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Autore: _SamanthadettaSam_    15/02/2014    4 recensioni
Dal testo:
"- Davvero pensi di poterti nascondere, di scappare da questo inferno chiamato Dark Lake? ahahahahah -
La vecchia si alzò dalla sedia, incrociando i suoi occhi spenti in quelli glaciali del ragazzo.
- Potresti farlo sai? Scappare da qui, e rifarti una vita. Ma a Lei basterà annusare l'aria, e in meno di un minuto, sarà già sulle tue tracce. E senza che tu te ne renda conto, ti troverai il suo fiato sul collo, e i suoi denti nella tua carne. -"
Un'antica creatura si è risvegliata,
Una città maledetta,
Sei ragazzi speciali,
Il destino dei propri cari è nelle loro mani.
"Non si può scappare dalla Creatura.
Non si può scappare da Dark Lake."
Genere: Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Dark Lake - Capitolo 8

La chiesa di Dark Lake non era grandissima ma incredibilmente riusciva a contenere l'intera cittadina, accogliendola sulle panche di legno chiaro. Non era una chiesa molto decorata ma le sue numerose statue in pietra dei santi compensavano la mancanza di dipinti ai lati della navata. La bara di Trent era davanti all'altare, cosparsa di fiori. In prima fila, i genitori del ragazzo, sorretti psicologicamente dalla band del chitarrista. Il silenzio regnava sovrano, mentre il reverendo recitava il suo sermone. Le porte della chiesa si aprirono di colpo, rivelando una figura dietro di esse. Era un uomo di quasi  trent'anni, alto, vestito con un abito scuro su cui risaltava una cravatta verde. I suoi capelli erano neri come la pece ma alcune ciocche erano dello stesso colore della cravatta. Il suo viso era coperto di piercing e il lobo destro era adornato da ben due orecchini. I suoi occhi però erano il particolare che colpiva di più: erano di color acquamarina, con la sclera quasi assente, capaci di gelarti e di scioglierti, a seconda del volere del loro proprietario. Un solo nome saltò nella mente della gente presente, un nome che era scomparso per ben quattordici anni.

Duncan

Il punk avanzò lentamente, stringendo tra le mani una chitarra quasi nuova su cui era stato inciso un nome sulla superficie lignea: Trent.
Percorse a passi sostenuti l'intera lunghezza del corridoio, lo sguardo fisso davanti a sé. Intorno a lui si elevava una cappa di brusii velenosi e occhiate assassine. Persino il reverendo aveva interrotto il suo sermone e ora guardava minaccioso l'uomo davanti a sé. 
- Il figliol prodigo è tornato alla casa paterna. - Esclamò a gran voce l'uomo, appena Duncan fermò la sua processione davanti alla bara. I due si fissarono a lungo e sembrava che gli occhi azzurro-nebbiosi del reverendo stessero analizzando l'anima di quel fedele, assistendo a tutti i peccati che aveva commesso.
Gravi e meno gravi.
Duncan rimase in silenzio, si limitò solamente ad appoggiare la chitarra alla bara, posizionandola tra i fiori.
- Voleva accompagnarti anche in quest'ultimo viaggio. Sono sicuro che anche tu lo desideravi... - Sussurrò lui, carezzando la sua superficie in mogano. Il moro si voltò, diede le sue condoglianze alla famiglia e andò ad assistere la cerimonia in un angolo della chiesa, in disparte da tutti. Rimase lontano dalla gente durante tutta la cerimonia e anche durante la sepoltura, ma egli era sempre presente e partecipe, come l'ombra che silenziosa e obbediente ti segue ovunque tu vada.
A fine cerimonia, quando anche la famiglia se ne era andata avvistando le nuvole di un grosso temporale, Duncan era sempre là, come un'ombra con il suo padrone.
Si guardò in giro e poi prese una rosa da un mazzo portato dalla band.
- Me la presti? Non posso presentarmi a mani vuote da lei. - Disse lui, per poi incamminarsi per le strade del cimitero.
- Ecco qua mamma, come promesso ti ho portato una rosa. - Mormorò lui, poggiando il fiore a terra la lapide di Evelyne.
- Sapevo di trovarti qui. - La voce famigliare di Gwen precedette la sua figura affianco all'uomo.
I due rimasero in silenzio per un po', prima che la mora pronunciasse la domanda che aleggiava nell'area carica di pioggia di quella mattina.
- Perché sei uscito allo scoperto proprio adesso? Cosa ti ha fatto cambiare idea? - 
- Lo sceriffo. -

