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Autore: Cesca91    12/02/2014    2 recensioni
Dopo la fine della quinta stagione di Squadra Antimafia, ho pensato di ingannare l'attesa per la nuova stagione scrivendo un seguito della storia per chi, come me, sta immaginando e costruendo momenti e scene nella propria testa. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi, premettendo che sono una fan della coppia Rosy - Domenico quindi la mia storia si concentra principalmente su loro due, MA NON SOLO ;) Buona lettura!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera a tutti :) scusate se vi faccio aspettare così tanto per un nuovo capitolo ma sono in periodo di esami all'università, appena sarò più libera cercherò di pubblicare molto spesso ;) inoltre dal prossimo capitolo ci saranno grandissime novità inimmaginabili, spero di stupirvi! Buona lettura e grazie a tutti voi che leggete sempre :) Cesca. 

17. Giochiamo?
 
- Oggi ci muoviamo verso la meta, lo vedete questo? -, afferma De Silva rivolgendosi alle due donne della sua squadra e indicando con l’indice della mano destra una distesa immensa di terreno, raffigurata su una carta geografica appesa al muro.
- Il terreno dietro l’ospedale?
- Sì, Rachele. Qui faremo nascere un impero.
- E oggi che giorno è? Che cosa succede di importante?
- Rosy, Rosy… Non lo sai che le domande le faccio io?
- Io non ci sto più al tuo gioco, me lo vuoi dire o no dove vuoi arrivare?
- Che cosa ci guadagni?
- Vuoi il mio aiuto?
- Forse non ti è chiaro che sono io che sto aiutando te. O preferivi stare dietro le sbarre, Abate?
- E’ indifferente, so imporre il mio potere ovunque vado.
- Ma con me non l’avrai vinta.
- Non mi importa vincere contro di te. Vuoi costruire il tuo impero? Allora spiegaci su quali basi.
De Silva fissa alcuni istanti Rosy, poi sposta lo sguardo su Rachele, come se guardandole attentamente potesse capire quanto può fidarsi di loro. Del resto non ha scelta, il nome dell’Abate è una garanzia sicura in Sicilia e Rachele gli serve sul campo a combattere.
- Cocaina. Pura, finissima. Ci arriva direttamente dalla Russia e faremo in modo di diventare i principali venditori dell’isola e del meridione.
- Sì, ma come pensi di farla arrivare fin qua superando i controlli?
- E’ semplice. Il centro commerciale di cui ti ho parlato. E’ una roba pulita, tranquilla. Ci sarà un negozio di giocattoli… Venderemo matriosche, di tutti i tipi, di tutte le forme. Matriosche russe originali. Saranno il nostro mezzo di trasporto.
- Vuoi far arrivare la cocaina nei giocattoli dei bambini? -, Rosy lo fissa sconcertata, con un sorriso sarcastico dipinto sul viso, le sopracciglia come ali di gabbiano, i capelli tirati con leggerezza da un lato andando contro il verso della vertigine.
- Loro dispongono le misure, noi le osserviamo.
- Quindi lavoriamo per qualcuno.
- Qualcuno di importante.
Rosy annuisce, quindi tira fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e lo porge a Rachele che, incerta, ne prende una. Ha la faccia di chi non ha mai avvicinato le labbra alla nicotina, ma ci prova per gusto, forse per impegnare i tempi morti in cui le mani non incontrano un’arma da puntare contro il viso di qualcuno. Gira la sigaretta fra le dita, in attesa che Rosy le porga anche l’accendino. Solo che la regina di Palermo si allontana persa fra le sue cose e i suoi pensieri, come chi ha deposto la corona per fare spazio ad un regnante più grande e capace di lei. E ogni minuto della giornata si chiede se stia facendo la cosa giusta, se non sarebbe più accurato sventolare bandiera bianca e chiudere i polsi fra le manette, chè tanto a fare giustizia fra siciliani, russi e affiliati ci pensa di sicuro Calcaterra. Calcaterra. Chissà dov’è oggi. Si avvicina alla finestra che, dal casale, offre un’immagine piccola e lontana di Catania e butta il suo pensiero fra le cose, le case, le persone che si scambiano l’ossigeno fra le strade di una città mai pronta al peggio. Chissà dov’è, oggi, Calcaterra. Non si vedono da dodici giorni. Rosy ha imparato a contarli, dall’ultima volta che si sono visti. Da quando si sono incontrati a casa sua e lui le ha lasciato sulle labbra il sapore dello stare bene. Ha provato a non lavarsi l’anima, da quel giorno, per lasciare indelebile sul cuore l’odore dei suoi baci, per continuare a vedere davanti ai suoi occhi la paura mista alla gioia di un uomo che fa battere i cuori a tante persone, soprattutto quando punta loro contro una pistola, pronto a scaricare proiettili e a fare la giustizia. Come faceva con lei, a volte, quando si sorprendevano sull’orlo delle circostanze e poi abbassava l’arma, chè tanto Rosy non lo avrebbe sparato e lui altrettanto. Ci ha pensato Cupido a spararli a dovere. Sul cuore, con le sue frecce micidiali.
