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Autore: AmeliaWitch    15/02/2014    3 recensioni
[Partecipa al Contest "Mielandia: A very sweet world", indetto da AllisonMonster sul forum di EFP]
"Signor H. Potter
Ripostiglio del sottoscala"
Come ha fatto Silente a scoprire dove dormiva Harry? E' stato grazie al suo immenso potere di mago oppure alcuni eventi lo hanno svelato questa triste verità?
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Di lei in lui

Nome su forum: Ameliawitch 
Nome su EFP: 
Ameliawitch
Titolo: 
“Di lei in lui”
Rating: 
verde
Tipo di Coppia (se c'è): 
Nessuna
Tipologia di storia: 
One-shot
Pacchetto: 
Pallini acidi
Avvertimenti: 
Missing moments
Genere: 
Angst
Note Autore: 
Mi sono sempre domandata come Silente sapesse che Harry dormiva in un sottoscala, perciò ho deciso di dare una mia spiegazione alla cosa, coinvolgendo il caro professor Piton.

 

 

 

Era riuscito ad ignorare quell’assurda curiosità per anni e poi, a così poco dall’inevitabile incontro, aveva ceduto a quell’insano desiderio di vederlo con i suoi occhi.

Senza neanche sapere come, aveva abbandonato il suo letto per smaterializzarsi a notte fonda in quel quartiere babbano, con il volto coperto e con il cuore impegnato in una lotta furibonda con la sua ragione.

Severus digrignò i denti in un moto di rabbia.

Sarebbe dovuto essere più cauto quel pomeriggio. Quando Albus Silente ti invitava nel suo studio per un tè, la voglia di condividere una tazza di quella bevanda scura era, di solito, l’ultima intenzione di quel vecchio pazzo.

 

Lui lo sapeva, eppure come un ingenuo alle cinque precise era entrato nell’ufficio del Preside.

“Sempre meravigliosamente puntuale, Severus.” lo aveva salutato l’anziano mago, senza però distogliere l’attenzione da un ammasso di carte colorate sparse davanti a lui. “Prego, accomodati.” Aveva continuato indicando con un gesto distratto della mano la poltrona davanti alla sua.

Lui aveva obbedito, reprimendo a fatica una smorfia. Sul tavolino da caffè infatti facevamo bella mostra di sé ogni varietà di dolciumi che il mondo magico potesse offrire, tutti scartati e meticolosamente adagiati sui loro involucri come se fossero esposti.

Le abitudini da bambino di Albus Silente lo facevano innervosire oltre misura.

Proprio mentre osservava contrariato il suo superiore, Fanny era planata da una finestra, che Albus di solito lasciava aperta durante la bella stagione,  per andarsi a posare sul suo trespolo.

Quel comportamento l’aveva stupito, anche se non troppo. Le fenici erano animali da compagnia devoti, per non dire affini, ai loro padroni. Quindi era ovvio che anche il volatile che di solito amava svolazzargli intorno ed infastidirlo, come Albus d’altronde, quel giorno lo ignorasse imitando il suo padrone.

Scocciato aveva accavallato le gambe e gli occhi azzurri di Silente lo avevano inchiodato da sopra gli occhiali a mezzaluna, costringendolo a distogliere lo sguardo.

“Il tè è pronto, ragazzo mio.” Aveva esordito improvvisamente il preside prima di far lievitare sul tavolino, già stracolmo, due tazze e una teiera dal cui beccuccio fuoriusciva del vapore argenteo al profumo di fiori.

“Del latte al cioccolato sarebbe stato più appropriato.” Aveva sibilato senza più trattenersi.

“Caro Severus, ho fatto arrivare dai mercati orientali questo tè bianco per il tuo palato raffinato. Mi stupisce questo tuo repentino cambiamento di preferenze … non credevo che avessi conservato gusti fanciulleschi.” Gli aveva sorriso il vecchio preside. Un lampo di malizia aveva  attraversato i suoi occhi.

“Qui, Albus, l’unico fanciullo sei tu.”  Il sorriso di Silente si era fatto ancora più ampio, gli fu chiaro solo più tardi che quello era il segno che tutto stava andando secondo i suoi piani. “Perché mi hai chiesto di venire qui.” aveva proseguito. Non sopportava l’eterno tergiversare di quell’uomo.

“Ovvio, per questo squisito tè dal costo imbarazzante.” Aveva risposto l’anziano mago, versando con un volteggio di bacchetta in entrambe le tazze una generosa dose di liquido profumato, poi  alla sua occhiata furibonda e diffidente  aveva aggiunto “E perché voglio chiederti un parere.”

“Riguardo a cosa?” per la prima volta in quel pomeriggio,  si era sentito curioso e non infastidito.

“Temo che troverai la mia richiesta irritante.” Aveva sentenziato il preside e lui aveva alzato gli occhi al cielo.

“Vai al punto, Albus.”

“Come ben sai, ogni anno scolastico è mia prassi cambiare la parola d’ordine del mio ufficio …” Aveva trattenuto una risposta acida portandosi la sua tazza alle labbra. “… Immagino tu voglia ribattere che è presto, che la scuola è terminata da poco tempo, ma io credo nella necessità di prepararsi per tempo. Tu non trovi sia dannatamente fastidiosa la sensazione di smarrimento che si prova quando non si è pronti?”

Gli occhi azzurri di Silente lo fissavano brillanti attraverso quegli occhiali dalla forma ridicola. Probabilmente quello era lo stesso sguardo di un ragno davanti ad una mosca troppo vicina alla sua ragnatela.

