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Autore: Melanto    15/02/2014    5 recensioni
Le scelte che compiamo e le loro conseguenze tracciano la storia, disegnano la realtà così come la conosciamo. Costruiscono il mondo che ci circonda.
Ma cosa sarebbe successo se una scelta fosse stata diversa? Come sarebbero cambiate le conseguenze? Che mondo avrebbero costruito?
Mamoru e Yuzo non avrebbero mai pensato che potessero segnarne addirittura la fine.
Genere: Introspettivo, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Altri, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Bug
- II: primo contatto -

 

«Detesto allenarmi con il terreno bagnato. E detesto giocare quando piove.»
«C’è qualcosa che non detesti, Kenta?» Theo si asciugò le labbra col dorso della mano, dopo aver bevuto alla fontanella del parco Hikarigaoka, quella che si trovava in un angolino del belvedere.
«Lui detesta anche il colore bianco dei calzettoni della nostra squadra.»
«O che gli armadietti dello spogliatoio si aprano verso destra e non verso sinistra.»
«O dover fare le pulizie al mattino e non al pomeriggio.»
«O anche-»
«Ho capito! Ho capito!» Kenta alzò le braccia. «Mi danno fastidio un sacco di cose, va bene? Lo so! Non rigirate il coltello nella piaga!»
Portiere e Capitano sghignazzarono, mentre il compagno metteva il broncio e si incurvava appena.
«Però giocare col terreno bagnato è fastidioso, non potete darmi torto! Sarò scivolato almeno quattro volte, oggi.»
E si erano anche inzaccherati tutti. Yuzo già pensava all’espressione esasperata delle povere manager della squadra: Yumeko-chan non era nota per la pazienza, dopotutto.
Farsi la doccia dopo l’allenamento era stato il momento migliore. Togliersi la polvere e il fango da dosso, i panni lerci; era stato come fare la muta, privarsi di uno strato di pelle ormai vecchia e morta per sfoggiarne uno nuovo di zecca che seguiva i muscoli e i nervi in maniera perfetta, assecondava i movimenti delle ossa. Ora aveva un bel profumo di muschio e cardamomo; i capelli ancora leggermente umidi sulla nuca, ma coperti dagli spifferi marzolini che si erano fatti più insidiosi negli ultimi giorni. Il borsone sempre sulla spalla e, almeno per due settimane, niente libri da portare in giro.
«Dai che domani non ci si allena, non sei contento?» Theo mollò una pacca sulla spalla della Giraffa che strinse gli occhi fino a ridurli in fessurine.
«Contento? Lo sarei se non dovessimo studiare!»
L’altro sghignazzò. «Mica si può avere tutto dalla vita, my friend! Are you ready for an heavy english lesson
«Oddei, ti prego! Non iniziare! Sento già un principio di mal di testa!»
«Oh, c’mon! It’s just an innocent question!»
Kenta gli puntò contro le dita con fare minaccioso. «Ehi, Captain! Speak potable, ok?!»
Yuzo e Theodore scoppiarono a ridere, questa volta sonoramente. Non si preoccuparono di essere rumorosi, tanto non c’era nessuno lì sul belvedere, un po’ per l’ora – quella di cena era ormai prossima – e un po’ per il tempo, che aveva tenuto alla larga madri e figli, coppiette o semplici cultori della passeggiata preserale. Il cielo plumbeo aveva un unico squarcio da cui filtrava una tenue luce riflessa: si schiantava a terra, solitaria e silenziosa, rendendo meno scuro il cielo.
«Effinitela!» Kenta sbuffò, portandosi le mani dietro la testa, mentre Theodore gli si appoggiava praticamente addosso.
