Illustrazione di presa da Google.
Grafica dell'immagine a cura di Honey Essentials.
22.
Parte I.
Una bambina correva in un
sentiero ripido a discesa con il cestino per il pranzo in mano, un fiocco rosso
fra i capelli bruni, il respiro affannato ma gli occhi ridenti.
«Aspettami, Mar! »
Quella bambina ero io.
«Doreen, sei così lenta a correre!»
Gli alberi facevano ombra. Mi passai una
mano sulla fronte sudata e, dopo qualche passo, misi i piedi su una superficie
dritta ed esalai un respiro di sollievo. «Perché è così difficile questa
strada?»
«Perché porta in un posto magico! Mio padre ci passa ogni sera e si ferma a guardare, in silenzio. Hai mai
letto una storia in cui lungo il sentiero non c’è niente a renderlo difficile?»
Lei si chiamava Marlene Jenkins e si voltò verso di me, i
capelli biondo dorati corti fin sotto il mento, gli occhioni dello stesso colore
del cielo in estate, e mi prese la mano. Mentre correva rideva, a tratti, come
per ricordarmi che era felice, e lo era perché mi stava portando con sé.
Poi il boschetto cominciò ad aprirsi come
a clessidra, per mostrare una grande villa bianca con siepi verdeggianti a
circondarla. Era così alta… forse, dall’altra parte della città, la si riusciva
a vedere. O anche dalla parte più alta della collina, bastava sforzarsi un po’.
Trattenni il respiro.
«Marlene… » sussurrai.
«Non sembra un castello?» chiese Marlene.
Era così magra. «Vieni a vedere.»
Si mise a correre verso la siepe e
cominciò ad arrampicarsi, io la guardavo mentre saliva a grandi passi su quella
specie di montagna verde. Non aveva paura, Marlene, e nemmeno io ne avevo. Ero
quasi convinta che, se fosse caduta, si sarebbe messa a volare.
«Vieni anche tu, Dora!»
«Non so se ne sono capace…»
«Sì che lo sei! Vieni! Vieni e fa' finta di
essere in una storia!»
Sfiorai le foglie con le dita e subito
dopo mi convinsi. Se fossi tornata a casa a guardare Heidi non avrei capito
niente perché il mio pensiero sarebbe rimasto lì, fra gli spazi che c’erano fra
i rametti su cui avrei potuto arrampicarmi per guardare. Così la seguii, e
più salivo, più pensavo "chissà cosa direbbe la mamma" e… «Marlene, più lenta!»
e… "non sarà da cattivi bambini spiare?"
Poi mi ritrovai a sorreggermi sul
cornicione bianco, il mio gomito a sfiorare quello di Marlene, i miei occhi sul
giardino da sogno di quella villa simile ai castelli delle mie fiabe. Era come
guardare le vene di un uomo all’interno del suo corpo, ma senza sangue. Tutti
quei sentieri erano ricoperti di fiori lilla, azzurri, rossi, rosa, gialli;
c’era un laghetto che sembrava prendere lo stesso colore delle nuvole in cielo
e una fontana con dei bambini di pietra a far venire fuori l’acqua dalla bocca.
In mezzo a quel sogno, quella bambina sembrava un fiore insolito in un
verdeggiante paesaggio. Aveva un vestito bianco che svolazzava ad ogni passo, i
capelli neri e lunghi le volavano al vento, e quando si fermò, i suoi occhi
azzurri e belli si fermarono su di me e la mia amica.
«Abbassati!» Gridai a Marlene,
schiacciandole la testa con la mano.
«Che cosa fate? » sentii una voce che
sembrava un cinguettio. «Che cosa fate? »
Mi posai un dito sulle labbra per dirle di
stare in silenzio.
«È un po’ scomodo lì giocare! » Di nuovo
il suo cinguettio.
«Vuoi giocare con noi? » Marlene alzò la
voce.
«Shhhhhhhhh! » le intimai.
