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Autore: Lady_and_Baby    16/06/2008    4 recensioni
Naruto ed Hinata vivono insieme una tranquilla vita da fidanzati, lui lavora come guardia giurata, lei è una laureanda in psicologia.
Quando Naruto le propone di andare a lavorare come responsabile di consultorio al carcere, Hinata si trova ad acconsentire, ma tutto cambia dall’incontro con il glaciale e misterioso assassino Gaara.[Naru/Hina,Gaa/Hina]
“…Gaara era semplicemente la sua metà perfetta, colui che la completava. Due persone uguali ma opposte, prigionieri nati per fuggire insieme.
O, più semplicemente, yin e yang.”

[SECONDA classificata al concorso a coppie indetto da Sae e Memi]
Genere: Romantico, Suspence, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara , Naruto Uzumaki
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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06:09
 

6 minuti alle 06.09.

Correva Hinata.
5 minuti alle 06.09.
Percorreva rapidamente i corridoi, scansando rapidamente persone e ostacoli.
4 minuti alle 06.09.
Incontrava sguardi sorpresi, perché non era da lei.
3 minuti alle 06.09.
Ansimava per la folle corsa che si stava costringendo a fare.
2 minuti alle 06.09.
Correva Hinata.
1 minuto alle 06.09.
Non per un capriccio o una scommessa.
06.09.
Ma per vedere lui.
 
Qualche giorno prima, in un appartamento
 
Naruto si era svegliato, e ancora assonnato si era stropicciato gli occhi, cercando di capire dove fosse.
Si era stiracchiato: il divano non era uno dei posti migliori per dormire, però ne valeva la pena.
Aveva guardato verso la cucina, e gli era scappato un sorriso quando l’aveva vista.
 
Hinata.
 
Era rimasto a osservarla con il viso appoggiato al divano, mentre lei stava preparando qualcosa.
Si era leccato le labbra: ramen!
Avrebbe riconosciuto tra mille l’odore del suo piatto preferito.
 
Era ritornato a concentrarsi sulla figura della mora, assumendo un’espressione dolce.
Uno sguardo riservato solo a Lei, perché non era solo un’amica, una consigliera o la sua ragazza.
No, Hinata era il suo angelo, colei che lo aveva salvato dalla solitudine.
L’unica che gli era rimasta accanto, quando stava male per il fidanzamento di Sakura e Sasuke.
L’unica donna che riusciva davvero a leggergli dentro con uno sguardo.
Una salvatrice, che però aveva dovuto essere a sua volta salvata dalla fredda e insensibile famiglia Hyuuga.
 
Le si era avvicinato silenziosamente, per abbracciarla da dietro e baciarla a tradimento sul collo.
Il suo sorriso s’era allargato, quando l’aveva vista arrossire per l’imbarazzo.
“N-naruto-kun, c-che f-fai?”.
“Ti bacio: fanno così i fidanzati, no?”.
 
Lei era diventata ancora più rossa, scatenando le risate di lui.
Dopo il momento d’ilarità, era ritornato a guardarla, chiedendosi come aveva potuto essere così cieco da correre dietro a Sakura e da non guardare Hinata.
 
Se solo fosse stato meno baka!
Avrebbero potuto avere più tempo per loro, ma l‘importante era rimediare.
E sapeva già come: avrebbe fatto molto presto la sua proposta.
 
“Ah, è-è pronto il r-ramen.”
Ma dopo la colazione!
 
Dopo aver mangiato, aveva assunto un’aria pseudo-seria, e aveva cominciato a parlare.
“Hinata?”.
“C-che c’è Naruto-kun?”.
“Sai che purtroppo ci vediamo poco, perché devo trascorrere molto tempo al lavoro, quindi…”.
Aveva preso un bel respiro per concludere:
“Che ne dici di venire a lavorare con me?”.
 
La mora aveva aperto gli occhi per lo stupore, poi aveva risposto:
“N-non posso accettare.”.
“Dai Hinata! So che è un po’ pericoloso lavorare in un carcere, ma ti proteggerei io, non preoccuparti!
Sono la migliore guardia giurata, e ti proteggerò sempre dattebayo!”.
 
“N-non è per questo.”
“E per cosa?”
“Beh…ecco…N-non vorrei approfittare della generosità del direttore, non credo che stia cercando qualcuno con una laurea come la mia.”
 
