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Autore: micRobs    14/02/2014    1 recensioni
" «Se non te ne vuoi andare, cosa vuoi fare?»
Sebastian storse le labbra in una smorfia a metà tra il perplesso e il palesemente ovvio. «Restare?» Domandò, retorico.
Restare dove? Su quel sedile? Nella mia vita? Nel tuo qui-ma-non-proprio che non sarà mai vicino abbastanza? Così lontano da me? – Thad piegò le labbra all’interno, poi annuì brevemente e si voltò di nuovo verso il vetro. «Rimani pure, ho detto che non mi dai fastidio.»
Se Sebastian voleva che fosse lui a fare qualsiasi cosa, avrebbe ricevuto una bella delusione, perché neanche lui aveva idea di cosa fare e, soprattutto, di come farlo. Erano due idioti complessati, o forse semplicemente non era tempo per loro. "
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note di Robs: Come ogni anno, più che una shot di San Valentino, questa è una shot per augurare buon compleanno a Vals. Di solito sono sempre sotto esame e non ho mai tempo per dilungarmi e scrivere qualcosa di veramente dignitoso e meritevole, ma quest’anno ho avuto ho un po’ più di tempo a disposizione e il prompt che lei mi ha fornito era davvero tanto ispiroso, così… ecco quello che ne è uscito. È lunghetta, ne sono assolutamente consapevole, ma ci tenevo a fare le cose per bene ♥ Non vi nascondo che a me piace tanto, quindi spero che piaccia anche a voi e che, soprattutto, piaccia a Vals ♥
Un grazie a Meli per la lettura in anteprima e il betaggio ♥
 

 
A Vals,
siamo ancora io e te contro il mondo.
Ti voglio bene.
 
 
 

 
How do I get away,
when you’re begging me to stay?
 
 



 
Le sue dita correvano lentamente sulla superficie liscia e umida.

Indice e medio. Si alternavano con una naturalezza non costruita, senza seguire alcuno schema o le tracce di un disegno premeditato; scoprivano linee morbide che, forse, altro non erano che il corso stesso dei suoi pensieri. Un insieme di curve astratte, prive di inizio, fine o senso logico, un percorso continuo e infinito che ritornava sempre allo stesso punto.

Come le immagini che gli si accavallavano nella mente, le medesime da ore, ormai, a cui non riusciva a dare un ordine o una definizione. E forse era proprio il flusso della sua memoria a spingerlo a tracciare quelle “S” infinite sul vetro, grattando nella condensa che lo appannava e scoprendo sprazzi del panorama notturno che si celava al di là di esso. Non gli importava, il paesaggio oltre il finestrino era l’ultimo dei suoi problemi. Continuava a ripetersi che era un motivo facile da ripercorrere, quella linea curva che le sue dita continuavano a produrre, che quindi non era improbabile che la sua mente la trasmettesse alle dita quando lui era sovrappensiero, ma in realtà era ben consapevole che la spiegazione non fosse quella. Non completamente, se non altro.

La “S” era anche l’inizio dei suoi pensieri.  Inconsapevolmente o meno, c’era qualcosa dentro di lui che lo spingeva a metterlo per iscritto, a calcare quella lettera come se il ripassarla potesse aiutarlo in qualche modo a sbrogliare la matassa di fili colorati che riempivano la sua testa.

Era così che immaginava i suoi ricordi: un groviglio di cavi di diverse tonalità, talmente disordinato da non riuscire a trovare un capo da cui iniziare a dargli un senso. Ogni colore aveva un significato differente: il giallo erano i suoi amici, il blu richiamava la sua famiglia, il rosso rappresentava tutto ciò che riguardava la scuola, il verde invece era per lui. E in quel momento c’erano talmente tanti fili verdi da oscurare quasi del tutto gli altri colori.

