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Autore: night sky    14/02/2014    1 recensioni
Lui doveva fare i conti con i ricordi
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Linda.
Potrei vivere cento vite e tu saresti cento volte l’incarnazione della mia felicità.


Happy Valentine’s day

 
Confortambly numb
 
Dante, nella Divina Commedia, aveva riservato un vero e proprio girone dell’Inferno agli accidiosi, collocandoli con precisione nel quinto cerchio. L’accidia, meglio conosciuta come inerzia fisica e morale, disinteresse verso ogni forma di azione e di iniziativa, era uno dei sette peccati capitali.
Harry Styles, allora, era sicuramente un peccatore. Lo sguardo perennemente annoiato, i capelli costantemente in disordine, l’andamento ininterrottamente stanco e incurante erano testimoni di quella sorta di malattia da cui era gravemente afflitto.
Le sue giornate non erano che un susseguirsi di avvenimenti, a cui aveva ripetutamente assistito e forse partecipato, e azioni, che ormai erano entrate a far parte della sua routine.
La sua sveglia era impostata alle 7 a.m. e il suono assordante di quell’aggeggio rompicoglioni – come lo definiva lui- era la prima cosa che lo infastidiva già di prima mattina. Si aggiungevano poi: il caffè troppo bollente, con un solo cucchiaino di zucchero, i suoi jeans preferiti a lavare, la metropolitana affollata, senza un posto libero a sedere, le pozzanghere che non riusciva a schivare e che macchiavano le sue immacolate converse bianche.
Una volta entrato nell’imponente edificio scolastico, il numero di cose che trovava irritanti si moltiplicava: i vanitosi ed egocentrici giocatori di football; le cheerleader snob e sghignazzanti come oche; i nerd occhialuti e col viso cosparso di acne giovanile; i bulli, i cascamorti, i ritardatari; le pettegole, gli invadenti, i superbi. Gli davano fastidio persino i fumatori, nonostante egli stesso fumasse almeno cinque sigarette al giorno. Ma, soprattutto, odiava la matematica, il suo professore di storia, il corso di chimica che era costretto a frequentare, i pasti disgustosi e nauseanti che davano in mensa e qualunque attività extrascolastica. Vedere due volte la stessa puntata di un telefilm, ascoltare una canzone a basso volume, uscire sotto la pioggia e mangiare dopo le 11 di sera.
Insomma, la lista avrebbe anche potuto continuare all’infinito, ma il tutto si riduceva ad un’unica frase: ad Harry Styles non piacevano le persone, perché aveva capito tutto della vita.
E si sa, i sapienti non sono mai stati uomini felici su questa Terra.
Sentiva di vivere in un mondo dominato da falsità e ipocrisia e il disagio che provava si rifletteva sulla sua stessa anima, portandolo a fregarsene di tutto e di tutti.
Eppure, lui alle persone piaceva.
Harry Styles non regalava sorrisi a nessuno: sarebbe stato un dono troppo sprecato per individui tanto superficiali. Ma le poche volte che sorrideva, le poche volte che lasciava comparire le fossette sulle guance e metteva in mostra la fila di denti perfettamente bianchi, lo faceva con così tanta sincerità, che non potevi fare a meno di ricambiare. Chi riceveva un sorriso da Harry Styles era sicuro di non essere preso in giro, perché quella curva sul suo viso non era che un’onesta dimostrazione d’affetto, senza doppi fini.
Harry Styles amava definirsi piacevolmente insensibile. Un po’ perché era il titolo della sua canzone preferita dei Pink Floyd; un po’ perché credeva che il menefreghismo portasse sempre a qualcosa di buono: era piuttosto risaputo che tutti coloro che impiegavano tutti i loro sforzi per il raggiungimento di un obiettivo, qualunque esso fosse, finivano per rimanerci male.
La sua, però, era un’autoconvinzione non veritiera.
