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Autore: aniasolary    14/02/2014    2 recensioni
(Storia da revisionare)
Young Adult con elementi sovrannaturali e di Mistero.
In un pomeriggio assolato, le urla di una bambina oscurano il cielo; lei è un'arma, lei non potrà mai vivere, lei non può fare altro che nascondersi.
Anni dopo, un ragazzo trova la sua fotografia fra i documenti di suo padre. Un padre assente, troppo lontano da tutto e da tutti, così preso dai documenti fra cui c'è quella fotografia.
Sei appena venuto a conoscenza della presenza di un burrone. Vai a vederlo. Non ti aspetti che ci cadrai dentro.
Quella ragazza.
Quell'arma.
Quel ragazzo.
Il suo mondo.
Sogni spezzati.
L'amore difficile.
Vite in sospeso.
Amicizie distanti.
Vite rimaste indietro.
Vite in pericolo.
Buio.
Speranza.
Ed un uomo nell'ombra.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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until 23

until

Illustrazione di presa da Google.

Grafica dell'immagine a cura di Honey Essentials.

Ne è vietato il riutilizzo. Tutti i diritti riservati.

22.  

Doreen Gates.

Parte I. 

Una bambina correva in un sentiero ripido a discesa con il cestino per il pranzo in mano, un fiocco rosso fra i capelli bruni, il respiro affannato ma gli occhi ridenti.

«Aspettami, Mar! »

Quella bambina ero io.

«Doreen, sei così lenta a correre!»

Gli alberi facevano ombra. Mi passai una mano sulla fronte sudata e, dopo qualche passo, misi i piedi su una superficie dritta ed esalai un respiro di sollievo. «Perché è così difficile questa strada?»

«Perché porta in un posto magico! Mio padre ci passa ogni sera e si ferma a guardare, in silenzio. Hai mai letto una storia in cui lungo il sentiero non c’è niente a renderlo difficile?»

Lei si chiamava Marlene Jenkins e si voltò verso di me, i capelli biondo dorati corti fin sotto il mento, gli occhioni dello stesso colore del cielo in estate, e mi prese la mano. Mentre correva rideva, a tratti, come per ricordarmi che era felice, e lo era perché mi stava portando con sé.

Poi il boschetto cominciò ad aprirsi come a clessidra, per mostrare una grande villa bianca con siepi verdeggianti a circondarla. Era così alta… forse, dall’altra parte della città, la si riusciva a vedere. O anche dalla parte più alta della collina, bastava sforzarsi un po’.

Trattenni il respiro. 

«Marlene… » sussurrai.

«Non sembra un castello?» chiese Marlene. Era così magra. «Vieni a vedere.»

Si mise a correre verso la siepe e cominciò ad arrampicarsi, io la guardavo mentre saliva a grandi passi su quella specie di montagna verde. Non aveva paura, Marlene, e nemmeno io ne avevo. Ero quasi convinta che, se fosse caduta, si sarebbe messa a volare.

«Vieni anche tu, Dora!»

«Non so se ne sono capace…»

«Sì che lo sei! Vieni! Vieni e fa' finta di essere in una storia!»

Sfiorai le foglie con le dita e subito dopo mi convinsi. Se fossi tornata a casa a guardare Heidi non avrei capito niente perché il mio pensiero sarebbe rimasto lì, fra gli spazi che c’erano fra i rametti su cui avrei potuto arrampicarmi per guardare. Così la seguii, e più salivo, più pensavo "chissà cosa direbbe la mamma" e… «Marlene, più lenta!» e… "non sarà da cattivi bambini spiare?"

Poi mi ritrovai a sorreggermi sul cornicione bianco, il mio gomito a sfiorare quello di Marlene, i miei occhi sul giardino da sogno di quella villa simile ai castelli delle mie fiabe. Era come guardare le vene di un uomo all’interno del suo corpo, ma senza sangue. Tutti quei sentieri erano ricoperti di fiori lilla, azzurri, rossi, rosa, gialli; c’era un laghetto che sembrava prendere lo stesso colore delle nuvole in cielo e una fontana con dei bambini di pietra a far venire fuori l’acqua dalla bocca. In mezzo a quel sogno, quella bambina sembrava un fiore insolito in un verdeggiante paesaggio. Aveva un vestito bianco che svolazzava ad ogni passo, i capelli neri e lunghi le volavano al vento, e quando si fermò, i suoi occhi azzurri e belli si fermarono su di me e la mia amica.

