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Autore: DigitalGenius    15/02/2014    6 recensioni
Garfield arrossì lievemente. Non poté evitare che il cuore gli si fermasse, nel guardarla, anche se non era la vera Raven.
«Allora, cosa ti porta qui?» gli domandò lei sorridendo.
Garfield dischiuse le labbra per risponderle. All’improvviso tutti i suoi piani, tutti i discorsi a cui aveva pensato per riportare Raven tra i Titans, sembravano inutili. Chinò lo sguardo e strofinò per terra una suola della scarpa.
Sentiva quegli occhi addosso a sé e quello sguardo lo trafiggeva.
«Dov’è che sono le altre emozioni? Potrei parlare con alcune di voi?» esordì all’improvviso agitando le punte delle orecchie.
Coraggio scrollò le spalle. Il sorriso le si spense mentre si avvicinava al bordo del precipizio su cui si trovavano. «Loro non verranno» annunciò rassegnata. «Si vergognano»
«Perché dovrebbero?» le domandò il ragazzo seguendola. «Sono sempre il buon vecchio Beast Boy, credevo di piacere almeno alla metà di loro»
«Tu ci piaci» lo tranquillizzò lei nel vederlo quasi nel panico. Gli sorrise. «Diciamo che non sono pronte ad incontrarti. O almeno non lo sono la maggior parte di loro»
«Perché?» domandò Garfield mogio. «Perché loro no e tu sì?»
«Perché?» ripeté lei. «Perché io sono il Coraggio»
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Robin, Starfire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHE C’E’ SOTTO IL MANTELLO, RAVEN?


Lilith saltellò verso la teca con occhi sgranati. Piantò le mani sul vetro e sorrise.
«C’era uno di questi nella mia foresta. Era troppo nascosto nel folto perché qualcuno lo trovasse» raccontò entusiasta guardando la grossa pietra incisa.
Jeremy, a neanche un metro di distanza, però, non la ascoltava. Si guardava attorno confuso, perso in una moltitudine di emozioni non sue. Invidiava il modo in cui la ragazzina sembrava riuscire a lasciarsele scivolare addosso, non poteva evitarlo, ma non poteva farci nulla, quindi sospirò e seguì il suo sguardo.
La pietra era una grande lastra coperta di disegni celtici. Non sapeva da dove provenisse e, nonostante fosse certo che sul cartello vi fosse scritto, non gli importava saperlo.
Una delle guide del museo, una donna slanciata con i capelli striati di grigio che poteva benissimo essere scambiata per una bibliotecaria, lasciò un’occhiata preoccupata a Lilith, avvicinandosi. «Non si possono toccare le teche» disse alla ragazzina. Lo fece gentilmente, felice dell’entusiasmo che la ragazzina dimostrava verso le varie cose esposte.
Lilith fece due passi indietro ed incrociò le braccia dietro la schiena, le gambe rigide ed i pugni chiusi. Non era ancora abituata ad essere avvicinata dagli umani. Oltre un certo limite di spazio le loro emozioni diventavano così chiassose da non poter essere ignorate. Rimase a distanza dalla teca, domandando con lo sguardo alla guida se quella distanza andava bene.
La donna le strizzò l’occhio. «C’è qualcosa che volete sapere in particolare?» chiese lanciando un’occhiata anche a Jeremy, che intanto era rimasto in disparte in silenzio. Lui si strinse nella felpa e scosse la testa, tenendo gli occhi sgranati sotto gli occhiali da sole, preoccupato che la donna potesse riconoscerlo come il ragazzo che aveva distrutto il centro appena pochi giorni prima.
«Sappiamo già tutto» rivelò Lilith percependo, in mezzo a tutto il resto, il disagio di Jeremy. «Dove vivevo ce n’erano un sacco» aggiunse con aria sognante. Fece un sorriso a Jeremy, per fargli capire che ci avrebbe pensato lei, che poteva stare tranquillo e fidarsi. «Dirò io a mio fratello quello che deve sapere»
La guida annuì. Non poteva che ammirare l’interesse che Lilith sembrava dimostrare nei confronti della storia, anche se non ne conosceva la ragione.
«Molto bene» disse allora. «Se avete domande mi trovate nei corridoi»
Si allontanò, raggiungendo un altro gruppo di visitatori fermi poco più in là.
Jeremy si avvicinò a Lilith. Ora erano fianco a fianco, di nuovo ignorati, ma il suo atteggiamento rigido non si sciolse. «Muoviamoci» disse seccato nascondendo ulteriormente il volto sotto al cappuccio. «Troviamolo e torniamo a casa».