Era tutto incasinato ma, più Thad ripercorreva mentalmente quelle linee verdi e più quelle si infittivano. Più rimuginava sul problema e più la soluzione si allontanava. Sua madre gli ripeteva sempre che preoccuparsi non serve a nulla, perché i problemi o hanno soluzione o non ce l’hanno: se ce l’hanno, preoccuparsi è del tutto inutile; se non ce l’hanno, preoccuparsi è ugualmente inutile. Thad lo aveva sempre trovato un discorso molto sensato e razionale, ma non era mai riuscito a farlo suo abbastanza da metterlo in pratica. Per quanto i suoi dilemmi fossero chiaramente risolvibili o meno, lui non riusciva comunque a smettere di pensarci e sviscerare la situazione, analizzarla da ogni prospettiva e angolazione e assicurarsi di non aver tralasciato nessun dettaglio importante ai fini della sua risoluzione.

Era un suo limite, ne era ben consapevole, ma ciò non gli impediva di trascorrere intere notti sveglio a pregare quasi il suo cervello di spegnersi e lasciarlo dormire.

Come quella notte, quella che lui stava trascorrendo incastrato nello scomodo sedile del pullman che stava riportando lui e i suoi compagni di scuola alla Dalton, dopo i quattro giorni che avevano trascorso nella baita in montagna. La gita invernale era forse il momento che lui aspettava con più ansia ed entusiasmo in tutto l’anno scolastico. Una manciata di giorni vissuti tra piste da sci, escursioni  sulla neve e poltrone fin troppo accoglienti. Quell’anno, poi, si poteva dire che la attendeva con ancora più eccitazione, perché vi era una cosa che negli anni precedenti era sempre mancata, nella sua vita e nei fili intrecciati dei suoi ricordi: Sebastian Smythe.

Thad non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto quel ragazzo a diventare il centro dei suoi pensieri in così poco tempo, il perno intorno al quale ruotavano le sue giornate e il suo buonumore. Jeff diceva che il suo era stato il colpo di fulmine più epico dopo quello di Justin per Brian, ma Thad sapeva che in realtà non si era trattato proprio di un colpo di fulmine nel senso stretto del termine. Era stato come una miccia che si accende poco a poco, percorre tutta la striscia di benzina fino al barile e alla fine lo fa saltare in aria. E lui era saltato in aria e continuava a bruciare in un incendio che era sicuro niente potesse spegnere. Specialmente perché Sebastian non faceva altro che alimentarlo, ogni volta che lo guardava o lo sfiorava casualmente. E le volte in cui ciò accadeva erano più di quanto il suo cuore e la sua sanità mentale potessero sopportare.

Aveva davvero creduto di piacergli e di avere una chance con lui; forse era stato uno sciocco ad illudersi, ma sapeva che la colpa non era del tutto sua. Non quando Sebastian gli si avvicinava così tanto che Thad sentiva il suo calore sulla propria pelle. Ustionandolo e lasciandogli profondi segni del suo passaggio addosso.

Ripercorse brevemente i mesi trascorsi da quando Sebastian si era trasferito alla Dalton: le frecciatine iniziali, la difficoltà a dividere gli spazi, l’innata premura e l’interesse impossibile da nascondere. E gli sguardi, profondi e infiniti, che si scambiavano a lezione e a mensa e nei corridoi; gli sfioramenti sempre meno casuali e quella sorta di istinto che li portava a ronzarsi intorno più di quanto fosse necessario. No, Sebastian trovava sempre il modo di stargli vicino; alle prove, a lezione, a mensa, trovava sempre una scusa per toccarlo e per rivolgergli la parola e non cercava neanche di non farsi sorprendere a guardarlo con insistenza, quindi la colpa non poteva proprio essere la sua.

Ciò di cui poteva però essere imputato era l’ingenuità: di quella ne aveva avuta anche troppa. Troppo ingenuo infatti era stato a credere che quella gita sulla neve potesse cambiare qualcosa tra loro, troppo ingenuo a sognare scenari di difficile attuazione, troppo ingenuo a credere davvero che Sebastian avrebbe approfittato di quell’occasione per fare qualsiasi cosa che gli confermasse di non essersi illuso. Troppo, troppo ingenuo a sperarci davvero e a rimanerci male alla fine.

Ma, d’altronde, si era innamorato di lui con talmente tanta facilità, che l’ingenuità forse era stato proprio il suo problema a monte. Quel ragazzo aveva scavato nel suo cuore e nel suo cervello con la stessa semplicità con cui le sue dita avevano rimosso la condensa dal finestrino, imprimendoci sopra quelle “S” infinite che iniziavo a gocciolare con lentezza. Anche il suo cuore ormai doveva essere inciso di piccole “S” intrecciate, Thad ne era convinto.