Yuzo, addirittura, restò qualche passo indietro, piegato sulle ginocchia e con le lacrime agli occhi.
«Ti prego, non morirci qua o ci toccherà trascinarti a spalla, portiere!» Kenta additò il compagno più distante. Aveva ancora il broncio, in parte, però stava sorridendo a metà; teneva un braccio attorno al collo di Theo.
«Mi ripiglio, mi ripiglio! Aspetta!» E giù un’altra risata. Partivano a scaglioni, come le batterie dei fuochi artificiali: quando sembrava che uno stesse finendo, ecco che attaccava il nuovo spettacolo.
A fatica riuscì ad alzarsi in piedi. Si passò le mani sugli occhi per asciugarli, mentre qualche ultima risata ancora gli sfuggiva.
La pallonata lo prese tra tempia e guancia quando fu completamente dritto, costringendolo a girare il volto per il colpo ricevuto. Le risate si spensero all’istante nel dolore che avvertì e negli schizzi di fango che per poco non l’accecarono. Perse la presa sul borsone mentre si teneva il lato colpito, che adesso pulsava un po’ ed era caldo. Aveva sentito come la fitta di una cinghiata.
«Yuzo!»
«Ohi! Yuzo!»
Anche i sorrisi di Kenta e Theodore si congelarono nel repentino mutare degli eventi, pazzi come Marzo.
«Tutto bene? Ti sei fatto male?» Il capitano fu il primo a sincerarsi delle sue condizioni e lo raggiunse in un pochi passi.
Yuzo aprì e chiuse l’occhio; ci vedeva leggermente appannato, ma stava passando.
«Sì… sì, è ok…». Si guardò la mano e le tracce del fango si erano trasmesse alle dita. Con stizza si ripulì alla meglio, ma ormai l’effetto di rinascita della doccia era stato vanificato del tutto.
«Ma tu pensa.»
Yuzo spalancò gli occhi nel riconoscere quella voce, quel tono divertito e sbruffone. Fermo sul posto girò solo il viso.
«In un parco in cui non c’è nessuno, il mio pallone finisce giusto giusto addosso a te. Che pessimo tempismo, Morisaki.»
«Ti sei bevuto il cervello, Izawa?!» Gli occhi di Theo erano enormi. «A parte che è vietato giocare a calcio nell’Hikarigaoka, soprattutto qui sul belvedere perché c’è il Tempio, ma come ti salta in mente di tirare così forte?! Avresti potuto fargli male!»
«Non essere melodrammatico, Miyamoto.» Mamoru si strinse nelle spalle. «Un vero portiere dovrebbe essere abituato a questo e altro.»
Calcò volutamente su quel ‘vero’, Yuzo lo capì ma continuò a non dire niente, con uno stoicismo che gli sarebbe dovuto valere dieci minuti di applausi ininterrotti. Si limitò a guardarlo in un modo che avrebbe voluto farlo diventare cenere mentre dentro sentiva lo spirito di sopportazione accartocciarsi su sé stesso.
Izawa non si sottrasse ai suoi occhi, anzi. Eccolo lì, che ci provava gusto nel provocarlo.
Magari stavolta sarebbe riuscito a farlo venire allo scoperto, si diceva il centrocampista, magari avrebbe smesso i panni del ‘bravo ragazzo’ per mostrare cosa si nascondesse sotto la facciata.
«E comunque stavamo facendo giusto un paio di tiri innocenti.» Mamoru indicò alle proprie spalle, dove Yuzo e gli altri poterono vedere il resto del trio i due fratellini di Taki. Tutto il gruppetto cercava di non ridere, ma non ci riusciva un granché.
«Davamo qualche consiglio.»
Yuzo folgorò anche il secondo e il terzo moschettiere con un’occhiata di fuoco.
«Scusaci» biascicò Taki, soffocando una risata.
«Scusaci, Morisaki. Non l’abbiamo fatto apposta.» Kisugi avrebbe voluto risultare davvero dispiaciuto, ma il mezzo risolino vanificò tutta la buona volontà.