Lilith annuì. Strofinò le mani una contro l’altra, perché non era abituata all’aria condizionata o a qualunque tipo di aria artificiale. A lei piaceva l’aria pura, frizzante e ricolma di odori selvatici.
Lanciò un’ultima occhiata alla pietra. «Mamma, io e le altre danzavamo sempre attorno a quella che c’era nella nostra foresta» disse tornando a riferirsi al discorso precedente. Era di nuovo tornata la solita Lilith, quella che fingeva di non sentire e si nascondeva dietro ad un sorriso. La vicinanza del ragazzo non la colpiva, poiché ormai ci era abituata, ma un lieve senso di malinconia personale la avvolse.
Jeremy percepì la sua tristezza, ma non aveva alcuna esperienza nel consolare le persone e non la conosceva abbastanza per sapere cosa dirle. Allungò una mano e lei, senza alcuna esitazione, la strinse.
Lui avrebbe voluto dirle che c’era, per lei, ma non sapeva come. Lilith accennò un sorriso, perché comunque andasse tra loro non avevano bisogno di troppe parole.
«Magari un giorno mi farai vedere dove sei cresciuta» le propose.
Lilith sorrise. Sapeva che Jeremy si stava sforzando e voleva aiutarlo ad aiutarla nel miglior modo possibile. Lui non era più solo, e voleva che lo sapesse. Nessuno avrebbe più dovuto separarli dai loro fratelli, ora che finalmente potevano essere una famiglia. «Quello che cerchiamo è al piano di sopra, secondo quello che c’è scritto sull’opuscolo»
Le scale erano dall’altra parte della stanza, distavano un paio di mummie ed alcuni utensili da lavoro di chissà quale secolo. L’organizzazione era alquanto caotica, per uno sguardo attento, ma a Lilith e Jeremy non interessava. Raggiunsero il piano superiore con calma, salendo lentamente la scala del vecchio edificio scricchiolante. Una scolaresca passò loro accanto schiamazzando, lasciando vuota la sala in cui erano diretti. Alla fine furono solo loro ed una lunga serie di teche colme di vecchi libri, pergamene e manufatti incisi di rune.
Si separarono per percorrere i due corridoi paralleli tra i vari oggetti, accarezzarono con lo sguardo i ciondoli ed i pugnali. Poi arrivarono alle pergamene ed ai libri e rallentarono aguzzando la vista. Non ne sapevano molto, non erano in grado di leggerle, ma sapevano che Belial e Raven ci sarebbero riusciti.
Dovevano solo trovare il libro che i fratelli gli avevano descritto, poi sarebbero potuti andare via, dove Lilith avrebbe potuto di nuovo annusare il profumo dei suoi fiori invece che quello del vecchio pavimento di quercia ammuffito, e dove Jeremy non avrebbe dovuto stringere i denti per sopportare le chiassose emozioni di prime cotte, rabbia repressa e depressione umana.
Fu Lilith a trovalo. Non era in una bacheca particolare e non spiccava tra gli altri, anzi, sembrava quasi anonimo rispetto a gli altri enormi volumi rilegati in pelle ricoperti di miniature. Era al centro della stanza, poco distante dal grosso lucernaio di vetro che gettava ombre colorate sul pavimento scuro.
Jeremy si avvicinò a Lilith, vide il piccolo libricino ricoperto di rune.
Avrebbe voluto prenderlo e portarlo via subito, chiudere quella storia in fretta. Invece lanciò un’occhiata alla telecamera di videosorveglianza, poi sorrise a Lilith. Contò le finestre, per sapere ritrovare la teca anche al buio. Poi diede un colpetto con la spalla alla sorella.
Avevano fatto ciò che dovevano, potevano andare a casa.

Raven aprì gli occhi solo per richiuderli a forza un istante dopo, per evitare di essere abbagliata dalla luce intensa. C’era una leggera brezza che le scompigliava i capelli scuri sul cuscino. Si rigirò infastidita, scombinando le lenzuola che la ricoprivano, trovandosi intrappolata in un groviglio informe. Il braccio le ricadde fuori dal letto e la mano finì immersa nell’acqua tiepida. All’improvviso si rese conto che stava succedendo un’altra volta; il baldacchino immobile sul pelo dell’acqua, le tende candide libere di seguire la direzione del vento, i petali di rosa neri sparsi tutto attorno.