Chiuse gli occhi e passò con decisione la mano sul vetro, cancellando la prova delle sue debolezze e trovandosi improvvisamente faccia a faccia con il suo riflesso sfatto. Doveva essere notte fonda e ormai erano in viaggio da quasi due ore: aveva bisogno di dormire e lo sapeva, in particolar modo perché l’ultima sera trascorsa al cottage lui e gli altri Warblers si erano riuniti in camera di Richard, Flint e Trent e avevano aspettato l’alba lì. Il ricordo lo sorprese a tradimento, insidiandosi fra le pieghe della sua pelle stanca, fino a quel punto vicino al cuore che sanguinava e doleva ogni volta che lui tornava con la mente a Sebastian.

C’era stato un momento, quella sera, mentre i ragazzi si raccontavano scemenze e bevevano l’alcool che avevano infilato di nascosto nelle valigie, in cui lui aveva sentito il bisogno di prendersi qualche minuto per sé, così si era avvolto in una coperta ed era uscito sul balcone – la loro camera era l’unica ad esserne fornita. Sebastian lo aveva raggiunto dopo pochissimo tempo e Thad aveva saputo che era lui nello stesso istante in cui aveva sentito il rumore della porta scorrevole che si apriva. Thad aveva condiviso con lui la sua coperta ed erano rimasti affacciati alla balaustra del balcone per un tempo che gli era sembrato infinito, parlando poco e guardandosi tanto. Un altro di quei momenti in cui lui aveva creduto che Sebastian stesse per fare qualcosa, un altro di quei momenti in cui erano talmente vicini che gli sembrava quasi assurdo e doloroso non annullare quella distanza minima che ancora li separava. Ma Sebastian non aveva fatto nulla e, quando poi erano tornati nelle loro camere per prepararsi a vivere quell’ultima giornata di gita, Thad aveva sentito il cuore appesantito dalla consapevolezza che fosse giunto il momento di smontare il castello che così velocemente si era costruito in testa.

Mattone dopo mattone. Ogni pezzo che tirava giù era una fitta dolorosa al centro esatto del petto, in contrapposizione alla facilità con cui era stato innalzato.

Era neanche a metà della prima torre, quando Sebastian comparve al suo fianco. Thad avrebbe mentito se avesse affermato di non aspettarselo, solo che una parte di lui sperava di essere lasciata in pace almeno in quel momento. L’altra invece si stava maledicendo perché erano quasi due ore che moriva dalla voglia di vederlo arrivare.

«Ehi» mormorò quello, la voce tenuta bassa per evitare di svegliare il pullman addormentato. «Sei sveglio.»

Thad annuì, mentre Sebastian prendeva posto al suo fianco. Senza chiedere il permesso, così come aveva preso posto nella sua vita. «Anche tu» ribatté e l’altro sollevò appena le spalle.

«Hudson parla nel sonno: non potevo chiudere occhio che iniziava a blaterare frasi sconclusionate» spiegò, mettendosi comodo. «Che fine ha fatto mammina?»

«Con Nick, qualche sedile più avanti. Ormai credo staranno dormendo.»

Sebastian fece una smorfia e allungò appena il collo, sbirciando le file anteriori per accertarsi delle sue parole, ma non rispose e Thad non si aspettava neanche che lo facesse. Era sempre così tra di loro: a dispetto dei primi mesi, in cui non facevano altro che battibeccare ed offendersi, avevano iniziato a trascorrere la gran parte del loro tempo stando in silenzio. Non vi era una vera motivazione, ma, dal canto suo, Thad aveva talmente tante cose che non poteva dirgli da aver capito che, forse, era meglio che non parlassero affatto. Così tornò a volgere lo sguardo fuori dal finestrino, ormai di nuovo quasi appannato, sforzandosi di trovare interessante la strada che scorreva al di là di esso.

La voce di Sebastian lo raggiunse quando ormai era quasi riuscito a rilassarsi di nuovo. «Dovresti dormire anche tu» disse e Thad aggrottò lievemente la fronte, voltandosi a guardarlo, quasi stupito da quella premura.

