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Autore: _Frency_    10/02/2014    2 recensioni
Ci sono momenti in cui bisogna fare delle scelte, e non ci si può più tirare indietro. Bill è più deciso che mai a vivere a fondo la sua storia con Kerli, e il primo passo è presentarla ufficialmente alla famiglia. Tom desidera rimediare ad un errore commesso in passato, e tornare in Germania sembra l'occasione perfetta. Georg e Gustav si trovano coinvolti, una volta ancora, nelle balzane idee dei compagni, che sembrano pronti a tutto pur di non lasciarsi sfuggire le ragazze che hanno rubato loro il cuore. Proprio queste ultime, anime femminili coinvolte in una storia che le vede protagoniste, si trovano per la prima volta faccia a faccia. E sono due mondi agli antipodi che si scontrano, non solo due donne che all'apparenza non hanno nulla in comune. Incomincia così una rocambolesca storia che racchiude al suo interno sia giornate luminose che tempestose, proprio come gli animi mutevoli dei suoi personaggi. Perché ognuno di due cela in sé luci e ombre. Cosa succede, quando il confine tra l'una e l'altra si assottiglia, fino a diventare una mera illusione?
[Seguito di: "No Woman No Cry" e "Wonderland"; ultima parte della serie "Ricami sul Cuore".]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricami sul Cuore.'
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Capitolo 3: Universes.
 
L'uomo ha un universo dentro.
(Bob Marley)
 

 
-Simone, ha bisogno di una mano in cucina?- domandò Kerli, accennando con un gesto alla tavola da sparecchiare.

I gemelli e Gordon si erano spostati in veranda a fumare una sigaretta, e loro due erano rimaste in sala da pranzo a scambiare quattro chiacchiere.

-Oh, dammi del tu cara- la pregò la donna, mentre cominciava a prendere i primi piatti e a sistemarli in una pila ordinata.

-Comunque non preoccuparti, sono solo due sciocchezze, ci metterò un paio di minuti- disse, accennando alle stoviglie.

-Sei davvero molto gentile a chiedermelo- aggiunse poi, scambiando un sorriso con la ragazza.

Trascorse un breve attimo di quiete, in cui la ragazza si domandò se non fosse il caso di aiutare la donna, nonostante avesse gentilmente negato la sua collaborazione. Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, però, fu proprio Simone a rompere il silenzio.

-Sai, sono molto contenta che tu e Bill… Sì, insomma, sono felice che stiate insieme- ammise la donna, alzando lo sguardo e incrociando quello leggermente stupito della cantante.

-Davvero?- chiese Kerli, insultandosi mentalmente per la stupidità di quella domanda.

Che idiota che sei! La madre del tuo ragazzo dice che è contenta per voi, e tu le domani se lo è realmente?

Simone però sorrise, in un modo un po’ sghembo che a Kerli ricordava molto Tom.

-Sì, davvero. Insomma, diciamocelo, mio figlio è un ragazzo piuttosto complicato e dai gusti decisamente difficili: non penso di averlo mai visto tanto preso da una donna- le confessò Simone.

Kerli, se possibile, era sempre più sorpresa.

-Io… Io sono lusingata, ma non so se…- cominciò a dire, venendo però interrotta dalla voce della donna che le stava difronte.

-Niente “ma”: sono sua madre, no? Lo conosco bene. Fidati di quello che ti dico- ribatté con serenità Simone.

Kerli accennò un sorriso imbarazzato.

Dopotutto, ha ragione lei.


 
Bill gettò un’occhiata nella direzione della sala da pranzo, e nonostante i vetri della veranda, non riuscì a distinguere le figure della madre o della compagna.

-Tranquillo, la mamma non te la mangia la fidanzata- sbottò divertito Gordon, notando lo sguardo lievemente preoccupato del figlioccio.

-Ah, ma non sono affatto preoccupato per quello: ho più paura che le racconti qualche episodio imbarazzante della nostra infanzia- ribatté sconsolato il cantante, mentre Tom sghignazzava senza ritegno.

-Sta zitto! Potrebbe tirare in ballo anche te, lo sai- ringhiò Bill in direzione del fratello.

-Potrebbe, ma non lo farà- affermò sicuro il chitarrista, ciccando nel posacenere.

-Non sono certo io quello che a cinque anni pretendeva di fare il bagno negli spaghetti- aggiunse poi serafico.

Il volto del cantante prima sbiancò, per tingersi di un violento rosso un attimo dopo.