*Inizio flashback*
I polsi gli facevano un male cane. Si sentiva le braccia come invase dalle fiamme. Per il dolore si erano anche addormentate le mani e quel formicolio era insopportabile. Era steso sul letto a fissare il soffitto e, a volte, la bottiglia che gli aveva dato Dawn che era sul comodino. Non l'aveva ancora usata e non ne aveva neanche l'intenzione. Quel dolore, anche se fastidioso, riusciva a sopportarlo e non voleva rischiare di drogarsi per sbaglio perché gli formicolavano le mani. Doveva rimanere lucido. All'improvviso, la porta si aprì mostrando la figura di Geoff. - Scendi, hai visite. - Il tono e l'espressione seria del biondo, fecero nascere in lui un terribile presentimento.
- Chi mi cerca amico, dimmelo. - Ordinò il moro, alzandosi velocemente dal letto. L’amico esitò per qualche istante, evitando addirittura quello sguardo di ghiaccio, poi rispose: - Lo sceriffo, a quanto pare qualcuno gli ha detto che eri in città... - A quelle parole, il mondo gli cadde addosso. La terribile paura che potessero accusarlo della morte di Trent ricominciò a serpeggiargli dentro. - Arrivo subito, devo fare prima una cosa. - Disse e l'altro lo lasciò solo. Duncan si passò una mano tra i capelli mentre sentiva il dolore ai polsi aumentare moltissimo. Esasperato dal dolore e dal formicolio alle mani, dalla situazione che presto si sarebbe andata a creare con lo sceriffo e del fatto che, entro il giorno dopo, tutta la città sarebbe venuta a conoscenza del suo ritorno prese adirato la bottiglia. Si tolse le bende e osservò attentamente le ferite. Da esse erano comparse le pietre del suo segno, ma intorno al taglio si era creato un sottile alone rosso. Stappò il tappo e ne prese una piccola quantità. Il liquido era di consistenza vischiosa e, appena l'uomo lo spalmò sui polsi, sentì un piacevolissimo sollievo. Sospirò sollevato, mentre sentiva le mani riprendersi dal loro formicolio. Chiuse la bottiglia e si fasciò i polsi. Poi si alzò dal letto e si diresse verso l'armadio. Si tolse la maglia a maniche corte e prese una felpa, nascondendo per bene i polsi fasciati con le maniche. Prese un respiro profondo e uscì dalla sua stanza. Era pronto ad affrontarlo. Arrivò in salotto e non trovò la rotonda e famigliare figura dello sceriffo, ma quella di un uomo della sua età, dalla pelle ambrata e dalle iridi color smeraldo.
- Tu devi essere Duncan Brown... - Disse lui, venendogli incontro e stringendogli la mano. - Io sono Alejandro Burromuerto, lo sceriffo. - L'uomo guardava sorridente Duncan, che continuava ad osservarlo con sguardo serio.
- Possiamo parlare... In privato? - Propose all'improvviso, spostando il suo sguardo su Geoff e Brigette.
I due, capendo di essere di troppo, salutarono lo sceriffo e andarono al piano di sopra, nella stanza del bimbo.
- Siediti per favore. - Disse Alejandro con un forte accento spagnolo e indicando la poltrona dietro il punk, come se lui fosse il padrone di casa che sta accogliendo un ospite.
I due si sedettero uno di fronte all'altro, faccia a faccia.
- Stamattina ci è arrivata una lettera anonima. Diceva che dovevamo tenerti molto d'occhio. - Cominciò il latino con tono lento e pacato. - Potevo anche non tener conto di quello che diceva, ma il cadavere del povero Trent e questa mi hanno incuriosito molto... - Lo sceriffo tirò fuori dalla tasca una fotografia e a quella vista il moro sbiancò all'improvviso.
La foto mostrava lui in quel maledetto vicolo, con il corpo ormai senza vita di Trent ai suoi piedi.

Chi mai l'aveva scattata?!?