Smythe lo stava osservando con sguardo serio e irreprensibile, il verde delle sue iridi completamente sparito dietro le pupille dilatate, e la sua postura era un po’ rigida, come se si stesse sforzando di rimanere al suo posto. Thad lo studiò per qualche istante, prima di mordersi un labbro e rispondere: «Non sono stanco.»

Ed era una bugia bella e buona, anche perché il suo viso stravolto e gli occhi arrossati dovevano essere sintomo piuttosto evidente della sua stanchezza; Sebastian, in ogni caso, non se la bevve, poiché gli rivolse un’occhiata scettica e paziente che causò a Thad brividi diffusi su tutto il corpo.

«La tua faccia dice l’esatto contrario. O sei stanco o sei strafatto e io ti ho visto distintamente tossire un polmone, dopo aver fatto un tiro dalla sigaretta di Richard: dubito che tu sia riuscito a farti una canna senza farti venire una crisi respiratoria.»

Thad era sconcertato, non tanto per quella spiegazione più che corretta, quanto per la sicurezza con cui Sebastian gliel’aveva presentata. Quasi come se fosse un suo preciso dovere preoccuparsi per lui e vigilare costantemente sul suo benessere; quella consapevolezza gli strinse il cuore in una morsa talmente soffocante da costringerlo a boccheggiare alla ricerca di ossigeno.

«Questi sedili sono stretti» rispose, perché era impossibile non lasciarsi ammaliare dalla decisione riflessa nello sguardo di Sebastian. «Non riesco a trovare una posizione comoda.»

L’altro storse le labbra in una smorfia dubbiosa, ma non indagò oltre e Thad gliene fu oltremodo grato, perché non era pronto a dirgli che in realtà non riusciva a dormire perché non sapeva come smettere di pensare a lui. Temeva che Sebastian sapesse già che era quella la verità, ma un conto era sospettarlo e un altro era averne la certezza.

«Gli altri non la pensano come te» osservò quello, spostando lo sguardo verso i posti alla sua sinistra, dove Cameron e Flint dormivano profondamente.

«Sono stati giorni stancanti» suppose Thad, con logica. «E ieri notte non abbiamo dormito granché, quindi immagino sia normale che adesso si addormentino un po’ dove capita.»

Sebastian allora riportò gli occhi nei suoi e lo fissò come se si aspettasse esattamente quella risposta da lui. «Suppongo che il discorso non valga per te.»

Come si faceva a mentire davanti a quello sguardo così intenso ed indagatore? Thad non lo sapeva, non ne aveva idea, ma c’era una cosa di cui era sicuro: stavano vivendo un altro di quei momenti, quelli in cui Sebastian era così vicino da far male e lui non avrebbe trovato la forza di provare a rimetterlo a distanza. Oltretutto, così incastrato tra lui e il finestrino, era anche in trappola, quindi non sarebbe comunque riuscito a scappare.

A fatica, distolse lo sguardo dal suo, tornando a concentrarsi sulla condensa che ricopriva il vetro. «Posso dormire alla Dalton. Adesso… voglio godermi il viaggio.»

«Anche se il sedile è scomodo e l’autista dà l’idea di aver vinto la patente con i punti della benzina?»

Thad storse le labbra in un mezzo sorriso e scrollò appena le spalle. «Mi piacciono i viaggi in pullman, anche… anche in queste condizioni, sì» tacque un attimo, poi aggiunse: «Li trovo rilassanti.»

Per quanto rilassante potesse essere, considerata la presenza di Sebastian accanto a sé, oltre che nei suoi pensieri; ma questo non glielo avrebbe detto perché, di nuovo, era sicuro che il ragazzo lo sapesse già. E la cosa lo spaventata all’inverosimile, perché tra loro due non vi erano mai state tante parole dirette – perlopiù sguardi e qualche sorriso sporadico – ma pareva che Sebastian sapesse sempre e perfettamente cosa gli passasse per la testa. Quella era una delle altre cose che, per quanto lui si sforzasse di non farlo ed essere razionale, gli facevano pensare: “Ecco, ho la certezza che sarebbe così bello e facile stare insieme.”