«Abbassati!» Gridai a Marlene, schiacciandole la testa con la mano.

«Che cosa fate? » sentii una voce che sembrava un cinguettio. «Che cosa fate? »

Mi posai un dito sulle labbra per dirle di stare in silenzio.

«È un po’ scomodo lì giocare! » Di nuovo il suo cinguettio.

«Vuoi giocare con noi? » Marlene alzò la voce.

«Shhhhhhhhh! » le intimai.

«Dai, venite a giocare! » disse ancora la bambina.

Marlene era così felice di quel suo invito… non aveva per niente paura?

«È una trappola,» le sibilai.

Marlene rise. «E perché?»

«Succede in tutte le storie.»

«Magari questa è una storia diversa. » Il cancello dorato si aprì automaticamente e, per sorreggere la mia fantasia, immaginai che fosse magico.

Marlene scese velocemente, mentre io ci misi molto più tempo; una volta giù, Marlene mi superò correndo, poi si voltò e mi fece una linguaccia. Io le risposi allo stesso modo, restando un po’ indietro.

Rimasi fuori dalla villa, senza mettere un piede sul terreno ricoperto di ciottoli, ma poi mi raggiunse e mi strinse la mano, come per farmi stare tranquilla.

Vidi la bambina che correva verso di noi e, man mano che si avvicinava, sembrava più vera, anche se il suo volto era simile alle statue degli angeli del giardino, ma dipinta.

«Il nonno mi manda fuori per parlare con Joe, ma qui da sola mi annoio,» disse. «Perché vi siete messe a spiare?»

La mia amica abbassò il viso, le guance rosse per la vergogna, senza rispondere. Ma poi fece un colpetto di tosse. «Sembra di stare in una storia, qui, » riuscì a dire, velocissima.

La bambina fece qualche passo verso di noi e, con dolcezza, disse: «Mi chiamo Agnes.»

***

Avevo sognato, durante il viaggio. La mia infanzia, Marlene, e un mondo di immaginazione.

L’aereoporto era affollato. Dalle alte balconate le lucette colorate mi dicevano che il motivo di tutta questa affluenza era il Natale; trasportavo il trolley con una mano e tenevo la borsa stretta al fianco con l’altro braccio, quasi fosse più importante. Be’, lo era, in un certo senso: a ventidue anni mi ero laureata con il massimo in Letteratura Francese, e avevo portato con me il libro del mio professore in cui aveva inserito anche la mia considerazione sul…

Il telefono squillò ed io sussultai.

«Dora! Dove sei?» Dall’apparecchio che avevo in mano venne fuori una voce cristallina stonata dall’euforia. Non riuscii a trattenere una risata.

«Marlene, sono fuori dall’aereoporto e credevo che mi saresti venuta a prendere.»

«Oh, scusa! Scusa, scusa, scusa! » Una pausa. Sistemai meglio il telefono sotto l’orecchio… il suo regalo per il compleanno, per potermi rintracciare anche quando ero irrintracciabile per il resto del mondo. «Sto arrivando, davvero, sto arrivando… Joe? Joseph, svolta a destra, ma dove vai? Da lì ci passiamo dopo… Doreen, scusa.»

«Non importa.» Le rotelle del trolley scivolavano lisce sull’asfalto. «Vado alla caffetteria di fronte per prendere un caffè, ti aspetto.»

«Certo! Joseph, non è quella la curva!»

Scossi la testa e chiusi la telefonata pigiando di un grande tasto verde dei vecchi cellulare degli anni novanta. Marlene si era laureata in fretta, brillantemente, e si era trasferità lì a Boston con Joseph, che dopo la laurea in economia si stava specializzando, mentre io, in una piccola città con la mia mamma anziana, terminavo la mia tesi di laurea aspettando sue cartoline, lettere con la sua grafia tondeggiante, fotografie in cui il suo sorriso splendeva. Con questi pensieri entrai nella caffetteria. 

