfia. «A proposito, dov’è Daniel?»
«Alla stazione» risposi quasi orgogliosa, sorridendo tra me e me pensando a lui che prendeva i biglietti per il viaggio verso Londra.
Il tossicchiare continuo di Will, seduto in fondo alla stanza, catturò la mia attenzione. Ricordai che io ero rimasta al punto in cui lui e Dan litigavano, e avevo intenzione di togliermi quel dubbio.
«Ehi» salutai sedendomi davanti a lui.
Fece cenno di saluto con la mano e un sorriso forzatissimo.
«Ehm... non so da dove cominciare.»
Scosse le spalle. «Fai con comodo.»
Quel tono che sembrava scoglionato e anche ostile mi polverizzò la voglia di affrontare l’argomento. «Dunque... i-io ricordo che tu e Dan avete litigato. E immagino che siano partite anche cose più forti delle parole, dato che Dan aveva dei... segni sulle labbra.»
Sospirò, stanco. «Non puoi capire.»
«E invece posso.»
Si torturò le mani fino a posarle pesantemente sul legno scuro del tavolo che ci separava. «Abbiamo sempre litigato, solo che questa volta la situazione si era fatta... pesante.»
Mi schiarii la gola. «Che tipo di situazione?»
«L’argomento in causa era la tua presenza. Il fatto che lui si fosse dato troppo ai sentimentalismi da quando ti aveva trovata a dormire nel suo letto.»
«Sarei io il problema?» pronunciai quelle parole temendo che fossero vere. Un presagio di abbandono e di fastidio si insinuò nella mia testa e mi bloccò il respiro e ogni controllo delle emozioni.
Sorrise, stavolta più spontaneamente. «Non più, da quando Dan ci ha confessato di essere serio.»
Si arrestò totalmente ogni mia capacità motoria e riflessiva. Serio. Dan era serio.
«S-serio?» soffiai tra le labbra.
Annuì, poco convinto. «È quello che ha detto. E di solito lui dice cazzate solo quando è ubriaco... mi sembrava sobrio.»
Guardai in direzione di Woody che puliva il bancone con uno straccio di tessuto bianco, sfregandolo più volte su vari punti. Sembrava amare quella locanda come fosse l’ultima cosa che gli rimaneva. E in effetti forse era così, la locanda era l’unica cosa rimasta oltre agli amici.
Sbuffai, dando dei colpetti sul pugno chiuso di Will. «Lui non è mai abbastanza serio.»
Mi lanciò uno sguardo perplesso, ma mi alzai dirigendomi verso il tipo più basso di me coi capelli invidiabili alla donna più bella del mondo.
Kyle, vicino a me, osservava attentamente le movenze di Chris sul legno scuro del bancone, al modo in cui sistemava le bottiglie di alcolici, i bicchieri e le fotografie. Quella fotografia.
Lì avevo visto Dan per la prima volta, quando dissi “è un bel ragazzo”, gli occhi blu, profondissimi. E poi riaffiorarono di nuovo i ricordi di pochi giorni prima, quando me lo ritrovai accanto a me nel letto, in cui congelavo, il suo abbraccio e tutto il resto.
Sentii una nostalgia assurda di quel primo giorno, quella prima notte, in cui davvero ogni istante poteva diventare l’ultimo. Quello in cui il tempo, il poco tempo che avevo, aveva solo accellerato i miei sentimenti, la paura di perderlo e di vivere senza le sue braccia, le sue mani, i suoi occhi, le sue labbra. Ogni singola parte di lui era diventata anche mia, già da quei primi istanti.
Le ultime tre ore, quelle in cui provai l’addio più duro della mia vita, più forte e straziante dell’addio dato a mio padre. Che poi, non era un addio, era una constatazione del fatto che lui non fosse più presente. Mai più. E sapere di poter perdere Daniel nello stesso modo, così, dal nulla, mi aveva aperto una ferita.
Le dita di Kyle che mi schioccavano davanti agli occhi mi risvegliarono dallo stato di trance. Stavo per lanciargli un’occhiataccia quando mi accorsi che Kyle era davanti a me e quello che mi stava risvegliando era il ragazzo dagli occhioni blu. Sorrisi lievemente e lui ricambiò, tirando fuori i biglietti per il viaggio verso Londra. Ero curiosa di sapere con quale mezzo infernale avremmo viaggiato.
Kyle gliene strappò uno di mano e lo analizzò per bene. «... e quindi partite la settimana prossima?»