Naruto le aveva sorriso.
“E invece sì! Anko s’è licenziata, quindi c’è posto per una consulente psicologica, e con i tuoi ottimi voti, avresti sicuramente il lavoro!”
Lei lo aveva guardato: era ancora incerta sull’accettare o meno, ma poi lui aveva usato la sua arma segreta.
 
Il musetto dolce.
 
Nessuno avrebbe mai resistito a quell’espressione tenera e semplicemente kawai che era apparsa sul viso di Naruto.
“Beh, posso provare…”
Il biondino l’era saltato addosso abbracciandola, urlando:
“Grazie!! Ti prometto che ti piacerà!”
 
Il giorno dopo, al carcere
 
Hinata si era istintivamente voltata a guardare la porta d’entrata, sbarrata, sentendosi improvvisamente terrorizzata.
I suoi respiri si susseguivano affannati mentre scorreva con gli occhi i volti dei detenuti.
Era pieno di criminali adulti, lordi, che emanavano un lezzo spaventoso, con lo sguardo fisso nel vuoto e la bocca contratta in ghigni animaleschi a dir poco spaventosi.
Le sembrava di essere in un carro bestiame più che in un carcere.
 
E all’improvviso un dettaglio l’aveva colpita.
 
In una cella apparentemente vuota se ne stava un giovane uomo, rannicchiato contro il muro, dall’espressione assolutamente apatica, quasi come se essere lì fosse la cosa più normale del mondo.
Appena era passata davanti alle sbarre, quello le aveva puntato addosso uno sguardo omicida pieno di violenza, furioso.
 
Lei aveva notato che quel ragazzo aveva un paio d’iridi completamente fuori dal comune.
Erano di un intenso color acquamarina, gelide, severe, cariche di biasimo.
Soprattutto tristi.
 
Si era fermata, come ipnotizzata, e lui si era alzato per scrutarla meglio.
Separati solo dall’acciaio delle sbarre, vivevano nello stesso momento, come due animali che si fiutano e si riconoscono per capire se attaccarsi o meno.
Lui, una volpe rossa e feroce chiusa in una gabbia.
Lei, una volpe bianca addomesticata alla libertà.
 
“Hinata-chan!” Naruto le era corso incontro, abbracciandola energicamente e strappandola al poetico contatto visivo con il ragazzo.
 
“Ciao…Naruto-kun.” Gli aveva sorriso con dolcezza prima di rivolgere il suo sguardo alla cella, nella quale lui era tornato a rannicchiarsi.
 
Era andata con il suo fidanzato a parlare col direttore del carcere, che non aveva esitato ad assumerla come consulente psicologica per i detenuti.
Il colloquio era stato breve e superficiale: l’uomo aveva sfogliato il carteggio del curriculum della ragazza, le aveva fatto un paio di domande e l’aveva liquidata in quattro e quattr’otto dicendole di cominciare immediatamente..
 
Così, era iniziato il suo primo giorno di lavoro.
Aveva ascoltato per ben quattro ore le confessioni più intime, gli incubi peggiori, i racconti degli spietati delitti di quegli uomini prima di avere dieci minuti di riposo.
Si era stiracchiata, per poi fare capolino dalla stanza che avevano adibito frettolosamente a consultorio, ed aveva detto: “Il prossimo!”, infine era tornata dentro e si era seduta di nuovo alla scrivania.
Dopo poco era entrato nella stanza il ragazzo di prima.
 
La fulva volpe, sfuggevole e schiva.
 
“Il tuo nome?” gli aveva chiesto gentilmente.
 
“Gaara.” Aveva risposto lui prima di abbandonarsi sulla poltroncina davanti a lei. “E’ comoda.”
 
“Immagino di sì, è fatta apposta. Io sono Hinata, studio psicologia all’università e sono qui per fare pratica di consultorio. Ti va di raccontarmi qualcosa?”
 
Era rimasta in attesa, speranzosa.
 
“Una favola?” aveva commentato lui sarcastico.
 
“Preferirei qualche episodio della tua vita, o, se preferisci, anche solo una sensazione ricorrente.”
Si sentiva improvvisamente in imbarazzo con quegli occhi algidi puntati addosso.
Ed era arrossita, pregando che quello si decidesse a parlare.
 