“Cosa vuoi che faccia, Albus?” aveva sospirato, senza sapere che quello era l’ultimo momento in cui avrebbe potuto lasciare la stanza e mettere più spazio possibile tra lui e quel burattinaio dalla barba bianca e gli occhi da ragazzino.

“Molto bene. Vorrei che tu mi dessi un consiglio … quale preferisci tra questi dolci?” aveva esordito Silente studiando l’ammasso di dolcetti tra loro.

Aveva sgranato gli occhi, poi aveva pensato che lo stesse prendendo in giro ma rendendosi conto che la richiesta vera e seria non arrivava, si era infuriato. “Non assaggerò queste porcherie al posto tuo.” aveva ringhiato, Albus invece aveva risposto con una risatina. “Mi hai frainteso. Vorrei solo sapere quale di questi sceglieresti. Una preferenza dovrai pur averla. Metti per una volta da parte la tua reticenza.”

Si era passato una mano sul viso nel tentativo di trascinare via un briciolo di nervoso, ma invano. “Penso che questa stupidaggine tu la possa fare da solo.” Aveva sentenziato, alzandosi dalla poltrona.

“Hai accettato di aiutarmi.” Lo aveva ripreso Albus con tono da capriccio, impedendogli di allontanarsi.

“Perché credevo che sarebbe stata una cosa seria.” Aveva sbottato rabbioso, dimenticando di aver davanti un uomo a cui doveva il più profondo rispetto.

È una cosa seria.” Aveva replicato Albus. L’aria da bambino era sparita, lasciando solo un mago adulto, potente e molto serio.

Senza aggiungere altro, aveva ripreso posto sulla sua poltrona e come per magia anche il volto del preside si era rischiarato.

“Bene. Ora dimmi, quale preferisci?” Gli aveva sorriso in modo incoraggiante l’anziano preside.

L’unica cosa che gli era rimasta da fare lì, sprofondato in quella poltrona e prigioniero di quel pazzo, era assecondare i suoi desideri. Perciò aveva gettato uno sguardo annoiato ai dolci di Mielandia. C’erano api frizzole, scarafaggi a grappolo, topoghiacci e pallini acidi. Li riconosceva perché un’infinità di tempo prima anche lui era stato ragazzo.

Quel pensiero gli aveva serrato brutalmente lo stomaco. Non gli piaceva ricordare anni in cui ancora credeva che tutto sarebbe potuto andare per il meglio.

“In realtà, Albus, per me uno o l’altro non fa differenza.” Si costrinse a dire, cercando di suonare educato. Aveva sperato che quella risposta, se pur scarna gli potesse bastare.

Silente però lo aveva guardato deluso, forse un po’ troppo per una semplice scelta di dolci. “Pensavo che avresti scelto i Pallini Acidi.”

“Perché mai?” era saltato su, convinto che quelle parole contenessero una velata offesa.

“Sono verdi … e anche un po’ acidi.” Lo aveva preso in giro il preside, osservandolo poi con una strana espressione in volto.

“Beh, non mi piacciono, anche se sono verdi.” Aveva sibilato, rifugiandosi poi dietro la tazza di tè ormai freddo ma comunque più gradevole di quella conversazione senza senso.

“Dimenticavo che a te piacciono altre tonalità di verde.” Aveva mormorato Albus criptico.

“Il verde della mia Casa non assomiglia certamente a quello di questi dolci da quattro soldi. Dovresti ricordartelo.” Aveva ribattuto, inconsapevole di essere caduto nella trappola.

“Certo, Severus. Io però mi riferivo al colore degli occhi di Lily.”

Al suono di quel nome si era irrigidito a disagio, dopo si era infuriato con se stesso per essersi fatto di nuovo raggirato da quell’uomo. Controllando il respiro, aveva appoggiato la tazza sul suo piattino, quindi aveva abbandonato la sua poltrona. Non avrebbe avuto quella conversazione e sembrava che anche Albus fosse disposto a cedere per quella volta, dal momento che non l’aveva fermato mentre avanzava a rapide falcate verso la porta. Purtroppo non aveva ancora posato la mano sulla maniglia che le parole serie e decise del preside lo pugnalarono alle spalle.

“Sono passati dieci anni. A Settembre inizierà a frequentare la scuola. Credi di essere pronto ad affrontare la realtà quando ancora scappi al solo suono del nome di sua madre?”

Aveva architettato tutto fin dall’inizio quel vecchio infido. Il tè, le chiacchiere sull’essere pronti, perfino i dolciumi sul suo maledetto tavolino da caffè.

“È solo un moccioso.” Aveva sibilato, mentre la sua mano stringeva la maniglia con tanta forza da far sbiancare le nocche.

“È anche suo figlio. Cosa capiterà quando vedrai qualcosa di lei in lui? Te ne andrai? Mi sembra già di sentire gli studenti parlare di come l’impassibile professor Piton impallidisce davanti al Bambino che è Sopravvissuto.”

Io non mi farò impressionare dal figlio di James Potter.” Era esploso, stavolta rivolto direttamente a Silente che se ne stava in piedi a pochi passi da lui.

“Ma fuggirai davanti al figlio di Lily Evans.” Aveva sospirato l’anziano mago “Ascoltami, ragazzo mio. Puoi farcela. Puoi imparare a celare l’amore per lei, anche con la rabbia se per te è la soluzione più appropriata, ma ce la farai solo se smetterai di far finta che quel bambino non esiste.” Con cautela Silente gli aveva toccato il braccio con una stretta gentile “Hai promesso che mi aiuterai a proteggerlo …”

“E lo farò …” la mano alzata di Silente l’aveva zittito.