Dan annuì.
«Perché così tardi?» domandò Will, e mi suonò come un rimprovero. Magari non vedeva l’ora che ci levassimo presto dalle scatole.
La discussione diventò un miscuglio di borbottii e di frasi poco simpatiche che non avevo voglia di ascoltare. Sentii il neurofono vibrarmi in tasca e andai nel bagno della locanda per vedere chi fosse. Chiusi la porta a chiave e lo accesi: la spia arancione lampeggiava, c’era segnale.
Mi cadde l’oggetto di mano. Avevo smesso di respirare da dieci secondi. Mi portai le mani sul viso, sfregando gli occhi, sperando fosse tutto finto, che non stesse succedendo. La testa mi pulsava, come se ricevessi una martellata di continuo. Mi schiaffeggiai piano, poi presi l’apparecchio in mano e sfrecciai davanti a tutti i presenti verso la porta della locanda, richiudendomela alle spalle, correndo con tutta la forza e il fiato che avevo nei polmoni per raggiungere il solito, maledetto punto. C’era esattamente quello che aveva scritto nel messaggio: il chip e l’analizzatore da polso. Lo attivai e misi dentro il chip e automaticamente si proiettò la sua faccia, quella che volevo riempire di schiaffi, ma era riuscito a riempire la mia di lacrime.
Tossii più volte, le sue labbra contratte in un sorriso poco amichevole, i miei polmoni che si rifiutavano di inspirare aria. Niente di più assurdo. Era ancora lì, era finito chissà dove ma era ancora qui, nel ventunesimo secolo.
Lui doveva tornare a casa, a Oslo, doveva andarsene da qui. La macchina del tempo era sparita, ma non era andata via.
Tastai le tasche per prendere il neurofono ma non c’era. Controllai ovunque, facendo cadere l’analizzatore da polso, nelle tasche posteriori, per terra, mi guardai intorno. Lo avevo preso. Forse mi era caduto. Dei passi veloci in lontanza mi fecero sobbalzare. Una voce che gridava il mio nome. La tosse si faceva sempre più forte e mi soffocava la gola, mi bruciava, la testa mi faceva malissimo. Lo avevano visto, avevano letto il messaggio, sapevano che stava tornando a prendermi. Ma doveva sparire, non ce l’avrei fatta a sopportarlo.
Allora decisi che dovevo scappare. Dan mi chiamò un’altra volta e poi mi misi a correre in una direzione sconosciuta.
«Aspetta!» gridò con la voce mozzata, ma finsi di non ascoltarlo. Avevo paura di finire nei guai, di coinvolgere anche lui, dovevo fuggire.
Un maledetto sasso, che poteva stare ovunque, mi intralciò il cammino e quasi caddi, perdendo l’equilibrio e lui, essendo più veloce di me, mi prese per un braccio e mi gettò per terra.
«Dove cazzo vai?» mi rimproverò. I suoi occhi blu erano più incendiati del solito.
«A te cosa importa?!» gridai e sbuffò pesantemente.
Mi tirò di nuovo su per il braccio senza dolcezza. «Così facendo peggiorerai la situazione. Ho letto quel messaggio. Ho visto tutto. Pensi di salvarti la pelle scappandotene? Saresti vulnerabile, idiota!»
Quel termine mi imbestialì e gli diedi uno schiaffo sulla guancia, senza nemmeno preoccuparmi di avergli fatto male. Si portò la mano sul punto in cui gli avevo lasciato l’impronta delle cinque dita, arrossatosi completamente, e chissà con quale pazienza mantenne la calma. Io non ce l’avevo quella pazienza, mi ero scoglionata solo a sentirlo parlare.
«Rachel, vedi di darti una calmata, non ti farà del male, non ne è capace.»
Iniziai a respirare più velocemente, la rabbia era diventata terrore puro. Sollevai la maglia giusto per scoprire la pancia. «Questo come te lo spieghi? Eh?»
Mi strinse il polso. La sua faccia era troppo vicina nonostante volessi allontanarlo. «Sei isterica, non ti rendi nemmeno conto di quello che succede. Non è stato lui a colpirti, c’era un lembo della capsula appuntito e ci hai sbattuto contro.»
Aprii la bocca come se avessi qualcosa da controbattere. Probabilmente aveva ragione, ma ciò non toglieva che Kevin per me era pericoloso.
«Tu non sai cosa può fare!» potei solo dire.