“Hmmm…Effettivamente, c’è una sensazione che provo. Non è propriamente ricorrente, ma più che altro continua, soffusa. Mi sento costantemente isolato. Un marginale. Quasi come se esistessi solo tra le quattro mura della mia prigione. Il mondo si è dimenticato di me il giorno stesso in cui ho sentito quella porta chiudersi dietro alle mie spalle, e da allora è stato come se la mia vita fosse cessata. Io non sono morto…non ancora, almeno…Ci sono, mangio, bevo, dormo, sogno, parlo, respiro, pur non essendo del tutto vivo. Il mio ricordo non sarà presente nella mente di nessuno se non come quello di un assassino. Hinata ti chiami, vero?-aveva annuito- Hinata, io me ne andrò senza aver conosciuto l’amore. Senza essere stato amato. Senza aver visto altro che non fosse la gabbia che mi preclude ad ogni cosa. Sono qui, ma potrei benissimo non esserci, perché lo sappiamo solo io, tu ed i miei carcerieri. Io sono un morto ambulante, che per chissà quale strano motivo si è ritrovato al mondo e che non vede l’ora di levarsi di mezzo.”
 
Hinata aveva gli occhi pieni di lacrime per la pena e la tenerezza che Gaara aveva suscitato in lei.
In un gesto spontaneo, quasi infantile, aveva allungato la mano per accarezzargli il viso, ma lui si era immediatamente ritratto, ringhiando e assumendo un’espressione di rimprovero.
Aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma lui l’aveva anticipata protendendosi verso di lei, si era allungato sulla scrivania e la aveva afferrata per la nuca con delicatezza.
I loro volti erano così vicini da potersi sfiorare.
Gaara la scrutava con interesse, assorto, inspirando a fondo il suo profumo di iris.
Hinata era a dir poco terrorizzata, in completa balia degli eventi; stava diventando lentamente paonazza.
 
Poi, fulmineo, il ragazzo la aveva baciata con foga, senza darle il tempo di capire cosa stava accadendo, lasciandola del tutto inerme, succube del suo impeto passionale.
Quel bacio stava diventando una lotta tra quei due esseri così diversi, quei poli contrapposti, nella quale si scontravano la purezza di Hinata, che tentava di sfuggire, e la veemenza di Gaara, che desiderava invece possedere quelle labbra piccole e delicate.
 
E infine, senza rendersi conto del come e del quando, se n’era andato, lasciandola nella stanza buia a fissare il vuoto.
Si era portata una mano alle labbra, incredula, poteva ancora sentire la forza esercitata dalle sue, il suo calore, il suo odore mascolino e selvatico.
Aveva chiuso gli occhi, confusa, ed aveva preso le sue cose per uscire al più presto possibile.
Aveva un disperato bisogno di snebbiarsi la mente.
 
S’era rifugiata sulle scale, portando al petto le ginocchia, mentre si stringeva le braccia con le mani, per darsi un po’ di calore.
I capelli disordinati, gli occhi lucidi e le labbra tremanti mostravano il suo sconvolgimento interiore.
Come aveva potuto quel semplice bacio confonderla a tal punto da rendersi a malapena conto di dove si trovava?
Non riusciva a spiegarselo, non aveva mai provato niente del genere neanche con il suo ragazzo.
Come poteva essere?
 
Lei amava Naruto.
Il bambino biondo, sempre sorridente, personificazione vivente del sole.
L’adolescente confuso dai suoi sentimenti, che non sapeva come sfogare il suo dolore.
L’uomo che s’era risollevato, che l’aveva finalmente vista e apprezzata, il suo salvatore.
L’unico che la faceva sentire bene con i suoi baci dolci.
 
Almeno fino ad ora…
 
Era rabbrividita a quel pensiero.
Quel bacio non poteva significare qualcosa per lei.
Lei amava Naruto, non Gaara.
Lui doveva spaventarla, perché era perverso e malvagio, come mostravano i suoi occhi, i suoi atteggiamenti, i suoi precedenti.
 
 
Aveva scosso la testa, come per scacciare quel pensiero irrazionale.
Dopo un po’ s’era alzata, con una parvenza di pace interiore.
Si era diretta verso la sua stanza decisa a continuare, nonostante tutto, il suo lavoro.
 