«Ah, no?!» sbottò Yuzo, verso di loro. Poi guardò Izawa e lo ripeté in maniera più tagliente e sottile. «Ah, no? Non l’hai fatto di proposito, no? E io dovrei anche crederti? Riformula, Izawa.»
«Senti, non farla tanto lunga. Ti ho detto che è stato un caso; non ti ho neanche visto!»
Ed era vero: che avesse centrato proprio Morisaki era stata una tremenda coincidenza, su cui poi non aveva perso occasione per divertirsi un po’.
Ecco che le parole di Teppei del giorno prima trovavano l’ennesima conferma: se si trattava di Morisaki, calcava la mano. Sembrava non potesse farci nulla.
Mamoru si portò le mani ai fianchi.
«Ripassami la palla. Prometto che faremo più attenzione» cinguettò in un ironico sbatter di ciglia.
Yuzo guardò lui, abbassò gli occhi sul pallone, rotolato poco distante dai suoi piedi, e tornò a guardare Izawa.
«Tu… rivorresti la palla?»
«Se non ti è di troppo disturbo» Izawa enfatizzò il discorso in maniera teatrale. «O tu non sia rimasto ancora scosso per la botta!»
Yuzo lo guardò e capì che Izawa non sarebbe mai stato consapevole di quanto fosse un miserabile senza speranza; così come lui non avrebbe mai accettato le parole di Misaki, perché non poteva credere ci fosse qualcosa di buono in uno come quello lì, che era marcio dentro.
Ma ciò non toglieva che non l’avrebbe fatto andare via così a buon mercato.
Con un gesto deciso si alzò il pallone con la punta del piede e lo prese tra le mani. Con la terra bagnata era impossibile che non si sporcasse e che non avesse sporcato lui nel finirgli addosso. Una nuova doccia l’avrebbe atteso a casa, per togliersi anche quella sensazione spiacevole di essere il suo zimbello. Sul viso si sarebbe dovuto tenere il livido per un po’.
Yuzo avanzò con passo deciso e senza cercare il parere dei compagni. Izawa era lì che lo aspettava, ancora con le mani ai fianchi e il mento leggermente sollevato.
Si fermò che solo il diametro della sfera li divideva.
«Mi devi delle scuse.» Lo pretese senza mezzi termini, tanto che una smorfia deformò i bei tratti del centrocampista.
«Cosa ti dovrei, io?»
«Delle scuse. Per la pallonata.»
«Te le ho già fatte.»
«Quelli erano Taki e Kisugi, ma dalla tua bocca non è uscito niente che somigliasse a un ‘mi dispiace’.» Yuzo restava arroccato sulla sua posizione. «Scusati e riavrai il pallone.»
Mamoru sbottò a metà tra il seccato e il sorpreso. «Prego?! E questo cosa sarebbe? Un ricatto? Non siamo mica all’asilo, Morisaki! Devi essere rimasto un po’ indietro.»
Yuzo scosse il capo e forse fu l’espressione di pietà che gli mostrò a mandarlo in bestia, Mamoru non avrebbe saputo dirlo con certezza. Seppe solo che quello sguardo accondiscendente – lo sguardo di chi parlava con un idiota – lo fece arrossire per la collera.
«Non sei proprio capace di riconoscere quando sei nel torto, vero? Sarai pure bravo a giocare, ma per il resto sei solo un presuntuoso.» Yuzo rigirò la sfera tra le mani, prima di spingergliela addosso, all’altezza dello stomaco, così che si sporcasse un po’ anche lui. «Stronzo sei e stronzo rimarrai.»
Il lampo illuminò il parco per un istante rapido e accecante, mentre il tuono impiegava un attimo prima di farsi sentire e crepitare in maniera nitida.
Anche l’ultimo squarcio di cielo, da cui fino a un momento prima stava filtrando una debole luce, era stato inglobato dalle nubi che avevano chiuso prepotentemente ogni spazio.
