Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Briseis Sophie J    11/02/2014    0 recensioni
Mi presento: salve a tutti! Sono Sophie J. Ma potete chiamarmi solo Sophie.
Inizierò col dirvi che non ho mai fatto nulla di simile, ovvero mettere a nudo le mie riflessioni, le mia esperienza circa frammenti della mia vita.
Tutto quello che troverete è assolutamente, totalmente e inequivocabilmente autobiografico.
Leggerete la crudezza della mia vita, di cui io sarò l'ironica e leggermente bisbetica voce narrante.
Ho fatto un sunto delle esperienze significative della mia vita e ne ho fatto una sorta di diario.
Perciò, buona lettura! ( se si può definire tale)
Spero che ci sia qualcuno li fuori a leggere quello che scrivo.
Se c'è, datemi un segno.
Anche piccolo.
E ve ne sarò grata.
Grazie di perdere qualche minuto del vostro prezioso tempo per stare a sentire i deliri di un'anima sofferente, ma che non molla.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1. ORPHANAGE

 

Bene gente! Dunque, da dove comincio? 

Volevo, prima di trattare tutti i temi che mi stanno più a cuore, trattare quello più significativo di tutti, ovvero il periodo che ho trascorso nell’orfanotrofio di Belo Horizonte, in Brasile. 

Credo che sia effettivamente una delle cose più importanti della mia vita.

Inoltre volevo ricordare mia madre, che non smetterò mai e poi mai di ringraziare per le scelte che fece per me e per i miei fratelli, finché poté. 

Se c’è un eroe, a cui voglio dedicare questo capitolo, è lei e lei sola.

Il periodo descritto è fondamentale per capire tutto quello che verrà dopo.

Non è un inno alla compassione e credetemi l’ho fatta anche breve, ma non mi sembrava giusto troncare tutti i legami con il mio passato, non sarei stata me stessa, se lo avessi fatto.

Vi prometto che i capitoli seguenti saranno molto più allegri e molto più piacevoli, ma non ho trovato nulla di divertente da dire in questo. 
Briseis Sophie J

La canzone giusta per questo capitolo é un mix di "Dear Mama" di 2Pac, di "Hey Mama" di Kanye West, di "Ghetto Gospel" sempre di 2Pac, di "Happy Birthday" dei Flipsyde e qualsiasi canzone triste esistente al mondo.

 

 

 

A mia madre

 

 

 

Non ho chiari ricordi di quando ero piccola.

Stavo ancora in Brasile. É stato prima dell'adozione. Prima dell'Italia e dei patimenti che ho sopportato anche qui.

Ho come la mente annebbiata per un certo periodo. Come se per far posto ai nuovi ricordi, la memoria avesse premuto il pulsante "DELETE", lasciandosi dietro questa foschia, in cui intravedo solo sagome.

Gli unici ricordi della mia infanzia in quel periodo sono quelli di mia madre, i miei fratelli ed io spiaggiati su un divano di terza, o forse anche quarta mano. Mi ricordo che non avevamo letti personali e che dormivamo tutti in un grande letto matrimoniale. Quando qualcuno si faceva la pipì addosso, era sempre un dramma. 

Non ho molti ricordi di mia madre. Di sicuro era una forte madre single, che si era accollata il peso di tre figli.

La ammiro per questo. 

A volte noi figli non ci rendiamo conto di quanto sia costato ai nostri genitori, in termini di fatica e denaro, tirarci su.

Comunque eravamo veramente troppi per una donna sola, così mamma fece l'unica scelta che, una donna nelle sue condizioni, potesse fare.

Ci portò nel primo orfanotrofio.

Dico nel primo, perché é ovvio che dopo ne seguirà un secondo. Ma per me é importante specificare: era l'unico, abbastanza vicino a casa, in cui mamma potesse venirci a trovare, pagando il biglietto dell'autobus. 

Dopo quello non la vidi mai più. 

Nel primo orfanotrofio ebbi una vita pressoché felice. Ci trattavano bene, mamma ci veniva a trovare ogni weekend, portandoci un bel po' di cibo spazzatura per farsi perdonare di non esserci sempre.

Io e i miei fratelli, come tanti altri bambini, avevamo preso i pidocchi ,così ci rasarono la testa a zero.