-Davvero volevi fare il bagno negli spaghetti?- domandò ridacchiando Gordon, scambiando un’occhiata divertita con Tom.

-No!- gracchiò in maniera stridula Bill, fulminando il gemello con uno sguardo. Inevitabilmente, però, richiamò quel singolare ricordo alla mente, e non poté fare a meno di arrossire nuovamente.

-Io voglio fare il bagno negli spaghetti!- continuava a ripetere il bambino, incrociando le braccine al petto.

Simone, inginocchiata davanti alla vasca, alzava gli occhi al cielo disperata, mentre quello scricciolo alto un metro e un tappo la scrutava intensamente con i suoi occhietti vispi.

-Billi, amore, il bagno negli spaghetti non puoi farlo- ripeteva per la decima volta la mamma paziente, mentre faceva scorrere l’acqua nella vasca in modo che fosse tiepida.

-Ma certo che posso! È facile, mamma! Devi solo mettere più pasta- spiegava concitato il bimbo, sperando che la reticenza della donna fosse solo dovuta ad un’incomprensione.

-Non poca poca come quando fai la pappa a me a Tom- aggiungeva, perché fosse ben chiaro il concetto -E poi ci mettiamo tanto pomodoro-.

-Tesoro, come faccio a spiegartelo? Non puoi lavarti con gli spaghetti- ribatteva Simone, mentre attirava dolcemente il bambino a sé per cominciare a svestirlo.

-Non mi piace fare il bagno- dichiarava allora il piccolo Bill, mentre rabbrividiva una volta ritrovatosi senza maglietta.

-Lo so, credimi, lo so- rideva la mamma, scompigliandogli i capelli.

Il ragazzo abbozzò un sorriso: da piccolo, aveva sempre avuto qualche reticenza nei confronti della vasca ricolma d’acqua.

-Ti ricordi perché mi ero fissato sugli spaghetti?- domandò al gemello, con sincera curiosità.

Tom aggrottò le sopracciglia, perplesso.

-E che ne so? Eri strano tu- rispose, scrollando le spalle.

-Io direi che lo è anche adesso- aggiunse una voce ben familiare, che fece voltare i ragazzi.

-Sei riuscita a sfuggire dalle grinfie di mamma?- domandò Tom, quasi stupito.

-Grinfie? Ma quali grinfie? Vostra madre è davvero una persona squisita- ribatté la ragazza, e i tre uomini si scambiarono un’occhiata di reciproca intesa, come se loro fossero ben consapevoli che la realtà fosse tutt’altra…

Kerli preferì ignorarli, andando a rifugiarsi nel caldo abbraccio del proprio compagno.

-Tra poco sarà meglio cominciare ad avviarsi: non vorrei rientrare troppo tardi- disse ad un certo punto il cantante.

Il gemello gettò un’occhiata all’orologio che aveva al polso: era ormai pomeriggio inoltrato, e Bill aveva ragione. Se non volevano tornare ad Amburgo troppo tardi, avrebbero fatto meglio a rimettersi in macchina.

-Com’è volata la giornata!- ammise Simone quasi dispiaciuta, quando i tre cominciarono a prepararsi.

-Stai tranquilla mamma, ci rifaremo vivi prima di tornare a Los Angeles- la rassicurò il chitarrista.

La donna, seppur si fosse ripromessa di non essere troppo appiccicosa, non si trattenne e strinse in un dolce abbraccio entrambi i figli, schioccando un sonoro bacio sulle gote di entrambi. Ciò che lasciò veramente senza parole Kerli, però, fu il caloroso abbraccio che riservò anche a lei. La ragazza rimase interdetta: certo non si aspettava una simile dimostrazione di affetto, ma ne rimase comunque piacevolmente stupita, e ricambiò immediatamente il gesto. Era come essere nuovamente bambina, con un familiare senso di calore e protezione che si irradiava all’altezza del cuore.

-Impedisci loro di combinare troppi casini- le disse, sorridendo, occhieggiando brevemente i gemelli alle sue spalle.

Non sarà facile, ma…

-Promesso-


Durante il tragitto in macchina, Kerli non aveva potuto fare a meno di ripensare a quella sorta di promessa fatta a Simone.

Posso davvero mantenerla?