«Dannazione…» borbottò Kenta, facendo vagare lo sguardo con disagio. «…qua finisce che si rimette a diluviare.»
Di nuovo, come il giorno prima, quel tuono non seppe avere presa su i due contendenti rimasti lì a guardarsi in cagnesco.
«Non mi faccio giudicare da un perdente come te, Morisaki.» E, nel dirlo, le mani di Mamoru si aggrapparono al pallone dove quelle di Yuzo erano ancora ferme e salde.
Le loro mani, contemporaneamente, sulla stessa sfera.
Un lampo brillò di nuovo e questa volta il tuono lo sentirono entrambi: crepitò dal cielo alla terra, dentro le loro ossa, e fu come se venissero investiti da una scossa elettrica. La sentirono passare dalla testa fino alle piante dei piedi.
Davanti ai loro occhi le immagini esplosero in mille flash, uno dietro l’altro. Come un video mandato in un crescente fast forward, e in quelle immagini c’erano i sorrisi che non si erano mai scambiati, le parole che non si erano mai detti e contatti. Tra le loro mani, i loro corpi, i loro cuori.
In quelle immagini c’era una felicità che non gli apparteneva, che non conoscevano. Una felicità comune che però era loro in una maniera così profonda che ebbero come la sensazione che i loro stessi spiriti si staccassero dai corpi per tenersi stretti.
Il flash fu talmente pieno e veloce da lasciarli storditi e con gli occhi spalancati in quelli dell’altro; la bocca leggermente aperta. Passò loro attraverso come una lama affilata.
Lasciarono il pallone nello stesso istante e non seppero dire se il flash si interruppe perché avevano mollato la presa o avevano mollato la presa perché il flash si era interrotto. Fatto stava che entrambi rimasero lì dov’erano, immobili come statue.
Il pallone rimbalzò un paio di volte e poi rotolò un po’ più in là.
Mamoru fu il primo a indietreggiare. La gola secca, le dita rigide e ancora sollevate a mimare una presa ormai cessata. Indietreggiò quasi avesse un mostro a tre teste, davanti. Un passo, poi un altro, mentre Yuzo non si muoveva; troppo sconvolto per fare qualsiasi cosa.
«Yuzo?» La voce di Theo sembrò svegliarlo dal torpore dello sconcerto in cui ancora restava a boccheggiare.
Finalmente, Yuzo ebbe la forza di distogliere lo sguardo da quello di Mamoru. Si volse, fissò Theo e aveva un’aria così smarrita che anche il capitano fece fatica a comprendere che diamine fosse avvenuto in quei pochi secondi in cui lui e Izawa erano rimasti a fissarsi in silenzio.
«I-io…» Guardò Mamoru. Lo cercò. Quasi che in lui avesse potuto trovare l’aiuto di cui aveva bisogno in quel momento, aiuto che non avrebbe potuto dargli nessun altro. Ma Mamoru era indietreggiato ancora, aveva distolto lo sguardo e si passava nervosamente la mano tra i capelli, fregandosene che fosse sporca della terra rimasta attaccata al pallone.
Nessuno dei due sapeva cosa avesse visto davvero, sapevano solo che dentro qualcosa era cambiato, ma faceva così male che non erano pronti per affrontarla.
Mamoru ingoiò a vuoto un paio di volte, senza risultati; la bocca era un impasto di saliva inutile e gli bruciava lo stomaco. Crampi improvvisi che gli fecero portare una mano al ventre, quasi che potesse bastare per farli cessare.
Non alzò più lo sguardo su Yuzo, non ci pensava neanche, né rispose ai richiami dei suoi compagni. Volse le spalle a tutto e tutti e se ne andò, barcollando leggermente. In qualche modo, avrebbe trovato l’uscita da quel dannato parco.