Perché, per quanto Harry Styles cercasse di alienare il termine “delusione” dal suo vocabolario, ormai ne faceva parte fin dal principio ed era impossibile strappare via dal loro terreno radici tanto profonde: quel ragazzo poteva essere tutto, ma non insensibile. Non che piangesse ogniqualvolta vedeva Titanic o si commuovesse per il parto della cagna del suo vicino, ma non c’era persona più aperta ai sentimenti e alle emozioni di lui.
Tuttavia, il mondo a cui purtroppo apparteneva offriva dei limiti sufficientemente vincolanti alla poco diffusa sensibilità, impedendogli di vivere la vita così come desiderava.
Tutta quella sorta d’oppressione l’aveva spinto alla ricerca di qualcosa che gli permettesse di riaffermare la propria libertà mentale. E quale trasgressione, quale strappo alle regole migliore di Lott Grant?
Un metro e sessantacinque di pura vitalità, 17 anni di sana follia, viso dai lineamenti delicati, capelli lisci, color biondo-ramato, occhi nocciola screziati di giallo, colorito piuttosto pallido.
Lei ed Harry sembravano così diversi, eppure erano così uguali.
Lo sguardo perennemente acceso, il corpicino agile costantemente in movimento, le labbra ininterrottamente aperte in un sorriso erano testimoni della sua voglia di vivere giorno per giorno. Adorava i cambiamenti, le cose inaspettate e le novità; correre da un posto all’altro, conoscere nuove persone, immergere i piedi nel mare d’inverno e svegliarsi alle cinque del mattino per godersi l’alba.
Se ne fregava di tutto e di tutti, ma la sua indifferenza era ben diversa da quella che Harry cercava di adottare: non riguardava il mondo intero, bensì tutto ciò che la gente maliziosa poteva pensare o dire sul suo conto. Detto in altri termini, Lott Grant faceva tutto quello che le passava per la testa, senza dar peso ai pregiudizi e alle critiche delle persone che la circondavano.
Anche lei percepiva chiaramente  la forte influenza che la falsità e l’ipocrisia esercitavano sulla comunità del XXI secolo; la sua reazione, però, era diversa: cercava di andare oltre, perché lei era moralmente più forte.
Lott Grant adorava la natura, quella che non era ancora stata toccata dall’uomo, e ogni manifestazione di sensibilità: persino il pianto, per lei, era una gioia. Non era forse una prova dell’esistenza di un cuore in grado di provare emozioni? E cos’era più importante dell’emozione?
Qualcuno l’aveva definita strana, qualcun altro pazza. Qualcun altro ancora si era innamorato di lei.
E quel qualcun altro ancora era proprio Harry Styles.
Infatti, c’era un motivo ben preciso se il suo giorno preferito della settimana era il mercoledì.
Forse perché non era né all’inizio, né alla fine, ma stava proprio nel mezzo. Forse perché a scuola non aveva il corso di chimica.
O forse, più semplicemente, perché trascorreva due ore del pomeriggio in compagnia di Lott. Nel parco comunale del loro paesino, sdraiati all’ombra di quella che ormai era diventata la loro quercia.
A volte, parlavano di tutto ciò su cui era possibile articolare un discorso, dalle cose più stupide e banali a quelle più intime e profonde, in cui avevano trovato il loro punto in comune, proprio come due rette incidenti che, pur incontrandosi una sola volta durante il loro percorso, restano legate all’infinito.
Altre volte, il loro tempo trascorreva in assoluto silenzio: Lott con la mente immersa nelle pagine di un libro e la nuca poggiata sulle gambe di Harry; Harry, con la schiena che aderiva al tronco del grande sempreverde, una sigaretta tra le labbra e gli occhi persi nella bellezza del viso di Lott. Capitava che, senza rendersene conto, cominciasse a carezzarle i capelli e lei, distogliendo per un attimo lo sguardo dai caratteri neri stampati sulle pagine bianche, gli offriva un sorriso di tacito ringraziamento.
Altre volta ancora, si divertivano a studiare le forme stravaganti delle nuvole, in particolare dei cumulonembi, paragonandoli ad ogni oggetto possibile ed immaginabile.