- Era all'interno della lettera. Questa foto e le tue impronte trovate sulla vittima mi fanno nascere due domande nella mente... - Egli si alzò e si avvicinò all'uomo, guardandolo dritto negli occhi. - Perché eri lì quella notte è perché hai tenuto nascosto a tutti il tuo ritorno? - Tra i due si formò un silenzio assordante, che pulsava nelle orecchie del moro. Egli deglutì più volte, cercando di calmare il battito accelerato del suo cuore. Alla fine prese un bel respiro, si alzò e disse:
- Ero in piazza quella notte, fumando una sigaretta. All'improvviso ho sentito delle urla e sono corso dove provenivano quei suoni. Quando sono arrivato lì ho trovato il corpo di Trent e ho controllato inutilmente se fosse ancora vivo. - Duncan lanciò uno sguardo deciso e sicuro di sé allo sceriffo. - Mi sono solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato... - Il latino l'osservò per chissà quanto tempo, cercando ogni piccolo dettaglio che potesse fargli capire che stava mentendo. Dopo un tempo che a Duncan era sembrato eterno, lo sceriffo gli sorrise e si posizionò il cappello in testa, che prima era sul tavolo.
- Be' a me sembra che non stai mentendo, ma devo comunque inserirti nella lista degli indagati... Sai come funzionano queste cose... -
- Ne so molto più di lei che fa questo lavoro da poco. - Rispose di rimando lui, ghignando leggermente.
Il moro accompagnò il latino, con un immenso dubbio nella mente.
- Questo vuol dire che presto tutti sapranno che sono qui, vero? - Domandò all'improvviso e Alejandro rispose immediatamente a tale domanda.
- Ovviamente si. Capisco che non vuoi, quasi tutta la città  ti odia e ti ritiene un pericoloso criminale, come mi ha sempre ripetuto il mio predecessore… ma stai tranquillo, se sei innocente nessuno può accusarti di niente. -
"No sceriffo, su questo ti sbagli... " pensò, mentre la porta d'ingresso si chiudeva davanti ai suoi occhi.
*Fine flashback*

- Se proprio doveva uscire fuori la notizia del mio ritorno, questa doveva essere un entrata ad effetto. - Concluse lui, mentre osservava Gwen perdersi ad ammirare pensierosa l'orizzonte.
- Non sono d'accordo con la tua idea... Potrebbero rivolgertela contro questa tua "entrata ad effetto" -
Non aveva tutti i torti, ma Duncan non aveva voglia di pensarci, non in quel momento.
Si avvicinò a lei e lentamente le asciugò una lacrima che solcava la sua guancia.
- Come ti senti? -
- Distrutta. È stato come rivivere la morte di mio fratello... - mormorò la mora, gettando un occhiata alla lapide dietro di loro. L'uomo abbassò lo sguardo, notando che la donna si stava massaggiando i polsi.
- Ti hanno fatto tanto male? - Chiese all'improvviso lui. Gwen lo guardò con un'espressione confusa, ma poi capì cosa intendesse.
- Non molto, ma non sono riuscita a dormire comunque. Adesso non mi fanno niente però non sono abituata ad avere due pietre nei polsi... - Rise lei, mentre Duncan le alzava le maniche del suo vestito lungo e con le dita percorreva il perimetro di quei tagli, riempiti da due luminose pietre.
La prima era un diamante e la sua inconfondibile brillantezza ne era una prova. L'altra non la conosceva ma era molto curiosa per la sua colorazione rossiccia.
I due rimasero immobili per un tempo interminabile, mentre il vento li accarezzava costantemente e con dolcezza.
- Hai visto Scott? - Chiese all'improvviso Duncan, interrompendo quel silenzio tra di loro.
- In chiesa l'ho visto, ma quando sono uscita sembrava sparito. - Il moro sospirò rassegnato, guardandosi intorno.
E adesso, dove era andato a finire?