«Sei crudele, l’ho sempre detto. E anche un po’ sadica.»
«Nel nostro mestiere, chi non lo è?»
Se qualcuno avesse potuto vederle, si sarebbe chiesto – prima d’ogni cosa – che diavolo ci facesse nel parco Hikarigaoka quel tavolino da giardino, interamente in ferro verniciato di bianco, con la lavorazione ben in vista e gli elementi che si piegavano in riccioli e volute. Le due sedie facevano pendant per colore e stile, ma avevano gli schienali che simulavano un intreccio di cuori.
In seguito, si sarebbero chiesti come potessero restare sedute a prendere un tè con tanta disinvoltura le due occupanti delle sedie.
Cappello a tesa eccessivamente larga abbinato a improbabili scarponi da trekking per una, lunghi capelli al vento per l’altra. Non sembravano essere vittime della follia marzolina, a giudicare dall’abbigliamento decisamente estivo che indossavano.
La più anziana, quella con il cappello, sorseggiava con calma una tazza di tè, mentre l’altra sembrava trovare scomoda qualsiasi posizione, vista la frequenza con cui si muoveva sulla seggiola.
«Dovresti aiutarli, non vedi che sono confusi?»
«Oh, ma io lo vedo.»
«E dunque?»
«E dunque niente.» Appoggiò la tazza sul tavolino. C’erano dei biscottini all’interno di un piccolo cestino in vimini. «Devono imparare a cavarsela da soli. Non posso essere sempre io quella che sistema le cose, quando queste non vanno. Le ho sistemate talmente tante volte…»
«Mi sembra il minimo! Dopotutto siamo noi a creare tutto questo.»
Ma la giovane scosse il capo, spiegando il suo dissenso. Con gli occhi cercò prima Morisaki e poi quel testone di Izawa. Certo che aveva sviluppato davvero una gran pazienza; se non avesse voluto loro così tanto bene, magari li avrebbe mandati a quel paese molti anni prima.
«No» rispose, addentando un biscotto e porgendone uno alla compagna. «Noi scegliamo delle trame, ma come viverle spetta solo a loro.»
«Sarà… forse sono solo io quella che si dispiace troppo e cerca di mettere una pezza.»
La più anziana rise, sollevando appena il viso per guardare meglio i suoi pupilli, ma Mamoru era già fuori dal raggio visivo, mentre Yuzo sembrava non essere a proprio agio nei suoi stessi panni.
«Ognuno è fanwriter a proprio modo. Il bello sta anche in questo.»
«Credi che ci riusciranno?» La ragazza dai capelli lunghi palesò il proprio timore. «Credi che troveranno la strada per vivere questa trama?»
«Non lo so, ma mi fido di loro. Li conosco da così tanti anni, ormai. Troveranno un modo… un modo tutto ‘loro’.» Sorrise. «Sanno sempre come rendermi orgogliosa.»
Lentamente afferrò l’ombrellino arancione fermo accanto alla gamba del tavolino. Ne premette un pulsante sul manico e si aprì da solo, in un paio di scatti.
«Ad ogni modo, ti consiglio di ripararti, Sakura-chan(1).» Sorrise ancora, verso il portiere che non poteva vederla e adesso stava andando via, assieme a Kenta e Theodore. «Sta per piovere.»

