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Autore: Lily_and_the_Marauders    13/02/2014    4 recensioni
Ogni anno, gli studenti del Clifton College di Bristol organizzano la "giornata delle bancarelle".
Harry Styles frequenta il secondo anno quando decide di allestirne una tutta sua.
Dal testo:
La prima volta che allestii la bancarella frequentavo il secondo anno di College, avevo diciannove anni. Fu lì che conobbi Louis.
Larry || AU || Fluff ||
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The stand of the vinyl records.

 





Il Clifton College di Bristol era di sicuro la costruzione più bella che io avessi mai visto, ancora meglio di Buckingham Palace. 
Forse, il fatto di provenire da un Liceo Pubblico situato tra le campagne del Nord d'Inghilterra, rese quel posto un po' più fiabesco di come doveva essere apparso agli occhi di molti altri studenti. O forse ero io ad impressionarmi facilmente. Dopo diciassette anni rinchiuso tra la nebbia del Cheshire, c'era l'euforia di iniziare una sorta di nuova vita. E' grande il passo ti porta ad andartene da casa per studiare le 'cose da grandi', come le chiamavo da bambino, per non parlare del fascino dei Dormitori, delle divise scolastiche... Avevo fantasticato molto sul College e durante i primi mesi di scuola, nonostante fossi un pesce fuor d'acqua, mi ero sentito al settimo cielo. Poi, con il passare del tempo, tutto quello che avevo catalogato come straordinario era entrato a far parte dell'ordinario e l'euforia era svanita. Lo studio e le responsabilità iniziarono ben presto a diventare un peso. L'unica cosa che riusciva a darmi sollievo era la musica. 
Il Clifton era una scuola rispettabile, con regole più che ferree e insegnati stimati da tutto il paese... ovvero, era l'equivalente di "noiosa". Gli studenti in qualche modo dovevano fuggire dalla solita routine e liberarsi la mente, per questo c'erano i laboratori pomeridiani. La scuola ti offriva molte attività musicali ma, tra tutte, io avevo scelto il gruppo di canto a cappella. Studiare musica non mi stancava; non era un peso bensì un modo per sentirmi meno sotto pressione.
Mia madre, all'età di sette anni, mi iscrisse al piccolo Coro della Chiesa di Holmes Chapel e, dopo un certo dubbio iniziale, arrivai alla conclusione che cantare era l'attività che avrei voluto fare per il resto della vita. Purtroppo non realizzai il mio sogno, non sfondai nel campo musicale. I miei genitori fecero i salti mortali per mandarmi al College e non avrei potuto buttar via i loro sacrifici (che tra l'altro mi avrebbero assicurato un futuro) per mettermi a cantare sul ciglio strada. 
In ogni caso, la musica continuò a far parte di me e, appena arrivato al College, non esitai ad unirmi al gruppo.
Se al Clifton c'era un'altra cosa buona e non assurdamente noiosa (oltre la musica e i laboratori) era 'il giorno delle bancarelle': un pomeriggio in cui, nell'immenso cortile della scuola, alunni  e in alcuni casi professori allestivano bancarelle di oggetti usati o da collezione. Il sessanta per cento del ricavato proveniente dalla vendita della merce veniva diviso tra le esigenze dell'Istituto e la beneficenza, il resto di quello che guadagnavi te lo potevi tenere. Forse era l'unica attività a cui tutti partecipavano attivamente. 
La mia bancarella - allestita con l'aiuto dei miei due migliori amici - era specializzata in dischi in vinile. Ne andavo pazzo, grazie al mio patrigno. Dopo avermi cresciuto a suon di Beatles ed Elvis Presley, Robin decise di regalarmi la sua collezione di dischi per il giorno del mio diciottesimo compleanno. Alcuni, i più rari, ancora li ho. Gli altri li ho venduti insieme a quelli collezionati nel tempo. 
La prima volta che allestii la bancarella frequentavo il secondo anno di College, avevo diciannove anni. Fu lì che conobbi Louis.


 