***

Un grosso temporale si stava avvicinando, ma Scott non gli dava tanta importanza. Rimaneva lì, sulle sponde del lago, lanciando sassi. La sua mente ripercorreva gli avvenimenti della notte scorsa e in particolare l’attacco di panico che aveva avuto Dawn.
Com’era possibile che un misero, piccolo ricordo potesse fargli così male?
Avere sotto gli occhi quella ragazza era come un veleno per lui. I sensi di colpa gli attanagliavano il cuore ogni volta che i suoi occhi incontravano quei pozzi blu cobalto.
Un ramoscello spezzato lo fece voltare, rivelandogli l’arrivo di Raggio di luna.
- Da piccola eri più silenziosa. – Constatò il rosso, dandole le spalle e continuando a lanciare sassi.
- Lo sono ancora, ma oggi ho deciso di farmi notare… - La ragazza avanzò verso di lui, sedendosi sull’erba verde.
- Sei andato al funerale? – Chiese all’improvviso lei, osservando rapita le nuvole grigie in cielo.
- Si e Duncan ha organizzato a tutti una bella sorpresa. – Vedendo lo sguardo confuso della bionda, egli le spiegò la geniale idea che aveva avuto il punk. Alla fine del racconto, Dawn si limitò a scuotere il capo sconsolata. – Questo a Dana non piacerà affatto… -
- Per me quella donna deve darsi una calmata… E’ isterica. – Sibilò lui, ricevendo uno sguardo di rimprovero dalla ragazza.
- Se avessi anche la metà delle responsabilità che quella donna ha sulle proprie spalle, la capiresti… - Sospirò. – Ma non posso nasconderti che non mi fidi tanto di lei. –
- Come mai? –
Dawn aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo.
- Sesto senso. – Si limitò a dire, prima di alzarsi.
- Ero venuta qui per chiederti scusa… per l’incidente dell’altra notte. – Disse lei, pulendosi la gonna.
Scott non la rispose, smise soltanto di lanciare sassi e si girò verso di lei.
- Non devi sentirti in colpa per il mio attacco di panico… -
- Io non mi sento in colpa. – Sputò lui sulla difensiva, dandole di nuovo le spalle.
Dawn si avvicinò a lui, lentamente. – E invece si Scott. Non devi sentirti così, tu non hai fatto niente… - Appena la mano candida di Raggio di luna sfiorò la spalla di Scott, egli si girò e furioso le diede uno schiaffo in pieno viso.
La bionda rimase a guardarlo, mentre la sua mano era poggiata sulla guancia lesa.
Ella abbassò lo sguardo e prima di andarsene disse: - Domani, casa della Strega, stessa ora. Non mancate. -
Il rosso si pentì amaramente di quel gesto. Suo padre non era stato molto presente nella sua educazione, ma fin da piccolo gli aveva insegnato solo una cosa, che riteneva di vitale importanza.
Mai mettere la mani addosso ad una donna o a un bambino, MAI.
Lui, in solo una manciata di secondi, era riuscito a dare l’ennesimo dispiacere a suo padre.

Forse il più grave.

Fuori di sé, diede un forte pugno alla corteccia di un albero, ferendosi così le nocche che cominciarono leggermente a sanguinare.
Ma la rabbia era tale che non se ne accorse e continuò a prendere a pugni quell’albero, finché il dolore alle mani non lo costrinse a fermarsi. Solo in quel momento si accorse della pioggia che da qualche minuto il temporale aveva liberato. Furioso, dolorante e bagnato fradicio Scott girò i tacchi e si diresse con sguardo basso verso casa.

Angolo dell'Autrice

Se Dana deve prendersi un tranquillante, Scott se ne deve prendere due -.-
Qui dentro sono tutti nervosi...
Salve a tutti! Si sono ancora qua e no, purtroppo non vi siete ancora liberati di me.
Quest'anno sembra che l'universo faccia di tutto per impedirmi di aggiornare con regolarità
Ma io resisto e continuo a scrivere.
Questo capitolo è venuto su abbastanza lunghetto, quasi non ci credo. :D
E invece è vero...
La storia originale è quasi pronta, ancora poche cose e la pubblicherò
Anzi! vi do una data:
Tenete gli occhi aperti sulla sezione originali il 1 Marzo, e troverete la mia prima storia originale.
Questo è un appuntamento che non dovete perdervi!
Per quanto riguarda le recensioni, stasera e domani provvederò a rispondere
Scusate ragazzi ma non riesco mai a trovare tempo per rispondervi, ma ho letto le vostre recensioni e posso solo dirvi grazie per tutto l'appoggio che mi date
anche se adesso su questo fandom siamo rimasti in pochi :
Adesso vi lascio con le immagini delle pietre di Gwen

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Diamante (Pietra della Bilancia)

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Corniola (Pietra della Vergine)
Un bacione:^.^:
Sammy
   
 
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