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Autore: DarknessIBecame    13/02/2014    1 recensioni
Un calderone di FF (più o meno lunghe), tutte dedicate alla splendida Ainwen che mi sprona a scrivere.
La maggior parte avranno Olicity come protagonisti, ma alla fine, spero solo facciate un sorriso e magari una risata!
Non avranno cadenza precisa perché saranno caricate quando ispirazione chiama.
Enjoy!
Ultimo chap aggiunto (12/10/13): Let me go (WTH??)
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen, Tommy Merlyn, Un po' tutti
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Because of you. (spoiler 2x13)

Famiglia.
Davvero, non aveva senso, sulla sua lingua.

Però nell’ultimo anno e mezzo si era formata questa folle, folle idea che sotto al Verdant ci fosse la sua seconda casa e – attenzione Felicity, non ci pensare neanche! – un piccolo surrogato di famiglia.
Quanto ci era voluto perché accettasse questa verità? Ci erano voluti i mesi in cui Oliver era andato a nascondersi nuovamente sulla sua Isola maledetta per capirlo. Lei e Digg avevano ricostruito “casa” dalle fondamenta, come farebbero due bravi fratelli che si appoggiano l’uno sull’altro e poi…poi erano andati a riprenderlo. Era stato un accordo comune e silenzioso: lei lo avrebbe cercato e lui l’avrebbe aiutata ad organizzare l’operazione di “salvataggio”.

Quell’opprimente senso di solitudine, di mancanza durante l’assenza di Oliver le aveva fatto capire che si era lasciata andare, troppo. Forse anche per questo al suo ritorno aveva reagito come una pazza ai cambiamenti.
Ma no…aveva ragione infondo. Oliver stava chiedendo tantissimo da lei e Digg, ma il problema era non averlo chiesto alla diretta interessata, prima di darle un posto che le avrebbe creato più problemi che guadagno. Solo che non poteva sapere tutte le problematiche che quel cambio di lavoro presentava.
Come poteva? Non gliene aveva dato mai l’opportunità.

Il bello di rimanere al piano degli Informatici era uno: nessuno ti notava, quando eri lì sotto. Neanche una mente brillante come quella di Felicity era messa in luce se non nei momenti in cui il lavoro lo richiedeva. Nessuno scavava mai fino in fondo per sapere come fosse arrivata lì, cosa facesse durante le sue giornate o se le andasse qualcosa da bere. A lei stava bene così: certo, non aveva scelto la strada della tecnica informatica per quello ma di sicuro aveva aiutato molto la sua decisione.
Meno domande, meno problemi. Meno pensieri.
Però ora, da Assistente personale di Mr Queen, era in vista. Esposta al pubblico ludibrio. Al diavolo quello…esposta al giudizio della madre.
Quello che era successo? Una disgustosa telefonata piena di falsi complimenti e di “te l’avevo detto”,  di gioia mal riposta ed egocentrismo. Pensare che le scorresse quel sangue nelle vene a volte la faceva rabbrividire, ma alla fine era pur sempre sua madre, no? L’unica che le fosse rimasta. L’unica che sarebbe sempre rimasta, nonostante tutto.

-

Durante gli anni aveva imparato a sopravvivere. Non tanto alle domande degli altri ragazzi della sua età che con quella tipica curiosità maligna le chiedevano come mai non avesse un padre: sopravviveva alla sua assenza come meglio poteva, sopravviveva ad un genitore solo e sempre alla ricerca di modi per migliorare lei e la figlia. Sopravviveva alle notti in cui non riusciva più ad evitarli: il pianto, i ricordi, la paura di aver sbagliato qualcosa quando era ancora tanto piccola da non poter neanche sapere cosa significasse sbagliare.
Sopravviveva e tirava avanti ancora un giorno, tirando fuori il coraggio di non lasciare mai nessuno indietro, di non aver paura di vivere. Invece quella paura c’era e non poteva contenerla. Di tanto in tanto le sue piccole manie, le ossessioni tornavano a bussare alla sua porta, rendendola schiava della fobia di essere perfetta; nessuno poteva lasciar andare la perfezione, no?

Crescendo, si era allontanata dalla piccola cittadina che l’aveva cullata e protetta per tutta una vita e si era trasferita all’MIT sperando di lasciarsi indietro quella parte del passato che ancora le faceva tremare le gambe: non era in grado di fidarsi, non del tutto. Non riusciva a fare amicizie, non come avrebbe voluto. Si tirava indietro di fronte alla possibilità di un legame, perché cosa ci guadagnava a farsi spezzare un cuore che non era intero da neanche lei ricordava quanto tempo? Cercava di dimenticare, ma più provava e meno sapeva come evitare il vuoto che la circondava.