«Dai, venite a giocare! » disse ancora la
bambina.
Marlene era così felice di quel suo invito…
non aveva per niente paura?
«È una trappola,» le sibilai.
Marlene rise. «E perché?»
«Succede in tutte le storie.»
«Magari questa è una storia diversa. » Il
cancello dorato si aprì automaticamente e, per sorreggere la mia fantasia,
immaginai che fosse magico.
Marlene scese velocemente, mentre io ci misi molto
più tempo; una volta giù, Marlene mi superò correndo, poi si voltò e mi fece
una linguaccia. Io le risposi allo stesso modo, restando un po’ indietro.
Rimasi fuori dalla villa, senza mettere un
piede sul terreno ricoperto di ciottoli, ma poi mi raggiunse e mi strinse la
mano, come per farmi stare tranquilla.
Vidi la bambina che correva verso di noi
e, man mano che si avvicinava, sembrava più vera, anche se il suo volto era
simile alle statue degli angeli del giardino, ma dipinta.
«Il nonno mi manda fuori per parlare con Joe, ma qui da sola mi annoio,» disse. «Perché vi siete messe a spiare?»
La mia amica abbassò il viso, le guance
rosse per la vergogna, senza rispondere. Ma poi fece un colpetto di tosse. «Sembra
di stare in una storia, qui, » riuscì a dire, velocissima.
La bambina fece qualche passo verso di noi
e, con dolcezza, disse: «Mi chiamo Agnes.»
***
Avevo sognato, durante il viaggio. La mia infanzia, Marlene, e un mondo di immaginazione.
L’aereoporto era affollato. Dalle alte
balconate le lucette colorate mi dicevano che il motivo di tutta questa
affluenza era il Natale; trasportavo il trolley con una mano e tenevo la borsa
stretta al fianco con l’altro braccio, quasi fosse più importante. Be’, lo era,
in un certo senso: a ventidue anni mi ero laureata con il massimo in
Letteratura Francese, e avevo portato con me il libro del mio professore in cui
aveva inserito anche la mia considerazione sul…
Il telefono squillò ed io sussultai.
«Dora! Dove sei?» Dall’apparecchio che
avevo in mano venne fuori una voce cristallina stonata dall’euforia. Non
riuscii a trattenere una risata.
«Marlene, sono fuori dall’aereoporto e
credevo che mi saresti venuta a prendere.»
«Oh, scusa! Scusa, scusa, scusa! » Una
pausa. Sistemai meglio il telefono sotto l’orecchio… il suo regalo per il
compleanno, per potermi rintracciare anche quando ero irrintracciabile per il
resto del mondo. «Sto arrivando, davvero, sto arrivando… Joe? Joseph, svolta
a destra, ma dove vai? Da lì ci passiamo dopo… Doreen, scusa.»
«Non importa.» Le rotelle del trolley
scivolavano lisce sull’asfalto. «Vado alla caffetteria di fronte per prendere
un caffè, ti aspetto.»
«Certo! Joseph, non è quella la curva!»
Scossi
la testa e chiusi la telefonata
pigiando di un grande tasto verde dei vecchi cellulare degli anni
novanta. Marlene si era laureata in fretta, brillantemente, e si era
trasferità lì a Boston con Joseph, che dopo la laurea in
economia si stava specializzando, mentre io, in una piccola
città con la mia mamma anziana, terminavo la mia tesi di laurea
aspettando sue cartoline, lettere con la sua grafia tondeggiante,
fotografie in cui il suo sorriso splendeva. Con questi pensieri entrai
nella caffetteria.
Presi posto su una poltrona ed estrassi il
libro dalla borsa, poi guardai l’indice per trovare la pagina in cui il
professor Raway aveva inserito il mio commento su Flaubert…
«Salve.»
«Un caffè nero, grazie,» dissi subito.