Presi posto su una poltrona ed estrassi il libro dalla borsa, poi guardai l’indice per trovare la pagina in cui il professor Raway aveva inserito il mio commento su Flaubert…

«Salve.»

«Un caffè nero, grazie,» dissi subito. O, ecco, ero proprio lì, a pagina cinquantasei! Io ero su un vero libro! Non un libro di storie, non ero portata per i racconti, ma c’era il mio commento… Marlene non avrebbe capito niente. «Senza zucchero, ma con la schiuma.»

«Qualcos’altro?» 

Commento a cura di Doreen Gates. Ero davvero io.

«No, basta così.»

«Scusi, cameriere? Un caffè nero con la schiuma, ma senza zucchero, per la signorina. Per me la stessa cosa.»

… Come?

Alzai lo sguardo per la prima volta da quando ero entrata in quella caffetteria e così, incapace di rendermi conto di che cosa stessi facendo di così importante da non guardarlo prima, dimenticai per un istante il perché del mio imbarazzo.

L’hai scambiato per un cameriere senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Misi giù il libro. L’hai scambiato per un cameriere e gli hai anche dato la tua ordinazione.

La vergogna mi avrebbe fatto diventare verde.

«Mi… mi scusi,» dissi, esalando un respiro, come se fossi intontita, poi abbassai di nuovo il capo, non riuscivo proprio a guardarlo. E non riuscivo nemmeno a capire perché si stesse sedendo di fronte a me.

Prese posto con la naturalezza che avrebbe avuto sul suo divano di casa e il suo sorriso mi avvolse; aveva qualcosa di ironico, provocatorio.

«Non c’è problema.» Si passò una mano fra i capelli biondi, lisci, un po’ spettinati. Aveva un volto affilato, mai suoi occhi verdi splendevano. «Le capita spesso di fare così?» Il suo sorriso si allargò, mentre posava i gomiti sul tavolino; notai che aveva la spalle ampie e si vedeva moltissimo che era molto più alto di me anche da seduto.

Pieno di sé.

«No. Ho solo chiesto un caffè alla persona sbagliata.»

«E poi ha liquidato tutto con un “basta così”.»

«... Perché un caffè mi basta. »

«È un modo originale per rifiutare un bel ragazzo.» Si mise a giocherellare con i fazzolettini al centro del tavolo; aveva le mani grandi e mi chiesi che cosa facesse nella sua vita, se parlava con ogni ragazza che incontrava nelle caffetterie. «Mi piacciono le ragazze originali.»

«A me non piacciono i narcisisti.»

«Oh, sono d’accordo. Per quanto io sia affascinante non cadrei mai in un fiume per abbracciare il mio riflesso come Narciso. Prima di arrivare a tanto bisognerebbe uscire insieme qualche volta, andare al cinema, mangiare sushi.»

Strinsi la mano a pugno e me la portai sotto il mento per trovare un modo per nascondermi la bocca, ma il suono della mi risata lui lo sentì lo stesso.

«Non mi piace il sushi.»

«Messicano? »

Mi rigirai un ricciolo fra le dita. «Italiano.»

«È andata.»

«Andata cosa? »

«Il mio appuntamento con la bella ragazza che legge…» Si sporse leggermente verso di me per leggere il titolo del libro; profumava di dopo barba, aria di città, l'aroma delizioso del caffè nero non zuccherato. «Commenti in merito a Flaubert.»

Scossi la testa.

«Ma se nemmeno mi conosce…»

«Ti piace il caffè nero.»

«Ma...»

«Senza zucchero.»

«Lo so.»

«Anche a me il caffè piace senza zucchero.» Si appoggiò alla poltrona rosa con le braccia aperte ad accogliere chissà che cosa; così a suo agio, sorridente. «Nero.»