“So che non verrai meno al nostro patto e che per questo sarai condannato a prove ben oltre la portata di tanti uomini. Perciò lascia che ti aiuti a combattere i demoni del tuo passato.”

“Ci penserò.”

Con quelle due parole aveva lasciato lo studio del Preside e aveva ingombrato la sua mente con ogni sorta di pensiero. Alla fine della giornata aveva creduto di essere riuscito a relegare quella conversazione in un angolo della sua mente.

Ovviamente si sbagliava, visto quello che era in procinto di fare.

 

Mentre si muoveva lento lungo Privet Drive, Severus si sistemò di nuovo il bavero del mantello ai lati del volto nonostante la brezza calda che soffiava quella notte di fine Luglio. Era l’unico ad essere in movimento nella staticità di quel quartiere composto da case che si susseguivano in modo ripetitivo. Non gli fu tuttavia difficile trovare il numero civico quattro.

Il professore si concesse qualche secondo per studiare l’anonima villetta. Dalle finestre, a causa dell’eccessivo uso di tendine ricamate, si notava solo che tutte le stanze erano immerse nel buio, perciò sperò che tutti i componenti della famiglia fossero profondamente addormentati e non che la sfortuna lo avesse portato lì proprio quando non c’era nessuno.

Avanzò verso il retro dell’abitazione, sentendo distintamente l’erba del giardinetto scricchiolare sotto la pressione dei suoi stivali.

Forse quel babbano la mattina successiva avrebbe notato le sue tracce.

Fu facile entrare dall’ingresso di servizio. La porta infatti si aprì obbediente al suo Alohomora con un piccolo cigolio e lui scivolò silenzioso all’interno di quella che capì subito, nonostante la poca luce che filtrava dall’esterno, essere un’asettica cucina.

Uno sgradevole russare al piano superiore mise i suoi sensi all’erta. Erano in casa. Facendosi guidare da quel grottesco rumore, raggiunse le scale e salì al piano superiore dove su un breve corridoio si affacciavano il resto delle stanze della casa.

Avrebbe fatto in fretta. Gli sarebbe bastato trovare la sua camera e guardarlo quel tanto che bastava a placare l’inquietudine che Albus aveva risvegliato nel suo animo. Nessuno avrebbe scoperto quel suo piccolo cedimento.

Lumos” mormorò e una tenue luce nacque sulla punta della sua bacchetta.

Come una nebbia invisibile, senza produrre alcun suono iniziò la sua ricerca all’interno delle stanze.

Quella da cui proveniva l’insistente russare aveva la porta semiaperta, perciò si limitò a sbirciarci dentro. Un lampione della strada gli dava l’illuminazione giusta per osservare i volti di proprietari di casa.

Riconobbe subito Petunia Evans che dormiva profondamente accanto a suo marito ignara del pericolo che incombeva su di lei. Si avvicinò al letto e accostò la luce della bacchetta al volto ossuto della donna.

Ora che era un mago adulto avrebbe potuto vendicarsi di tutte le umiliazioni che aveva subito a causa di quella orribile babbana. Per anni lo aveva denigrato agli occhi della sua amata Lily e non aveva mai perso l’occasione per ricordargli quanto poco lo amasse la sua famiglia e quanto ancor meno meritasse la compagnia di sua sorella.

Un grugnito scomposto dell’uomo lo trascinò di nuovo nella realtà, attentamente arretrò ed uscì velocemente dalla camera. Nella stanza adiacente vide il figlio della coppia, un bamboccio, certamente molto simile al padre, che sbavava sul cuscino su cui affondava il viso paffuto e arrossato dalla calura. Con una smorfia di disgusto se ne andò anche da lì e ben presto si rese conto che non c’era nessun altro posto in cui cercarlo.

Il ragazzo non c’era. Possibile che lo avessero mandato via e che nemmeno Silente fosse a conoscenza di quel guaio? Se le cose stavano così lui avrebbe dovuto avvertirlo e perciò confessare di esser stato lì.

Rabbioso ripercorse il corridoio, controllando che non gli fosse sfuggita una porta, si accorse vagamente di aver urtato un mobiletto con sopra l’ennesimo centrino e una foto di famiglia dei Dursley. Scese le scale ormai incurante dei padroni di casa con la frustrazione che lo pungolava più forte ad ogni scalino su cui posava pesantemente il piede.

Una volta al piano terra notò qualcosa, un bagliore si irradiava nella cucina che però rimaneva comunque immersa nel buio.

Nox.” Ordinò alla bacchetta per nascondersi nella totale oscurità della casa, poi entrò in stanza. Lo sportello del frigo era appena aperto e in ginocchio accanto a quel piccolo fascio di luce un ragazzino smilzo, nascosto da dei vestiti troppo grandi, era intento a sbocconcellare da un piatto degli avanzi di arrosto. Ignaro di essere osservato il bambino continuò il suo spuntino per un po’ e Severus stette immobile sulla soglia come ipnotizzato. Purtroppo da dove si trovava non poteva studiarlo come avrebbe voluto, perciò presto cedette alla tentazione di fare qualche passo  avanti, accostandosi lentamente all’isola che stava al centro della cucina che gli permetteva di celarsi al Bambino Sopravvissuto che in quel momento stava masticando piano qualche pezzetto di carota.

