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Autore: Margaret24    14/02/2014    2 recensioni
"Dov'è Ninfadora?" chiese preoccupata. [...]
L'uomo trasse un profondo respiro, sentendo le lacrime salirgli di nuovo agli occhi. Guardò Andromeda, le labbra contratte, e scosse il capo.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Tonks, Famiglia Weasley, Remus Lupin, Teddy Lupin, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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 “Il sole deve tramontare per poter sorgere”
Coldplay – Paradise

 

 

Andromeda era seduta in cucina. Teneva in braccio il bambino e lo allattava, mentre canticchiava sommessamente. Lyall osservava il cielo dalla finestra del salotto: un bellissimo tramonto faceva da sfondo allo splendido paesaggio, fatto di alte montagne e colline ondulate di un verde brillante. Osservò la luna, già alta e piena, ma appena visibile sotto la luce del sole. Distolse bruscamente lo sguardo posandolo sul capanno poco lontano, e sospirò. Era passata una settimana dal funerale. Si voltò e guardò il nipotino: era proprio bello, pensava, e aveva preso il meglio dai genitori. Chissà, magari lo avrebbe preso anche dal loro carattere. Si avvicinò piano alla consuocera.
“Nervosa?” le chiese. Lei alzò lo sguardo.
“Un po', devo ammetterlo” rispose. “Non sono abituata a... be', a questo
“Purtroppo non ci si fa mai l'abitudine, anche dopo trentatré anni” disse Lyall sospirando di nuovo.
“Aveva cinque anni?” chiese Andromeda sbigottita, dopo un rapido calcolo.
“Quasi” rispose Lyall con voce grave. Restarono per un po' senza dire nulla. Andromeda non poté fare a meno di pensare che mentre lei, appena dodicenne, dormiva tranquilla e al sicuro nel suo dormitorio a Hogwarts, da qualche parte il piccolo Remus Lupin veniva morso da un Lupo Mannaro. Il pensiero la fece rabbrividire. All'improvviso provò un moto di compassione verso il genero.
“Ma come... come è potuta accadere una cosa simile?” chiese Andromeda con un tono quasi arrabbiato, come per rimproverarlo di essere stato tanto sconsiderato da lasciare che il figlioletto andasse in giro da solo in una notte di luna piena.
“Fenrir Greyback” rispose Lyall con amarezza. “Si appostò vicino alla finestra della sua cameretta... e lo aggredì”
“Oh” esclamò Andromeda senza parole.
“Ma è stata colpa mia, tutta colpa mia...” disse Lyall scuotendo il capo e guardando in basso. Andromeda lo fissò con aria interrogativa.
“Insultai Greyback” spiegò Lyall. “E lui... si vendicò su mio figlio”
Andromeda tacque, gli occhi lucidi dalla rabbia, una smorfia di rammarico che le deformava il bel viso.
“Io...” disse dopo qualche minuto di silenzio, esitando. “Non volevo origliare, assolutamente, ma l'altro giorno ho sentito Remus dire... che era colpa sua...”
Lyall annuì triste.
“Remus non ha mai perso l'abitudine di colpevolizzarsi...” disse.
“Chissà da chi ha preso...”
Lyall fece un vago sorriso.
“E' convinto che Tonks... perdonami, Ninfadora... sia morta per causa sua. Che non avrebbe dovuto prendere parte alla battaglia. E lo pensi anche tu” aggiunse, guardando in tralice la consuocera. “Vero?”
“No, io... io non lo penso” si affrettò a dire Andromeda. “Lo pensavo, ma ora...”
Guardò con tenerezza il bambino che ciucciava soddisfatto il biberon. “E non credo neanche che tu sia responsabile della licantropia di tuo figlio” aggiunse. “Certe cose succedono: non possiamo prevedere tutto”
Lyall sorrise con più calore.
“Mia moglie diceva la stessa cosa” disse.