«Dora!» Marlene entrò nella caffetteria nel fruscio di una sciarpa di lana avvolta intorno al collo e un pesante giaccone che tolse velocissima, a mostrare la sua solita corporatura, così magra da poter essere un’etoile di parigi. «Scusa, scusa tanto!» Mi si avvicinò, con gli occhi azzurro chiaro sgranati, e poi mi abbracciò forte. I suoi capelli biondi e corti mi fecero il solletico, anche se io restavo tesa. «Joseph aveva dimenticato l’orario.» Marlene si staccò da me e mi sorrise, poi, come se l’avessi avvisata io stessa, si voltò verso lo sconosciuto di fronte a me. «Tu?» esclamò, e sembrava sconvolta.

«Dora… mhm.» Il ragazzo narcisista passò il pollice sulla bocca e fissò gli occhi nei miei. «Un bel nome.»

«Doreen.» Deglutii. «È Doreen, il mio nome.»

«Doreen,» disse allora. Do… reen. Lentamente.

«Louis, come facevi a sapere che era lei?» gli chiese Marlene.

«Non ricordi di avermi fatto vedere la sua foto pregandomi di accuparmi della sua accoglienza?» chiese lui, con un’innocenza così poco credibile. Intanto io pensavo al modo in cui diceva il mio nome – lo odiavo così tanto, anche se ci avevo fatto l’abitudine.

«Buonasera!» Un ragazzo di qualche anno più grande di me entrò stringendosi nella giacca nera, i capelli e gli occhi scuri, la carnagione chiara e un sorriso che trovai buffo, cordiale. Non era mai cambiato da tutti gli anni in cui lo conoscevo. Gli sorrisi. Era bello in quel modo rassicurante che ti faceva vedere un po' te stessa. 

Ero troppo vicina a Marlene per provare anche solo un barlume di interesse per lui, anche se, attraverso lei, avevo saputo cose segrete, nascoste, belle della loro tenera intimità.

«Joe!» Marlene gli corse incontro e gli stampò un bacio sulle labbra. Tossii. 

«Dio buono, fanno sempre così.» Sospirò il ragazzo seduto di fronte a me. 

Sorrisi. «Dopo tutti questi anni?»

«Sembra che lui sia appena tornato dalla guerra in Vietnam quando invece erano insieme a malapena cinque minuti fa.»

«Se mai diventassi così qualcuno dovrebbe spararmi.»

«Dovrai chiedere a qualcun altro, visto che sarò impegnato a fare altro.»

«Dora,» mi chiamò Marlene, solennemente. «La verità è che abbiamo fatto tardi perché... per organizzare la cerimonia bisogna girare molto e...»

«Oh mio Dio.» Sorrisi.

«Spero che tu mi faccia da testimone...» disse Marlene, appoggiandosi a Joseph. «Per Joseph lo saranno Patrick e Louis... questo elemento che ti sta davanti.»

«Sono il suo migliore amico.» Louis. Aveva parlato in modo scontroso e, non sapevo per me, era come se mi avesse fatto sentire il suo disagio.

«Siete... piuttosto diversi.» Sorseggiai un po’ del mio caffè. 

Louis rise ed io lo guardai, lasciai perdere la vergogna e notai il modo in cui inarcava il collo e il sorriso sembrava trascinare ogni cosa come con una forte vibrazione. «Sì, io sono quello bello.» 

Marlene scosse la testa.

«E Joe è quello buono. Oltreché bello.» Louis le lanciò un’occhiata e Marlene gli fece una linguaccia. Sembrava proprio una bambina. «Louis, se pensi che riuscirai a rimorchiare la mia amica ti sbagli. Lei è…»

«No, dai, non dire “diversa”, si sente in troppi film.»

***

Marlene, chiusa nel suo cappotto bianco, sembrava venir fuori da una fiaba anche solo per il modo in cui camminava, come se da un momento all’altro le sarebbero spuntate le ali per raggiungere il cielo.

«Oh, Doreen, morirai solo a guardarmi!»

«Non voglio morire così giovane.»

«Giusto, non posso perdere la mia testimone.» Mi prese a braccetto e si mise a ridere in quel modo fragoroso che fece voltare chi camminava davanti a noi, sullo stesso marciapiede.