Niente era andato secondo i suoi piani. Il ragazzino sarebbe dovuto essere addormentato così che lui avrebbe potuto facilmente osservarlo, invece era lì sveglio e talmente sbadato da non accorgersi di una presenza estranea a pochi passi da lui.

Inspirò con rabbia intuendo troppo tardi il suo sbaglio, il bambino infatti si voltò nella sua direzione spaventato perdendo la presa sul piatto dell’arrosto che si sarebbe frantumato sul pavimento se non l’avesse fatto lievitare, commettendo l’ennesimo errore. Harry infatti di fronte a quel fenomeno inspiegabile arretrò sbattendo contro il frigorifero, lo sportello del quale si spalancò illuminando entrambi.

“Sta’ fermo, stupido ragazzino.” soffiò, temendo che l’abbondante contenuto del frigo si fracassasse interamente sul pavimento ad un altro scossone.

Severus pensò al peggio, il bambino si sarebbe sicuramente messo a piagnucolare per poi fuggire a svegliare i suoi zii. Harry invece, seduto sui talloni, si limitò  a guardarlo con una strana smorfia sul volto ancora, notò frustrato, nascosto dal gioco di ombre della casa.

Non sapendo bene che fare, Severus fece volteggiare il piatto di avanzi fino al ripiano libero del frigo ed Harry lo stupì con un borbottio sorpreso.

“Sei un ladro?” pigolò il bambino.

“No.” Si costrinse a rispondere Severus. Un suo silenzio infatti avrebbe certamente allarmato di più quel moccioso.

“Sei un alieno?” bisbigliò Harry nella sua direzione. Al suo della voce del bambino ebbe l’istinto di nascondersi ma si rese conto che ormai era già stato scoperto, quindi si fece più avanti anche se ancora preoccupato della reazione che quello sconsiderato ragazzino sembrava non avere.

“Allora? Forse non capisci bene la mia lingua?” insistette Harry, inclinando la testa da un lato.

“Comprendo benissimo la tua lingua perché è anche la mia, sciocco.” Sospirò Severus, avvilito per il casino in cui si era cacciato. Forse avrebbe dovuto veramente fargli credere di non essere umano.

“Wow.” Mormorò Harry vagamente eccitato, poi parve corrucciarsi “Ma … sei comunque un alieno.” Disse, come se quella fosse l’unica spiegazione logica.

Un basso ringhio scappò delle labbra di Severus ed Harry si appiattì contro il mobile della cucina.

“Non volevo offenderti.” Si scusò il bambino stringendosi nelle spalle e non tornando nella posizione precedente come avesse paura di essere punito per qualcosa.

Severus si prese la base del lungo naso adunco tra l’indice e il pollice, cercando di controllarsi. “Sono un essere umano.” Chiarì ma Harry non sembrava nè convinto né tranquillo. “Gli umani non fanno volare le cose.”

“Quelli come noi si.” Ribattè il professore.

Quei discorsi erano insulsi, sicuramente il ragazzo produceva magia involontaria da anni eppure continuava  quella sceneggiata, anche se doveva ammettere che il suo stupore sembrava genuino.

Harry infatti soppesò quelle parole poi tornò a guardarlo serio. “Io non ho mai conosciuto persone che sapessero far volare le cose.” Il ragazzino si sporse verso di lui ma Severus arretrò, ritenendo più sicuro mantenere qualche passo di distanza. “Qualche volta Dudley guarda alla tv programmi che gli zii gli hanno vietato dove c’è gente che sposta le cose con la mente, che cammina sul fuoco o addirittura se lo mangia. Una volta da dietro la poltrona su cui era seduto sono riuscito a spiare qualcosa e parlavano dei vampiri che ipnotizzano le persone e …” il ragazzo sembrò come illuminato e lo guardò dal basso con apprensione“Sei … sei un vampiro? Perché … tu non … io non sono buono, sono magrolino e piccolo” deglutì a vuoto “Al piano di sopra c’è mio cugino che ti assicuro ha grasso in abbondanza, è succulento e se te lo mangi a me sta bene, anche se dovrei sopportare zia Petunia che quando piange fa degli strilli così acuti che ti rompono i timpani … certo, se potessi evitare di vampirizzarlo ti dovrei un favore perché mi tormenta già così e se tu gli dai anche la supervista, i canini appuntiti e tutto il resto poi sarà veramente un problema seminarlo a scuola.” Harry gli lanciò uno sguardo dubbioso e Severus gliene restituì uno severo.

Cominciava a credere che quel ragazzino si stesse facendo beffe di lui, anche se sembrava molto più spaventato in quel momento che quando si era accorto della sua presenza.

“Ti ho già assicurato di essere un umano. Quante volte pensi che te lo debba ripetere?”

“I vampiri, dicevano alla televisione, hanno gli occhi rossi” replicò ostinato e vagamente petulante Harry “E poi tu ci assomigli proprio, ad un vampiro intendo.” Borbottò, poi allungò la mano verso Severus per tirargli il mantello.

L’uomo sospirò. Forse avrebbe dovuto semplicemente andarsene e lasciare che quel ragazzino bugiardo, o stolto, continuasse a blaterare da solo. C’era però qualcosa di magnetico che lo teneva lì, una brama di sapere che lo costringeva a sopportare quel bambino irritante che lo stava spingendo sempre più a fondo in quel disastro.

“Visto che sei così ottuso, ragazzino, accendiamo la luce così potrai constatare che i miei occhi sono di un banale nero.” E io potrò finalmente vederti, pensò mentre con un colpo di bacchetta faceva brillare le lampadine del lampadario di vetro con motivi floreali che pendeva dal soffitto.