Quella domanda non faceva che tormentarla da quando si erano lasciati Loitsche alle spalle e Bill era scivolato nel sonno, appoggiato con il capo contro la sua spalla e con il respiro calmo che le solleticava piacevolmente la pelle scoperta del collo.
L’aveva guardato, accarezzandogli dolcemente i capelli con la punta delle dita, e domandandosi quanta fiducia quella donna riponesse in lei. Perché, sinceramente, non si riteneva la persona più adatta a prevenire disastri. Anzi, solitamente era lei a combinarli. Non che i gemelli fossero da meno, però…

E se qualcosa dovesse andare storto?

Quelle parole si erano insinuate sibilline nella sua mente, provocandole un brivido freddo. Non voleva pensarci.

Non devi pensarci.

Se lo ripeté più volte, come se potesse realmente aiutare a esorcizzare i suoi dubbi. Spostò lo sguardo sul ragazzo che dormiva placidamente accanto a lei, e non poté fare a meno di lasciare che un sorriso le si dipingesse sulle labbra.

Qualunque cosa accada, l’affronteremo insieme.

E, persa nei suoi pensieri, non si era accorta dell’amara occhiata che il chitarrista aveva rivolto loro. Era la prima volta, a dire il vero, che si permetteva di osservarli quando erano insieme: aveva sempre lasciato al gemello e alla sua ragazza i loro spazi, perché riteneva che fosse più giusto così. Eppure, in quel momento, non era riuscito a impedire al proprio sguardo di soffermarsi un istante di troppo sulle figure abbracciate di suo fratello e Kerli. E, per una terribile frazione di secondo, gli aveva invidiati. Aveva trovato insopportabilmente ingiusto il fatto che lui non potesse più avere la sua compagna accanto, mentre suo fratello sì. Lo ripugnava l’idea di aver pensato una cosa così orribile nei confronti di Bill, che amava più di se stesso. Eppure, la fitta della gelosia faceva male. Molto male, a dire il vero. Soprattutto perché sapeva che era solo colpa sua se adesso la sua donna non era al suo fianco.

Non è ironico?

Tu hai perso il tuo amore e Bill l’ha trovato.


 
Amburgo, di sera, aveva un fascino tutto suo. Tom aveva già avuto modo di constatarlo la notte precedente, e molte altre durante gli anni addietro. E nonostante potesse dire di conoscere ogni singolo angolo della cittadina, era sempre un piacevole svago passeggiare per le strade illuminate. Adesso, però, c’era qualcosa in più che lo spingeva a gironzolare senza meta precisa per le viuzze ancora affollate nonostante l’ora. Forse quel qualcosa derivava dai fugaci pensieri di quel pomeriggio in macchina. Ad ogni modo aveva deciso, preda di un’irrazionale impulso (che solo successivamente avrebbe riconosciuto come nostalgia), di ripercorrere quella sorta di immaginario percorso che collegava ogni luogo dove con lei aveva trascorso i momenti più significativi. Non solo quelli belli. Tutti quelli più importanti. Il parco. Il tetto del vecchio palazzo. Il locale dove, appoggiato al cofano della macchina, aspettava che lei staccasse dal turno di notte e potesse raggiungerlo. E, magari, se avesse trovato il coraggio, avrebbe addirittura potuto spingersi fin davanti al portone dove abitava. Ma voleva procedere con ordine e calma, per evitare di commettere qualche sciocchezza. Ed era sera, e lui era anche un po’ stanco dopo quella giornata passata in famiglia. Ecco perché la scelta di ritornare dove, forse involontariamente, era cominciato tutto, non gli sembrava una pessima idea.

Gli alberi dalle chiome verdeggianti, il prato incolto del parco, i sassolini che cospargevano i sentierini accuratamente tracciati e che scricchiolavano sotto la suola delle scarpe.

Sì, il parco vicino a casa, quella bella villetta in cui lui e suo fratello alloggiavano prima di trasferirsi nella Città degli Angeli. Era un bel luogo dove fermarsi per rifugiarsi nei propri pensieri, senza temere di venire disturbati.

Il profumo dell’estate alle porte e quell’odore, acre e pungente, che lo aveva attirato, inconsapevole di ciò che avrebbe trovato.