«Ti riporterebbe indietro, è l’unica cosa che si permetterebbe di fare. Non ti farà del male.»
Strinsi i pugni. «Riportarmi a casa è il modo più grave per farmi del male.»
Rimase in silenzio, ero riuscita a farlo stare zitto. I suoi occhi blu si erano spenti, le fiamme che ardevano dentro di lui si stavano pian piano affievolendo. Ma intanto, dentro di me, c’era la peggior guerra dei sentimenti. Non sapevo se essere terrorizzata da Kevin, di tornare a Oslo con la forza; se essere arrabbiata con Dan, per la sua sfacciataggine, come se non gliene fregasse; non sapevo nemmeno se essere felice del fatto che Kevin non mi avesse fatto del male, o almeno non di proposito.
Decisi di non essere nessuna di queste cose e indietreggiai, sfilandogli dalla tasca il neurofono sporgente. Mi guardò con aria interrogativa e cercò di replicare, ma gli tappai la bocca con una mano.
«Non farti passare nemmeno per la testa un’idea del genere» lo rimproverai, e finalmente gli diedi le spalle.
Di nuovo i suoi maledetti passi echeggiarono dietro di me e mi bloccarono, stavolta più dolcemente. «Ce ne andiamo a Londra. Adesso. Partiamo subito, prendiamo il primo treno.»
Sorrisi tra me e me, e annuii, ma sapevo perfettamente che Kevin mi avrebbe trovata e mi avrebbe riportata nel terzo millennio. Potevo nascondermi finché volevo... ma ce l’avrebbe fatta. Mi avrebbe distrutta comunque.
Dan si piegò per darmi un bacio ma lo scansai, avanzando verso la porta della locanda. Mentre la chiudevo, vidi un’automobile sfrecciare davanti all’entrata e un rumore sordo di una sgommata fece stridere le orecchie. Poi di nuovo il motore rimbombò e si fermò esattamente davanti alla porta.
Woody si affacciò per vedere chi fosse e mi indicò.
«Rachel, ti vogliono» disse, ma io ero già fuggita dall’altra parte della stanza, fiondandomi nel corridoio che portava a tutte le stanze. Mi chiusi a chiave in quella di Dan, e sentii delle persone che parlavano. Alzarono la voce, e un sonoro e secco tonfo impedì al mio cuore di battere oltre.
Chiamavano Will in continuazione, evidentemente non ricevevano risposta. Temetti seriamente per l’uomo e mi venne d’istinto uscire e consegnarmi, ma non potevo arrendermi e soprattutto non potevo fare questo a Dan. Ma stavo mettendo a rischio la salute e la sicurezza dei miei amici che stavano combattendo per difendermi. Tirai un sospiro lungo e girai la chiave. C’era silenzio, si erano fermati tutti. Dei passi lenti e scanditi fecero capolino nel corridoio. Un uomo alto, biondo, dagli occhi grigi si fermò esattamente al centro dell’uscita e sorrise maligno.
«Ci rivediamo» sibilò.
Il battito cardiaco accellerò tremendamente, pensai fosse la fine davvero. Presa dal panico, rimasi immobile, a guardarlo.
«Non mi saluti?» finse dispiacere, ma intanto aveva ripreso a camminare e io ero ancora impassibile. Non ragionavo più con la testa, tremavo, la gola si chiudeva.
«Peccato, mi ricordo che avevi una bella voce. Anche quando strillavi, ti ricordi, tre anni fa? Che bella giornata era stata quella» si mise le mani in tasca. Ormai era vicinissimo. Potevo sentire il suo fiato che muoveva leggermente i miei capelli.
«Non credo che questi australopitechi abbiano dei sistemi di sicurezza e di controllo» tese la mano e improvvisamente indietreggiai, senza provocare una sua reazione.
Con un coraggio che uscì chissà da dove parlai. «Che hai fatto ai ragazzi?»
Scosse le spalle. «Il mio collega si sta prendendo cura di loro. Ah una cosa... il tuo amico, quello con gli occhi strani, quelli blu, penso si sia fatto davvero male... non deve mai mettersi in mezzo.»
Tutta la rabbia del mondo si era concentrata nella mia mente e dovetti espellerla prima di esplodere. Raccolsi tutte le energie che avevo in corpo e mi gettai sul lato sinistro, ancora libero, prima che Kevin se ne accorgesse e mi impedisse di passare. Corsi lungo il corridoio, ma non mi seguiva. Però non mi fermai, andai verso l’uscita, e c’era Will poggito sul legno scuro del bancone. Mi vennero i brividi e gli toccai appena il viso barbuto prima che Kevin apparisse di nuovo e ripresi a correre, all’aria aperta, dove due tizi misteriosi trascinavano un ragazzo che scalciava, con la testa incappucciata e le braccia legate.