Mi fece impressione essere senza capelli. Mi sembrava di aver perso una parte di me. Mi sentivo costantemente nuda e sentire il vento sferzarmi la testa, mi dava i brividi.

Lo dissi a mamma e lei, la settimana seguente, ci portò dei capellini.

Sempre in quell'orfanotrofio mi fecero anche i primi buchi nelle orecchie.

Ne fui felice. Così non ero solo uno dei tanti bambini dell'orfanotrofio, ma ero la bambina con gli orecchini.

Non l'unica, ma di sicuro mi distinguevo dalla massa.

 

Adesso viene la parte spinosa. 

 

Un giorno fummo messi su un un furgoncino scassato e fummo portati nell'altro orfanotrofio. 

Vi ricordate cosa vi ho detto all'inizio? Beh, lo ripeto. 

Non vidi mai più mia madre.

Ricordo che il giorno prima, era venuta in lacrime a portarci i soliti sacchetti di patatine. Io ero troppo piccola per capire che mi stava dicendo addio, che mi stava abbracciando per l'ultima volta.

Se sapessimo che stessimo per perdere qualcuno, faremmo in modo di gustarci appieno ogni secondo trascorso con loro, ma io ero una bambina e non potevo capire, troppo intenta a scartare il nuovo regalo.

 

Durante il viaggio sia io che T e K piangemmo da morire.

Avevamo capito tutto. Non ci volevamo andare in quel nuovo posto, sconosciuto. Non avevamo più nessuno, se non noi stessi, e avevamo molta paura del futuro.

La tipo seduta davanti, che doveva essere l'assistente sociale, ci rassicurava e ci diceva che sarebbe andato tutto bene, ma non lo potevamo sapere. 

E in ogni caso, le sue parole non ci confortavano affatto.

In quel momento odiai mia madre. Pensavo che ci avesse abbandonato. Che non ci volesse più.

Con il senno di poi, non posso che ringraziarla, con il cuore in mano, per quello che ha fatto: ci ha salvato la vita. 

In Brasile i bambini non hanno molte possibilità: o finiscono ammazzati dai poliziotti per strada, o usati per il traffico di organi o in orfanotrofio. 

Almeno, vi parlo di quando ci stavo io, 12 anni fa.

 

Nel secondo orfanotrofio, vissi uno dei periodi più brutti della mia vita.

I ricordi di quegli anni mi sono chiarissimi.

Perfino T, che era molto piccolo, se lo ricorda.

 

C'è così tanto da dire che mi soffermerò sui punti salienti.

Ci svegliavamo molto presto alla mattina, come se fossimo in un lager, e non scherzo quando lo dico.

La colazione era scarsa, avevamo bisogno di cure mediche, ma sembrava che a loro non gliene fregasse niente di noi. 

Prendevano un sussidio statale per mantenerci, ma noi, se c'era, non ne abbiamo mai beneficiato.

Eravamo magrissimi. Avevo sei anni e dovevo lavorare come un adulto. 

Ci mandavano a raccogliere le banane. Voi non avete idea di quanto alti siano quegli alberi, e noi dovevamo fare tutto senza l'aiuto di nessun macchinario. Ci arrampicavamo su e buttavamo i caschi di banana giù. 

Dovevamo farlo oppure avremmo continuato a mangiare solo latte con ceci a colazione e a cena, sicché non c'era il pasto intermedio.

Lavoravamo al mantenimento dell'orfanotrofio. Lavavamo i pavimenti, i cessi, le docce, le cucine. Spazzavamo il pavimento, davamo da magiare ai maiali, tagliavano con un falcetto l'erba alta, in cui, mi si diceva, si trovavano serpenti velenosi.

Mi dissero che erano morti un paio di bambini anni prima, a causa dei morsi velenosi, ma che l'orfanotrofio non aveva voluto pagare le cure mediche necessarie, né tantomeno portarli in ospedale, dove sarebbe venuto a galla le condizioni in cui ci tenevano. 

 

Quando venivano gli ispettori della sanità a vedere in che stato si trovasse la struttura dal punto di vista igienico, ci mettevano in fila indiana, schierati, tutti belli e profumati per fare bella figura.

E quando questi se ne andavano, tornavamo ad essere le bestie da lavoro di prima.