***


Remus sedeva rannicchiato in un angolo del capanno, senza vestiti, avvolto solo da una trapunta patchwork colorata. I battiti deboli e rapidi del suo cuore scandivano i secondi che si susseguivano inesorabili, mentre un respiro leggermente affannoso e irregolare riempiva il silenzio. Benché dall'esterno fosse grande solo qualche metro, l'interno era molto spazioso. Mantenendo la testa bassa, Remus alzò lentamente gli occhi verso la finestra più vicina e rabbrividì istintivamente: come dipinto da un maestro, la sfumatura del cielo passava tenuemente dal color indaco all'arancio sanguigno dei raggi del sole che pian piano tramontava. Pari a quella di molti, la vita di Remus era una perenne lotta interiore: perfino in quel momento il tempo rallentava o accelerava, a seconda del suo desiderio che scorresse più velocemente o lentamente. Odiava questo, odiava dover aspettare nella paura che sorgesse la luna piena. Più che paura, era terrore. Lo era sempre stato. Anche quando era in compagnia di tre Animagi, aveva sempre cercato di nascondere il panico che gli afferrava il petto come il Tranello del Diavolo, poco prima della trasformazione. Allora erano i suoi amici a preoccuparlo. Ora c'erano Lyall e Andromeda... e Teddy.
Nonostante gli incantesimi e la distanza di sicurezza dalla sua casa, Remus era atterrito all'idea di ferire i suoi cari: erano gli unici esseri umani nel raggio di chilometri. Soprattutto ora che non c'era più Tonks a difenderli... La prima luna piena senza Dora, da quando erano sposati. Avvertì una morsa gelida all'altezza dei polmoni, e si strinse ancor di più nella coperta, mentre ricordava il tocco gentile di lei sulla sua pelle martoriata. Si sentì tremendamente solo, più che nei giorni precedenti. Pensò a quanto la situazione fosse simile a quella di diciassette anni prima, quando l'Inghilterra magica festeggiava la fine di Lord Voldemort mentre lui stava lì, ad attendere quel maledetto satellite in compagnia della terribile mancanza dei suoi amici.
La sua mente viaggiò a ritroso, fino al giorno in cui l'avevano messo all'angolo costringendolo a dire la verità sulla sua condizione. Poi corse in avanti, tornando al presente e addirittura superandolo: non richiesta, si fece strada nella sua mente l'immagine di un ragazzo dai capelli azzurri di spalle. E la domanda sorse spontanea: come avrebbe reagito suo figlio, una volta cresciuto, all'orribile notizia che suo padre era un Lupo Mannaro? Cosa avrebbe detto? Come lo avrebbe giudicato? Sotto quella coltre di insicurezza, la voce di sua moglie parlò nella sua testa...
Sei suo padre, Remus. Questo bambino conoscerà te, prima di comprendere qualsiasi pregiudizio. Sarà naturale per lui. E ti adorerà, vedrai...
Le idee si facevano sempre più insensate e confuse, man mano che il cielo si oscurava e la luna diventava sempre più visibile e perfetta, una sensazione simile al dormiveglia. Era strano come, ogni volta che sedeva ad aspettarla, le sue paure più profonde riaffioravano, i pensieri si facevano più cupi, si sentiva sempre più vulnerabile. Questo pensava quando, passato il crepuscolo, il primo spasmo gli fece contrarre i muscoli. Ne seguì un altro, e un altro ancora, e Remus seppe che era il momento. Tentò di alzarsi, ma una fitta allo stomaco lo fece piegare in due e cadere in ginocchio. Dalla finestra in alto, dove lui non poteva raggiungerla, quel candido cerchio luminoso irradiava la sua luce nella stanza. Si sentì fortemente attratto dal raggio lunare e, trascinandosi dietro la coperta, si avvicinò con trepidazione, allungando un braccio. Non appena la sua mano fu investita dalla luce, Remus cadde a terra, come trafitto da lame incandescenti. Ma, per la prima volta dopo tanti anni, non desiderava altro che dolore, il dolore fisico, che alleviava un po' quello del suo animo. Assaporò ogni fibra del suo essere che bruciava, urlò di dolore e di piacere, e in quel grido pregava, supplicava che il suo bambino restasse al sicuro, lontano da lui, da quel mostro che gli incendiava le viscere, gli spezzava le ossa, gli perforava il cranio.
Molto poco rimase di quello che una volta era uomo. Solo quel vuoto che sembrava incolmabile, anche per il lupo. L'animale ululò profondamente alla luna sua amica, poi affamato corse da una parte all'altra del capanno, cercando di abbattere le robuste pareti di legno, di raggiungere e rompere le finestre protette anch'esse dalla magia. Frustrato, cominciò a graffiarsi il muso, l'addome, a mordersi le zampe, a ferire qualsiasi punto della sua pelle riuscisse a raggiungere. E il solito rituale distruttivo si ripeteva, ma questa volta fu peggio che mai. Il lupo non ebbe alcuna pietà per se stesso, molto meno di quanta ne avesse l'essere umano.