In presenza di Lott Grant, Harry Styles non era più il ragazzo enigmatico e distaccato che tutti conoscevano. Certo, non lo dava a vedere, ma era incuriosito da ogni piccolo gesto di quella ragazza e, ormai, li conosceva tutti a memoria.
Sapeva che cominciava a giocare con una ciocca di capelli quando era infastidita, che arricciava il naso quando cercava di trattenersi dall’urlare contro la persona che le aveva fatto saltare i nervi, che intrecciava le mani tra di loro quando non sapeva cosa dire e che aveva il vizio di mordersi il labbro inferiore quando fremeva dalla voglia di avere qualcosa.
Ai suoi occhi, Lott era perfetta. In tutto e per tutto.
L’unica cosa che aveva sbagliato nella sua vita era stata quella di cedere il suo cuore ad un ragazzo che non era Harry e che, perciò, non poteva amarla tanto intensamente e sinceramente come lui.
Proprio per questo, nella lista di “l’infinità di cose che odio e che vorrei non vedere per il resto dei miei giorni” redatta da Harry stesso, il primo nome in cima era proprio quello di Thomas Dawson.
Oggettivamente, un bel ragazzo, simpatico, gentile, a modo, dalla parola e risata facili.
Soggettivamente, il ragazzo più stupido, ridicolo e senza cervello che Harry avesse mai incontrato sulla faccia della Terra.
Non perché era il fidanzato della ragazza per cui lui stravedeva, sia chiaro. Ma perché Thomas Dawson non sapeva proprio come trattarla quella ragazza, non era in grado di donarle tutte le attenzioni e l’amore che lei realmente meritava.
E questo faceva infuriare Harry in un modo assurdo. Più del caffè bollente, più delle converse macchiate, più della pioggia.
Dio solo sapeva quanta pazienza e controllo la natura gli aveva donato e quanto gli fosse difficile mantenere la calma, quando Lott si presentava a casa sua con lo sguardo triste o direttamente in lacrime a causa di quel cretino. La prima cosa che gli veniva in mente, di solito, era correre da lui e sferrargli un bel pugno che gli facesse capire cosa si provasse a soffrire per mano altrui. Ma sarebbe stata più che altro una vendetta personale.
Tuttavia, la rabbia rovente veniva placata, inconsciamente, da Lott stessa, che, mossa dallo sconforto e dal bisogno di convincersi che qualcuno per lei c’era sempre e comunque, gettava le braccia al collo di Harry, facendolo sentire quasi preso in giro dal destino, da una forza superiore che controllava il divenire delle cose.
Quando il viso di lei era poggiato al petto di lui, inondandogli la t-shirt con le sue lacrime, un dolce profumo di vaniglia invadeva le narici del ragazzo, il quale, portato allo stremo di tutte le sue forze -soprattutto quella di volontà-, cedeva. E la stringeva a sé, con un trasporto tale da farla sentire al sicuro, e allo stesso tempo una cautela quasi esagerata, come se fosse la cosa più fragile che avesse mai toccato.
Harry avrebbe tanto voluto gridarle che doveva guardarsi intorno, capire che c’era qualcun altro che aspettava solo lei. Qualcun altro che era disposto ad amarla senza riserve.
Ma sarebbe stato tutto inutile, perché anche in questo era accidioso. Perché anche in questa situazione non aveva la forza di agire, non aveva il coraggio di confessarle il suo amore.
Era sicuro che avrebbe fatto solo la figura del cretino e ne aveva la conferma quando Lott, dopo un’intera notte trascorsa a ricercare gli insulti più offensivi da affibbiare al proprio ragazzo, ritornava sorridente da Thomas, dimenticandosi di tutto il male che le aveva provocato, come se non fosse accaduto nulla.
Ed Harry si sentiva ancora più cretino: ogni volta che succedeva una cosa del genere la vittima non era più lei, ma lui. Perché la ragazza il giorno dopo stava di nuovo bene. Lui no.