 
16 Ottobre 2013

- Hey, Harry! - 
Era un sabato mattina, un sabato mattina speciale a dirla tutta, il mio primo vero 'giorno delle bancarelle', quello in cui avrei messo su il mio stand personale per la prima volta.
Non era l'idea di intascare quasi metà del ricavato a rendermi euforico ma il fatto di poter esporre il miei preziosi vinili. Anzi, a pensarci, mi dispiaceva anche separarmene, avevano un valore affettivo importante per me. Ma la cultura va sempre condivisa, no? 
Stavo portando due scatoloni giù per le scale che conducevano al cortile quando sentii una voce che mi chiamava. Lentamente, cercando di non perdere l'equilibrio, mi voltai e notai che a chiamarmi era stata Perrie. Faceva parte del gruppo di canto e aveva seriamente una delle voci più belle che io avessi mai sentito. Inoltre, aveva una gran bella personalità.
La vidi mentre mi correva incontro, le punte dei dei capelli biondi colorate di rosa. 
C'era una regola ben precisa dell'Istituto che vietava categoricamente le tinte troppo accese ma discutere con Perrie di tinte era come parlare ad un muro e, dopo la promessa di non esagerare e venire di nuovo con l'intera chioma azzurro cielo, il Preside le lasciò tenere almeno le punte colorate. Era stata una vittoria per molte ragazze del Campus.
- Harry, ciao - mi salutò, boccheggiando per riprendere aria dopo la corsetta. - Ti do una mano, aspetta - mi disse poi, prendendo uno dei due scatoloni che ancora tenevo tra le braccia.
- Buongiorno - la salutai io, sorridendo. Insieme ci incamminammo lungo la strada brecciata che portava al piazzale delle bancarelle. 
- Li hai già portati giù tutti? - mi domandò. Io annuii. -Sì, questi sono gli ultimi due. -
- A che razza di ora indecente ti sei alzato? - 
- Alle sei. Se ti avessi aspettata, non avremmo finito prima di domani. -
Perrie ridacchiò perchè sapeva che avevo completamente ragione. Era una tale dormigliona, quella ragazza! 
Quando raggiungemmo la mia bancarella trovammo Ed a sistemare i dischi. 
Ed Sheeran, il mio migliore amico. Il tizio dai capelli rossi, come lo chiamavano tutti. 
Ci conoscevamo da una vita, ormai, e andare al College insieme era sempre stato il nostro grande sogno. 
Perrie lo salutò scompigliandogli i capelli. - Suonerai anche te, questa sera? - 
- Ovvio - le rispose lui, - mi pagano, ricordi? - 
Perrie e io alzammo gli occhi al cielo. Il realtà, Ed non lo faceva per soldi, lui era un vero e proprio fenomeno con la chitarra e se gli capitavano occasioni del genere non esitava ad esibirsi. Era a conoscenza delle proprie capacità. Ciò non voleva dire che se ne vantasse o roba simile. O almeno, non seriamente. Era una persona umile, io lo conoscevo bene. 
- Questi non c'entrano, Harold. - 
Harold. Mi chiamava così dalle elementari, ormai ci avevo fatto l'abitudine, non sbuffai nemmeno. - Umh, quelli li lasciamo a terra. Magari ordinali per iniziale e, se non ti dispiace, lasciami fuori quello dei Beatles. Non lo venderei neanche al diavolo in cambio dell'immortalità, quel vinile, ma metterlo in bella mostra è una buona idea. - 
Sì, ero orgoglioso dei miei piccoli.
Ed annuì sogghignando mentre Perrie era già al lavoro con gli altri scatoloni.
Mi persi un secondo ad osservarli lavorare quando mi accorsi che mancava una cosa: il nome.
- Come la chiamiamo? - domandai a quel punto.
- Cosa? - fece Ed. 
- La bancarella, mi pare ovvio. Bisognerà darle un nome. Una cosa che si veda da lontano e che attiri la gente qui, no? - 
I due mi scrutarono perplessi. Perrie si illuminò di colpo. - Okay, una cosa molto semplice: "lo stand dei dischi in vinile". - 
Ci pensai un secondo. Era banale ma rendeva anche l'idea. Chiaro e coinciso. Annuii e lei sorrise.
Corsi a prendere in prestito dall'aula di pittura un telo e, a caratteri precisi ci riportai il nome della nostra bancarella. Alla fine lo appesi e ne fui parecchio soddisfatto. Il corso avanzato di scrittura creativa aveva dato i suoi frutti, almeno non avevo sprecato ore preziose della mia vita. 
Finimmo di sistemare tutto alle due e mezza del pomeriggio; iniziare presto si rivelò essere stata una buona idea. La maggior parte degli altri studenti ancora doveva montare i tavolini.
Approfittammo del momento libero per mettere qualcosa sotto i denti e, puntuale come sempre, il Preside venne ad annunciarci che dalle tre e un quarto sarebbero iniziate le vendite.
La prima persona ad avvicinarsi alla bancarella fu il professore di educazione fisica che l'aveva scambiata per uno stand di magliette personalizzate. Non riuscimmo a capire come, dato che 'dischi in vinile' era scritto a caratteri cubitali. 
Nell'ora successiva passò l'intero gruppo di canto e mi sentii sollevato, almeno loro sembravano interessati. Passai dieci buoni minuti a convincere Liz - una dei nostri soprani - che il vinile dei Rolling Stones era originale e non una copia. Alla fine lo comprò per 10£. Meglio di niente. 
Alle quattro e mezza eravamo sdraiati sul prato a contare i fili d'erba, scoraggiati al massimo. 
Pensavo che la gente in quella scuola avesse del buon gusto almeno in fatto di musica. Ma era pur sempre il 2013, cosa dovevo aspettarmi? 
Erano le cinque quando Perrie si alzò a sedere e mi fissò amareggiata. - Harry, io non ce la faccio più. Ho bisogno di una pausa, devo allontanarmi dalla vista del Professor Leonard e fumare una sigaretta, ti prego, abbi pietà. - 
Storsi il naso alla parola 'sigaretta' ma annuii perchè capivo quanto fosse assillante stare lì immobili a far nulla. 
- Io mi aggrego - disse poi Ed. 
Li salutai con la mano e appoggiai nuovamente la testa sul prato. Era ottobre inoltrato e l'aria si faceva sempre più pungente man mano che il cielo si scuriva. Riuscivo a vedere le prime stelle anche se il sole non era del tutto tramontato. 
- C'è nessuno qui? - Qualcuno parlò interrompendo il filo ingarbugliato dei miei pensieri.
Mi rizzai a sedere non appena compresi che stavano cercando me.
- Sì, eccomi, scusa... non pensavo arrivasse più nessuno ormai. - 
Il ragazzo che mi ritrovai di fronte assunse un'aria perplessa. - Vuoi dire che sono il tuo primo cliente? - 
Io scossi la testa. - No, è passato qualcuno ma nessuno di veramente interessato. -
- Peccato - fece lui, - mi sembra un'ottima bancarella. - E sorrise.
Ero sicuro  che avesse qualche anno più di me perchè non l'avevo mai visto in nessuno dei corsi che frequentavano quelli della mia età. Il suo viso non mi era sconosciuto, però.
- Fai parte di qualche gruppo di musica, per caso? - gli chiesi, quindi.
Lui annuì sempre sorridendo. - Suono il pianoforte nell'orchestra, sì. E te canti nel gruppo a cappella, vero? Siete davvero bravi. - 
Ce la misi tutta per non arrossire ma fallii miseramente. - Grazie, anche voi dell'orchestra non siete male- dissi solamente. 
Il ragazzo mi tese la mano. - Sono Louis, comunque. -
Gliela strinsi senza esitazioni. - E io sono Harry. Come posso aiutarti? - aggiunsi poi lanciando un'occhiata alla numerosa quantità di dischi impilati ordinatamente sul tavolo. 
Louis increspò le labbra, pensieroso. - Stavo cercando qualcosa dei Beatles, non ho nessun loro vinile e devo rimediare. Più vecchio è, meglio è. - 
Annuii pensieroso e mi misi subito a cercare tra i vinili dello scatolone "O - U" percependo lo sguardo di Louis addosso. 
Non  feci in tempo ad arrivare alla lettera Tche Louis mi richiamò. 
- Harry, che ne dici di questo? - 
Alzai il volto e vidi che il ragazzo indicava il vinile con la scritta "The Beatles" poggiato sopra ad uno scatolone a terra. 
Mi si strinse il cuore e lo guardai mortificato. - Mi dispiace, non posso vendertelo. Non posso venderlo a nessuno, quello. - 
Louis  annuì e si strinse nelle spalle. - Pazienza- disse, - si vede che non è la serata giusta. -
Mi sentii un vero schifo così, prima che se ne andasse gli proposi di ascoltarlo insieme, in quel momento. Tanto non sarebbe arrivato più nessuno, ormai. 
Louis accettò e sorrise di nuovo. Presi il giradischi, sfilai il vinile dalla confezione e lo poggiai delicatamente sul piatto. - A te il grande onore di posizionare la puntina - proclamai con aria solenne a Louis che, per tutta risposta, ridacchiò sommessamente.