Provò a sollevarsi, riconoscendo la situazione, riconoscendo il luogo – o meglio, il non luogo. L’aveva già vissuto e, per quanto trovasse il tutto assolutamente idilliaco era anche assolutamente rivoltante. Si trovò ad urtare contro un petto muscoloso, due braccia forti la costrinsero a tornare giù, accompagnandola gentilmente di nuovo contro il materasso.
Sentì le sue labbra sul collo, tremando al suo tocco. Lo sguardo perso per un istante nell’orizzonte, dove il cielo si specchiava nell’acqua senza ostacoli.
Tentò di ritrarsi dalla figura dietro di lei, ma questa la teneva saldamente.
«Rae, Rae. Dove credi di andare?» le domandò dolcemente. La sua presa era fin troppo decisa, e la costrinse a voltarsi ancora.
Con la schiena di nuovo sul materasso, Raven gemette davanti a quel volto verde, ma conosceva troppo bene i suoi occhi per cadere tra le braccia di una misera copia appannata. «Tu» mormorò poggiando una mano sul suo petto, tentando di aumentare il distacco tra loro.
«Rae, Rae. Cosa credi di fare?» domandò ancora lui sollevandole i polsi per bloccarli sul cuscino. Si chinò a baciarla, ma lei ruotò la testa per evitare che cogliesse le sue labbra. Lui le leccò l’orecchio, impedendole di obiettare.
Raven strinse i pugni, incapace di ribellarsi e scrollarselo di dosso. La calma dell’acqua e il tepore del vento contribuivano ad intorpidire ogni sua resistenza.
«Vattene» supplicò, incapace di urlare. Sollevò un ginocchio, tentando di colpirlo, ma la gamba le parve quasi più pesante dei propri pensieri.
«Rae!» si lamentò lui divertito. «Sai che non vuoi davvero mandarmi via». Afferrò un lembo del lenzuolo con i denti, trascinandolo giù per scoprirle il petto, ma questo fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Azarath, Metrion, Zinthos!» gridò la ragazza infuriata. Un lampo di energia scura lo scagliò in acqua, e Raven poté finalmente svegliarsi.
Si ritrovò nella stanza lugubre, avvolta in cupe lenzuola sudate. Ansimava pesantemente nella semioscurità. Arretrò fino a poggiare la schiena contro la parete fredda e trascinò le ginocchia al petto per circondarle con le braccia.
«Maledetti Incubi. Maledetti demoni» brontolò.

Koriand’r sfogliò attentamente i fogli che aveva in mano, osservando con interesse sia le vignette che le parole che il ragazzo aveva scritto a matita nei baloon.
Aveva iniziato la sua revisione con il sorriso, ma man mano che proseguiva si rendeva conto che i toni dell’avventura si facevano più tristi e non le ci volle molto per comprendere che ciò avveniva perché l’aria che si respirava nella storia seguiva gli stati d’animo del suo autore.
Abbassò i fogli per sorridere all’amico, che era ancora costretto nel letto dell’infermeria. Sorrise, nel vedere nei suoi occhi la stessa ansia e preoccupazione di ogni volta. Le sue domande erano sempre le stesse.
«Come sono i personaggi? I miei disegni sono decenti? Come procede la storia, secondo te?»
Come al solito, Koriand’r gli fece cenno di stare calmo. «I tuoi personaggi sono ok, ogni numero sento di conoscerli un po’ di più. Per i disegni diventi più bravo ogni giorno che passa. La storia è avvincente, ma mi chiedo se quest’improvvisa aria cupa sia colpa di quello che è successo»
Lo sguardo del mutaforma si spense. Il ragazzo scrollò le spalle, allungò un braccio e si riprese i fogli. «Mi aiuti a spillarli?» chiese con gli occhi bassi porgendole la spillatrice.
L’amica lo fece volentieri, fingendo di non aver capito che lui voleva solo cambiare discorso. «Ehi, che ne dici se ci vediamo qualcosa in tv? Forse c’è quel cartone animato che ti piace tanto, quello del ragazzo con l’orologio alieno»
Garfield le sorrise. «Ben Ten?» domandò retorico.
Koriand’r annuì, afferrando il telecomando. «Sai, Dick ha detto che noleggerà un film in città, per vederlo questa sera qui in infermeria. Victor prenderà le pizze. Credo che abbiano in mente una specie di pigiama party» disse.
Il verde storse il naso. «I ragazzi non fanno pigiama party» si lamentò.