Raggiungemmo un campo innevato, una splendida valle bianca; un aereoplano e le attrezzature del paracadutismo al centro, perché Marlene era folle e viva e impaziente e con un’immaginazione troppo grande per farla restare con i piedi per terra.

In lontananza si vedevano tre uomini che ci davano le spalle. Marlene si avvicinò ad uno di loro e gli strinse la mano senza nemmeno guardarlo in volto; era sicura che fosse Joseph e infatti era lui, con gli occhi scuri pieni d’amore.

Quando Louis si voltò a guardarmi il freddo dell'inverno scomparve.

«Allora sei pronta, Marlene?» chiese l’altro ragazzo, i capelli castani e la barba folta, dal viso simpatico.

«Certo, Patrick. Sarà meraviglioso, il paesaggio.»

«Meraviglioso? Non te ne scorderai facilmente, Marlene.»

«Andiamo, dai.» Qualcuno mi sfiorò la mano, un qualcuno che non avrei potuto scambiare per nessun’altro. «Non sto pensando ad altro da tutta la mattina.»

«Intendi l'articolo che devi scrivere su quel nuovo pilota?»

«Intendo te. Te e quello che ieri sera...»

Trattenni una risata. «Non dirlo ad alta voce.»

Vidi Marlene che guardava verso di me con il sorriso, e poi la sentii dire «Vi guardo tutti dal cielo, attenti!», poi abbassò la voce. «Ma guardo soprattutto te, Joe.»

Louis fece qualche passo indietro, alzò la voce ed accennò qualcosa riguardo al caffè nero, io dissi la stessa cosa e poi mi ritrova i correre con lui accanto, i riccioli che mi finivano in faccia, sempre più lontani dagli occhi che potevano conoscere quello che nascondevamo come bambini.

«Visto che io ho il giubbotto marrone e tu la tua chioma bruna potrebbero scambiarci per scoiattoli giganti, qui in mezzo agli alberi!» Era così divertente che mi ritrovavo con le lacrime agli occhi per le risate alla fine di ogni serata; provocatorio, con tante cose da dire e tante altre ancora contro cui ribattere. Mille posti da raccontare e ancora altri mille da vedere, e il pensiero più triste che avevo era che per ogni posto potesse aver avuto una ragazza differente. Lui, che sapeva elencare a memoria le poesie di Emily Dickinson. Lui, che sapeva riparare un motore come se fosse nato con quella capacità. Lui, che amava i film di guerra, la pioggia, l'inverno, dormire fino a tardi, scrivere di notte gli articoli per il giornale, abbracciarmi nel buio, sfregare la barba contro il mio collo, Ascoltare gli Scorpions, preparare il caffè per entrambi e baciarmi a lungo sotto le lenzuola di flanella. Baciarmi a lungo. Poggiai la mano sul primo albero che incontrai sul sentiero, respirando forte, e poi sentii, familiare, desiderata, la sua carezza fra i miei capelli, il respiro di lui sul mio collo. 

Mi baciò e sapeva di neve, del mio caffè, dopo barba al pino. Gli carezzai i capelli e lui sospirò. «'Reen...»

«Come mi hai chiamato?»

Sorrise sulle mie labbra. «’Reen… ti piace?»

«No.»

«Antipatica.»

«Narcisista. Nessuno mi ha mai chiamato così.»

«Mi ricorda la sveglia rompipalle che mi sveglia ogni mattina.»

«Louis...»

«Vi somigliate.»

«Perché ti infastidisco, eh?»

«Perché non c'è motivo di dormire se ho te nel letto. Se ho te nella mia vita, se ho te che ridi con quella schizzinosa di Marlene, se ho te che leggi i tuoi libri in caffetteria...»

«Louis...»

«Io ti amo, 'Reen.»

Marlene attraversava il cielo con le ali enormi della sua attrezzatura, una macchia rossa e bionda nel cielo di quel caldo inverno; fin da bambina, avevo capito che lei non era fatta per restare a terra. La guardai con la mano di Louis nella mia, la sua bocca vicino al mio orecchio, il profumo del caffè sulle sue labbra. 

Marlene era già a terra, quando io e Louis li raggiungemmo a distanza di sicurezza.