- Oggi cominciano i lavori di costruzione, se tutto va bene nel giro di un mese il centro commerciale è in piedi -, Rosy si avvicina a De Silva, richiamata dal suono delle sue parole che arrivano dritte all’orecchio di una distratta Rachele e, più deboli, alla sua mente appoggiata alla finestra.
- Un mese? E’ impossibile.
- Niente è impossibile. Avremo una ditta che lavorerà al progetto giorno e notte, intanto fisseremo gli ultimi accordi con i russi.
- Chi c’è a capo di tutti questi movimenti?
- Un pezzo grosso.
- Mh. E nel frattempo che la costruzione avanza? Noi che facciamo, stiamo chiusi qua dentro a guardarci in faccia?
- Che c’è, Abate, questo spazio ti sta stretto? Vuoi agire?
- Non ho tempo da perdere.
- E dove devi andare? Piuttosto tu, come ti stai muovendo col nostro sbirro? -, sentenzia lo stregone rivolgendosi ad un’assente Rachele che continua a giocherellare con la sigaretta spenta fra le dita, molto poco interessata allo scambio di provocazioni fra il suo capo e l’Abate.
- Nulla, si era detto di aspettare, no? Me lo dirà Rosy quando agire.
- Rosy? E’ a me che devi dare retta.
- Ma lei è una donna e sa come comportarsi.
- Una donna, figuriamoci… State attente a quello che fate, voi due. Alla prima cazzata siete fuori dai giochi.
De Silva si allontana con i suoi progetti nella testa e la sete di potere fra le labbra, di chi guarda fisso all’obiettivo che ha puntato e non ce n’è di diversi. Se solo sapesse cosa si muove alle sue spalle, inizierebbe ad avere paura anche lui, una volta tanto.
- Che ne dici di oggi? -, incalza inaspettatamente Rosy, rivolgendosi a Rachele.
- Oggi?
- Sì, lui non si aspetta nulla, pensa che tu sia tornata in Calabria alla tua vita. Invece ti fai trovare fuori dal suo ufficio e lo stupisci.
- Non sappiamo nemmeno i suoi orari, che turni fa oggi.
- Calcaterra è uno che lavora sempre, non ci sono problemi di questo tipo con lui.
- Lo conosci molto bene.
- Purtroppo ho avuto questo piacere.
- Com’è a letto? -, Rosy sbarra gli occhi, quella ragazza ancora giovinezza e inesperienza ha toccato un punto debole, un tallone d’Achille. La sua vita privata è solo sua e tale resta.
- E a te che t’interessa?
- Così, giusto per sapere come comportarmi. Non ti dà mica fastidio se ci provo, vero?
- Che me ne importa.
- E se ci fosse qualche altra donna attorno a lui o nel suo cuore?
- Calcaterra non è uno che si lega, non fa spazio ai sentimenti.
- Sembra uno duro.
- Lo è, ne ha subite tante.
- Ma sei dalla sua parte? Perché sembra quasi che ci sei ancora legata, in qualche modo.
- Ma tu come ti permetti, eh? -, Rosy si avvicina di scatto alla sua amica nemica, puntando il suo viso a pochi respiri dal naso di lei. - Tu nemmeno mi conosci, che minchia vuoi da me? Attenta a come parli, ragazzina, posso diventare anche molto cattiva.
- E’ che quando parli di questo sbirro ti scaldi troppo facilmente, quindi volevo capire se me ne posso innamorare senza fare un torto a te.
- A lui non piacciono i criminali…
- Non si direbbe.