Tirò fuori la mano destra dal giaccone di jeans e trafficò con la puntina del giradischi fin quando, alla fine, partì la marsigliese. All You Need Is Love, una delle mie preferite. 
Il volume non era così alto da scaturire lamentele ma abbastanza per canticchiare le parole e deliziarsi con la melodia della canzone. 
La voce di Louis era diversa dalle altre voci maschili a cui ero abituato, aveva un tono leggermente più alto ma nulla che suonasse stonato o non orecchiabile. Una bella voce, quindi. E sapeva anche cantare bene. 
Ne canticchiammo una dopo l'altra aggiungendo ogni tanto qualche commento sul testo o qualche storiella sui membri della band. 
Quando fermai la puntina non eravamo neanche a metà del disco ma il buio era calato del tutto e le persone stavano iniziando a sistemare. 
- E' stato bello, davvero. Grazie - fece Louis. 
- Figurati, quando vuoi ascoltarlo mi trovi al terzo piano nell'ala centrale. - 
Lui annuì. - Ti serve una mano? - 
Guardai i nove scatoloni pieni di dischi e mi chiesi dove diamine erano finiti Ed e Perrie perchè, insomma, se n'erano andati quasi un'ora prima per fumare la stramaledetta sigaretta e non erano ritornati.
- Se non ti dispiace aiutarmi, sì. In realtà avevo due soci ma sembrano scomparsi nel nulla. -
Il ragazzo ridacchiò e prese su due scatoloni, io feci lo stesso. 
In tutto facemmo tre volte avanti e indietro, durante il tragitto parlammo un po'. 
Louis giocava a calcio, era il capitano della squadra. Frequentava l'ultimo anno, aveva tre anni più di me. La cosa che più mi fece restare a bocca aperta era scoprire che avevamo gusti musicali, letterari e cinematografici praticamente identici. Tranne per gli Horror che io odiavo a morte mentre lui sembrava adorarli.
Scoprii che aveva quattro sorelle tutte più piccole di lui e che, prima del College, aveva frequentato un Liceo di Doncaster, la sua città natale. Notai poi che era piuttosto basso ma aveva una corporatura massiccia e, anche se indossava semplici pantaloni della tuta, riuscivo a notare i muscoli delle gambe. 
Non so cosa mi incantò di più di quel ragazzo, però. Forse gli occhi. Blu come il cielo estivo. 
O il suo buffo accento marcato, o forse la parlantina o il modo in cui scherzava.
Fatto sta che a mi piaceva. Non era la prima volta che mi piaceva un ragazzo, comunque.
Era già successo e non ci avevo mai trovato nulla di sbagliato. Quando una persona ti piace, ti piace e basta, non c'è nulla che regga davanti alle farfalle nello stomaco. Ed ero stato fortunato ad essere cresciuto in una famiglia con la mente abbastanza aperta da capire e accettare il mio pensiero. 
- Allora, mi stavi dicendo che hai una sorella? - 
Eravamo arrivati davanti alla porta della mia stanza e ci eravamo fermati lì davanti, in attesa di non so cosa. Annuii alla sua domanda. - Si chiama Gemma e ha la tua età. Credo di poterla catalogare come la persona più rompiscatole del mondo. In una scala da uno a dieci è senza dubbio un nove, ma le voglio bene - sorrisi.
- Ne so qualcosa di sorelle rompiscatole, fidati. - 
Ridacchiai e, per la seconda volta nello stesso giorno, sentii una persona che mi chiamava. Mi voltai verso le scale e la solita Perrie, trafelata dalla corsa, mi venne incontro e mi si accasciò quasi addosso facendo inarcare un sopracciglio di Louis. Io lo guardai divertito. 
- Lei è Perrie - spiegai. -Ti ho parlato di lei prima. - 
Louis annuì, accennando un sorriso. Perrie riprese fiato e si scansò i capelli dalla faccia. -Dov'eri finito? E' da secoli che ti cerco! - 
- Potrei farti la stessa domanda, sai? Ho dovuto farmi aiutare da lui per portare su gli scatoloni - la rimproverai. 
Perrie si voltò verso Louis e gli fece un sorriso a mo' di scusa. - Mi dispiace, spero non sia stato un peso passare del tempo con questo soggetto qui - mi indicò e io non potei far a meno di scompigliarle i capelli già in disordine.
A quel punto Louis rise e, tranquillamente disse - Tutt'altro, è stato un piacere. -
Grato, gli sorrisi, poi mi rivolsi di nuovo a Perrie. - Perchè mi stavi cercando, comunque?- 
- Devi venire giù in Sala Comune, Ed sta per iniziare. -
Mi ero totalmente scordato che avrebbe dovuto suonare. Mi voltai istintivamente verso Louis e -Ti va di venire con noi? - gli chiesi. - Il mio migliore amico suona nella Sala Comune nella nostra ala del Dormitorio. Probabilmente però verranno molte altre persone, di solito è sempre affollato quando suona lui; è davvero un fenomeno. - 
- Oh, sì, ne avevo sentito parlare. Certo, mi farebbe piacere venire ad ascoltarlo. - 
- Bene - fece Perrie, - allora muoviamoci. - 
Percorremmo in silenzio tutto il tragitto e fu parecchio imbarazzante perchè Perrie continuava a lanciarmi occhiatine e mezzi sorrisi. Sapevo dove voleva arrivare ma non mi sarei messo a flirtare con quel ragazzo in sua presenza. In più, non sapevo neanche se lui fosse interessato. 
Raggiungere la porta della sala Comune mi fece tirare un sospiro di sollievo. Come previsto, il posto era pieno di persone. Tra la folla sbucava qualche professore, alcuni finiti lì per caso, altri davvero interessati alla musica di Ed.
Persi di vista Perrie in due secondi ma feci attenzione a non perdermi Louis, anzi, riuscii ad urlargli sopra al baccano di spostarci più avanti. 
Ci facemmo largo tra le persone e, non appena riuscii a vedere Ed, lo salutai con la mano. Ricambiò con un sorriso a trentadue denti. Non appena le dita di Ed iniziarono a pizzicare leggermente le corde della chitarra, calò il silenzio. Tutte le canzoni del suo repertorio erano originali; scriveva da quando era poco più che quindicenne. 
Mi voltai verso Louis che, accanto a me, aveva dipinta sul volto un'espressione meravigliata.
Sorrisi soddisfatto. Ed faceva questo effetto sulle persone quando suonava e cantava, era capace di ammaliarle e trascinarle con la musica e le parole di ogni canzone.
Ero davvero orgoglioso di lui. 
Il mini concerto durò un'ora, dopo che Ed ebbe ricevuto cinque minuti di applausi e fu sceso dal palco, qualcuno accese la musica ad un così alto volume da farmi girare la testa. Mi avvicinai a Louis e gli urlai nell'orecchio di andarcene, se non gli dispiaceva. 
- Scusami se ti ho trascinato via, è che non sopporto la musica da discoteca. Mi fa venire un mal di testa assurdo ogni volta - gli confessai appena riuscimmo ad allontanarci dal rumore.
- Tranquillo, se non mi avessi trascinato via probabilmente l'avrei fatto io. Non capisco proprio come le persone possano ascoltare questa roba. - Arricciò il naso schifato e fu talmente buffo da farmi sorridere. 
- Cosa? - mi chiese allora. 
- Niente, niente - risposi, scuotendo la testa. - Ti va un tè? - 
Louis annuì e ci andammo a rifugiare nel bar più vicino. Fortunatamente la scuola era provvista di punti di ristoro aperti fino ad un'ora tarda. 
Ordinammo entrambi un semplice tè con latte e ci sedemmo nell'angolino più remoto, accanto alla vetrata che, se non fosse stato buio pesto, ci avrebbe permesso di vedere parte dei giardini del College. 
- Allora - interruppe il silenzio Louis, dopo aver preso un sorso di tè fumante. - Cosa hai intenzione di fare quando sarai uscito da qui? - 
Bevvi un sorso anche io, riflettendo sulla risposta. - Sto cercando di specializzarmi in Legge quindi, probabilmente, farò l'avvocato. Te? - 
- Io voglio fare l'insegnante. - 
E lo disse come lo dicono i bambini quando gli fai la fatidica domanda "cosa vuoi fare da grande?". Lo disse con intensità e determinazione, in maniera quasi sognante. 
- Ho sempre voluto farlo e venendo qui ho trovato dei corsi di specializzazione. Se tutto va bene, il prossimo anno potrebbero assumermi come supplente, per iniziare. - 
- In un Liceo? - domandai, curioso. 
- No, insegnerò ai bambini. In una scuola materna. Mi piace da morire stare con i bambini. Ho fatto pratica per tutta la vita a casa avendo quattro sorelle più piccole. I bambini sono il nostro futuro, come dicono sempre tutti, e vorrei far parte di quelle persone che renderanno gli adulti del futuro persone migliori degli adulti di oggi. Per farlo si inizia all'asilo. - 
Ero affascinato da suo discorso. - Ti auguro davvero di farcela, Louis. - 
- Grazie, ti auguro anche io di realizzare i tuoi progetti. - E sorrise.