Il giorno dopo, al consultorio
 
Hinata s’era appoggiata completamente allo schienale, trattenendo a stento uno sbadiglio di stanchezza.
Non era però riuscita a fare altrettanto con un lieve rossore che le colorava le guance, mentre ripensava alla sera prima.
 
Naruto aveva intuito che qualcosa l’aveva scossa durante la giornata, quindi s’era impegnato a fondo per dimostrarle tutto il suo amore: una cenetta romantica (non a base di ramen), parole gentili, minacce di morte per il detenuto che l’avrebbe toccata, e poi…
Le guance erano diventate ancora più rosse.
 
Aveva scacciato via quei pensieri non consoni all’ambiente e aveva chiamato il prossimo paziente.
Però, dopo averlo visto, un brivido le aveva percorso la schiena: era lui.
S’era ripresa rapidamente, cercando di non far vedere quanto l’agitava la sua presenza.
 
“C-ciao Gaara.”.
Il ragazzo aveva risposto con aria indifferente.
“Ciao.”.
 
Erano rimasti per qualche minuto in silenzio, poi lei l’aveva rotto chiedendo:
“Hai qualcosa da raccontarmi oggi?”
Lui era rimasto ancora zitto, poi aveva accennato un sorriso sinistro, facendola rabbrividire un’altra volta.
 
“Sì, una cosa c’è.”.
S’era sistemato meglio e poi aveva cominciato a parlare.
 
“Un paio di mesi fa ho avuto un compagno di cella, che non faceva altro che imprecare contro il destino.”.
Hinata era sbiancata.
 
“Diceva che solo per colpa della sorte non era riuscito a uccidere sua cugina.”.
Hinata era impallidita ancora di più.
 
“Una volta mi ha confessato che ha voluto provarci, perché voleva andare contro la sorte e non rassegnarsi ad una cosa.”.
Hinata aveva sentito la gola diventare secca e un pizzicore agli occhi.
 
“Non riusciva ad accettare di amarla”.
Gli occhi bianchi della Hyuga s’erano spalancati, prossimi alle lacrime, mentre stringeva fino a sbiancare le nocche la sedia.
E mentre ricordava.
 
* Flashback*
Hinata non riusciva né a respirare né a parlare bene.
Troppo forte la presa di lui sulla gola.
L’aveva guardato con occhi colme di lacrime, mentre aveva usato il poco fiato che l’era rimasto per una sola parola.
 
“P-perché?”.
 
Allora Neji aveva stretto ancor più la presa, mentre il suo sguardo colmo di rabbia e follia aveva incontrato quello terrorizzato di lei.
 
“Perché Hinata-sama? Volete davvero scoprirlo?”.
La mente della ragazza aveva cominciato a scivolare nell’oblio.
 
“Perché voi siete un’incapace, una fallita che non è nemmeno capace di essere degna del cognome che porta.”.
I suoi polmoni reclamavano aria.
 
“Perché non può essere che mi sia innamorato di una persona come voi!”.
Il suo mondo si stava tingendo di nero.
All’improvviso la presa era scomparsa, facendola afflosciare a terra.
Prima di perdere completamente i sensi, aveva sentito un’altra voce, non della sua famiglia.
 
*Fine Flashback*
 
Dopo in ospedale, aveva scoperto che l’altro era Naruto, che l’aveva salvata dal cugino.
Da allora era andata a vivere a casa sua, dove il biondino aveva cercato in tutti i modi di cancellare quel ricordo così doloroso.
Però i suoi tentativi, anche se Hinata non lo dava a vedere, erano stati vani.
 
Niente e nessuno le avrebbe fatto dimenticare quella presa gelida al collo, quello sguardo folle che continuava a vedere nei suoi incubi.
Lei semplicemente evitava di pensarci, così aveva raggiunto un equilibrio fragile, ma presente.
Un equilibrio rotto violentemente da quel racconto di Gaara.
 
Questo aveva cominciato a osservarla, con un luccichio di curiosità negli occhi di solito indifferenti.
Poi aveva cominciato a parlare.
“Credo che anche tu sia imprigionata.
La tua stia forse è peggiore, perché è invisibile, come il dolore che serbi nascosto nel cuore.
Quello forma le tue sbarre, non puoi sfuggirgli semplicemente perché non lo vedi”.
 