«Dan!» gridai con tutto il fiato che avevo in gola. Non sapevo dove fossero andati Kyle e Woody, ma mi lanciai all’inseguimento dell’auto che stava partendo con a bordo Dan. Non lo avrei permesso.
Da lontano la vidi, di nuovo, era la capsula. Kevin stava uscendo dalla locanda, alzai il passo, ma la macchina era troppo veloce e la persi di vista. Caddi a terra esausta, ma quando mi voltai e il ragazzo stava camminando lentamente verso di me ripresi a correre nella direzione opposta alla capsula. Tossi violentemente per recuperare fiato, e urlai di nuovo il nome di Dan.
Non ce la feci più, le gambe tremavano e i polmoni stavano per scoppiare. Caddi rovinosamente a terra senza farmi troppo male, sull’asfalto gelido, alzai gli occhi al cielo e provai a ricacciare le lacrime che minacciavano di uscire.
Dan era in pericolo, cosa gli avrebbero fatto quei tizi? E Kevin cosa mi avrebbe fatto?
Mi alzai tremante, mi voltai indietro e Kevin era esattamente dietro di me. Gridai per lo spavento, ero spacciata, non sapevo più cosa fare. Lui si piegò per afferrarmi, strisciai col sedere, aumentando la distanza, ma allungò il braccio. Poi una mano spuntò dal nulla e lasciò un gancio destro sulla faccia di Kevin. Will, in piedi e bianco in volto, si gettò su Kevin per impedirgli di muoversi.
«Rachel, scappa! Chiedi aiuto, vedi dov’è Dan!» gridò prima che il ragazzo biondo lo zittì con una gomitata. Non seguii lo scontro, mi rialzai col cuore in gola e ripresi a correre. Perché Congledon era una città così schifosa? Così deserta, senza nessuno che ci avesse potuto aiutare?
Il neurofono non sarebbe servito a nulla. Poi la vidi, era quella scatoletta bianca che Kyle aveva costantemente in mano. Me la rigirai, poi feci un paio di metri correndo e mi nascosi in un vicolo cieco.
Premetti il tasto in basso, al centro e poggiai la testa sul muro cercando di riprendere fiato. La testa mi girava, le gambe sembravano sgretolarsi. Ma mi feci forza e provai ad usarlo. Era semplice. Ed era proprio quello di Kyle, dato che come sfondo aveva una foto di lui e una ragazza.
Non sapevo come fare a contattare qualcuno, quando vidi un tasto sullo schermo touchscreen che indicava la “rubrica”. Ci cliccai sopra e apparirono vari nomi, tra cui quello di Dan, Chris e Will.
Ne schiacciai uno a caso.
La chiamata partì a Chris.
Dei suoni brevi e sconnessi, e poi un rimbombo. Una voce dall’altro capo parlò.
«Kyle....bzzz...Kyle...mrrrrr senti?»
Non si capiva nulla. «Chris, sono Rachel... Chris dove sei? Hanno preso Dan, Will sta picchiando Kevin e Kyle ha perso la scatoletta...»
«...brrrrr Rachel zzzz Rachel ascoltami, devi andare per czzzz brrr hai rrrr capito?»
«Non ho sentito Chris, dove devo andare?»
«Frodshhhhhh... Frodsham!»
Tossii di nuovo. «D’accordo, ma tu resta in li-»
Altri rumori più brevi e sconnessi sostituirono la confusione di prima. La chiamata era terminata. Mi alzai di malavoglia e mii la scatoletta in tasca, ricordandomi bene a mente il nome del luogo in cui dovevo andare: Frodsham. Presi un pezzo di vetro appuntito che stava depositato silenziosamente accanto al muro e lo infilai in tasca, pensando di poterlo usare come unica arma di difesa.