«Quindi sto disturbando il tuo relax?» La voce di Sebastian lo sorprese dopo qualche istante di silenzio e sembrava quasi amareggiata e venata di un qualcosa che, se Thad non lo avesse conosciuto così bene, avrebbe detto fosse risentimento. «In effetti, sì, la tua espressione mostra chiaramente quanto rilassato tu sia, non sembra proprio che tu abbia appena sotterrato il tuo cucciolo d’infanzia. Come mi vengono questo idee?»

Thad si voltò automaticamente a guardarlo e, dal suo viso così duro e contratto, intese che il ragazzo dovesse davvero sentirsi in qualche modo offeso e ferito dal suo comportamento. Ma quello per lui non aveva alcun senso. Che aveva detto di male? Ripassò mentalmente la sua risposta di poco prima, ma non trovò nulla che giustificasse quello sguardo all’improvviso così spento.

Quindi si limitò a rispondere sinceramente. «Ho detto che li trovo rilassanti, non che io mi stia rilassando» fece una breve pausa, decidendo se dovesse o meno tirare tutto fuori, quindi sospirò: «E non mi dai fastidio. Anzi.»

Sebastian addolcì in maniera impercettibile la postura rigida delle sue spalle, ma ancora non tolse la maschera di recriminazione che gli aveva adombrato il viso. «Se io me ne andassi» iniziò, e parve fin troppo a disagio, quasi fuori luogo, nel pronunciare quelle parole. «Riusciresti a rilassarti?»

“No”, fu il primo pensiero che attraversò la mente di Thad, intenso e fulmineo come una verità a lungo scacciata, ma difficile da ignorare ancora.

«No» fu anche quello che Thad disse. E poi, senza stare troppo a pensare alle conseguenze, aggiunse: «Non te ne andresti mai completamente.»

Le labbra di Sebastian si piegarono in una parvenza di sorriso, malinconico e quasi fantasma. «Forse non me ne voglio andare completamente, ci hai pensato?»

“No”, di nuovo, “Perché avrei dovuto?”

Si sentiva come ad un bivio, un incrocio che lo obbligava a scegliere tra due strade opposte ed esclusive, senza possibilità di tornare indietro. La parte peggiore, però, era la consapevolezza che la scelta spettasse solo a lui. C’era stato un momento, uno dei tanti che aveva condiviso con Sebastian e che non erano mai diventati più di quello, in cui aveva avuto l’opprimente sensazione che l’unico modo per far cambiare le cose era che fosse lui ad agire. C’era una nota stonata nei comportamenti di Sebastian, nei suoi qui-ma-non-proprio che lo aveva portato a credere che lui ormai avesse raggiunto il suo limite invalicabile, quello oltre il quale non si era mai spinto con nessuno e che sembrava impossibilitato ad oltrepassare, e che oltre quello non si sarebbe avventurato. Non sapeva se si trattasse di paura, codardia o semplice mancanza di forza di volontà, ma, da qualche parte nello sguardo sfuggente di Sebastian, Thad aveva letto e leggeva il dispiacere di non poter – o saper – fare altro.

Eppure, lui continuava a rimanere convinto che, se avessero deciso di fare quel passo insieme, sarebbe stato bello ugualmente. Ripercorse brevemente il filo dei suoi pensieri e si rese conto di essere stato impreciso riguardo un dettaglio: lui non credeva di piacergli, lui sapeva di piacergli. Il punto era che forse non gli piaceva abbastanza da decidere di mandare al diavolo tutto e fare quel salto nel vuoto con lui.

«Se non te ne vuoi andare, cosa vuoi fare?»

Sebastian storse le labbra in una smorfia a metà tra il perplesso e il palesemente ovvio. «Restare?» Domandò, retorico.

Restare dove? Su quel sedile? Nella mia vita? Nel tuo qui-ma-non-proprio che non sarà mai vicino abbastanza? Così lontano da me? – Thad piegò le labbra all’interno, poi annuì brevemente e si voltò di nuovo verso il vetro. «Rimani pure, ho detto che non mi dai fastidio.»

Se Sebastian voleva che fosse lui a fare qualsiasi cosa, avrebbe ricevuto una bella delusione, perché neanche lui aveva idea di cosa fare e, soprattutto, di come farlo. Erano due idioti complessati, o forse semplicemente non era tempo per loro.