Rachele congeda Rosy con un sorriso sarcastico, quindi le dà le spalle e se ne va. Lei rimane lì, immobile come chi ha affondato i piedi nelle sabbie mobili e non c’è via di scampo. Sente che sta andando sempre più a fondo, ogni giorno un po’ più giù. Lei, che vince sempre tutti, è ancora più vicina alla sconfitta. Prima o poi qualcuno farà scacco matto alla regina e a perdere la testa sarà proprio lei. E allora sarà troppo tardi per qualsiasi cosa, anche per estrarre la spada e sfidare i cavalieri avversari, tutto quanto per salvare la vita al re. Il suo re.

- Sì, Sandro, voglio che teniamo d’occhio tutta questa zona, qualsiasi movimento può essere… Scusami un secondo…
Domenico intravede fra le mura della Duomo una faccia conosciuta, il cuore inizia a battere forte in petto. E’ tornata. Lascia le carte nelle mani del suo collega che lo guarda incredulo, quindi avanza verso di lei mostrando sul viso il più bello dei sorrisi. Uno di quelli che lui ha sempre riservato per le persone speciali.
- Nadia!
- Poliziotto, ciao!
- Che… Che cosa ci fai da queste parti?
- Te l’avevo detto che sarei tornata.
- Non mi dire che ti hanno derubata ancora!
- Di sicuro avrei saputo dove andare, questa volta.
- E invece hai scelto il posto giusto, sono contento di rivederti.
- Anche io. Ma ti disturbo? Stai lavorando?
- No, niente di importante.
- Allora mi offri un caffè?
- Anche due. Aspettami qua, prendo la giacca e andiamo.
Domenico recupera i suoi oggetti, quindi a passo svelto lascia la Duomo sotto lo sguardo vigile ed ecografo dei suoi colleghi, che vogliono capirci di più e vogliono capire con quanta costanza il cuore di Calcaterra sia legato a quella donna dagli occhi belli quasi quanto i suoi.
- Certo che Calcaterra fa presto ad impegnarsi…
- A quanto pare. Ma non te la prendere, non è uno che si lega, lui -, incalza Sandro di tutta risposta ad una risentita Lara, che osserva la scena di quella coppia allontanarsi in macchina verso la terra della felicità, inconsapevole di quale sia la verità.

- Allora, dove mi porti? Fammi conoscere questa bella Catania, dai.
- Prima dimmi cosa ci fai da queste parti.
- Ma te l’ho detto, sono venuta per te.
- Soltanto per me?
- Se sono venuta fin qua, non è soltanto per te. Significa che mi andava di rivederti.
- Quanto tempo ti fermi?
- Mah, non saprei, un paio di giorni, forse qualcosa di più. Sono ospite da un’amica, quindi posso stare un po’.
- Hai tanti amici qui a Catania.
- Mi faccio voler bene facilmente.
- E come fai?
- Ho le mie tecniche segrete.
- Potresti mostrarmele…
- Andiamo a casa tua? -, incalza frettolosa lei. Domenico impallidisce, perché la sua casa è solamente sua. Conserva ricordi, odori, scatti rubati. Anche baci rubati. Osserva Nadia per alcuni secondi, cerca dietro il suo dolce sguardo la Rachele di cui gli ha parlato Rosy, mentre il semaforo rosso mette in pausa la sua corsa verso una meta che non ha sapore, non ha colore. Non c’era scritto nel giuramento che, per fare giustizia e applicare la legge, dovesse finire a letto con una qualsiasi. Non c’era scritto neppure che dovesse provare qualcosa per una criminale e finire a letto con una seconda criminale, per salvare la vita alla prima. Non c’erano scritte tante cose, in quel giuramento dell’arma. Non gliel’aveva detto nessuno che le cose fossero così difficili, che in fondo la vita era tutta in discesa quando si buttava a capo fitto nelle cose senza intenzione, senza fare progetti. Chè quando ti inizi a legare diventa un casino. Vedi quel paio di occhi bellissimi davanti a te in ogni istante, ogni momento della giornata. E quanto più sai di non trovarli, più li desideri, li brami, li cerchi negli altri. Come quando perso in mezzo alla folla ti sembra di rivedere esattamente chi speravi e ti colpisce forte un calcio allo stomaco. E’ quello il biglietto da visita dell’amore, è la mano destra che porge alle persone quando si presenta.