«Io taglio per di qui, ragazzi.»
Theo e Kenta si volsero a guardare Yuzo. Mentre camminavano per tornare a casa non aveva mantenuto il loro passo e loro non l’avevano forzato, lasciandolo tranquillo in quella sorta di isolamento spirituale in cui si era rinchiuso da che avevano abbandonato il parco.
«Non ho voglia di fare il giro lungo. Me ne vado a casa, ho mal di testa.»
«Sicuro di stare bene?» Theo lo aveva raggiunto e toccato il braccio.
Yuzo aveva guardato a quel gesto quasi con terrore, dopo quanto accaduto con Izawa. Invece non ci fu nulla in quel contatto, nessun flash, nessuna scossa; quasi venisse toccato da qualcosa di finto e non vivo.
«Non hai detto mezza parola da quando ce ne siamo andati.»
«Forse la pallonata ti ha fatto più male di quanto pensassimo… Che so… una commozione cerebrale!» Kenta aveva le sopracciglia aggrottate sull’espressione preoccupata.
Yuzo riuscì a sforzare un sorriso. «No, no. State tranquilli. Mi si farà solo un livido, nient’altro. Forse neppure quello.»
Theo però non demorse; a differenza di Kenta, non era la botta a preoccuparlo. «Si può sapere che è successo con Izawa? Per un attimo è stato come… se vi foste congelati.»
Quasi a confermare la similitudine del capitano, Yuzo sentì proprio un brivido gelido attraversargli la schiena. Si strinse nelle spalle e scosse il capo, spostando altrove lo sguardo.
«Niente, non è successo niente.» S’affrettò a negare, arretrando. Caricò meglio il borsone e sforzò di più il sorriso. «Allora ci vediamo domani da te, Kenta. Vedi che facciamo anche giapponese, non fare il furbo!»
Praticamente scappò, il concetto era lo stesso e la fretta anche. Attraversò la strada in maniera quasi distratta, riuscendo a evitare la coda di una macchina solo grazie alla sua agilità sportiva. Passò al marciapiede opposto e si imbucò per la strada che tagliava il percorso e lo portava proprio vicino casa.
Attese di girare l’angolo, giusto per la sicurezza che né Kenta né Theo potessero vederlo, e si fermò. Fece cadere il borsone e si appoggiò di schiena al muro, nella ricerca di un sostegno. Il viso al cielo, la bocca aperta per prendere fiato; quasi come se avesse corso per chilometri interi e invece non aveva che percorso pochi metri. Il solo pensare a quello che era avvenuto gli schiacciava il petto e lo stomaco con una sensazione che non aveva mai sentito prima d’allora.
Ma cos’era davvero avvenuto? Cos’è che aveva davvero visto?
Se solo provava a pensarci, tutto si ammassava nella mente come quando il flash di immagini lo aveva travolto e gli sembrava di distinguere tutto, ma non riuscire a vedere nulla.
Yuzo si costrinse a respirare con maggiore calma, a scandire un ritmo nell’aria che entrava e in quella che usciva fino a che la fretta di dover incamerare quanto più fiato possibile non si fermò e lui abbassò di nuovo la testa.
Le auto passavano veloci, così come la gente, nella strada principale che si diramava dall’angolo cui era venuto. Lì, invece, era tutto tranquillo. Pochi negozi e poche persone; traffico regolare e a senso unico.
Toccandosi la tempia dove il pallone l’aveva colpito, e che un po’ gli faceva male sul serio, Yuzo riprese a camminare, trascinando il borsone con sé.
Negli occhi rivide l’espressione sgomenta di Izawa essere così simile alla propria. Qualunque cosa fosse stata, doveva averla vista anche lui.
Un rombo cavalcò le nubi e un nuovo brivido gli si accalcò sotto la pelle. A quel rumore associava il momento del flash, la scossa che aveva avvertito. Avrebbe piovuto di nuovo, con buona pace di Kenta, e forse avrebbe fatto meglio a camminare più svelto o di docce, quel giorno, avrebbe finito col farne ben tre.
Mentre camminava, un pallone sbucò da una strada laterale che incrociava la sua e lì moriva. Lo vide rotolare solitario, lungo il marciapiede, tagliare la strada e giù, ancora, per raggiungere il marciapiede opposto. Tutto il mondo sembrò rallentare a quel movimento: le auto che passavano di lontano, il suo sguardo per seguire la sfera, e quel bambino che arrivò anche lui dal nulla. Gli passò davanti, con le sue gambette corte e i calzoni sporchi alle caviglie. Correva, ma era così lento che anche una lumaca avrebbe potuto superarlo.
Gli occhi di Yuzo erano come incollati sul bambino, sulla sfera, sull’insieme che creavano.