Per un po’ nessuno parlò, così Thad continuò a fissare ostinatamente la patina bianca che opacizzava il vetro, lasciandosi cullare dalle curve in cui si snodava la strada che stavano percorrendo. Avvertiva un fastidioso e diffuso senso di torpore che lo rendeva fiacco e nostalgico, nostalgico di sensazioni che non aveva mai provato ed esperienze che non aveva mai vissuto, ma non voleva dormire, perché quel viaggio in pullman gli serviva. Gli serviva per giungere ad una svolta, una qualsiasi: lasciarsi alle spalle quello che forse sarebbe rimasto per sempre il rimpianto più grande della sua adolescenza, o decidersi a fare qualcosa per prendersi la fetta di felicità che sapeva di meritare.

Non ebbe tempo di fare niente, in ogni caso, perché Sebastian interruppe il flusso della sua coscienza, quasi avesse percepito che Thad stava cercando la forza di rinunciare a lui.

«Thad, cosa vuoi che faccia?» Sospirò e sembrava che ognuna di quelle parole avesse grattato contro la sua gola, prima che lui desse loro il permesso di prendere corpo. Automaticamente, come se fosse impensabile il contrario, Thad si voltò verso di lui, le labbra schiuse di chi è stato colto alla sprovvista. «Quello che faccio o non va bene o non basta e– dimmelo tu, perché io non lo so.»

Ne stavano davvero parlando? Thad avvertì quella consapevolezza raggiungerlo sotto forma di un intenso brivido freddo. Non era giusto, non poteva decidere di discutere di quell’argomento quando lui, non solo era già così emotivamente provato da esso, ma si trovava anche bloccato in quello scomodo sedile. Continuò ad osservarlo per quelle che parvero ore, senza trovare nulla di sensato da dire per rispondere a quell’affermazione, la mente attraversata da un brusio assordante ed indistinto che gli impediva di afferrare un pensiero e trasporlo a parole.

«Non capisco a cosa ti riferisci» sviò quindi, dubbioso circa l’utilità della strada che aveva deciso di prendere. Com’era prevedibile, Sebastian sbuffò una risata.

«Sai perfettamente di cosa sto parlando.»

Naturalmente lo sapeva, e ne era anche oltremodo spaventato; ma avrebbe cercato di mostrarsi forte e distaccato, qualsiasi sarebbe stato il finale di quella storia. «Lo so che… lo so, ma» prese un respiro profondo e si costrinse a mettere le cose in chiaro. «Intendevo… tu non hai mai fatto niente, continui a non fare niente, cosa ti aspetti che ti dica?»

Se Sebastian aveva previsto una svolta del genere, non lo diede a vedere. La sua fronte si aggrottò lievemente – come ogni volta che si trovava davanti a qualcosa che non capiva – e Thad distinse le centinaia di emozioni e parole taciute che si accavallavano dietro le sue pupille dilatate. Dubbio, timore, rabbia, indecisione, consapevolezza, amarezza.

«Sei tu non passassi le tue giornate a sognare che la vita sia una favola romantica o una storia da romanzetto rosa, forse non ti risulterebbe così difficile accorgerti di quello che ti capita intorno, lo sai?» La delusione di cui erano cariche le sue parole scavò profondi segni sulla pelle di Thad: di certo non era così che sperava che andassero le cose. «Ti hanno mai detto che… queste cose non hanno bisogno di grandi dichiarazioni o fottuti gesti eclatanti? Avevo capito tu fossi quello sveglio, Harwood, ma a quanto pare sarebbe più facile convincere Sterling che tutta quella tintura gli sta soffocando il cervello.»

Thad sapeva esattamente cosa Sebastian stava facendo: si stava mettendo a distanza. Si era scoperto troppo per i suoi standard e adesso stava provando a riportare la situazione ad un livello di equilibrio che sapesse gestire e mantenere. Ti faccio perdere l’equilibrio così come tu lo fai perdere a me? – Ma non gli avrebbe permesso di farlo, perché sì, magari l’amore non dipendeva dai grandi discorsi e dalle scritte sui muri, ma lui aveva bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, a cui aggrapparsi e che gli desse la certezza di non aver sbagliato a fare i conti, di non essersi davvero immaginato tutto. Di nuovo.