Quando Lilith e Jeremy rientrarono l’ora di pranzo era passata. Trovarono Raven nel salotto, con la sua tisana preferita in mano ed un pesante volume poggiato sulle ginocchia. Le dita erano contratte attorno alla tazza e le occhiaie, più scure del solito, incrociavano il suo sguardo spento. Non serviva essere empatici per capire che qualcosa in lei non andava.
Lilith saltellò verso di lei e si sedette al suo fianco, stringendole la mano. Jeremy rimase a distanza, tentando di non farsi coinvolgere ulteriormente dalle emozioni di entrambe.
«Hai fatto brutti sogni?» domandò Lilith con una punta d’innocenza che fece sorridere Raven lievemente. «Non devi preoccuparti» le rispose la ragazza, poggiando la tazza sul comodino lì affianco, ma Lilith insisté. «Se vuoi posso aiutarti, lo sai. Posso guidare i tuoi sogni mentre dormi» propose, desiderosa di rendersi utile.
La ragazza le sorrise lievemente. I Titans si erano sempre preoccupati per lei, ed ora era bello sapere che c’era anche qualcun altro, in grado di comprenderla anche meglio di loro, che non l’avrebbe abbandonata anche quando loro l’avrebbero fatto. Perché era certa che fosse solo questione di tempo prima che si convincessero a considerarla una nemica a tutti gli effetti.
Ed il momento che più temeva era quello in cui avrebbe dovuto scegliere tra l’assolvere il suo compito ed i suoi vecchi amici.
«Va tutto bene, non serve» disse alla bambina con un lieve sorriso. «Devo solo meditare un po’ prima di andare a prendere il libro»
Lilith le sorrise. «Stai tranquilla, tutto questo finirà presto» la rassicurò.
La fiducia e l’affetto che Lilith provava per lei invasero la sua mente ed il suo cuore, calmando ancora una volta tutti i suoi dubbi e ricordandole che, insieme ai sui fratelli e per un futuro assieme a loro, valeva la pena di lottare, pagando qualunque prezzo.
Guardò la bambina negli occhi e le sorrise ancora. «Dobbiamo dire a Belial che siamo pronte» le disse.

A sera, nella stessa sala del museo in cui Lilith e Jeremy erano stati quella mattina, Raven rimosse con attenzione il vetro della bacheca. Un viticcio di energia nera lo tenne sospeso per aria, dando a Jeremy il tempo di afferrare il libro.
I sistemi di sicurezza non erano avanzati quanto quelli di una banca, pensati per proteggere dei reperti storici, non certo per tenere al sicuro un libro che avrebbe potuto distruggere l’intera realtà conosciuta.
Raven sospirò, vedendo il fratello stringere il pesante volume tra le mani. Il ragazzino lo chiuse con delicatezza, facendo particolare attenzione a non rovinare le pagine ingiallite dal tempo.
Lilith, che fino ad allora era rimasta nell’ombra di un angolo, si guardò attorno. Gli altri due non ebbero bisogno di chiederle cosa la agitasse, poiché tutti e tre percepivano bene l’aura del guardiano notturno che si avvicinava annoiato a quella sezione. «È a soli due corridoi da qui» annunciò sottovoce la ragazzina.
Jeremy indietreggiò, per permettere a Raven di rimettere la teca al suo posto. La ragazza tentò di fare attenzione, poiché ogni secondo che passava l’uomo era più vicino. Non avevano portato torce con loro, dato che la loro natura demoniaca consentiva loro di vederci abbastanza bene anche al buio, ma nel momento in cui il riflesso della luce del guardiano notturno si stagliò sul pavimento Jeremy sussultò ed un paio di teche si incrinarono alle sue spalle.
Il crack che ne derivò fece sussultare l’uomo che, d’improvviso, si fermò per domandare nervosamente: «C’è qualcuno?». Agitò la torcia per tutto il corridoio, ma la luce non era ancora abbastanza intensa per raggiungerli.
Serviva una fuga veloce, si rese conto Raven. Mise giù la teca più velocemente e finì per farne sbattere i bordi di vetro contro il legno della parte inferiore. Nel silenzio della stanza il rumore fu assordante e subito dopo l’allarme scattò in tutto l’edificio. I passi del guardiano si fecero più pesanti e frettolosi mentre le luci si accendevano sfarfallando.