Con ormai la piena visione dell’ambiente circostante, Severus chinò trionfante la testa ai suoi piedi dove però il bambino se ne stava rannicchiato con la testa protetta della braccia.

“Spegni, spegni, ti prego spegni.” Singhiozzò Harry dalla sua trincea “Se zio Vernon si sveglia ci fa a fettine.”

“Tuo zio non può farmi niente.” sibilò mentre la delusione serpeggiava nel suo animo. Sovrastava il piccolo Potter e nonostante le braccia, fin troppo esili, poteva ben vedere i capelli neri e arruffati come quelli dell’odiato genitore. Per il resto, il ragazzino non era molto diverso da come aveva potuto intuire nella penombra, anche se aveva un aspetto trascurato e trasandato che parve eccessivo anche a lui al quale i bambini non erano mai sembrati puliti ed ordinati.

Turbato dal notare come il bambino tremasse lo rassicurò. “Non ti voglio fare dal male. E se mi guardi vedrai che non ho gli occhi rossi e non sono un vampiro.” Harry non ubbidì.

Severus perciò si piegò sulle lunghe gambe per trovarsi quasi all’altezza del volto di Harry, ben nascosto nel groviglio di stoffa del pigiama che avanzava in ogni punto del suo corpicino ossuto. Il professore giudicò che quell’indumento non potesse essere suo.

“Guardami.” Ordinò in modo perentorio ma il ragazzino non si mosse. Un miscuglio di frustrazione ed aspettativa si mosse nel suo stomaco. Avrebbe voluto prendere quel piccolo maledetto resto della progenie Potter e costringerlo a mostrargli il suo viso. Lo avrebbe tirato per i capelli se fosse stato necessario. “I tuoi zii non possono nulla contro di me.” Ribadì con forza, sperando che quelle parole servissero a qualcosa. “Dovresti saperlo, loro temono quelli come noi, sono solo degli anonimi …”

Un colpo di tosse e un grugnito più forte provenne dal piano di sopra, immobilizzandolo.

“La luce.” bisbigliò Harry, sempre più rannicchiato.

Nox.” A quella formula la cucina fu sommersa da una densa cappa di oscurità che rendeva gli occhi abituati alla luce ciechi.

Severus potè sentire le molle del letto nella camera padronale cigolare sotto il peso dell’uomo che sembrava essersi svegliato. I suoi sensi erano più che mai allerta, non perché temesse quel grasso babbano ma per le conseguenze che sarebbero scaturite se avessero scoperto lui, mangiamorte, nella casa del Bambino Sopravvissuto. Quest’ultimo dal canto suo non pareva avere molte riserve nei suoi confronti, si accorse infatti che il ragazzino aveva lasciato la posa fetale per nascondersi alle sue spalle tremante. Era assurdo solo pensarlo ma il bambino sembrava più spaventato dallo zio che da un estraneo come lui.

Dei passi, attutiti da un tappeto, si mossero al piano superiore verso quello che probabilmente era il bagno.

Amareggiato, Severus si convinse che l’unica cosa da fare fosse andare via. In fondo aveva già visto troppo di James Potter in quel bambino per avere un motivo per rimanere. Con un movimento fluido si rimise in piedi. “E’ ora che me ne vada.” Disse.

“No, ti prego …” singhiozzò Harry. “Se … se …”

Se tuo zio mi trova qui dovrò dare così tante spiegazioni che non basterà una vita di un elfo.” sibilò, infastidito “Tu te la caverai con un rimprovero.” Lo liquidò ma Harry non era dello stesso parere. Gli arpionò infatti il mantello, strattonandolo con forza tale da impedirgli di smaterializzarsi.

Mollami ragazzino.” Sibilò con tutta la rabbia che aveva in corpo e pensò di averlo convinto quando lo  vide tremare leggermente.

Harry però rinsaldò la presa sul tessuto nero e alzò la testa verso di lui determinato. “Non te ne andare, zio Vernon mi punirà …”

“Non dire sciocchezze, stupido.” Sibilò Severus, ripresosi dallo stupore. “Una ramanzina per essere sgattaiolato fuori dalla tua camera per uno spuntino di mezzanotte non ti ucciderà e, comunque, è quello che meriti.” Aggiunse cattivo, memore di come il suo acerrimo nemico, padre di quel ragazzino, avesse l’abitudine di aggirarsi di notte per i corridoi di Hogwarts sprezzante delle regole.

Harry deglutì rumorosamente. “Mi picchierà.” Pigolò piano, mentre lo scarico dell’acqua li avvisava che il padrone di casa stava per scendere.

Un brutto brivido corse lungo la schiena di Severus. Non doveva assolutamente essere visto. Con gesto violento tirò il mantello per strapparlo alla presa di Harry che, perso il contatto con il tessuto, gli aggrappò addosso quasi furiosamente, conficcandogli le dita nei fianchi e la testa nell’addome. Avrebbe voluto urlare. In quel modo non avrebbe potuto smaterializzarsi senza portarlo con sé, allo stesso tempo però doveva trovare un modo per non farsi scoprire.

Mentre i passi del babbano si facevano più vicini, Severus afferrò Harry, ancora stretto a lui, per i pantaloni del pigiama e lo trascinò con sé verso quello che sembrava uno sgabuzzino proprio a ridosso delle scale. In fretta si schiacciò dentro quell’angusto sottoscala insieme ad Harry che ormai tremava come una foglia ed attese. Pochi istanti dopo sentì delle pantofole strascicate e dei passi pesanti passare accanto al loro nascondiglio, poi l’interruttore della cucina scattare e la luce della stanza filtrare sotto la porta del sottoscala.