Era rimasto in silenzio per qualche secondo, con lo sguardo perso nel vuoto, poi aveva ripreso.
“Io ti capisco, sai.”
Negli occhi ancora lucidi di Hinata era apparsa dell’incredulità, ma era rimasta in silenzio, invitandolo implicitamente a continuare.
 
“Mio padre mi ha fatto sempre vivere come un recluso, senza nemmeno farmi vedere i miei fratelli, per non rendere nota l’esistenza di un bastardo in famiglia.
Quando avevo 8 anni avevo un unico affetto, mio zio Yashamaru, che su ordine di mio padre ha –aveva deglutito impercettibilmente- tentato di uccidermi, e per difendermi l’ho ammazzato.”.
 
Aveva abbassato lo sguardo, non notando così l’espressione stupefatta di Hinata.
“L’unico modo che avevo trovato per sentirmi vivo era uccidere, sentire l’adrenalina della caccia.
Ma da quel giorno non sono più riuscito a dormire.
Perché so che, se sognerò, rivedrò lo zio quella sera.”.
 
Gli occhi di Hinata si erano riempiti di lacrime, sentendo dentro di lei il peso opprimente e angosciante delle parole di Gaara, sia di quelle rivolte a lei sia quelle della sua storia.
Anche se l’aveva fatta star male con il suo racconto su Neji, non aveva potuto fare a meno di allungare la mano come il giorno prima.
 
Però questa volta il rosso non s’era ritratto, anzi, aveva accettato con piacere quel contatto, che aveva cominciato a indugiare sul viso pallido del ragazzo.
Obbedendo a qualcosa dentro di lei che andava contro la ragione, Hinata gli s’era avvicinata sempre più, fino a trovarglisi di fronte.
 
Gaara aveva aperto gli occhi, che non erano più di un freddo assassino, ma di un ragazzo cosciente di non essere mai stato amato.
Ed aveva accorciato la distanza fra i loro volti, così vicini da riconoscere il reciproco profumo.
 
Poi l’aveva baciata di nuovo, ma in un modo completamente diverso.
Il giorno prima quel bacio era stato passione, conflitto tra due spiriti completamente opposti.
Invece ora era dolce, corrisposto, simbolo dell’unione tra due prigionieri alla ricerca di una via di fuga.
 
Dopo un po’ s’erano separati, e lei aveva poggiato la testa sul suo petto, ascoltando il cuore di Gaara che finalmente, dopo tanto tempo, batteva un po’ più forte.
Dopo un po’ lei aveva tentato delicatamente di sciogliere dall’abbraccio che l’aveva avvolta.
“I-il consultorio è finito, d-dobbiamo andare via.”.
 
Lui l’aveva lasciata,senza dire una parola.
E l’aveva osservata mettere a posto le sue cose, riporle nella borsa, arrossire quando percepiva più chiaramente i suoi sguardi.
“A-allora ciao.”.
 
Aveva fatto per uscire, ma s’era fermata alla sua voce.
“Promettimi.”.
“Cosa?”.
“Che prima di morire di rivedrò.”.
 
Lei gli aveva sorriso.
“Lo prometto.”.
Poi era uscita dalla stanza, cosciente di aver capito finalmente una cosa.
 
Lei non amava Naruto.
Almeno non più.
Naruto aveva fatto tanto per lei, e gli voleva molto bene, ma non bastava.
 
Gaara era semplicemente la sua metà perfetta, colui che la completava.
Due persone uguali ma opposte, prigionieri nati per fuggire insieme.
O, più semplicemente, yin e yang.
 
 
Un mese dopo, ore 20:00
 
Hinata si diresse decisa verso la guardiola.
Doveva dire una cosa a lui.
 
“N-Naruto-kun?” aveva mormorato con un filo di voce.
 
Il ragazzo si era voltato improvvisamente, sorridendole.
“Hinata-chan! Hai finito?” la ragazza aveva annuito, cominciando a strapparsi le pellicine dalle dita, nervosa.
 
“A-avrei bisogno di..di…s-sapere che p-pena deve scontare q-quel ragazzo, Ga-Gaara…” la maledetta balbuzie la faceva incespicare mentre cercava concitatamente di scandire le parole in modo chiaro.
 
“Ah quello, il matto…Deve essere giustiziato proprio domani, alle 06:09 di mattina per omicidio.”
 
Gli occhi di Hinata si erano riempiti di lacrime, il suo cuore aveva mancato un battito.
 