 
 
27 Novembre 2013

Io e Louis avevamo iniziato a vederci dopo i laboratori di musica e quando non aveva gli allenamenti di calcio. Passavamo semplicemente le ore in biblioteca o nella mia stanza ad ascoltare musica. Era divertente e la sua compagnia mi rilassava.
- Cosa ne dici di questa? - mi domandò un pomeriggio quando la melodia di Lucy In The Sky With Diamonds iniziò a risuonare nella mia camera. 
Io ero steso a pancia in giù sul letto, intento a studiare Letteratura Inglese, e Louis era seduto a terra con la schiena appoggiata al mio comodino. 
- Dico che girano parecchie voci ma a me piace pensare che John si sia davvero ispirato al disegno di Julian - risposi e lo sentii ridacchiare.
- Ascolta, - mi disse poi andando a fermare il disco, - mi hanno chiamato per un colloquio in un asilo poco fuori Londra. So che è lontano ma volevo chiederti se magari ti andava di accompagnarmi. - Sembrava imbarazzato. 
Gli sorrisi. - Certo, non c'è nessun problema. Quando? - 
- Lunedì prossimo, il due Dicembre. Il College farà i soliti cinque giorni di autogestione, fino al tre Dicembre, no? Almeno non perderemo nessuna lezione. - 
Oh.
I cinque giorni di autogestione erano già arrivati? I cinque giorni in cui sarei dovuto ritornare a casa, accidenti. Mia sorella Gemma avrebbe compiuto gli anni proprio il giorno seguente al colloquio.
- C'è qualche problema? - mi domandò allora Louis notando la mia esitazione.
- No - risposi. - Cioè, sì, ma non è un vero problema. Durante questi cinque giorni mi ero messo in testa l'idea di tornare a casa per il compleanno di mia sorella... - 
- Ah, capisco. Beh, non fa niente, davvero... - accennò un piccolo sorriso di incoraggiamento.
Scossi la testa. - No, ascolta, potrei accompagnarti al colloquio e poi potremmo andare di corsa a casa mia. - proposi. - Alla mia famiglia non dispiacerà avere un ospite, puoi stare tranquillo. -
Louis non sembrava parecchio convinto. - Sicuro? Io non c'entro nulla con il compleanno di tua sorella. -
- Ma no, sei mio amico, non c'è proprio nessun problema - lo tranquillizzai.
Effettivamente, l'unico reale problema per me era il fatto che fosse solo un amico. Mi convinsi a non pensarci. Perrie non aveva fatto altro che torturarmi per settimane ma io non volevo affrettare le cose, non volevo sembrare un disperato o chissà cosa. Speravo solo che anche lui provasse un minimo di attrazione nei miei confronti (sì, mi ero documentato, giocava in quella squadra). Mi piaceva davvero troppo per permettere ad una stupida cottarella da adolescente di rovinare tutto. 
- Telefono a mia madre - dissi poi, - a che ora partiamo? - 
Ci rifletté un attimo. -Umh, ci vorranno circa tre ore quindi direi di partire di mattina, verso le sei. Troppo presto? - 
- No, va bene - annuii.
Feci per prendere il telefono quando: - Grazie, Harry. -
Lo vidi sorridere e le farfalle nella pancia iniziarono a svolazzare talmente forte da farmi quasi male. - Figurati, è un piacere. -