«Non ho bisogno di queste cose» rispose quindi e Sebastian si trattenne sul posto, quando già stava per alzarsi ed andare via. «Mi basta… qualcosa. Anche un- un minimo di coerenza? L’attimo prima pare tu non riesca a smettere di girarmi intorno e quello dopo stai facendo il cretino con l’istruttore di sci. Non riesco a starti dietro, non riesco a prendermi quel po’ che mi dai, che tu te lo sei già ripreso.»

Non avrebbe mai creduto di essere capace di pronunciare quelle parole; quante volte si era ripetuto quel discorso in testa? Quanto tempo aveva trascorso a ripassarne ogni parte, sperando di trovare il coraggio necessario per dargli voce? Aveva perso il conto e, ormai, si era anche un po’ rassegnato all’idea di essere un idiota senza spina dorsale, incapace di volersi bene quel tanto che sarebbe bastato per confessare ad un ragazzo che si era innamorato di lui. Sebastian schiuse le labbra e lo osservò come se lo vedesse per la prima volta, così Thad immaginò di averlo stupito positivamente, ma reggere il suo sguardo – specialmente dopo avergli fatto una dichiarazione del genere – stava diventando sempre più difficile. Stava quasi per distoglierlo con vigliaccheria, quando Sebastian parlò di nuovo.

«Me lo riprendo perché non riesco mai a capire se è quello che vuoi davvero» rivelò e il cuore di Thad mancò un battito. «Se avessi la certezza di riuscire a fare i passi giusti con te, senza inciampare, calpestarti i piedi o trovarmi all’improvviso nelle sabbie mobili, allora li farei.»

Quella era decisamente l’ultima cosa che si sarebbe aspettato; quelle parole precise, pronunciate con quel tono di voce quasi esitante e sussurrato, nel bel mezzo di un pullman semibuio e addormentato. Non era pronto, così chiuse gli occhi, mentre la sensazione di non poter tornare indietro diventava sempre più opprimente, e lasciò che i suoi pensieri prendessero la forma che ritenevano più giusta. «Ma non li faresti da solo, li faremmo insieme. E se tu inciampassi, io verrei giù con te.»

Riaprì gli occhi solo quando Sebastian sbuffò una bassa risata che gli fece pentire di essersi esposto così tanto. Ma poi il ragazzo parlò e le sue parole non erano sporcate da quella vena di derisione e beffa che lui si era aspettato. «Così non mi incoraggi a proseguire, sai? È te che io non voglio fare inciampare.»   

Non voglio farti del male. Thad avvertiva quelle parole aleggiare tra di loro, offuscargli il cervello e occludergli le vie respiratorie, perché Sebastian si stava mettendo completamente in gioco – certo, non nel senso convenzionale del termine – e adesso toccava davvero a lui garantirgli che non lo stesse facendo invano. Non era sicuro di come dovesse farlo, né di cosa dovesse dire per farlo avvicinare e non scappare spaventato, così prese un respiro profondo e, di nuovo, lasciò che fossero le parole a scegliere il modo di organizzarsi, poi si voltò a guardarlo e lo sorprese a fare lo stesso.

«Non ho un equilibrio così precario, io. Riuscirei a tenermi in piedi e- forse riuscirei a tenere in piedi anche te.»

«Hai appena detto che verresti giù con me.»

«Fa differenza? Al momento, credo che direi qualsiasi cosa per convincerti a fare quei passi.»

E Sebastian sorrise, sorrise in quel modo così bello e raro ma che Thad amava oltre il concepibile, sorrise e si morse un labbro, una guancia posata allo schienale del sedile e gli occhi nei suoi. «Sì? Dimmi qualcos’altro allora» lo sfidò e Thad si pentì all’istante di aver pronunciato quella frase, perché avrebbe dovuto aspettarsi che Sebastian se ne sarebbe approfittato. Anche se era diverso, anche se sul suo viso non vi era traccia del suo solito ghigno irriverente e antipatico, anche se lo guardava come se pendesse dalle sue labbra, anche se gli aveva spostato una mano sulla gamba e sembrava non avere alcuna intenzione di rimuoverla. 

«Farei qualsiasi cosa per tenerti con me. E non credo neanche di aver bisogno che tu faccia qualcosa per restare.»