***


Era ormai l'alba, e Teddy si era finalmente assopito. Anche Lyall e Andromeda si riposarono sul divano, dopo essere stati svegli per tutta la notte, un po' a causa dell'ansia per Remus, costretto a subire la sua terribile trasformazione, un po' per il bambino che non accennava ad addormentarsi. Finché, preoccupato dal fatto che Remus non era ancora tornato a casa, Lyall non si precipitò all'entrata del capanno. Appoggiò un orecchio sulla porta e restò in ascolto: non un rumore faceva vibrare l'aria, nessun raspare contro il legno, nessun uggiolìo o grido. Picchiettò nervosamente la bacchetta contro la maniglia ed entrò. Trovò Remus, in forma umana, che giaceva su un lato a terra in fondo alla stanza, un braccio disteso verso la coperta che non aveva avuto la forza di attirare a sé, gli occhi chiusi. Non appena lo vide, Lyall corse verso di lui e gli si inginocchiò accanto. Notò che il torace si alzava e si abbassava lentamente, e il sollievo lo pervase, anche se il suo corpo magro era ricorperto di sangue e tagli e lividi bluastri, e un rivolo di saliva fuoriusciva dalla bocca semiaperta. Lyall evocò subito delle bende provvisorie per fermare il sangue delle ferite più profonde. Lo sfiorò con le dita, e a quel tocco suo figlio socchiuse le palpebre e disse con voce impastata:
“'Infa...'ora...”
“No, Remus, sono tuo padre” disse Lyall gentilmente. “Non parlare, ora”
Appellò la trapunta, evocò una semplice barella e con delicatezza vi fece levitare sopra Remus. Preferì non soffermarsi sulle chiazze rosse che macchiavano il pavimento e le pareti.
Una volta entrati in casa, Andromeda li accompagnò nella camera matrimoniale. Lyall adagiò Remus sul letto. Sul comodino, medicine, garze e unguenti erano già pronti.
“E' svenuto” disse lui.
“Dobbiamo portarlo al San Mungo...” cominciò Andromeda.
“Oh no, cara, non ce n'è bisogno” la interruppe Lyall. “Non c'è cura per queste ferite” disse, incominciando a maneggiare in fretta le varie ampolle e fiale. “L'emorragia si è fermata, ma ha urgente bisogno di una Pozione Rimpolpasangue” e sollevò piano le bende per controllare. “Ecco qui”
Agitò una bottiglietta con dentro un liquido rosso acceso, che emanava una strana luce dello stesso colore. Poi prese una siringa dal comodino e la immerse nella pozione. Una volta piena, infilò l'ago nel braccio di Remus, e il viso pallido dell'uomo riprese un po' di colorito. Dopo qualche minuto, Lyall lo chiamò con dolcezza. Lentamente Remus aprì gli occhi e un'espressione sofferente gli si dipinse sul volto. Lyall sospirò stancamente.
“Ora bisogna medicarlo” disse.
“Ti serve aiuto?” chiese Andromeda.
“Sì... sì, credo che potresti aiutarmi...” rispose Lyall. “Vieni, tienilo fermo”
Con mani esperte, il mago si prese cura delle ferite del figlio, applicandovi questa o quella pozione e fasciandole, mentre Andromeda teneva Remus bloccato con le sue mani forti e di tanto in tanto passava a Lyall l'occorrente. L'uomo si dimenava, gemeva ed emetteva brevi grida e versi soffocati, a volte biascicando qualche parola.