“C-ci sono dei punti da chiarire r-riguardo a lui…m-mi serve il suo p-portfolio e tutta la documentazione.”
 
Naruto aveva aperto un cassetto dell’archivio e ne aveva tirato fuori una cartellina, perplesso.
 
“Spero solo tu sappia quel che fai…” le aveva detto, guardandola: era stranamente turbata.
 
Senza rispondere, la ragazza era corsa via, la testa affollata di idee in disperata ricerca di un piano per salvare il suo amato.
Una volta a casa, aveva indossato il pigiama, raccolto i lunghi capelli in una coda alta e, munitasi di blocco, penna e matita si era messa a lavorare al “caso Gaara” con una foga ed una concentrazione tali che, quando il suo fidanzato era tornato a casa, lei non se ne era nemmeno resa conto, ma aveva continuato a scervellarsi sul come riuscire a trovare un alibi inoppugnabile, una motivazione che potesse coprire e giustificare a 360° i delitti atroci di quel ragazzo.
Naruto aveva più volte tentato di aiutarla, di capire che cosa avesse, cercando di risollevarle il morale, senza rendersi conto che la sua presenza più che aiutarla la metteva in angoscia.
Come dirglielo? Come poteva fargli capire che non era più lui ad occupare i suoi sogni? Come spiegargli che di notte si svegliava improvvisamente, sperando che quello steso accanto a lei fosse quell’assassino, mentre puntualmente scopriva che era solo lui?
Alla fine, si era alzata, indispettita dal quel comportamento tanto infantile,e si era messa a letto, rileggendo la mappa concettuale che aveva buttato giù.
Il sonno cominciava ad avere la meglio sui suoi occhi affaticati quando, improvvisamente, le era balenata in mente la soluzione per salvarlo.
Dopodiché, si era addormentata, domandandosi con quale coraggio avrebbe fatto la sua comparsa il giorno dopo.
 
La sveglia aveva suonato alle 05:00 e sia Naruto che Hinata si erano svegliati.
Lei aveva nascosto il viso nel cuscino, angosciata alla sola idea di quello che la aspettava.
Lui invece si era alzato sorridente ed era tornato dopo qualche minuto, portandole un bicchiere di latte, una ciotola piena di fragole ed una brioche, schioccandole un tenero bacio sulla fronte.
Hinata si era limitata ad abbozzare un sorriso ed aveva mangiato silenziosamente.
Poi Naruto, indossata l’uniforme, si era preparato ad andare.
 
“Ci sarai anche tu stamattina?”le aveva chiesto.
 
“Sì, devo avere un consulto con Gaara prima che venga …” la parola giustiziato le era morta in gola, era a stento riuscita a trattenere un impeto di pianto.
 
Si era alzata ed aveva indossato un vestito nero, lungo fino alle ginocchia, e dei tacchi di vernice.
Naruto era uscito prima di lei, lasciandola sola con le sue riflessioni.
 
“Dipende tutto da te. Se taci, lascerai che venga ucciso. Lo abbandonerai anche tu in quel modo. Sarai anche tu colpevole della morte di Gaara. Ma soprattutto…
 
Avrai sulla coscienza l’uomo che ami.”
 
Era uscita, rendendosi conto che era in ritardo.
Non sarebbe mai riuscita a parlare con Gaara prima dell’esecuzione, perciò l’unica cosa che le restava da fare era andare dritta nella sala della sedia elettrica.
 
Correva  Hinata…
 
Si faceva strada tra i corridoi freddi della prigione, piangendo senza sapere esattamente perché, andava dritta verso quello che sarebbe stato il suo momento cruciale, l’attimo in cui avrebbe fatto probabilmente la cosa migliore della sua esistenza: salvarlo.
Quando era entrata nella sala sbattendo le grandi porte antincendio gli occhi degli spettatori, dei carnefici e, naturalmente, della vittima si puntarono su di lei.
Hinata poteva sentire il suo cuore galoppante salirle in gola, la tensione si era completamente impossessata di lei, si sentiva quasi prigioniera in quella cornice subdola di sguardi torvi e sgomenti che si erano concentrati su di lei.
Aveva deglutito, poi, facendosi mentalmente coraggio, aveva percorso la stanza a grandi passi ed era salita sul basamento di legno dove stavano in piedi, fieri, i secondini ed il direttore del carcere, pronto ad abbassare la leva che avrebbe determinato la morte o la vita di Gaara, seduto con la testa reclinata sullo strumento di tortura.
I loro occhi si erano incrociati.
Quella che sembrava una volpe ferina e selvatica in quel momento era là, ammansita, alla mercé di quella schiera di cacciatori senza scrupoli.
Tutto attorno a lei si era fatto il silenzio più assoluto, in attesa che parlasse.
E lei si sentiva come qualcuno che fa un commento sbagliato ad una riunione di famiglia.
Poi, si era ricordata di “quel” bacio, di quelli che erano venuti a seguire, e di quell’insano desiderio di riceverne altri, altri ed altri ancora.
Così, aveva preso la parola e, nonostante il timore di balbettare e la voglia di scappare via, aveva iniziato il suo discorso.
 