 

Il periodo più bello era pasqua: qualche anima pia donava delle uova di cioccolato da regalarci e così, almeno in quell'occasione, non pensavamo più alle fatiche e ai piedi pieni di calli, stretti nelle ciabattine di plastica che non erano quasi mai del nostro numero.

 

Una delle occasioni che odiavo di più, invece, era quella delle vacanze natalizie: ci mandavamo presso delle famiglie agiate, senza figli, che durante natale volevano fare un'opera di bene. Ci accoglievano nelle loro case. Ci davano da mangiare e un letto caldo, giochi e televisione per una settimana, a volte anche meno. Ci facevano sentire a casa. E ci facevamo sperare che avremmo sempre vissuto così, che ci avessero definitivamente adottato.

Ma poi alla fine delle feste, ritornavamo di nuovo ognuno alla propria vita. E ti ritrovavi rigettato nella cruda realtà, dove nessuno ti diceva dolci parole, ma solo ordini secchi, privi di qualsiasi emozione. 

Dopo un paio di volte, decisi di non andarci più, è decisi che nemmeno i miei fratelli ci sarebbero più andati.

Faceva troppo male, vederli tornare felici, prima che si rendessero conto che era tutta una messinscena. Che quelle stesse famiglie, che ci avevano ospitato in quell'anno, non sarebbero state le stesse dell'anno successivo. 

Di sicuro l'orfanotrofio ci faceva una bella figura: sembrava sinceramente impegnato a favorire la felicità di noi orfanelli, ma la realtà era un'altra. 

 

Tanto per citarvi un episodio dell'efferata crudeltà a cui eravamo sottoposti, T un pomeriggio venne da me in lacrime, dicendomi che le avrebbe prese, che gliele avrebbero date di nuovo.

Aveva perso le ciabatte, mentre raccoglieva le banane. O più probabilmente, un altro bambino che le aveva perse a sua volta, per sfuggire alla punizione, aveva preso le sue.

Non c'è nulla di male in questo. Quando le prendi tutti i giorni, é normale volersi sottrarre ad una punizione ingiustificata, tanto più quando sai che l'orfanotrofio non vuole spendere un soldo in più per te, avido e corrotto com'è.

 

Gli diedi le mie. Gli diedi le mie ciabattine e mi preparai mentalmente. 

Poco prima del tramonto venimmo tutti riuniti nel cortile. Fui sollevata nel vedere che non ero l'unica a non avere le ciabattine. Ma la mia gioia svanì subito.

Noi, sfortunati, fummo portati in un angolo del cortile e la direttrice e un suo assistente ci diedero tante di quelle cinghiate che cominciammo a sanguinare. Non ci avevano ferito, ma la cinghia di cuoio aveva colpito così duramente da spellarci.

Anche T le ha prese. Solo K non le ha mai prese grazie a Dio. Nè ha mai dovuto lavorare.

Era troppo piccola.

 

Avevo otto anni quando l'inferno finì. Il giorno in cui ci vennero a prendere i nostri genitori.

Che é il giorno più felice della mia vita.

Non potete capire cosa significa svegliarsi e dirsi: " Io morirò qui." 

Era la nostra prigione, il nostro incubo, e più crescevamo e più capivamo che non ce ne saremmo mai andati di li. 

Purtroppo alle famiglie piacciono i bimbi piccoli, quelli da coccolare e viziare e da tirare su, dando loro l'educazione che vuoi che abbiano, ma che ne é di quelli grandi? Non hanno anche loro bisogno di una possibilità?

Si adotta difficilmente un ragazzo adolescente perché si sa che il suo carattere é già formato e che crescerlo sarà difficile.

 

Mi ritengo una sopravvissuta, una fortunata, una salvata. 

Ora conduco una vita piacevole, ma ho 20 anni, il che vi fa capire che ho ancora molto da mettere giù.

Non é stato facile. 

Non credevo che ce l'avrei fatta a tagliare questo traguardo, ma posso andare fiera di me, dei miei genitori, che amo moltissimo e dei miei fratelli che sono venuti su forti come non mai.

Siamo i tre moschettieri, i tre fratelli, i tre leoni. 

Noi uniti nel sangue, come nelle passioni.

Noi inseparabili combina-guai.

Noi contro tutte le avversità.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Briseis Sophie J