“Teddy... No... no... Lasciatemi...” Andromeda l'udì gridare debolmente con voce acuta, mentre si sforzava di mantenere salda la presa su di lui.
“Sta delirando” disse Lyall con aria cupa, chiedendosi cosa diamine stesse vivendo Remus nella sua testa. Quando ebbero finito, Andromeda gli posò una mano sulla fronte.
“Ha la febbre alta” disse. “Vado a prendere un fazzoletto bagnato”
E li lasciò soli. Lyall aveva mantenuto il sangue freddo per tutto il tempo, ma ora non riuscì più a trattenersi. Accarezzò la testa di Remus, ricordando quando era piccolo. Come allora, sussurrò:
“Perdonami, figliolo. Ti prego, perdonami...”
“Papà?” lo chiamò quest'ultimo con voce flebile. Piccole gocce di sudore sul viso e sul petto brillavano sotto la fioca luce dell'abat-jour sul comodino.
“Sì?” rispose Lyall asciugandosi gli occhi.
“Tu perdona me” disse Remus.
“Per cosa?”
“Per...per essermene andato... Per averti lasciato solo... Dopo che la mamma...”
“Remus...” Lyall scosse il capo. Due anni dopo la morte della madre e subito dopo quella dei suoi amici, il ragazzo aveva deciso di vivere da solo, facendogli visita occasionalmente, nonostante la povertà che la sua solitudine avrebbe comportato.
“Non... non volevo causarti altre sofferenze...” continuò con affanno. “V-volevo dichiarare la licantropia al Ministero... T-ti avrebbero creato problemi... E poi... J-James e Lily... tutti... andati...”
“Shh...” lo zittì Lyall, accarezzandogli di nuovo il capo, giacché cominciava a manifestare un certo sforzo. “Non c'è niente da perdonare, Remus. Eri vivo, e questo mi bastava. Tu non hai nessuna colpa, figliolo”
Andromeda si schiarì la voce con imbarazzo, e Lyall sobbalzò. Era tornata con una ciotola d'acqua fresca in cui era immerso un fazzoletto, mentre con l'altra mano reggeva un bicchiere pieno di un liquido viola.
“Ho trovato un Distillato Soporifero nella credenza” disse.
“Bene” esclamò Lyall. Prese il fazzoletto dalla ciotola, lo strizzò e lo mise sulla fronte di Remus. Lui gemette ancora e ricominciò ad agitarsi dal dolore. Nello stesso momento, i vagiti del piccolo riempirono la stanza.
“E' meglio se gli diamo subito il Distillato” disse Lyall con urgenza.
“No!” gridò Remus senza fiato. “Aspetta... Voglio vederlo...”
Lyall e Andromeda si scambiarono uno sguardo comprensivo, poi lei andò a prendere il bambino dalla sua culla e lo avvicinò a Remus. Lui sorrise di fronte al piccolo che piangeva disperato, e mormorò:
“Teddy... non piangere... Papà starà bene...”
Con fatica, alzò una mano per accarezzarlo, ma la lasciò cadere esausto sul materasso.
“Ora manda giù” disse Andromeda severamente.
Gli somministrarono tutta la pozione, aiutandolo a bere, e Remus cadde in un profondo sonno senza sogni, il pianto di suo figlio ancora nelle orecchie.  

  
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