Marlene si tolse il cappello e scosse la testa bionda. «Potete anche smetterla con questa storia.»

«Quale storia? » Louis alzò le mani come a proteggersi da un attacco improvviso.

«Questa… storia.» Marlene indicò Louis e poi me, con uno sguardo severo in viso che poi, in pochi secondi, si trasformò in apprensivo. «Sapevo che sarebbe successo. E siete davvero incapaci a nascondervi, non siete nemmeno riusciti ad approfittare della marea di impegni che ho per il matrimonio. L'ho capito da settimane. Da quanto tempo...?»

«Due settimane,» dissi, nascondendomi il viso nella sciarpa.

«Un mese.» La voce di Louis si unì alla mia.

Scoppiai a ridere, perché aveva ragione lui, ed anche Marlene rise ed anche Joseph, fino a poco tempo prima rimasto in silenzio, come se Marlene lo incantasse in uno stato irraggiungibile ogni volta volta che l’attenzione girava intorno a lei.

Louis mi prese la mano e mi baciò; cercai di allontanarlo con una spinta, mi lamentai sulle sue labbra, lui rise e mi scosse con l’incredibile vibrazione di quella risata, e poi chiusi gli occhi. Chiusi gli occhi e seppi di essere felice.

***

Il tavolino della caffetteria era sommerso da giornali e foglietti, io cercavo di ordinarli e Marlene li metteva di nuovo in disordine, io la guardavo male e lei mi rideva in faccia. Era così felice… come potevo non volerle bene?

«Allora, che ne dici di invitare Francise Holland? »

«Francise? » Sbuffai. «Ma non ti aveva rubato il ragazzo al quinto anno? »

«Se vedessi com’è diventato brutto, è giusto per farle vedere che la mia vita va alla grande.»

«Be’, se proprio vuoi. » Presi un foglio, un altro, un altro ancora e li sistemai in una pila ordinata. «È proprio l’ultima persona a cui hai pensato. »

«No. » La voce della mia amica perse allegria e il suo tono divenne distaccato, secco come il ghiaccio in cui mettono le bibite ai luna-park. «C’è… un’altra persona. Verrebbe, secondo te?»

Verrebbe? Il cuore cominciò a battermi veloce come se mi stesse dando un avvertimento, mentre una fitta di nostalgia mi invadeva il petto.

«Non lo so, Marlene, ma forse…» Distolsi lo sguardo. Vidi un uomo con un lungo cappotto nero entrare in caffetteria; mi dava le spalle, quando si tolse il cappello di lana e ne venne fuori una massa di capelli neri. «Oh… Joe!» esclamai. 

L’uomo si girò.

E non era Joseph.

Era…

Continuava a guardarsi intorno, incapace di capire chi l’avesse chiamato; non aveva ancora guardato nella mia direzione. Ne approfittai per abbassare il capo.

«Dora.»

Come può essere lui?

«Dora.» Marlene mi scosse il braccio. «Che cosa succede? »

Come può vivere? 

Non risposi, ma alzai il viso e lo vidi mentre rideva con una ragazza dai capelli lunghi e castani con i riflessi ramati, grandi occhi nocciola, grembiule da cameriera. Assottigliai gli occhi e riuscii a vedere il nome scritto sul grembiule rosa della ragazza. Cassidy.

Non aveva senso. Niente aveva senso.

E come in quel sogno nel tragitto per arrivare lì, cominciai a ricordare.

***

L’aria era fresca; il freddo si era allontanato da quel luminoso giorno di aprile. Io gridavo «Prendimi!», anche se non sapevo che un giorno l’unica cosa che avrei voluto fare sarebbe stata scappare. «Prendimi! » Agnes mi sfiorò la mano ma io corsi più veloce. «Prendimi, guardia! »

«Lasciati prendere, ladruncola! » disse Agnes con voce affannata.

«Siete troppo veloci, giocare a guardia e ladri è impossibile! »

«Forse è difficile! » disse Agnes.

«Difficile, impossibile… è uguale! »

«No, non lo è.»