 
 
2 Dicembre 2013, ore 6.30 a.m.

- Puoi dormire, se vuoi - mi ripetè Louis dopo il mio terzo sbadiglio.
- No, sto bene, davvero.  Hai una bella macchina, sai? - non sapevo neanche che tipo di macchina fosse ma i sedili erano terribilmente comodi.
- Lo so, grazie - ridacchiò. 
Eravamo partiti da mezz'ora ma, data la paurosa velocità a cui Louis pareva abituato a viaggiare, avevamo già imboccato l'autostrada. 
Il tempo era grigio, tipico di Dicembre, tipico dell'Inghilterra.
- Credo che oggi ci toccherà ascoltare la musica dei comuni mortali - aggiunse dopo un po'. 
Io storsi il naso. - Dobbiamo proprio? - 
- In realtà no, era solo per dare un po' di colore a questa giornataccia e per farti svegliare. -
- Guarda che io sono davvero in ottima forma. - Okay, ero un bugiardo, stavo morendo di sonno. Mi passai la mano sulla faccia stropicciandomi gli occhi e mi sistemai i capelli che quella mattina non sembravano voler trovare un verso normale.  
- Dovrei tagliarli - sussurrai, maledicendoli mentalmente. 
- No, non farlo, sono belli così - si intromise Louis. 
Aggrottai le sopracciglia. - Sono davvero troppo lunghi, invece. Potrei dargli almeno una spuntatina, gli farebbe bene. - 
Louis alzò le spalle. - Come ti pare, ma non esagerare. Sembrano talmente morbidi, sarebbe un peccato tagliarli troppo. - Tolse la mano dal volante e la allungò verso di me fin quando non riuscì a catturare un ricciolo tra le dita. - Sono davvero morbidi. - Sembrava non avesse mai visto del capelli ricci. 
- Se vuoi farmi addormentare, questo è il modo giusto - lo avvertii, sorridendo. - Ha un enorme effetto rilassante su di me, chiunque mi tocchi i capelli. -
Allora me li scompigliò un'ultima volta e tolse la mano, ridacchiando. - Ne terrò conto, ricciolino. Potrei usare quest'arma contro di te ora. - 
Di sicuro, non mi sarebbe dispiaciuto. 
Alla fine accese comunque la radio, fortunatamente stavano passando una canzone dei Coldplay. La voce di Chris Martin che cantava Fix You ebbe il potere di rilassarmi così tanto da farmi crollare in un sonno profondo.
Mi svegliai che eravamo fermi ad una stazione di servizio. Louis non era in auto. 
Guardai l'orologio che segnava le nove, dovevamo essere quasi arrivati. 
- Hey, bello addormentato - mi salutò Louis non appena risalì in macchina. - Ho dovuto fare il pieno, eravamo rimasti a secco. - 
- Ricordami di pagarti la metà della benzina, poi - dissi sbadigliando. 
Louis alzò gli occhi al cielo. - Tra dieci minuti siamo arrivati. Sei mai stato a Londra? -
- Solo una volta, qualche anno fa. - 
- E' meravigliosa, una delle città più belle al mondo nonostante il pessimo clima. Se abbiamo abbastanza tempo ti porto in un posto. - E detto questo rimise in moto. 
I dieci minuti volarono e io mi persi con lo sguardo fuori dal finestrino. 
Trattenni il fiato quando incrociammo il cartello stradale che indicava "Notting Hill".
- Notting Hill, il mio angolo di Londra preferito. - disse Louis e io automaticamente sorrisi avendo riconosciuto la citazione. - C'è il mercato, dove nei giorni feriali si vende ogni genere di frutta e verdura noto all'uomo. -
- La bottega del tatuaggio, - continuai io - con fuori un tizio che si è ubriacato e ora non ricorda perché si è fatto incidere "Sono pazzo di Ken".
Ridacchiammo insieme. 
- Non ho un succo d'arancia da gettarti addosso2, mi dispiace - disse poi Louis, sempre ridendo.
Mi strinsi nelle spalle. - Pazienza - risposi.
Ed eccoci arrivati nel quartiere di Kensington, il posto dove Louis avrebbe dovuto tenere il colloquio.
L'asilo si trovava a pochi minuti da Kensington Gardens, era una bella struttura con un ampio spazio verde pieno di altalene e scivoli. 
Louis si stava mangiando le mani dal nervosismo. Gli poggiai una mano sulla spalla per rassicurarlo.
Ci accolse una signora piuttosto anziana, sembrava gentile. Portò via Louis in una stanza e mi disse che potevo aspettare seduto su una delle panchine nel giardino.