“B-buongiorno a tutti.-si era mentalmente obbligata a non balbettare- Sono Hinata Hyuuga, e in qualità di responsabile del consultorio e referente psicologica del qui presente detenuto, ho da addurre un’attenuante. Questo ragazzo è mentalmente infermo…non ha la percezione del peso delle sue azioni e, di conseguenza, è soggetto ad uno sdoppiamento tra un’indole feroce ed una remissiva. Non è da condannare, ma da sottoporre ad un’accurata terapia psichiatrica e ad un ciclo di sedute di terapia individuale. In virtù di quanto appena detto, rimetto la decisione al signor Direttore, sicura di una scelta giusta e ponderata, nel rispetto dell’inviolabile diritto alla vita.”
 
Lentamente si era cominciato a levare un brusio nella sala, scaturito dalle parole della ragazza, che ora si era rintanata nell’ombra, sconvolta lei stessa di esser riuscita a fare un discorso filato, senza incespicare né interrompersi.
 
“Liberatelo.” Aveva sentenziato l’uomo, e subito Naruto ed un altro ragazzo avevano sciolto le cinghie di pelle che legavano Gaara.
 
Si era alzato e le era andato incontro incredulo. Una volta davanti a lei, era crollato in ginocchia e si era limitato a fissarla, pieno di riconoscenza, sconcerto e commozione.
Hinata si era chinata e lo aveva abbracciato, timidamente, poi lo aveva aiutato a rialzarsi, ritrovandosi davanti gli sguardi confusi di tutti i presenti.
 
“Hinata-chan, perché lo hai fatto?” aveva chiesto Naruto, prendendo la ragazza per un braccio.
 
“P-perché io…io…io lo amo.”gli aveva risposto lei, addolorata, protendendo le braccia verso il biondo, che però le aveva scansate, abbassando lo sguardo.
 
“Ecco cos’avevi..”
“Mi…mi spiace, i-io…”
“Per favore, non dire nulla. Io ho svolto il mio ruolo, ho fatto quello che era in mio potere, ma è ora che io mi ritiri dalla scena. Sappi che hai in me un amico ed un sostegno, sempre. Io amo te, ma non posso costringerti a ricambiare. Perciò vai, Hinata-chan, vai e spiega le tue ali.”
 
Le lacrime scendevano silenziose lungo le guance pallide della ragazza.
 
“N-Naruto..” aveva detto con un filo di voce.
“Sei stata fantastica.”aveva ribattuto lui, asciugandole il viso con la mano, per poi andarsene via dalla sala mestamente.
 
Gaara ed Hinata si erano poi allontanati, finalmente liberi di varcare la porta di quel carcere insieme.
Ed una volta fuori, avevano entrambi compreso che non sarebbero mai più rientrati lì dentro.
 
“Quindi ora…sono libero?” aveva domandato il rosso, emozionato.
“No, Gaara. Ora sei vivo!” gli aveva detto lei, il viso illuminato da un sorriso nuovo.
 
Perché molto spesso il vivere coincide con l’amare…


Spazio di Lady e Baby
Speriamo che vi piaccia! ^_^
Questa one-shot è arrivata seconda al concorso a coppie indetto da Sae e memi.
Abbiamo scelto come temi gabbia, libertà e 06.09.
Ci congratuliamo anche con le prime, HopeToSave e Kiara_chan, e con le terze, MillyMalfoy e WishfulThinking ^^
Recensite in tanti ^^

Lady (hinata hyuuga) e Baby (Talpina Pensierosa)

  
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