Mi lasciai cadere sul prato con il respiro grosso, Marlene mi venne accanto e cominciò a farmi il solletico, un ricciolo mi finì in bocca. «Basta, basta! » Marlene continuava a pizzicarmi. «Basta, basta, Marlene! Ti regalo tutte le caramele a forma di orsetti, per favore! »

Agnes era un fiore a cui mancavano dei petali, e noi scoprimmo che il numero esatto era un due. Nonostante i colori diversi, io e Marlene diventammo parte di quel fiore. Un fiore che inciampava, cadeva, rideva, tratteneva le lacrime quando si sbucciava le ginocchia. Un fiore bianco con la linfa di sangue.

«Ho davvero tanta, tanta sete! » sospirò Marlene, lasciando perdere il suo tentativo di fare la verticale. Io riuscivo a vedere il mondo al contrario; con quell’enorme chioma riccia ero come convinta che, se avessi battuto la testa, non mi sarei mai fatta davvero male.

Agnes lanciò via la paletta rossa con cui stava scavando nella terra, il vestito bianco sporco sui bordi. Sì, era proprio vera.

«Allora andiamo dal nonno, ha anche i bicchieri di cristallo!»

«Da… davvero?» chiesi, anche se mi sentivo la gola chiusa. Non sapevo se era la testa a pesare sul collo o tutto il mio corpo a pesare sulla mia testa.

«Certo! » esclamò Agnes. «Se magari Doreen mette i piedi per terra…»

Mi misi giù e mi sentii la testa girare, feci qualche respiro profondo. Agnes mi si avvicinò, con il sorriso sulle labbra, gli occhi luminosi. «Com’è guardare il mondo al contrario?»

Sorrisi anch’io. «Bellissimo,» dissi.

«Il nonno dice che tante volte le persone vedono le cose dal lato sbagliato. Perché cercare di volare quando puoi camminare sul cielo?»

«Oh, ma lei mica ci cammina veramente!» esclamò Marlene.

«Magari quello che per te è veramente in realtà non lo è. Che cosa importa se una cosa è vera o no se puoi sognarla? Mio nonno lo dice.»

Agnes si diresse verso il viale bianco che portava all’entrata, saltellando con quel vestito un po’ sporco sui bordi, come una specie di angelo caduto a terra per sbaglio.

«Il signor Silvers deve essere un tipo strano,» osservò Marlene.

Scrollai le spalle e mi inoltrai in quel sentiero di sogni.
*
*
*
*
Ciao a tutti, miei stupendi, meravigliosi lettori.
Per quanto riguarda Doreen e Louis, mentre scrivevo e mentre rileggevo, ero in modalità "Quantosietebellimiodioviamomiodiosietebellissimibellissimibellissimistomale", ecco, vedete un po' come sto messa :'')
Ma come mai Louis non appare nella storia del presente? Avete conosciuto Marlene, la moglie di Joseph, quella che sarà poi la madre di Martin, poiché ce lo dice lui stesso nei primi capitoli. Sappiamo che è morta... ma quello che ha saputo Martin sarà la verità?
E chi sarà quell'uomo che turba tanto Doreen in caffetteria, quello che parla con Cassidy?
Tante domande... e la maggior parte delle risposte le otterrete con il prossimo capitolo :D
Fatemi sapere se la storia vi piace, mi renderete tanto felice :)
Di solito faccio dei ringraziamenti generali, ma questa volta vorrei ringraziare personalmente delle persone: Mia Swatt, che non manca mai di recensire ogni capitolo e mi fa sempre sapere la sua opinione sincera*-*, Eryca che arriva sempre con i suoi bellissimi commenti <3, Marika che mi supporta con entusiasmo :D.
Ma ringrazio anche voi, lettori silenziosi che mettete mi piace e vi emozionate con me. Spero che un giorno mi facciate sapere il vostro parere :)
Un bacio,
Ania :)
P.s
A causa della gita scolastica, non so se riuscirò ad aggiornare la prossima settimana, poiché in vista della partenza i professori hanno già deciso di tartassarci con interrogazioni e compiti vari. Farò del mio meglio per aggiornare <3


   
 
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