O, ecco, ero proprio lì, a pagina cinquantasei! Io ero su un vero libro! Non un libro di
storie, non ero portata per i racconti, ma c’era il mio commento… Marlene non
avrebbe capito niente. «Senza zucchero, ma con la schiuma.»
«Qualcos’altro?»
Commento a cura di Doreen Gates. Ero
davvero io.
«No, basta così.»
… Come?
Alzai lo sguardo per la prima volta da
quando ero entrata in quella caffetteria e così, incapace di rendermi conto di
che cosa stessi facendo di così importante da non guardarlo prima, dimenticai
per un istante il perché del mio imbarazzo.
L’hai scambiato per un cameriere senza
nemmeno degnarlo di uno sguardo. Misi giù il libro. L’hai scambiato per un
cameriere e gli hai anche dato la tua ordinazione.
La vergogna mi avrebbe fatto diventare
verde.
«Mi… mi scusi,» dissi, esalando un
respiro, come se fossi intontita, poi abbassai di nuovo il capo, non riuscivo
proprio a guardarlo. E non riuscivo nemmeno a capire perché si stesse sedendo
di fronte a me.
Prese posto con la naturalezza che avrebbe
avuto sul suo divano di casa e il suo sorriso mi avvolse; aveva qualcosa di
ironico, provocatorio.
«Non c’è problema.» Si passò una mano fra
i capelli biondi, lisci, un po’ spettinati. Aveva un volto affilato, mai suoi
occhi verdi splendevano. «Le capita spesso di fare così?» Il suo sorriso si allargò, mentre posava i
gomiti sul tavolino; notai che aveva la spalle ampie e si vedeva moltissimo
che era molto più alto di me anche da seduto.
Pieno di sé.
«No. Ho solo chiesto un caffè alla persona
sbagliata.»
«E poi ha liquidato tutto con un “basta
così”.»
«... Perché un caffè mi basta. »
«È un modo originale per rifiutare un bel
ragazzo.» Si mise a giocherellare con i fazzolettini al centro del tavolo;
aveva le mani grandi e mi chiesi che cosa facesse nella sua vita, se parlava
con ogni ragazza che incontrava nelle caffetterie. «Mi piacciono le ragazze
originali.»
«A me non piacciono i narcisisti.»
«Oh, sono d’accordo. Per quanto io sia
affascinante non cadrei mai in un fiume per abbracciare il mio riflesso come Narciso. Prima
di arrivare a tanto bisognerebbe uscire insieme qualche volta, andare al
cinema, mangiare sushi.»
Strinsi la mano a pugno e me la portai
sotto il mento per trovare un modo per nascondermi la bocca, ma il suono della
mi risata lui lo sentì lo stesso.
«Non mi piace il sushi.»
«Messicano? »
Mi rigirai un ricciolo fra le dita.
«Italiano.»
«È andata.»
«Andata cosa? »
«Il mio appuntamento con la bella ragazza che
legge…» Si sporse leggermente verso di me per leggere il titolo del libro;
profumava di dopo barba, aria di città, l'aroma delizioso del caffè nero non zuccherato. «Commenti in
merito a Flaubert.»
Scossi la testa.
«Ma se nemmeno mi conosce…»
«Ti piace il caffè nero.»
«Ma...»
«Senza zucchero.»
«Lo so.»
«Anche
a me il caffè piace senza zucchero.» Si appoggiò
alla poltrona rosa con le braccia aperte ad accogliere chissà
che
cosa; così a suo agio, sorridente. «Nero.»
«Dora!» Marlene entrò nella caffetteria
nel fruscio di una sciarpa di lana avvolta intorno al collo e un pesante
giaccone che tolse velocissima, a mostrare la sua solita corporatura, così
magra da poter essere un’etoile di parigi. «Scusa, scusa tanto!» Mi si
avvicinò, con gli occhi azzurro chiaro sgranati, e poi mi abbracciò forte. I
suoi capelli biondi e corti mi fecero il solletico, anche se io restavo tesa.