Severus immaginò che Vernon stesse perlustrando la cucina girando intorno all’isola centrale, lo sentì perfino aprire il frigo e borbottare qualcosa, poi il respiro affannato dell’uomo si fece di nuovo vicino fino ad essere esattamente dall’altro lato della porta. In un’altra occasione Severus non si sarebbe fatto scrupoli ad affatturare quel grasso babbano ansante ed uscire finalmente da quella casa ma lì, in quell’angusto spazio sotto le scale, era come paralizzato, conscio che quello non era un uomo qualunque, quello era lo zio di Harry Potter colui che aveva sconfitto l’Oscuro Signore e il cui cuore adesso batteva furiosamente poco sopra l’ombelico, tanto il suo corpicino del bambino era premuto contro il suo.

“Petunia si è dimenticata di chiuderlo.” Brontolò aspro Vernon prima di girare violentemente il chiavistello della porta e sbatterci sopra il pugno grassoccio. Dopo di che i suoi passi si allontanarono e Severus li seguì mentre facevano scricchiolare impietosi il legno delle scale.

Liberò il respiro trattenuto solo quando la porta della camera padrone fu chiusa e le molle del letto cigolarono. Tornando furiosamente alla realtà costrinse Harry a staccarsi da lui per quanto quello spazio angusto lo permettesse, strappandogli un mugolio terrorizzato.

“Guarda in che guaio ci hai cacciato.” Ringhiò a poca distanza dal viso del ragazzino “Come pensi di uscire adesso che tuo zio ti ha chiuso a chiave? Pensi che non capirà cosa hai combinato trovandoti qui e non nel tuo letto?”

Ovviamente Severus sapeva che avrebbe facilmente potuto aprire la porta, come del resto avrebbe dovuto sapere anche Potter, ma visto che fino a quel momento il ragazzino aveva fatto finta di conoscere la sua natura di mago e non gli aveva creato altro che guai, si era voluto prendere una rivincita spaventandolo un po’. Un ghigno si aprì sulle sue labbra quando Harry trattenne il respiro.

“Io …” balbettò l’eroe del mondo magico “In realtà il problema è far uscire te. Zio Vernon e zia Petunia sicuramente penserebbero che è colpa di qualche mia stramberia se sei qui ed allora sarebbe stato meglio farsi punire per aver mangiato l’arrosto.”

“Dannato ragazzino, dacci un taglio con questa commedia.” Severus arpionò un braccio di Harry che produsse un verso strozzato. “I tuoi zii se mi vedessero capirebbero semplicemente che appartengo al tuo stesso mondo, perché sanno esattamente, come lo sai tu, cosa sei.” Ovviamente lui non aveva nessuna intenzione di farsi trovare lì.

“Il mio stesso mondo?”domandò Harry, improvvisamente avido. “Quindi conoscevi i miei genitori?” la voce di ragazzino aveva una nota tragicamente estasiata e Severus cominciò a sentirsi claustrofobico. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Ogni sua parola avrebbe avuto un effetto devastante sul ragazzo e addirittura su di lui. Con un semplice colpo di bacchetta la porta si aprì, permettendogli di sgusciare fuori. Notò solo  dopo che ebbe ripreso il controllo di sé che Harry non lo aveva seguito.

“Il giretto notturno è finito, tornatene in camera tua.” Gli ordinò, scrutando il buio sottoscala dal quale il bambino non si muoveva. “Allora?”

Aveva ormai rinunciato a soddisfare la sua curiosità. Doveva essere dannato se rimaneva in quella casa un minuto di più.

Il tintinnio di una catenella accompagnò il fioco bagliore di una lampadina che illuminò il ripostiglio e il suo occupante.

Harry Potter, un ragazzino di poco più di dieci anni, smilzo, con i capelli corvini e disordinati, tale e quale a suo padre, se ne stava in piedi davanti a lui con gli occhi bassi a fissare i piedi scalzi, appena coperti dal pigiama usurato.

“Signore … questa è la mia camera.”

Il tono di Harry non era canzonatorio, anzi la voce era intrisa di un sentimento che Severus aveva imparato negli anni a conoscere fin troppo bene, la vergogna.

Osservò un attimo l’ambiente che circondava il bambino. Un materasso a malapena coperto da un lenzuolo e una coperta giaceva contro il muro, sulla mensola più alta c’era un libro e un paio di disegni spiegazzati, su quella più bassa un paio di calzini blu scolorito che penzolavano, il tutto illuminato timidamente da una lampadina che sfiorava appena i ciuffi neri sulla testa del ragazzo.

“Stavi mangiando di nascosto?” disse a fatica ed Harry annuì piano.

Quello era sbagliato.

Un sapore amaro gli impastò la lingua e per un attimo Severus non riuscì a parlare o a muoversi.

Aveva imparato sulla sua pelle il significato di un’infanzia ferita e mai avrebbe creduto possibile che quella sorte toccasse proprio a quel bambino che, era certo, sarebbe stato così tanto amato dalla sua amata Lily. Eppure tutto quello spiegava molte cose che lui non avrebbe voluto sapere.

Forse il comportamento del ragazzo non era una messinscena, non stava fingendo di non sapere di essere un mago, ne era veramente all’oscuro. Petunia non aveva mai fatto mistero dell’odio e della gelosia che serbava nei confronti di Lily a causa dei suoi poteri.

“Signore?” La voce timida di Harry lo fece sussultare.