Mi affacciai prima di uscire allo scoperto ed ero sola, e fortunatamente poco più avanti c’era una svolta che portava a destra e dei cartelli stradali. Uno di questi indicava proprio Frodsham, ma non sapevo come arrivarci, Kevin mi avrebbe vista subito. Ancora una volta il panico si impossessò di me quando una macchina rombò esattamente dietro di me. Mi girai e dei fari luminosi illuminarono ancor di più la strada già illuminata dalla giornata soleggiata di quel giorno. Mi misi a correre verso la svolta, e l’auto sfrecciò nella mia direzione. Corsi a perdifiato. Davanti a me si presentò una strada sbarrata per via delle frane. Era il luogo in cui mi aveva portata Kyle. Un cartello indicava Frodsham, e la freccia era rivolta verso il basso.
La macchina sgommò dietro di me e iniziai a scendere senza fermarmi mai su quella che era una stradina, scavalcai la sbarra di metallo che impediva alle auto di passare e percorsi tutta la strada. Guardai nel finestrino dell’auto prima che sparisse dal mio campo visivo e una testa incappucciata stava ferma contro il finestrino.
«Dan!» gridai, ma lo sportello si aprì e continuai a scendere. Trovai una specie di sottopassaggio, mi ci nascosi e lasciai che due uomini vestiti di nero e con due occhiali da sole dello stesso colore passarono, e per fortuna non mi videro. Quando furono abbastanza lontani risalii la stradina e aprii la portiera dell’auto. Sfilai il cappuccio a Dan e lui era mezzo rimbambito, lo avevano stordito. Li avrei presi uno a uno e li avrei picchiati a sangue, aveva anche un livido vicino alla bocca. Gli tirai schiaffetti sulle guance e aprì gli occhi. Intanto gli uomini in nero stavano tornando, mi videro e presi Dan sulle spalle, correndo via. Loro alzarono il passo, ma erano ancora lontani. Allora lasciai Dan, che intanto si era risvegliato completamente, e andai a bucare i copertoni della macchina con il pezzo di vetro che avevo trovato prima e li lasciai sgonfiare.
«Alzati, Dan! Dobbiamo scappare!»
Mi guardò di traverso, ma poi vide i due tizi e si alzò in piedi. Gettai il pezzo di vetro e mi misi a correre insieme a lui. Kevin da lontano si dirigeva a piedi verso di noi.
«Dove sono gli altri?» chiese Dan col fiatone, quasi in preda al panico.
«Chris ha detto di andare a Frodsham, ma quelli ci intralciano il passaggio» tremai di paura.
Mi prese la mano e mi trascinò con sé verso un punto di Congledon che non avevo mai visto: la boscaglia.
Kevin ci vide e inziò a correre nella nostra direzione, e noi accellerammo.
«Appena arriviamo dall’altra parte prendiamo la macchina di Kyle, sperando che stia lì!» disse ad alta voce, cercando di scandire le parole per via della stanchezza.
«Kevin ci sta alle costole» singhiozzai.
«Non per molto» lo guardai e sorrise. Ci girammo entrambi e Will era ritornato all’attacco, bloccò Kevin per una gamba e lo fece inciampare, cadendo rovinosamente.
Non ce la facevo più, dovevo fermarmi. Mi bloccai per pochi secondi con la testa che mi girava tantissimo, dei conati di vomito che rischiavano di uscire dalla bocca. Dan si fermò poco più avanti di me, col fiatone anche lui, diventando bianco in volto. Ci guardammo, presi dall’asma.
«Mi dispiace» soffiai «vi ho messi tutti nei guai.»
«Gli altri se la sanno cavare da soli, ma ora sia io che te abbiamo bisogno l’uno dell’altra. Alzati, e seguimi. Prenderemo la macchina di Kyle, le chiavi le tiene sempre sotto lo zerbino.»
Mi rimisi in posizione eretta e ripresi a camminare a passo svelto verso l’uscita da tutti quegli alberi e un freddo assurdo. Ma dopo aver corso tanto, stavo scoppiando dal caldo. Finalmente vidi uno spiragli da quella strada poco illuminata e ci ritrovammo nel centro abitato di Congledon. Dan mi prese per mano e mi guidò attraverso i palazzi, i marciapiedi poco popolati, le rare macchine che passavano.
Un’automobile blu stava parcheggiata al sole caldo di quella mattina. Dan corse verso la porta della casa di Kyle e sollevò lo zerbino, prendendo le chiavi. Cliccò un tasto e si aprì, e saltammo dentro.
Sigillò l’apertura dall’esterno e partimmo, in direzione Frodsham.
 
Writer’s wall
Niente da dire su questo capitolo, l’ho tirato così, non sapevo più cos’altro inventarmi.
A voi le critiche e i commenti, baci.
Angelica.
  
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