«Joseph aveva dimenticato l’orario.» Marlene si staccò da me e mi sorrise,
poi, come se l’avessi avvisata io stessa, si voltò verso lo sconosciuto di fronte
a me. «Tu?» esclamò, e sembrava sconvolta.
«Dora… mhm.» Il ragazzo narcisista passò il pollice sulla
bocca e fissò gli occhi nei miei. «Un bel nome.»
«Doreen.» Deglutii. «È Doreen, il mio
nome.»
«Doreen,» disse allora. Do… reen.
Lentamente.
«Louis, come facevi a sapere che era lei?» gli chiese Marlene.
«Non
ricordi di avermi fatto vedere la sua foto pregandomi di accuparmi
della sua accoglienza?» chiese lui, con un’innocenza
così poco credibile. Intanto io pensavo al modo in cui diceva il
mio nome – lo
odiavo così tanto, anche se ci avevo fatto l’abitudine.
«Buonasera!» Un ragazzo di qualche anno più grande di me entrò stringendosi nella giacca nera, i capelli e gli occhi scuri, la carnagione chiara e un sorriso che trovai buffo, cordiale. Non era mai cambiato da tutti gli anni in cui lo conoscevo. Gli sorrisi. Era bello in quel modo rassicurante che ti faceva vedere un po' te stessa.
Ero
troppo vicina a Marlene per provare anche solo un barlume di interesse
per lui, anche se, attraverso lei, avevo saputo cose segrete, nascoste,
belle della loro tenera intimità.
«Joe!» Marlene gli corse incontro e gli
stampò un bacio sulle labbra. Tossii.
«Dio buono, fanno sempre così.» Sospirò
il ragazzo seduto di fronte a me.
Sorrisi. «Dopo tutti questi anni?»
«Sembra che lui sia appena tornato dalla
guerra in Vietnam quando invece erano insieme a malapena cinque minuti fa.»
«Se mai diventassi così qualcuno dovrebbe
spararmi.»
«Dovrai chiedere a qualcun altro, visto
che sarò impegnato a fare altro.»
«Dora,» mi chiamò Marlene, solennemente. «La verità è che abbiamo fatto tardi perché... per organizzare la cerimonia bisogna girare molto e...»
«Spero che tu mi faccia da testimone...» disse
Marlene, appoggiandosi a Joseph. «Per Joseph lo saranno Patrick e Louis... questo elemento che ti sta davanti.»
«Sono il suo migliore amico.» Louis. Aveva parlato in modo
scontroso e, non sapevo per me, era come se mi avesse fatto sentire il suo
disagio.
«Siete... piuttosto diversi.» Sorseggiai un po’ del mio
caffè.
Louis rise ed io lo guardai, lasciai
perdere la vergogna e notai il modo in cui inarcava il collo e il sorriso
sembrava trascinare ogni cosa come con una forte vibrazione.
Marlene scosse la testa.
«E Joe è quello buono. Oltreché bello.» Louis le lanciò
un’occhiata e Marlene gli fece una linguaccia. Sembrava proprio una bambina.
«Louis, se pensi che riuscirai a rimorchiare la mia amica ti sbagli. Lei è…»
«No, dai, non dire “diversa”, si sente in
troppi film.»
«Oh, Doreen, morirai solo a guardarmi!»
«Non voglio morire così giovane.»
«Giusto, non posso perdere la mia
testimone.» Mi prese a braccetto e si mise a ridere in quel modo
fragoroso che fece voltare chi camminava davanti a noi, sullo stesso
marciapiede.
Raggiungemmo un campo innevato, una
splendida valle bianca; un aereoplano e le attrezzature del paracadutismo al centro,
perché Marlene era folle e viva e impaziente e con un’immaginazione troppo grande
per farla restare con i piedi per terra.
In lontananza si vedevano tre uomini che
ci davano le spalle. Marlene si avvicinò ad uno di loro e gli strinse la mano
senza nemmeno guardarlo in volto; era sicura che fosse Joseph e infatti era
lui, con gli occhi scuri pieni d’amore.