Non si era accorto di aver serrato gli occhi, nel vano tentativo di non vedere l’ultimo appiglio di Lily alla vita, mortificato da una sorella indegna e della sua orribile famiglia.

“Cosa?” gracchiò, aprendo gli occhi e scoprendo che Harry in quel momento lo fissava senza più l’oscurità od altro ostacolo a nascondere il suo volto.

Quegli occhi. Avrebbe ucciso per quegli occhi verdi e limpidi come il mare, perché ogni volta che si erano posati su di lui il suo cuore era tremato e quelle poche sicurezze che aveva racimolato si erano disperse come sabbia al vento.

Vide una lacrima increspare quella superficie di smeraldo, rotolare lungo la guancia e la rincorse con lo sguardo fino a quando non si infranse sul pavimento. Con in un vuoto d’aria Severus  precipitò di nuovo nel mondo reale, dove lui non era davanti alla donna che amava ma si trovava sulla porta di un sottoscala con gli occhi di un bambino, così stonati sul volto sgradevolmente somigliante a quello del padre, puntati su di lui con un’aspettativa che lo turbò.

“Se … ” Harry esitò “Posso venire con te?”

“Cosa? No …” Severus esalò quelle parole con terrore. Lui non voleva e non poteva. “Me ne devo andare.” Sentenziò allora, mentre Harry si fece più vicino con quegli occhi, ricordo di quelli che tanto amava, già sommersi di una nuova marea di lacrime.

“Farò il bravo.” Singhiozzò il piccolo Potter allungando una mano per afferrare quella di Severus che si scansò come scottato. “Tu sei come me e forse anche come i miei genitori … quindi non ti arrabbierai se qualche volta farò capitare degli incidenti, perché ti giuro che non lo faccio di proposito. Magari non mi odierai, come invece fa la mia famiglia ...”

“Non essere sciocco, tu devi restare qui perché questa è casa tua che ti piaccia o no.” Lo freddò Severus. Si sentiva disumano ma almeno aveva detto la verità. Harry doveva continuare a vivere con i Dursley fino alla maggiore età, non c’erano alternative e, se ci fossero state, lui certamente non si sarebbe immischiato.

Harry sembrò incassare quel suo rifiuto con la triste dignità di chi ci è abituato, infatti indietreggiò di qualche passo prima di tornare a guardarlo. “Perché sei venuto qui?”

“Perché dovevo controllare che tu fossi … vivo.” Disse preso alla sprovvista. Harry sgranò gli occhi “C’è qualcuno che crede che io sia morto insieme ai miei genitori?” chiese spaventato e Severus si maledisse un’altra volta. “ Si, alcuni lo pensano … Ora comunque che ho compiuto il mio dovere, devo andarmene. Voglio però assicurarmi che tu ti metta a dormire e non voglio sentire altre domande.” Lo avvertì deciso, prima di estrarre la bacchetta.

Il bambino mise il broncio ma ubbidì. Si chinò e tirò verso di sè il materasso che atterrò sul pavimento con un tonfo, poi si infilò sotto le coperte guardando Severus inginocchiato accanto a lui. L’uomo si concesse un ultimo sguardo a quegli occhi, poi fece ad Harry segno con il mento di chiuderli, provando una stretta al cuore quando vide il verde scomparire sotto le palpebre, e spense la luce.

Il bambino posò una mano morbida e piccola su quella fredda di Severus che non si ritrasse.

Il professore emise un respiro spezzato a causa dei rimescolamenti della sua anima, mentre attendeva che quello del ragazzino si regolarizzasse con l’avvento del sonno.

Non poteva permettersi di lasciargli il ricordo di quella notte, perché avrebbe solo allungato la lista dei dolori della sua vita ancora così breve.

“Avevo sperato che mi avresti potuto portare dai miei genitori.” Mormorò Harry ad un tratto con la voce già impastata dal sonno.

Quando la mano di Harry scivolò giù dalla sua, Severus gli accostò la punta della bacchetta alla fronte su cui spiccava rossa la cicatrice a forma di saetta.

Oblivion.” Sussurrò e il vapore argenteo dei ricordi del loro incontro scivolò lontano dal bambino prima di dissolversi.

Rapido, Severus chiuse la porta del sottoscala e con le dita che tremavano fece scattare la serratura di quella gabbia. Arrancò fuori dalla villetta di Privet Drive instabile sotto della consapevolezza che la sua colpa era ben più grande di quello che aveva sempre creduto.

Aveva sofferto per essersi macchiato della morte di Lily ed aveva sopportato la dipartita di suo marito perché l’odio nei suoi confronti lo accecava, ma cosa avrebbe fatto adesso sapendo che, svelando la profezia al Signore Oscuro, non aveva spezzato due vite ma tre?

Senza fiato si aggrappò alla recinzione che isolava il giardino dei Dursley da quello dei vicini.

“Buonasera, ragazzo mio.” L’istinto di difendersi fu più veloce della sua mente e si trovò a puntare la bacchetta contro il viso di Albus Silente. Il preside lo osservava senza alcuna traccia della giovialità di quel pomeriggio. “Vedo che hai ascoltato il mio consiglio. Ne sono felice.” Costatò l’anziano mago mentre Severus riponeva la bacchetta sotto il mantello. “Penso però sia l’ora di andarsene, perché ti sei trattenuto veramente molto e l’alba è vicina.”

“Sei così poco impegnato da avere il tempo di pedinarmi.” Sibilò Severus, abbandonando il suo appoggio e procedendo verso la strada.