Dovevamo essere capitati durante l'orario della merenda perchè i giardinetti pullulavano di testoline. Aspettai seduto lì fuori una mezz'ora.
D'un tratto, una bambina mi si avvicinò. - Ciao - mi salutò. - Chi sei? - 
Sorrisi. - Ciao, piccolina. Mi chiamo Harry e sono qui per aspettare un amico, e tu? -
- Io mi chiamo Stacey. Il tuo amico viene a scuola qui? - 
Ridacchiai leggermente. - Non proprio, tesoro. Se tutto andrà bene, forse diventerà uno dei vostri maestri. -
Gli occhi della piccola si accesero di curiosità. - Davvero? - 
Io annuii e in quel momento sentii la voce di Louis richiamarmi dal corridoio.
- Sono qui - gli urlai in risposta.     Mi raggiunse pochi secondi dopo. - Chi è questa bella bambina? - domandò accucciandosi accanto alla panchina dove ero seduto per avere Stacey di fronte. - Devo essere geloso? - 
- Si chiama Stacey e stavamo giusto parlando di te - lo informai cercando di non arrossire mentre la bambina ridacchiava. - Stacey, questo è Louis. - 
La piccola allungò la manina e Louis gliela strinse affettuosamente. 
- Allora, piccola, se ci sarai ancora, ci rivedremo il prossimo anno, okay? - le disse. 
Io mi voltai di colpo verso di lui, sorridendo. - Ce l'hai fatta? - 
Louis annuì, raggiante. - Mi richiameranno appena finito l'anno e poi potrò fare un mese di prova - spiegò. 
La bambina prese a saltellare, gioiosa. Si avvicinò per dare un umido bacetto ad entrambi e, prima di voltarsi per tornare a giocare con i suoi amichetti, ci disse: - Siete proprio carini, come il mio papà e il suo fidanzato. - Poi se ne andò. 
Sorrisi imbarazzato e lanciai un'occhiata a Louis per vedere come aveva reagito a quelle parole. 
Stava sghignazzando? Oh, sì. Questo aumentò l'imporporarsi delle mi guance. 
- Sarà meglio andare - dissi poi, alzandomi. 
Louis guardò l'orologio. - Abbiamo ancora tempo prima di partire, ti va di fare un giro? - 
Annuii e mi ritrovai due secondi dopo ad essere trascinato da Louis per la strada. 
- Dove stiamo andando? - domandai. 
- Al parco, ovvio. Hai mai visto i Kensington Gardens? - 
Feci di no con la testa e Louis aumentò il passo. 
Il Cheshire era praticamente tutto verde e umido quindi non mi aspettai granché, le solite cose. Come sempre, sbagliai alla grande perchè quello era in assoluto il più bel posto che io avessi mai visto. C'erano fontane ovunque e panchine e persone che facevano jogging nonostante il freddo pungente di Dicembre. E ancora, c'erano degli anziani che giocavano a dama proprio sulla riva di un laghetto quasi ghiacciato abitato da qualche cigno. 
- Bello, no? - mi chiese Louis e sorrise notando la mia espressione frastornata. 
- Sono centoundici ettari di pura meraviglia, questi. E non è tutto, questo è il posto in cui è ambientata parte della prima opera di Peter Pan di Barrie. A tal proposito, seguimi, ti faccio vedere una cosa... - mi prese per il polso e insieme percorremmo qualche vialetto in mezzo agli alberi. C'era parecchia nebbia che, però, rendeva quel luogo ancora più bello. 
- Eccoci qui, questo è il mio posto preferito. - 
Eravamo in piedi davanti ad una statua, feci fatica a metterla a fuoco ma appena ci riuscii trattenni il fiato. Era molto più bella di come l'avevo immaginata. 
- La statua di Peter Pan fa sempre un certo effetto, no? E' per questo che la adoro - fece Louis. 
Ci mettemmo seduti su una delle panchine del giardino. 
- Grazie per avermi portato qui - ruppi il silenzio. - E' davvero un bel posto, mi piacerebbe venirci più spesso. - 
- Quando vuoi - disse allora Louis, sorridendo. 
- E' un invito? Guarda che non mi faccio problemi ad accettare. - Cercai di dissimulare l'imbarazzo. Louis ridacchiò. - Mi offenderei se tu rifiutassi, in realtà. -
- Bene, allora accetto volentieri. - Un brivido mi percosse e, automaticamente, mi strinsi di più nella giacca. 
- Hai freddo? - mi domandò Louis. Io annuii.  
- Probabilmente una persona davvero romantica ti avrebbe offerto la giacca ma, credimi, per quanto vorrei farlo, ho paura che mi trasformerei in un ghiacciolo nel giro di pochi secondi. Ci tengo alla mia vita. - 
Boccheggiando, tra una risata e un'altra, risposi solo: - Tranquillo, capisco. Avrei fatto lo stesso. -
Si alzò in piedi. - Dai, andiamocene prima di rischiare l'ibernazione. - 
Nonostante fosse di qualche centimetro più basso del mio metro e ottanta, mi passò un braccio attorno alle spalle senza fatica. - Almeno starai caldo fino alla macchina - spiegò soltanto.