Domenico butta il suo sguardo fra le macchine attorno, i passanti al semaforo, la gente sui marciapiedi. Un cappuccio in testa attira i suoi occhi più di tutto il resto, cerca Rosy al di là di tutto e tutti, la cerca anche dove non potrebbe mai stare perché sarebbe infinitamente pericoloso. Poi verde, quindi riparte lasciando che la mente si consumi nella velocità che l’auto prende sull’asfalto, quasi a consumargli i pensieri e i sentimenti. Corre forte fra la città che continua la sua vita, senza chiedersi dove voglia arrivare lo sbirro, cosa pensa di ottenere cedendo alle lusinghe di quella donna dalle confuse identità e cosa Rachele si aspetta di trovare fra le sue carte, le sue cose o le sue giornate.
- Aspetta un attimo qui… -, Domenico lascia la ragazza ad aspettarla fuori dalla porta del suo appartamento, quindi raccoglie le carte delle sue indagini e le foto seminate in giro di Rosy e Leo e nasconde tutto sotto i cuscini del divano, poi le fa cenno di entrare.
E’ un gioco di istanti, sono abiti che volano via senza farsi domande, corpi che si sfiorano nelle stanze che hanno conosciuto l’amore, quello vero. E’ un gioco di sudore, di amara finzione, di doppi intenti. E’ un gioco e basta. E lo sa Domenico, mentre le sfiora i capelli e tutto quello a cui riesce a pensare non ha niente a che fare con i suoi occhi o i suoi piccoli seni. Non gli importa niente, non guarda niente, non sente niente. Ha lo sguardo spento, l’anima triste di chi si addormenta fra le braccia sbagliate dopo aver fatto l’amore con il corpo sbagliato. Vorrebbe mandarla via adesso, subito, vorrebbe dirle che non ce la fa. Che stare fra le cose di un’altra non lo fa vivere bene, perché il modo in cui lei lo bacia non gli piace e non gli piace il suo odore, non gli piacciono i suoi capelli, non gli piace guardarla negli occhi e sperare con tutto se stesso che il viso che stringe fra le mani sia quello piccolo e prepotente di una criminale in giro chissà dove. E poi non ha nei sul viso, Nadia. O Rachele. O quello che è. E lui non può fantasticarci su, non può sfiorarli con le sue morbide labbra spiando sotto il suo viso il sorriso di Rosy, non può stringere sul suo corpo nessuna donna che non sia lei. E vorrebbe tirarsi via i capelli e le lacrime via dagli occhi, chè forse così se ne va anche quello che prova per lei. Anche il ricordo della sua bianca schiena, dei baci al sapore di paura ed errore, chè poi alla fine ritornano sempre al punto di partenza, si ritrovano ogni volta e si amano con lo sguardo, a distanza di qualche cielo. Loro sono l’amore che cresce fra gli spari della gente nelle strade del mondo. I proiettili fanno il loro corso senza mai spezzare il filo sottile che unisce Rosy e Mimmo. Restano immobili nell’universo a chiedersi quanto male faccia l’amore, restano immobili a guardarsi e a scambiarsi i baci e i pensieri così distanti, perché almeno nessuno li vede. Sono la stessa direzione di due diverse strade, entrambi precipitati nelle sabbie mobili di due diverse spiagge del mondo. Perché il destino ha deciso per loro che non si debbano incontrare mai? E perché Domenico finge di star bene mentre un altro corpo della mafia giace sudato su di lui e non può stare bene veramente, stringendo fra le braccia l’amore della sua vita?
- Tutto bene?
- Si, si…
- Ti vedo strano… Spento.
- Sarà solo un po’ di stanchezza, questo lavoro mi massacra.
- Perché non ti prendi un periodo di ferie? Ce ne andiamo insieme da qualche parte, possiamo conoscerci meglio.
- Mh, come corri -, replica Domenico con un sorriso ironico. La principessa non sa che la sua corsa si arresterà molto prima di arrivare al castello. Giusto il tempo di commettere un errore, di cadere veramente fra le braccia del cuore di Domenico ed il gioco è fatto.
- Allora rallento, mi inviti a cena?
La ragazza guarda il suo uomo dritto negli occhi, perdendosi fra le pieghe del verde che gli dipinge lo sguardo di meraviglia. Domenico, fra sé, decide di andare fino in fondo a questa storia per vedere quanto lontano lo porterà.
- Domani?
- Domani!
Il suono del cellulare distrae i loro discorsi, quindi Calcaterra si fa spazio fra le lenzuola.
- Dimmi Sandro.
- Domenico abbiamo presto Rosy!
- Che avete fatto? 
 
  
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