Scosse la testa. Nonostante fosse passato quasi un anno, ogni singolo dettaglio di quell’incontro era impresso nella sua mente. Ecco perché sentiva lo spasmodico bisogno di ritornare là, in quel brandello di verde sospeso tra passato e presente, dove i ricordi erano rimasti impigliati ai rami cosparsi di teneri boccioli pronti a schiudersi, dove c’era qualcosa di loro che aleggiava tra le foglie sospinte dal vento. Aveva bisogno di credere che, se fosse tornato lì, avrebbe sentito un po’ meno la dolorosa e opprimente stretta che gli attanagliava il cuore. Aveva bisogno di credere che, se fosse tornato a sedersi sotto il quel vecchio albero dove erano soliti trovarsi e avesse chiuso gli occhi, avrebbe sentito ancora il suo profumo buono, e il suo corpo caldo stretto al proprio. Aveva bisogno di credere che, in fondo, lei non se ne fosse mai andata dalla sua vita. Che fosse ancora lì, ad aspettare il suo ritorno.

Si sedette ai piedi della vecchia pianta, appoggiando la schiena alla corteccia ruvida e socchiudendo gli occhi.

La ragazza correva e lui rimaneva silenzioso, con un sorriso a fior di labbra, a osservarla. Lei si esibiva in scoordinate piroette, con i capelli che le si aggrovigliavano malamente sulle spalle. Rideva. Una risata piena, di quelle che ti scaldano il cuore e ti fanno sentire bene. Una risata viva, di quelle di cui ti innamori all’istante.

Era tardo pomeriggio, lo ricordava bene. Erano stati in giro tutto il giorno, e il sole cominciava a scendere, mentre il cielo tingeva di un pallido rosa e caldo arancione. Lei lo aveva accompagnato vicino a casa, ma Tom non aveva affatto voglia di rinchiudersi tra quelle quattro mura con una serata così bella ancora da assaporare. L’aveva presa per mano e si erano incamminati in uno dei tanti sentierini che si snodavano ai margini del prato.

-Guardami, ragazzo- aveva detto lei, mentre cominciava quell’assurda danza. Tom era rimasto per qualche istante interdetto, poi si era seduto tra l’erba per godersi lo spettacolo.

E per avere una buona scusa per osservarla attentamente, senza temere che lei, in uno scatto d’improvvisa timidezza, si rifugiasse lontano dal suo sguardo. A volte succedeva: non era mai stata una ragazza costante, e spesso i suoi sbalzi d’umore repentini mettevano a dura prova anche lui.

-Però, sai che sei proprio brava?- l’aveva canzonata lui ad un certo punto, ridacchiando.

Allora si era fermata, aveva fissato il suo sguardo smeraldino nei suoi occhi scuri e un attimo dopo Tom se l’era ritrovata tra le braccia, mentre rotolavano nel prato come due bambini.

-Certo che sono brava- aveva ribattuto lei in un mormorio, con il fiatone, stesa su un fianco e con il viso ad un soffio da quello del chitarrista.

L’aveva baciata. Quante volte? Non lo sapeva. Ricordava solo che dopo lei gli aveva schioccato un bacio sulla fronte e si era rialzata. Aveva detto qualcosa che assomigliava vagamente ad un “Ci si vede”, e l’aveva lasciato lì, accovacciato tra l’erba, a seguire la sua figura sempre più lontana. Non c’era rimasto male: spesso succedeva così. Passavano giornate intere insieme, spensierati, ma al momento di salutarsi lei diventava… distante. Un sogno che poco prima del risveglio comincia a sbiadire; un sogno i cui contorni diventano sempre più labili e vacui, fino a che non si disperde del tutto. Ed era incredibile come tornasse meravigliosamente reale ogni volta che era tra le sue braccia, ogni volta che poteva rubarle un bacio sotto il portone di casa, ogni volta che la teneva dolcemente per mano quando erano al riparo da occhi indiscreti.

Eppure, adesso, io di te conservo solo un ricordo.











My Space:

Buonasera ragazze!

Come state? Avete iniziato bene la settimana?

Io dedico giusto due parole a questo capitolo. Forse non è molto chiara la scelta del titolo, "Universi", e la frase di Bob Marley che vi è collegata. Ho deciso così perché in questo capitolo si parla molto di aneddoti relativi a ciascun personaggio, e mi sembrava carino definirli l'universo che ciascuno si porta dentro. Ecco spiegato anche il perché della frase.
Il nome della "lei" a cui si riferisce Tom è volutamente omesso in questo capitolo: al momento del suo ritorno in scena, ritroverete anche il suo nome.

Spero che vogliate farmi sapere la vostra opinione, sapete quanto ci tengo!

Grazie a
Heilig__ , auroramyth e Billina_Pazza per aver recensito il precesente capitolo, siete favolose ragazze!

Alla prossima,

Frency.
   
 
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