Lui doveva fare i conti con i ricordi. Ricordi che diventavano sempre più numerosi e si addensavano nella sua mente, senza lasciare spazio ad altro. Ricordi che avevano il viso di Lott, i suoi occhi lucidi, le sue gote arrossate e i suoi capelli scompigliati. Ricordi che, così facendo, accrescevano il suo desiderio di baciarla e stare con lei.
Se era difficile combattere con il presente, il presente del passato, che è appunto la memoria, rappresentava un altro duro avversario con cui scontrarsi.
Lott Grant, come Harry, odiava la matematica e, come Harry, amava guardare le stelle. Quelle piccole luci immerse in una distesa scura erano un po’ come alcune persone: da lontano sembrano piccole e insignificanti; da vicino, invece, sono giganti – come dice il nome astronomico di alcune di esse.
Per Lott, la persona che più assomigliava ad una stella era Harry. Da lontano, senza conoscerlo, sarebbe stato facile per chiunque giudicarlo superficiale, presuntuoso e magari anche illuso. Ma, solo avvicinandosi a lui, era possibile avere a che fare con la sua vera natura, con il suo cuore immenso.
Peccato che quel cuore Harry lo avesse aperto solo ad una persona.
E così, dopo una lunga conversazione sugli astri, dopo aver scoperto di condividere l’ennesima passione, i due si erano ritrovati sdraiati sull’erba morbida del loro parco, che ovviamente all’una di notte era più fresca del solito. Uno accanto l’altro, con le braccia quasi attaccate, lo sguardo rivolto verso l’alto.
Osservando le infinite stelle luminose della volta celeste, si erano persi in uno dei loro ragionamenti contorti, rimuginando sulla possibilità di raggiungere una stella o magari regalarla alla persona che si ama.
E, dopo quest’affermazione, si erano spostati entrambi sul fianco, l’uno di fronte l’altra, per guardarsi meglio negli occhi. Lott aveva sorriso. Harry, invece, l’aveva fissata con una serietà a cui lei, diversamente da altre persone, non era assolutamente abituata. La sua mano si era mossa, come una calamita attratta dal ferro, verso la sua guancia e l’aveva accarezzata con delicatezza.
Quando gli unici rumori udibili erano divenuti quello dei loro respiri calmi, che si mischiavano tra di loro, e il frinire di qualche cicala in lontananza, le dita del ragazzo pian piano si erano spostate sulle ciocche sfuggite dalla coda disordinata di Lott. E le labbra di lei, prima aperte in un sorriso, si erano schiuse lentamente in un’espressione confusa.
Harry sapeva perfettamente che amava le cose inaspettate. Così, invece di avvicinarsi cautamente al suo viso in attesa di un suo consenso o dissenso, si era fiondato sulle sue labbra, catturandole in un bacio delicato. Aveva poggiato i palmi delle mani sulla sua schiena, le gambe che si sfioravano. E lei non si era affatto allontanata; al contrario, l’aveva assecondato, stringendo maggiormente il suo corpo.
Il ragazzo aveva avuto il tempo di sentire il suo sapore invadergli la gola, confermare i suoi sentimenti, realizzare ciò che stava accadendo e sorridere, prima che Lott si scostasse da lui all’improvviso, come scottata. Si era portata l’indice sulla bocca umida, proprio dove qualche secondo prima c’era stata quella di Harry; le iridi concentrate sul vuoto.
Poi, si era alzata velocemente in piedi, aveva raccolto la sua borsa e aveva scosso la testa, senza aver il coraggio di guardare Harry negli occhi. L’espressione combattuta, le gambe tremanti e il cuore che sembrava potesse scoppiarle nel petto da un momento all’altro.
Ed era scappata via senza dire una parola.
Harry l’aveva guardata fin quando la sua figura non si era mischiata con il buio della notte. Poi, si era rigirato sull’erba, con la schiena sul terreno, e si era portato le mani sulla fronte, tirando un forte sospiro. Che diamine aveva fatto?
Aveva riflettuto per qualche secondo, riportando lo sguardo sulla distesa di stelle. E, inevitabilmente, aveva sorriso.
Quel che era fatto, era fatto: l’indomani era ancora del tutto incerto.
  
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