Quando Louis si voltò a guardarmi il freddo dell'inverno scomparve.
«Allora sei pronta, Marlene?» chiese
l’altro ragazzo, i capelli castani e la barba folta, dal viso simpatico.
«Certo, Patrick. Sarà meraviglioso, il paesaggio.»
«Meraviglioso? Non te ne scorderai facilmente, Marlene.»
«Andiamo, dai.» Qualcuno mi sfiorò la mano, un
qualcuno che non avrei potuto scambiare per nessun’altro. «Non sto pensando ad altro da tutta la mattina.»
«Intendi l'articolo che devi scrivere su quel nuovo pilota?»
«Intendo te. Te e quello che ieri sera...»
Trattenni una risata. «Non dirlo ad alta voce.»
Louis fece qualche passo indietro, alzò la
voce ed accennò qualcosa riguardo al caffè nero, io dissi la stessa cosa e poi
mi ritrova i correre con lui accanto, i riccioli che mi finivano in faccia,
sempre più lontani dagli occhi che potevano conoscere quello che nascondevamo
come bambini.
«Visto che io ho il giubbotto marrone e tu la tua chioma bruna potrebbero scambiarci per scoiattoli giganti, qui in mezzo agli alberi!» Era così divertente che mi ritrovavo con le lacrime agli occhi per le risate alla fine di ogni serata; provocatorio, con tante cose da dire e tante altre ancora contro cui ribattere. Mille posti da raccontare e ancora altri mille da vedere, e il pensiero più triste che avevo era che per ogni posto potesse aver avuto una ragazza differente. Lui, che sapeva elencare a memoria le poesie di Emily Dickinson. Lui, che sapeva riparare un motore come se fosse nato con quella capacità. Lui, che amava i film di guerra, la pioggia, l'inverno, dormire fino a tardi, scrivere di notte gli articoli per il giornale, abbracciarmi nel buio, sfregare la barba contro il mio collo, Ascoltare gli Scorpions, preparare il caffè per entrambi e baciarmi a lungo sotto le lenzuola di flanella. Baciarmi a lungo. Poggiai la mano sul primo albero che incontrai sul sentiero, respirando forte, e poi sentii, familiare, desiderata, la sua carezza fra i miei capelli, il respiro di lui sul mio collo.
Mi baciò e sapeva di neve, del mio caffè, dopo barba al pino. Gli carezzai i capelli e lui sospirò. «'Reen...»«Come mi hai chiamato?»
Sorrise sulle mie labbra. «’Reen… ti
piace?»
«No.»
«Antipatica.»
«Narcisista. Nessuno
mi ha mai chiamato così.»
«Mi ricorda la sveglia rompipalle che mi sveglia ogni mattina.»
«Louis...»
«Vi somigliate.»
«Perché ti infastidisco, eh?»
«Perché
non c'è motivo di dormire se ho te nel letto. Se ho te nella
mia vita, se ho te che ridi con quella schizzinosa di Marlene, se ho te
che leggi i tuoi libri in caffetteria...»
«Louis...»
«Io ti amo, 'Reen.»
Marlene attraversava il cielo con le ali enormi della sua attrezzatura, una macchia rossa e bionda nel cielo di quel caldo inverno; fin da bambina, avevo capito che lei non era fatta per restare a terra. La guardai con la mano di Louis nella mia, la sua bocca vicino al mio orecchio, il profumo del caffè sulle sue labbra.
Marlene
era già a
terra, quando io e Louis li raggiungemmo a distanza di sicurezza.
Marlene si tolse il cappello e scosse la
testa bionda. «Potete anche smetterla con questa storia.»
«Quale storia? » Louis alzò le mani come a
proteggersi da un attacco improvviso.