Le quattro ore di viaggio per arrivare ad Holmes Chapel furono estenuanti ma, almeno, non caddi addormentato come un sasso. Io e Louis trovammo il tempo per chiacchierare, cantare e fare le parole crociate. Gli chiesi se aveva qualche allergia per determinati cibi, gli raccontai di mia sorella, della mia famiglia e lo avvertii che la mia stanza era un totale disastro. 
Alla fine parcheggiò nel vialetto di casa mia alle cinque del pomeriggio. Era già buio.
- Ci siamo - sussurrai. Ero un po' nervoso, a dire il vero. Lo avrei dovuto presentare come mio amico? Certamente, non c'era nulla in più di una buona amicizia a parte qualche spruzzatina di flirt. E se i miei avessero iniziato a fare domande? E se lo avessero messo in imbarazzo o tirato in mezzo a delle questioni che lui non sognava neanche? Non avevo mai portato a casa un ragazzo che non fosse Ed e, beh, lui era più che altro come un fratello.
- Tranquillo, Harry, non stiamo andando in contro alla morte - ridacchiò lui, poi, notando con quanta violenza stavo torturando il lembo della giacca.
Aveva, in qualche modo, capito i miei dubbi. 
Tirai fuori le chiavi di casa dal mazzetto che avevo legato ad un passante dei jeans e aprii, piano.
Non feci in tempo a mettere piede in casa che mia madre mi aveva già buttato al collo le braccia. 
- Mamma, ti prego, mi stai uccidendo. - 
Lei si staccò da me scompigliandomi i capelli. - Mi sei mancato, piccolo. -
Tossicchiai, diciannove anni non mi rendevano più così piccolo. Sentii Louis ridacchiare sommessamente dietro di me. A quel punto, mi madre si accorse di lui. 
- Tu devi essere l'amico di Harry! - esclamò scansandomi da una parte per accogliere il nuovo arrivato. 
Louis le rivolse un sorriso cordiale. - E' davvero un piacere conoscerla, signora. -
- Ti prego, chiamami Anne - e detto questo gli stampò un bacio sulla guancia. 
Alzai gli occhi al cielo.  - Gemma è in casa? - le domandai.
-Sì, tesoro, è sotto la doccia. Io vado a finire di preparare la cena, fai mettere comodo il tuo amico - e si dileguò. 
Io e Louis andammo a prendere i borsoni in macchina e portammo tutto in camera mia. 
- Uhm, puoi prendere il mio letto, sei vuoi, io dormo con Gemma - lo informai. 
Louis annuì e gli lasciai tempo per sistemare le sue cose. Uscii dalla stanza e bussai alla porta della camera di mia sorella che mi venne ad aprire in accappatoio. 
- Harry! - urlò mentre mi abbracciava. - Mi sei mancato da morire, lo sai? -
Tuffai il viso nell'incavo del suo collo e inspirai il profumo dei capelli ancora umidi. - Mi sei mancata anche te, scricciolo. - 
Mi fece entrare e, mentre si cambiava in bagno, esaminai gli oggetti nella stanza constatando che nulla era cambiato dall'ultima volta in cui ci ero entrato, circa sei mesi prima. 
- Allora, ho saputo che non sei venuto solo - mi punzecchiò, mentre si pettinava i capelli biondi. 
Sorrisi leggermente. - Non ti fasciare la testa, Gems, è solo un amico. L'ho accompagnato a Londra per un colloquio di lavoro e siamo venuti qui. - 
Lei annuì. - Capisco... Sì, capisco, davvero. Ti piace e non sai come dirglielo, eh? - 
Non c'era scampo con Gemma, anche con tutto l'impegno non riuscivi a tenerle neanche mezza cosa nascosta. Mi toccò annuire a mia volta, amareggiato. 
- Ma lui è...? - 
- Sì - le riposi senza aspettare che finisse la domanda. - Sì, è gay. - 
- E allora, se ti piace perchè non glielo dici? - 
- Potrei non piacergli, ci hai pensato? Cioè, potrei non piacergli come... ragazzo. - 
Lei rise e si avvicinò per pizzicarmi una guancia. - Sei così adorabile, come si fa a non amarti? - 
- Sei un'idiota, Gems - le dissi mentre, però, ridevo anch'io. Cavolo, mi era mancata davvero. 
Era una rompiscatole di prima categoria ma, senza di lei, mi sarei sentito perso. 
- Come ci si sente a diventare vecchi? - le domandai, ammiccando. 
In risposta ricevetti una spazzola in testa. 
Aspettai che si asciugasse i capelli e poi la accompagnai in camera mia per farle conoscere Louis. 
- Hey, tu devi essere l'amico di mio fratello! - esclamò non appena entrammo nella stanza. La stronzetta fece molta attenzione a calcare la parola 'amico', cosa che fece arrossire un tantino Louis. Le lanciai un'occhiataccia. 
- E' un piacere conoscerti, Louis - continuò lei, sorridendo. 
- Idem - rispose Louis stringendole la mano. 
Parlando, notai che Louis e Gemma oltre l'età avevano parecchie cose in comune, una era per esempio torturare me con delle battutine perfide. 
Alle sette mamma ci chiamò per la cena, Robin era fuori per lavoro e sarebbe arrivato solo l'indomani per il compleanno di Gemma. 
- Harry mi ha parlato del colloquio, com'è andata? - chiese mia madre, ad un certo punto, tra il secondo e il contorno. 
Louis ingoiò il boccone e, sorridendo, le rispose: - A meraviglia, in realtà. - Inizierò a lavorare non appena avrò finito il College, quest'estate. - 
E le chiacchiere procedettero per una buona oretta, senza complicazioni. Louis si offrì di aiutare mia madre a sparecchiare, gesto che lei apprezzò moltissimo. Alla fine, tornammo di sopra in camera mia con la pancia piena alle dieci, minuto più minuto meno. 
- Mi piace la tua famiglia - mi disse Louis mentre chiudeva la porta della stanza alle sue spalle. 
- Credo che la cosa sia reciproca. - Gli sorrisi. 
Lasciai che Louis facesse scivolare lo sguardo sulla moltitudine di oggetti che popolava la mia camera perchè sapevo esattamente dove, alla fine, i suoi  si sarebbero fermati. 
- Quello è un vinile dei Queen? - mi domandò, infatti.
Accennai un sorrisetto.  - Ed è pure firmato da Brian May - gli dissi. 
- Posso vederlo? - 
- Certo che sì, amalo finché puoi. - 
Louis si gettò a prenderlo e, con sguardo sognante, ammirò le canzoni che conteneva e la firma del mitico Brian. Era autentica e non avevo minimamente idea di come Robin fosse riuscito ad ottenerla. Di una cosa ero certo, non lo avrei dato via per nulla al mondo.
Gli indicai il giradischi sulla scrivania e lui non esitò a far partire il disco. 
- Che meraviglia - sussurrò e si sedette sul letto accanto a me. 
Le note di Bohemian Rhapsody risuonavano nella stanza ed, entrambi, chiudemmo gli occhi per concentrarci sulla musica.
La voce di Freddie Mercury è ineguagliabile, pensai.

- Tu mi piaci, Harry - se ne uscì fuori ad un certo punto Louis, proprio mentre Freddie terminava la canzone con la frase 'anyway the wind blows'.
Io sgranai gli occhi, sorpreso. 