«Dritti a casa» ordinò Raven ad alta voce. Lilith si alzò in volo, Jeremy provò a fare lo stesso ma l’ansia gli impedì di riuscirci. Si sollevò di alcuni centimetri, con il libro ancora stretto tra le braccia e si ritrovò a cadere e perdere l’equilibrio. Una volta in ginocchio sollevò lo sguardo verso Raven; lei sospirò con calma, ed il guardiano irruppe nella stanza con la pistola in pugno.
Raven si sollevò da terra ed aprì le braccia. «Azarath, Metrion, Zinthos» esordì, disarmandolo.
L’uomo, spiazzato dalla sua presenza, tentennò dandole il tempo di preoccuparsi del fratello. All’esterno le sirene della polizia erano sempre più vicine.
«Tutto bene?» domandò la ragazza seria. Perdere il controllo in quella situazione non avrebbe fatto altro che far perdere loro del tempo prezioso, ma ora avevano ciò che volevano e sarebbe dovuto essere semplice concludere l’operazione svanendo.

Per quanto da sempre apprezzasse il chiasso, le battute squallide del suo migliore amico e le premure della dolce extraterrestre dai capelli rossi, quel giorno non poteva fare a meno di pensare che gli altri lo stessero controllando.
Certo, non era raro che si incontrassero nella stanza principale per passare insieme serate come questa, ma considerando il modo in cui parevano intenzionati a non lasciarlo un attimo da solo era ben chiaro che ci fosse qualcosa di più. Pensavano forse che si sarebbe alzato e sarebbe andato a cercare Raven? O forse che si sarebbe lasciato deprimere dalla situazione e avrebbe deciso di farla finita?
Garfield non aveva intenzione di fare nessuna delle due cose. Continuava a chiedersi il perché? Perché Raven non aveva parlato del fratello, perché non si fosse fermata a spiegare, perché era così stupido da continuare a pensarci ancora.
Distolse lo sguardo dallo schermo; aveva smesso di seguire il film appena dopo i titoli iniziali ed ora si godeva la totale intenzione dei compagni nei suoi confronti, potendo tenere lo sguardo basso a fissare il nulla senza che gli altri lo notassero e provassero ancora a parlargli.
Lanciò un’occhiata distratta ai cartoni di pizza vuoti, domandandosi se gli avrebbero chiesto un parere sul film, alla fine. Sarebbe riuscito a dare una risposta decente senza lasciar capire loro che non aveva prestato la minima attenzione alla storia?
Sperò, con l’ennesimo sospiro, che qualcosa movimentasse la serata. E come se l’universo avesse ascoltato la sua preghiera l’allarme della torre iniziò a suonare e le luci lampeggiarono di rosso brillante.
Sorrise, nel vedere l’occhiata che gli altri si scambiavano mentre balzavano in piedi per prepararsi ad intervenire.
Loro lo squadrarono, lo fissarono preoccupati. Lui si limitò a liquidarli in fretta.
«Andate, me la caverò» li pregò, gioendo di poter finalmente restare da solo.

Incapace di controllarsi, Jeremy scagliò uno dei cartelli informativi contro uno dei poliziotti. Un raggio azzurro lo distrusse prima che colpisse l’uomo e Raven sussultò.
«Jeremy. Dobbiamo andare. Adesso» ordinò secca. Ma in quelle condizioni non sarebbe riuscita neanche a svanire nell’ombra con lui, poiché trascinarselo dietro era impossibile. Ogni singola scarica di potere del ragazzo si sarebbe opposta a lei, calmarlo era quindi l’unica cosa che potesse fare.
I Titans irruppero nella sala, Cyborg con ancora il cannone attivo, pronto a caricare un altro colpo. Con un moto di apprensione Raven si rese conto che non sarebbero tornati a casa tanto presto.
Jeremy si guardò attorno come a cercare una via di fuga, Starfire si avvicinò in volo, tentando di raggiungerlo. Preoccupato, Jeremy strinse il libro a sé e, gridando, fece saltare un’intera parete dell’edificio. Pezzi di legno, cocci di vetro e mattoni frantumati piovvero sul gruppo, mentre la polizia batteva in ritirata per lasciare un maggior campo d’azione ai supereroi della città.
Fu solo per dire qualcosa che Robin affermò contrariato: «Questi sono reperti storici». Poi, con la solita risolutezza e senza chiedere spiegazioni gridò: «Titans, go!»