E poi si era lasciata andare. Cadere nel vuoto.
Un giorno, durante un esame particolarmente difficile, era scoppiata a piangere davanti all’aula gremita senza accorgersi che al posto delle risposte aveva scarabocchiato il testo di una canzone che le girava nella testa da giorni, impedendole di dormire, di pensare, di comportarsi con coerenza. Non riusciva più a nascondere la dualità dei suoi pensieri. Non riusciva più a comportarsi da perfetta studentessa, figlia, amica se era fortunata. Avevano chiamato la madre, come fosse pronta ad un crollo psicologico e le avevano consigliato di prendere qualche giorno di riposo, riconsiderare la sua posizione nella classe di laureandi del 2007. Era presto, era giovane, era tutto troppo perfetto perché potesse durare per loro.
Aveva stretto i denti e fatto buon viso a cattivo gioco. Aveva ascoltato pazientemente i rimproveri della madre, che le diceva di comportarsi più da ragazza normale e di smettere di giocare al genio, perché “non credere di essere tanto più intelligente di me, Fel.”

-

Odiava la sua intelligenza. Avesse potuto davvero passarla tutta alla madre e fingersi un’oca bionda solo per una sera, l’avrebbe fatto.
Invece no.
Lei sapeva cose.
Sapeva entrare in un conto bancario e seguire le tracce di alcuni spostamenti fino ad arrivare al nome del ricevente. Sapeva fare due più due, dedurre soltanto collegando piccoli pezzi di informazione.
Odiava la sua intelligenza perché: come poteva un’arma tanto lodata fare tanto male ad una delle persone che aveva di più care sulla faccia della terra?
“Vai a parlarle, Lis. Dalle la possibilità di spiegare. Di spiegare a lui le sue motivazioni. Non è cattiva, è solo impaurita. Sai cosa fa la paura alle persone.”
La paura, aveva imparato, a certe persone faceva tirar fuori gli artigli. Non avrebbe mai voluto spaventare tanto Moira Queen, ma le sue parole, seppure tendessero un ramoscello d’ulivo verso la donna, erano risultate a doppio taglio, proprio come la sua intelligenza.
Aveva rigirato quella paura in lei e colpito, proprio dove faceva più male. Felicity non era mai stata brava ad usare i punti deboli degli esseri sensienti per forzare una via al loro interno e farli crollare. Ma quella donna c’era quasi riuscita.
Glielo vedeva negli occhi, Moira, che aveva tanta paura quanto lei, ma non aveva capito quanta realmente fosse fin quando non l’aveva vista sbiancare a quel “vedo come lo guardi”. Era sembrata compassione la sua, ma si era trasformata in veleno solo pochi secondi dopo.

-Se glielo dici, distruggerai il suo mondo. Ed una parte di lui ti incolperà sempre per questo.-

Trafitta, senza aver neanche versato una goccia di sangue sul preziosissimo tappeto che permetteva alla donna di camminare scalza intorno a lei.
Più tardi, nella sicurezza del suo appartamento, aveva riso amaramente nel congratularsi con se stessa.
Non aveva pianto.
Gli occhi le si erano riempiti di lacrime ma non le aveva lasciate cadere. Aveva persino trattenuto il respiro così che le ciglia non si chiudessero.
Moira Queen non l’aveva comunque vista completamente distrutta.
-

-Ricordo quanto ha fatto male, quando se n’è andato.-

Oh, la pena in quegli occhi azzurri. Probabilmente era stata più quella a farla scattare, a far tremare la sua voce tanto da dover mordere l’interno della guancia come d’abitudine per continuare a parlare. Doveva portare avanti quel discorso perché non era più capace di raccontargli menzogne. Intorno a Digg ed Oliver, il surrogato di famiglia che prima o poi avrebbe ammesso fosse parte importantissima della sua vita, non era poi così capace di mentire.
Ometteva, sì.
Non si confidava.
Ma quando si parlava di lei andava bene. Non importava la sua storia, non importavano le sue motivazioni, le sue emozioni personali.
Lei era lì a supporto degli altri due e questo era il momento di mostrarsi forte. Di superare l’incredibile paura di vedere gli occhi di Oliver tramutarsi negli occhi di Mr Queen. Uno sconosciuto con quel tocco d’odio per tutto ciò che erano gli affari e che non avrebbe mai voluto avere vicino.
Che stesse per fare l’errore più grande della sua vita e stesse per allontanarlo, non era più importante. Se ad Oliver doveva crollare il mondo addosso, che allora crollasse anche intorno a lei.
Senza la presenza di quel duo al suo fianco, tanto, sarebbe crollata lo stesso, adesso che aveva avuto un assaggio di cosa significasse avere qualcuno accanto.
Alla fine era sempre lei la scema, non avrebbe mai dovuto legarsi tanto.
Ed ora era di nuovo il momento di saltare nel vuoto.


Ok. Questa è venuta fuori di notte e non so neanche come sia finita. So solo che se cliccate sul titolo uscirà un video. E' stato scelto apposta per questo testo. Le motivazioni sono mille, ma comunque, vi consiglio di sceglierlo come colonna sonora nella lettura. Mi ha distrutta scrivere questa cosa e seppure non sia affatto allegra, ve la lascio comunque qui, perché è un piccolo momento che parla soprattutto di Felicity, ma il Team Arrow è presente. Spero di non aver travisato l'idea di Miss Smoak che vi siete fatti e spero anche che gradirete questo scorcio nei suoi pensieri.
Besitos

Vevve
   
 
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