L’altro inarcò un sopracciglio. «Sì? Proveresti a tenermi con te anche se io volessi andare via?»

Senza alcuna esitazione, Thad annuì, perché ormai era in gioco e tornare indietro sarebbe stato comunque impossibile. «Ti pregherei di non andare via, ma… sì, ci proverei davvero.»

Sebastian non rispose subito, si prese qualche attimo per metabolizzare quelle parole, farle proprie dandogli il senso che realmente avevano. Thad sapeva che per lui certe argomentazioni erano difficili da comprendere ed accettare, sapeva che laddove lui vedeva una strada spianata, Sebastian vedeva buche ed intralci, sapeva che poche volte aveva trovato il coraggio di esporsi con qualcuno e sapeva che per lui doveva essere una novità avere qualcuno disposto a lottare per lui in quel modo. Ma Thad sapeva anche di voler essere quel qualcuno, lo sapeva con la certezza con cui stava realizzando che, seppure le cose tra loro si sarebbero risolte in niente e avrebbero archiviato quella discussione come un semplice delirio notturno, lui non si sarebbe mai pentito di aver messo finalmente le cose in chiaro.

Quando poi il ragazzo rispose, non lo fece a parole, come Thad si era aspettato: Sebastian scivolò sul sedile e gli si avvicinò lentamente, fino a trovarsi ad un soffio dalle sue labbra. Thad quasi morì al pensiero che davvero Sebastian stesse per baciarlo, ma il ragazzo non si mosse e non colmò la distanza che ancora li separava; rimase invece a respirargli piano sulla bocca, una mano sotto la sua guancia e l’altra stretta intorno alla stoffa della sua felpa ed era talmente vicino da essere quasi ovunque.

«Quanto sei bravo con le promesse, Harwood?» Domandò e Thad sentì il proprio cuore e il proprio cervello evaporare alla sensazione di calore che Sebastian gli trasmetteva. Nonostante ciò, si trovava comunque incastrato tra il finestrino e il corpo di Sebastian, bloccato dalla sua presa morbida e al contempo decisa, e pensare di scappare o prendere tempo era quasi impossibile. Pensare era quasi impossibile.

«Uhm… abbastanza» sussurrò quindi, il respiro un po’ più veloce. «Anche un po’ più di abbastanza, credo.»

L’altro annuì e «Allora promettilo» mormorò, ma poi dovette notare la perplessità sul viso di Thad, tant’è che aggiunse subito, quasi imperioso: «Quello che hai detto prima. Promettilo.»

E a Thad bastò perdersi nei suoi occhi così seri ed intensi, per capire – perché era quasi assurdo e impensabile non farlo – e per venire investito in pieno dalla forza delle emozioni e dei sentimenti di Sebastian. Direttamente dalle sue labbra alle proprie, talmente vicine da sfiorarsi.

«Te lo prometto» ingoiò a vuoto, mentre gli occhi bruciavano per il calore, il sonno, la semioscurità, la vicinanza di Sebastian, la felicità di saperlo suo così come lui sentiva di appartenergli. «Ti tengo con me, te lo prometto.»

Sebastian annuì brevemente, ma non aggiunse altro e Thad si rese conto di non aver bisogno di ulteriori parole, non quando finalmente le sue labbra incontravano la morbida consistenza di quelle di Sebastian. Aveva immaginato quel momento talmente tante volte che per un attimo, uno solo, ebbe quasi paura di trovarsi in una delle sue fantasie, paura di essersi addormentato e di aver sognato tutto. Ma poi Sebastian scivolò più vicino a lui e lo sovrastò piacevolmente con il suo peso e Thad realizzò che no, quello era meglio di qualsiasi suo sogno o fantasia: quello era maledettamente reale.

«Tienimi con te, Thad.»
 

 

 

  
Se non siete andati in coma diabetico, magari fate un salto sulla mia paginetta

Il titolo della shot è preso da una canzone degli All Time Low – “Return the favour” – che io vi linko e vi consiglio tanto di ascoltare, perché è stata personalmente eletta da me a canzone Thadastian per eccellenza ♥

Buon San Valentino a voi e alle vostre OTP ♥
 
Robs.
  
 
 
   
 
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