«Vorrei che noi… potessimo restare sempre amici.»
«Ma certo che resteremo amici, che domande.» (2)

Gli sembrò come se qualcuno gli sussurrasse quelle frasi all’orecchio. Le sentì vicinissime, nemmeno nascessero dalla sua mente, dalla sua gola, ma le voci erano due ed erano diverse. E lui le conosceva entrambe.
Yuzo si volse di scatto e il mondo tornò a correre nella velocità normale. Con gli occhi spalancati cercò qualcuno, chiunque, a cui aggrapparsi credendo di essersi confuso. Ma in quella strada era da solo e il bambino con il pallone era ormai troppo lontano.
La pioggia era iniziata a cadere inesorabile e lui non si era mosso, accettandone il peso.

Mamoru passò una mano sullo specchio e la condensa del vapore caldo della doccia venne via, scoprendo il suo riflesso, ma lasciandolo acquoso.
Il giovane lo fissò intensamente e non vide altri che sé stesso, anche se faticava a riconoscersi, come se fosse e non fosse lui al contempo.
Gli occhi erano quelli, i capelli anche, i tratti del volto, il colore della pelle. Tutto uguale, tutto diverso.
Arrivato a casa si era liberato degli abiti con un gesto fluido e continuo, anche se aveva sentito la testa girare più volte, ma non era mai caduto. Si era costretto a rimanere in piedi in maniera testarda, dicendosi che le vertigini sarebbero passate, era solo questione di attimi. Eppure le sentiva ancora azzannargli parte della testa, prendergli il ventre con una leggera nausea.
Non aveva risposto al cellulare, nonostante avesse squillato infinite volte. Doveva avere una decina di chiamate perse da Hajime e Teppei e forse altrettanti messaggi. Se ne sarebbe occupato dopo la doccia, appena si fosse ripreso, anche se non sapeva neppure lui da cosa.
L’acqua l’aveva abbracciato con calore e lui era rimasto fermo, a farsi consolare, quasi fosse stato un bambino ferito o un amante tradito. Immobile per minuti lunghissimi, tanto che il suo unico gesto fu quello di chiudere il getto e lasciare la cabina. La pelle si era increspata in mille brividi nel passare dal caldo del vapore al freddo dell’ambiente.
Poi la mano sullo specchio e ora lo sguardo fermo in quello del riflesso cercando di capire cosa fosse accaduto nel parco, nemmeno un’ora prima. Voleva che qualcuno glielo dicesse, perché lui non credeva di saperlo spiegare. Non aveva senso.
Cosa gli aveva fatto Morisaki?
Doveva essere di sicuro colpa sua! Doveva! Stavano toccando il pallone, lui gli era vicino. E poi il fulmine, il tuono.
Che cosa aveva visto?
Si sforzò di mettere a fuoco quell’immagine che, per degli istanti lunghissimi, si era aperta davanti ai suoi occhi. Era stato come non essere più all’Hikarigaoka, a Nankatsu… nel suo stesso corpo. E più ci pensava, più si rendeva conto che l’immagine non era una sola, ma un’infinità. Si erano rincorse per afferrarsi e mutare l’una nell’altra. La cosa peggiore, forse, era che gli sembrava di conoscerle tutte, anche se non sapeva scinderle. Da qualche parte, nella sua mente, c’era una traccia lasciata da ciascuna di esse, un granello sottile, che si era nascosto e lì aspettava. Silenzioso come il gatto che puntava il topo.
Mamoru abbandonò il bagno e raggiunse la propria camera dopo essersi infilato un paio di pantaloni e una t-shirt. I capelli venivano frizionati con l’asciugamano in maniera piuttosto blanda e disinteressata; sembrava volesse più massaggiarsi la testa e sciogliere i pensieri.
Si disse che non poteva rimandare di rispondere agli amici, avrebbe finito col farli preoccupare, visto l’atteggiamento strano che aveva avuto. Scosse il capo, non avrebbe dovuto piantarli là da soli, senza nemmeno una parola.
Anche quello era colpa di Morisaki!
Colpa di… di Yuzo!
Quel nome esplose con una diversa familiarità nella sua testa, riempiendola d’acqua. Si sentiva in apnea, sotto la superficie del mare.
Ripensò al portiere e gli toccò ammettere che anche lui l’aveva guardato con lo stesso sgomento che aveva sentito dentro. Qualsiasi cosa gli fosse passata davanti agli occhi, l’avevano vista insieme e nessuno di loro sapeva cosa fosse.
«Mamoru! E’ pronta la cena!»
Da fuori al corridoio, la voce di sua madre arrivò ovattata, ma perfettamente udibile.
«Scendo subito.» Ma non si mosse per abbandonare la stanza, piuttosto si avvicinò alla finestra per guardare fuori.
Pioveva di nuovo, sembrava non averne mai abbastanza.
Prendendo un profondo respiro, Mamoru chiuse gli occhi e poggiò la fronte contro il vetro. Si concentrò sul ticchettare delle gocce e si rilassò a tal punto da permettersi di tornare indietro con la mente, ancora un’ultima volta.
Rivide il parco, il viso di Morisaki sporco di fango lì dove il pallone l’aveva colpito, la sfera che veniva afferrata dalle mani di entrambi e poi quello scorrere istantaneo di immagini, sequenze, attimi di vita, forse, ma di quale? E di chi?
Strinse appena gli occhi, affinò l’udito.
Tic.
Tic.
Tic.
Tic.
La pioggia aveva sempre lo stesso suono rilassante e anche se lui non era in grado di afferrare la vastità del tutto, poteva forse strapparne un brandello, uno piccolo, per vederci chiaro. E quando con la propria volontà riuscì a rallentare il flash, qualcosa divenne davvero nitido. Una sola immagine, una, nient’altro e per pochi secondi, ma furono sufficienti per vedere proprio il portiere seduto a un tavolo, non avrebbe saputo dire dove né quando, ma guardava fuori dalla finestra e non era da solo.