- Pensavo te ne fossi accorto, in realtà - continuò. - Mi piaci da quando mi hai fatto ascoltare quel vinile dei Beatles durante il giorno delle bancarelle, credo. - 
La mia espressione in quel momento doveva essere piuttosto buffa perchè lo sentii chiaramente ridacchiare. Cercai di riprendere un minimo di contegno e tossicchiai. - Beh, non è che i tuoi segnali fossero molto chiari, comunque. - 
- Se è per questo, neanche i tuoi mi hanno dato modo di farmi avanti prima - ribatté lui, sorridendo.
- Hey, io non ho mai detto che mi piaci! - esclamai allora io.
- Quindi non ti piaccio? - fece lui, osservandomi accigliato.
Lo guardai. - Non ho mai detto neanche questo, veramente... - 
Louis alzò gli occhi al cielo. - Di cosa stiamo parlando allora, Harry? - 
- Non ne ho idea - sussurrai e, non sapendo neanche da dove avessi preso il coraggio, mi sporsi per baciarlo. Le sue labbra erano morbide, come avevo immaginato.
Louis rispose al bacio quasi subito, non appena ebbe compreso ciò che stava effettivamente accadendo. Portò una mano tra i miei capelli e, non appena ci staccammo per riprendere fiato, mormorò qualcosa del tipo: 'ti prego, non tagliarli'.
Inevitabilmente, sorrisi sulle sue labbra e, senza un pensiero, ripresi a baciarlo. 
Non fu nulla di particolarmente spinto, ci prendemmo il nostro tempo per assaporare bene l'uno le labbra dell'altro e, solo quando la voglia di respirare era diventata più forte di quella che ci teneva ancora uniti, ci separammo.
- Beh, è stato... interessante - commentò Louis poggiando, fugacemente, un'ultima volta le labbra sulle mie.
Io sorrisi. - Decisamente, sì. -
Restammo in silenzio per qualche secondo, seduti sul mio letto con il fiato corto e la mia mano stretta alla sua. Neanche dopo il mio primo bacio mi ero sentito così elettrizzato. Le farfalle nella mia pancia avevano deciso di ballare la conga. 
- Quindi? - La domanda di Louis aleggiò nell'aria qualche secondo prima di ricevere una risposta.
Mi voltai a guardarlo. - Quindi ci proviamo, no? -
Lui annuì sorridendo e il mio cuore fece una piccola capriola. 
Louis si alzò dal letto. - Dove stai andando? - chiesi.
- In bagno, ho bisogno di una doccia. Posso? - 
- Certo. E' la seconda porta sulla destra, appena esci da qui. - 
Raccolse la sua roba e, prima di uscire, si avvicinò e mi scompigliò i capelli affettuosamente.
Il suo tocco era diverso, ora, in confronto a quella mattina. C'era una diversa intimità, riuscivo a percepirla. Mi piaceva.
Non appena si chiuse la porta alle spalle mi precipitai a ripescare il mio cellulare da una delle tasche della giacca. 

A: Gemma.
Mi hai appena perso, sorellina. 

E neanche due minuti dopo eccola che spalancava la porta.
- Ti prego, dimmi che è quello che sto pensando. - 
Io annuii soltanto e la vidi fare un piccolo salto di gioia. 
- Non provare a dirlo alla mamma, chiaro? Lo farò io quando tutto si sarà stabilizzato per bene. -
- Promesso. - Si avvicinò per abbracciarmi. - Buona notte, allora. - 
Dieci un'occhiata all'orologio appeso sulla parete di fronte a me. - Buon compleanno, scricciolo. - La strinsi più forte. 
Si districò dal mio abbraccio quando sentì dei passi provenire dal corridoio. - Meglio che vada. - Mi fece l'occhiolino e io sbuffai, divertito. 
Lei e Louis si scontrarono sulla porta, sentii Gemma ridacchiare. A volte non sembrava lei la figlia maggiore. 
- Hey - mi salutò Louis. 
- Hey - feci di rimando io. 
- Resti? - mi chiese. 
- Solo se vuoi. - 
- Certo che voglio. - Sorrise. - Anche se non credo che il tuo letto possa ospitare più di una persona e mezza. - 
- Pazienza, ci stringeremo. - Ed ecco che il mio cuore ricominciava a fare le capriole.
Mi ci vollero due minuti per infilarmi il pigiama, poi lo raggiunsi sotto le coperte.
Ci sistemammo come meglio potemmo, il letto era davvero troppo piccolo per due persone.
- Non sembra male - sussurrò Louis. - Potrei farci l'abitudine. -
La mia schiena era poggiata al suo petto, il suo braccio mi cingeva la vita. 
- Sì, anche io - dissi. 
- E tutto questo lo dobbiamo ad una bancarella di dischi in vinile. - 
Ridacchiai. - Sia benedetto il giorno in cui ho deciso di allestirla. - 
Mi stampò un bacio tra i capelli. - Buona notte. - 
Allungai il braccio per arrivare all'interruttore della luce - Buona notte, Lou. - 

 



Spazio autrice.
*tira un sospiro di sollievo* Scrivere questa one-shot è stato, come si suol dire, un parto. Credo sia una delle più lunghe che io abbia mai scritto ed è anche la mia prima AU *si emoziona*. Allora, uhm, non so che dire, il mio incondizionato amore per i Beatles, i Queen e i dischi in vinile mi ha portato a scrivere questa sottospecie di fan fiction e, ovviamente, chi potevano essere i protagonisti se non i miei amati tesorini? Aw.
Come avrete notato ho inserito Perrie, Ed e Gemma perchè, oltre ad essere tre delle persone che più adoro, mi piace l'idea di loro che fanno da cornice ai Larry. Quindi, ecco, spero di averveli fatti apprezzare un po' di più. Un appunto: il Clifton College di Bristol esiste davvero e c'è davvero una regola che vieta le tinte per capelli esagerate, lol. Le bancarelle sono una mia invenzione, invece, come tutto il resto.
Btw, lascio a voi i commenti, se ne avete. Intanto vi faccio un applauso per essere arrivati a leggere fin qui, ne avete di pazienza, lol. 
Mi dileguo, adesso. Ho taaaanto sonno c.c 


Adieu.

 
Il nome del gruppo è 'The Beatles' perciò, in ordine alfabetico, si trova sotto la 'T'.
 2 In Notting Hill, Hugh Grant (William) rovescia un'aranciata addosso a Julia Roberts (Anna).

 
   
 
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