«Questa…
storia.» Marlene indicò Louis e
poi me, con uno sguardo severo in viso che poi, in pochi secondi, si
trasformò
in apprensivo. «Sapevo che sarebbe successo. E siete davvero
incapaci a nascondervi, non siete nemmeno riusciti ad approfittare
della marea di impegni che ho per il matrimonio. L'ho capito da
settimane. Da quanto
tempo...?»
«Due settimane,» dissi, nascondendomi il
viso nella sciarpa.
«Un mese.» La voce di Louis si unì alla
mia.
Scoppiai a ridere, perché aveva ragione
lui, ed anche Marlene rise ed anche Joseph, fino a poco tempo prima rimasto in
silenzio, come se Marlene lo incantasse in uno stato irraggiungibile ogni volta
volta che l’attenzione girava intorno a lei.
Louis mi prese la mano e mi baciò; cercai
di allontanarlo con una spinta, mi lamentai sulle sue labbra, lui rise e mi
scosse con l’incredibile vibrazione di quella risata, e poi chiusi gli occhi.
Chiusi gli occhi e seppi di essere felice.
***
Il tavolino della caffetteria era sommerso
da giornali e foglietti, io cercavo di ordinarli e Marlene li metteva di nuovo
in disordine, io la guardavo male e lei mi rideva in faccia. Era così felice…
come potevo non volerle bene?
«Francise? » Sbuffai. «Ma non ti aveva
rubato il ragazzo al quinto anno? »
«Se vedessi com’è diventato brutto, è
giusto per farle vedere che la mia vita va alla grande.»
«Be’, se proprio vuoi. » Presi un foglio,
un altro, un altro ancora e li sistemai in una pila ordinata. «È proprio
l’ultima persona a cui hai pensato. »
«No. » La voce della mia amica perse
allegria e il suo tono divenne distaccato, secco come il ghiaccio in cui
mettono le bibite ai luna-park. «C’è… un’altra persona. Verrebbe, secondo te?»
Verrebbe? Il cuore cominciò a battermi
veloce come se mi stesse dando un avvertimento, mentre una fitta di nostalgia
mi invadeva il petto.
«Non lo so, Marlene, ma forse…» Distolsi
lo sguardo. Vidi un uomo con un lungo cappotto nero entrare in caffetteria; mi
dava le spalle, quando si tolse il cappello di lana e ne venne fuori una massa
di capelli neri. «Oh… Joe!» esclamai.
L’uomo si girò.
E non era Joseph.
Era…
Continuava a guardarsi intorno, incapace
di capire chi l’avesse chiamato; non aveva ancora guardato nella mia direzione.
Ne approfittai per abbassare il capo.
«Dora.»
Come può essere lui?
«Dora.» Marlene mi scosse il braccio.
«Che cosa succede? »
Come può vivere?
Non risposi, ma alzai il viso e lo vidi
mentre rideva con una ragazza dai capelli lunghi e castani con i riflessi ramati, grandi occhi
nocciola, grembiule da cameriera. Assottigliai gli occhi e riuscii a vedere il
nome scritto sul grembiule rosa della ragazza. Cassidy.
Non aveva senso. Niente aveva senso.
E come in quel sogno nel tragitto per arrivare lì, cominciai a ricordare.
***
L’aria era fresca; il freddo si era allontanato
da quel luminoso giorno di aprile. Io gridavo «Prendimi!», anche se non sapevo
che un giorno l’unica cosa che avrei voluto fare sarebbe stata scappare.
«Prendimi! » Agnes mi sfiorò la mano ma io corsi più veloce. «Prendimi,
guardia! »
«Lasciati prendere, ladruncola! » disse
Agnes con voce affannata.
«Siete troppo veloci, giocare a guardia e
ladri è impossibile! »
«Forse è difficile! » disse Agnes.
«Difficile, impossibile… è uguale! »
«No, non lo è.»