Le mani di Raven si contrassero, quasi stesse resistendo all’impulso di rispondere all’incitamento come se facesse ancora parte della squadra. Lanciò un dardo di energia addosso a Starfire per allontanarla da Jeremy, poi lanciò un’occhiata fiduciosa a Lilith. «Calmalo» le disse. «Io li terrò impegnati» Si lanciò in avanti, parò uno dei calci di Robin ed evitò il braccio di Cyborg che stava tentando di afferrarla. Il mezzo robot tentò di farla ragionare: «Raven, tu non sei una criminale, lo so. Fermiamoci un minuto e dimmi cosa stai cercando di fare»
La ragazza lo ignorò, approfittando della sua distrazione per atterrarlo. «Io non ho niente da dirvi» affermò convinta. Starfire la afferrò alle spalle, provò a tenerla ferma e cercò di calmarla. Stringendo i denti Raven piegò il gomito, l’intero braccio venne avvolto da energia oscura e poi spinse l’arto con forza contro la principessa aliena. Starfire mollò la presa, finendo scagliata indietro per alcuni metri.
Gli ordini di Robin non tardarono ad arrivare. «Neutralizzatela, ma senza farle del male», gridò aspettando un cenno dalla fidanzata, per sapere se stesse bene. «La interrogheremo una volta che l’avremo riportata alla torre» aggiunse rivolgendosi a Cyborg, che annuì a malincuore.
I tre Titans si mossero all’unisono; Starfire si avvicinò alla vecchia amica, spostandosi sulla destra, Cyborg si mosse verso la sua sinistra, Robin indietreggiò restandole di fronte ed insieme formarono un triangolo per bloccarla.
«Sul serio?» domandò Raven divertita. Fece lentamente un giro su sé stessa, vedendo Lilith china su Jeremy a sussurrargli parole confortanti che da lì non riusciva a sentire. Poi tornò ad occuparsi dei ragazzi. «Dovreste sapere bene che mettermi in trappola non è così facile» esclamò. Sollevò un bracciò, ripeté il suo mantra ed una bolla di energia nera si dipanò da lei esplodendo in faccia ai tre Titans. Li sbalzò all’indietro e Raven non poté trattenersi di sorridere per la soddisfazione. Il volto le si rabbuiò immediatamente; chinò lo sguardo e sospirò, sollevando il cappuccio per celare la sua espressione. Diresse ogni sua attenzione empatica verso Jeremy. Ogni minuto che passava lui sembrava sempre meno fuori controllo.
«Raven» la chiamò Robin infuriato, rialzandosi. «Credimi, non avrei mai voluto che finisse così» affermò. Fece per avvicinarsi, Raven si mise in posizione di difesa, ma la sua concentrazione era ancora tutta per Jeremy e Starfire ne approfittò per arrivarle alle spalle. Le strinse la mano sulla bocca per impedirle di recitare il suo mantra e Cyborg accorse in suo soccorso. La tennero ferma insieme, aspettando che Robin si avvicinasse a loro.
«Ora basta, Raven» disse serio, fissando la ragazza dritta negli occhi.
Raven serrò le palpebre risoluta, in attesa. Il colpo di energia oscura smosse il suo mantello e colse di sorpresa gli altri. Furono costretti ad allentare la presa e la ragazza ne approfittò per divincolarsi e sollevarsi in volo.
Lilith era ancora in posizione d’attacco e Jeremy, al suo fianco restava a testa china ed occhi chiusi a respirare. «Andate» ordinò loro Raven, inflessibile. La ragazzina annuì ed un turbine di oscurità si aprì dietro lei ed il fratello.
«No!» esclamò Robin nervosamente. Corse verso di loro per fermarli, ma il varco si chiuse un istante prima che riuscisse ad afferrare uno dei due. Si voltò a fulminare Raven con lo sguardo; la ragazza lo ignorò deliberatamente, fece apparire un secondo varco sopra la sua testa e prese quota per entrarci.
«Mi dispiace» mormorò tra sé.
L’esclamazione contrariata di Starfire la fece tentennare, ma non si fermò. E la principessa aliena le volò dietro, svanendo con lei nel portale.



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Salve. Non ho molto da dirvi; tranne che, nonostante avessi detto che avrei voluto aggiornare due volte entro febbraio alla fine non ci sono riuscita. Ma almeno non ci ho messo altri quattro mesi. Ho di nuovo fatto tutto da sola; Digital si scusa ancora, a proposito. Come potete notare inizia l’azione, o meglio, pare che Raven prenda posizione. Ero indecisa se darvi un piccolo spoiler e nel dubbio opto per il no, ma posso dirvi che il prossimo sarà un capitolo interessante. Spero. Baci, Genius <3

  
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