“Perdonami, Severus. Ero solo curioso di scoprire cosa avresti deciso, talvolta sai essere molto complicato da capire.” Spiegò Silente, stranamente attratto del tosaerba del signor Dursley parcheggiato accanto a delle siepi perfettamente squadrate, mentre Severus si allontanava.

“Immaginavo che saresti stato amareggiato.” Continuò il mago, una volta raggiunto Severus. La villetta era già alle loro spalle.

“Come ti è sembrato il ragazzo?”

Silente era determinato ad avere una conversazione che lui non aveva intenzione di sostenere, gli sarebbe bastato trovare un posto sicuro per smaterializzarsi per sfuggirgli.

“Magrolino ed irritante.”

“Come suo padre James, immagino.”

“Appunto.” Spuntò Severus, mentre la possibilità di andarsene da lì svaniva a causa del camion dei netturbini che svuotava i cassonetti nel vicolo dove era apparso quella notte. Si fermò perciò in attesa che i babbani finissero e gli lasciassero via libera, mentre Albus camminava verso di lui con le mani incrociate dietro la schiena e lo sguardo pensieroso.

“Quindi il piccolo Harry sembra aver ereditato tutto dal padre.” Severus grugnì. Albus non pareva per nulla persuaso dalle sue parole. “Come pensi quindi di comportarti con il ragazzo?”

“Come con qualsiasi studente. Credi forse che mi farò influenzare dalla grande celebrità?” Rispose Severus aspro, distogliendo gli occhi dalla figura del Preside. Aveva sempre il timore che quell’uomo potesse scrutargli l’animo se solo avesse abbassato le difese.

“Non lo penso, ragazzo mio, ma chi può dirlo … potresti scoprire molto di lei in lui se ti soffermassi ad osservarlo.”

“E perché mai dovrei sprecare il mio tempo in quel modo?”

“Perché gli occhi sono lo specchio dell’anima, Severus.”

Come quel pomeriggio Albus era riuscito ad intrappolarlo. Era impossibile prevedere quando il vecchio sapesse e quando invece fosse all’oscuro dei fatti. Era come avere a che fare con un esperto burattinaio che tirava i fili delle sue marionette a suo piacimento, per poi lasciarle al loro destino una volta che aveva ottenuto ciò che voleva.

Possibile che non si rendesse conto di aver tra le mani persone di carne e sentimenti che amavano e soffrivano, mentre lui giocava a fare il padrone del mondo?

Con la scusa di controllare se il vicolo, dove ancora un netturbino svuotava stancamente l’ultimo bidone, si fosse liberato, voltò le spalle al vecchio mago per nascondere una smorfia di dolore che non era stato in grado di celare.

“Hai altro da dirmi, Severus?” Il tono di Silente era diventato lieve, quasi dolce, come se avesse compreso di aver oltrepassato il limite.

“Lo fanno vivere in un sottoscala, Albus.” Parlò piano Severus.

“Di questo me ne rammarico.”  La voce di Silente alle sue spalle cambiò di nuovo, diventando amara e triste.

Forse dopo tutto qualcosa che quel grande mago non sapeva c’era ancora …  

“Avevo sperato che accogliessero Harry come un figlio, ma purtroppo gli uomini non sempre riescono a mettere da parte sciocchi asti e cattivi pregiudizi.”

Quelle parole si insinuarono nelle ferite che quella notte aveva riaperto nella sua anima.

“Devi affidarlo a qualcun altro.” Lily non merita questo.

“Non è possibile, anche se la situazione è peggio di quanto credessi. Harry deve rimanere con i Dursley per la sua sicurezza. Possiamo solo sperare che possieda la grande virtù del perdono.” Il camion dei rifiuti apparve dal vicolo con un piccolo rombo comprendo alcune parole di Silente, poi veloce di allontanò. “Suppongo che in questo momento tu voglia stare da solo.” Il professore di pozioni si strinse nelle spalle, sentendosi, per la prima volta dopo tanto tempo, fragile. Si domandò quale aspetto dovesse avere in quel momento. “Non pentirti di stanotte. Hai fatto la cosa giusta, Severus. Buonanotte.”

Detto ciò il mago scomparve, lasciando Severus con i sentimenti in subbuglio su un marciapiede vuoto e buio.

 

La mattina seguente Harry si svegliò con un forte cerchio alla testa ma cercò di far finta di niente per non attirare le mire maligne di Dudley e l’irritazione dei suoi zii che era già alle stelle per l’essere nelle stessa stanza con lui.

Stavano facendo colazione in religioso silenzio, quando lo scatto della cassetta delle lettere risvegliò l’attenzione di tutti.

Vai a prendere la posta, Dudley” ordinò Vernon ancora convinto che il figlio gli avrebbe obbedito.

Mandaci Harry” Harry avrebbe sbuffato se non fosse stato pericoloso.

“Vai a prendere la posta, Harry.”

“Mandaci Dudley” si era arrischiato a dire, con il risultato di dover evitare i colpi di bastone di suo cugino ed essere spedito alla porta da uno strillo di Petunia che temeva più per le credenze piene di orride porcellane che per la testa di suo nipote.

Sullo zerbino Harry trovò qualcosa che lo stupì, insieme ad una bolletta e ad una cartolina della sorella di suo zio Vernon una busta dall’indirizzo bizzarro:

 

Signor H. Potter

Ripostiglio del sottoscala

Privet Drive 4

Little Whinging

Surrey

 

Chi mai poteva aver inviato una lettera a lui?

   
 
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