Mi lasciai cadere sul prato con il respiro
grosso, Marlene mi venne accanto e cominciò a farmi il solletico, un ricciolo
mi finì in bocca. «Basta, basta! » Marlene continuava a pizzicarmi. «Basta,
basta, Marlene! Ti regalo tutte le caramele a forma di orsetti, per favore! »
Agnes era un fiore a cui mancavano dei
petali, e noi scoprimmo che il numero esatto era un due. Nonostante i colori
diversi, io e Marlene diventammo parte di quel fiore. Un fiore che inciampava,
cadeva, rideva, tratteneva le lacrime quando si sbucciava le ginocchia. Un
fiore bianco con la linfa di sangue.
«Ho davvero tanta, tanta sete! » sospirò Marlene,
lasciando perdere il suo tentativo di fare la verticale. Io riuscivo a vedere
il mondo al contrario; con quell’enorme chioma riccia ero come convinta che, se
avessi battuto la testa, non mi sarei mai fatta davvero male.
Agnes lanciò via la paletta rossa con cui
stava scavando nella terra, il vestito bianco sporco sui bordi. Sì, era proprio
vera.
«Allora andiamo dal nonno, ha anche i
bicchieri di cristallo!»
«Da… davvero?» chiesi, anche se mi
sentivo la gola chiusa. Non sapevo se era la testa a pesare sul collo o tutto
il mio corpo a pesare sulla mia testa.
«Certo! » esclamò Agnes. «Se magari Doreen
mette i piedi per terra…»
Mi misi giù e mi sentii la testa girare,
feci qualche respiro profondo. Agnes
mi si avvicinò, con il sorriso sulle labbra, gli occhi luminosi. «Com’è
guardare il mondo al contrario?»
Sorrisi anch’io. «Bellissimo,» dissi.
«Il nonno dice che tante volte le persone
vedono le cose dal lato sbagliato. Perché cercare di volare quando puoi camminare
sul cielo?»
«Oh, ma lei mica ci cammina veramente!»
esclamò Marlene.
«Magari quello che per te è veramente in
realtà non lo è. Che cosa importa se una cosa è vera o no se puoi sognarla? Mio
nonno lo dice.»
Agnes si diresse verso il viale bianco che
portava all’entrata, saltellando con quel vestito un po’ sporco sui bordi, come
una specie di angelo caduto a terra per sbaglio.
«Il signor Silvers deve essere un tipo strano,»
osservò Marlene.
*
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*
*
Ciao a tutti, miei stupendi, meravigliosi lettori.
Per quanto riguarda Doreen e Louis, mentre scrivevo e mentre rileggevo, ero in modalità "Quantosietebellimiodioviamomiodiosietebellissimibellissimibellissimistomale", ecco, vedete un po' come sto messa :'')
Ma come mai Louis non appare nella storia del presente? Avete conosciuto Marlene, la moglie di Joseph, quella che sarà poi la madre di Martin, poiché ce lo dice lui stesso nei primi capitoli. Sappiamo che è morta... ma quello che ha saputo Martin sarà la verità?
E chi sarà quell'uomo che turba tanto Doreen in caffetteria, quello che parla con Cassidy?
Tante domande... e la maggior parte delle risposte le otterrete con il prossimo capitolo :D
Fatemi sapere se la storia vi piace, mi renderete tanto felice :)
Di solito faccio dei ringraziamenti generali, ma questa volta vorrei ringraziare personalmente delle persone: Mia Swatt, che non manca mai di recensire ogni capitolo e mi fa sempre sapere la sua opinione sincera*-*, Eryca che arriva sempre con i suoi bellissimi commenti <3, Marika che mi supporta con entusiasmo :D.
Ma ringrazio anche voi, lettori silenziosi che mettete mi piace e vi emozionate con me. Spero che un giorno mi facciate sapere il vostro parere :)
Un bacio,
A causa della gita scolastica, non so se riuscirò ad aggiornare la prossima settimana, poiché in vista della partenza i professori hanno già deciso di tartassarci con interrogazioni e compiti vari. Farò del mio meglio per aggiornare <3