«Non dimenticarti che sai ruggire anche tu, CentoTiri. Credi in te e sarai Leone.»(3)

Chi aveva parlato?
E perché aveva la voce uguale alla sua?
Era la stessa persona che aveva affondato una mano nei capelli di Morisaki, carezzandogli la testa?
Chiunque fosse, perché era sotto le sue dita che gli era sembrato di avvertirne la consistenza e il calore?
Mamoru aprì gli occhi di scatto e quell’immagine solitaria che era riuscito a strappare tornò a fondersi nel tutto dandogli la sensazione di poterla vedere per intero nell’attimo in cui sbiadiva. E in quell’attimo si riconobbe, di fronte a Yuzo, mentre gli toccava i capelli.

 

“In profondità, sotto la luce
adesso una scintilla prenderà fuoco.
E tu mi vedrai, ora.
Questo è il nostro nuovo mondo.”

Les Friction Firewall

 

 


[1]SAKURA-CHAN: X3333 La mia Sakuretta! :* Autrice conosciuta e stimata del Fandom! XD che di sicuro questa non se la sarebbe aspettata! XDDDD *sghignazza* Tivibì! :*

[2]: tratto dalla mia fic “Il lungo sonno della Lucciola”

[3]: tratto dalla mia fic “Anaglyph”


Nota Finale:
E insomma, forse si è capito in che consiste l’elemento ‘fantascientifico’? X33333 *ridacchia*
Noi fanwriter siamo sempre le Signore che restano dietro lo schermo, lavoriamo nell’ombra. Volevo fare un piccolo omaggio a tutti gli anni in cui ho portato avanti questa passione, a tutte le storie che ho scritto e a quelle che ancora mi aspettano. E’ un omaggio estendibile a tutta la nostra categoria, a tutte/i noi, che abbiamo il nostro bel daffare per star dietro ai personaggi e alle loro avventure. :*

Vi rimando al prossimo capitolo. :*

   
 
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