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Autore: alexisvampira    16/02/2014    2 recensioni
Che ne è stato davvero di Haymitch, mentre Panem cadeva nella rivoluzione? Che ne è stato di Effie?
Una storia parallela agli eventi narrati nell’ultimo capitolo della saga, che ne riprende le fila e le narra dal punto di vista amaro di un vincitore dimenticato. Perché mentre il mondo va in fiamme, ognuno è lasciato a combattere la sua battaglia. E a fare i conti con se stesso.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Effie Trinket, Haymitch Abernathy
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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CAP. 8 – COMPRENSIONE

(POV. HAYMITCH) 
Mi aggrappo con forza al bordo del sedile, mentre aspetto che l’hovercraft completi le manovre d’atterraggio: il ronzio dei motori nelle orecchie mi fa venire voglia di strapparmele pur di non sentirlo. È la seconda volta oggi che sono assalito da questo desiderio. Non faccio tempo a pensare tutto questo che lo sguardo mi cade in automatico sulla piccola auricolare che mi penzola triste e floscia dal taschino.
Il fastidio che provo nell’essere stato ignorato da quell’apparecchio fa ampia concorrenza alla soddisfazione di aver avuto ragione su Katniss e sulla sua capacità di cavalcare l’onda del momento. Facendo qualcosa di incredibilmente eroico e al contempo incredibilmente stupido. Il distretto 8, l’ospedale e tutti quei ribelli morti, la scheggia della bomba che poteva ucciderla e invece le ha iniettato la rabbia che è servita ad infiammare la rivolta.
Odio lei e la sua dannata fortuna nel salvarsi le penne.
Odio Plutarch che passa dall’indignazione alla gioia per uno dei pass pro più riusciti di sempre.
E odio l’incapacità di ognuno di saper badare a se stesso: perché diavolo devo preoccuparmi ogni santa volta della vita di qualcun altro? Faccio schifo in questo, perché vi ostinate a farmelo fare?

Questi sono i pensieri che mi accompagnano mentre il velivolo atterra e finalmente posso allontanarmi da tutto quel rumore che non mi appartiene. Guardo Plutarch e la sua faccia diventata paonazza dall’eccitazione: - Coraggio, sii comprensivo con lei! – quasi mi urla mentre si dirige spedito verso la sala di montaggio.
Ed è la goccia che fa traboccare il vaso.Comincio ad attraversare il distretto a falcate sempre più ampie: ad ogni passo il nervosismo cresce come un’onda in piena e l’unica cosa che voglio fare è riversarlo su qualcuno, guardandolo affogare.
Sono Haymitch Abernathy, sono astioso come non mai e so che il solo modo che ho per calmarmi è sfogarmi con qualcuno. No: su qualcuno, per la verità. È molto diverso.
E questa - penso lodandomi tra me - è una riflessione talmente profonda che meriterebbe un brindisi.

Quando finisco di dialogare con me stesso mi rendo conto di dove mi hanno trascinato i miei pensieri: sto fisso davanti alla stanza d’ospedale della ghiandaia imitatrice, mentre mi scopro a guardarla dormire. Ma guarda tu, il destino. Entro senza troppi complimenti e metto tutto il riguardo del mondo nello strusciare per bene i piedi sul pavimento.
Sveglia principessa. Ho bisogno di te ora.
Vedo da come sobbalza svegliandosi che sono l’ultima persona che avrebbe voluto trovarsi davanti.
Perfetto dolcezza: in un punto profondo della mia anima penso di odiarti tanto quando odio me stesso.
Vorrei davvero vomitarle addosso tutto quello che ho avuto modo di accumulare in volo sull’hovercraft. Vorrei farla sentire in colpa, per essere impulsiva e testarda, per essersi quasi fatta ammazzare, per non riuscire a capire che è l’unica cosa di cui vado fiero che mi è rimasta. Vorrei che fosse lei ad essere comprensiva.
In effetti vorrei un sacco di cose: troppe, per uno come me.
Forse è per questo che mi limito a lanciarle minacce efficaci sulla mia voce nella sua testa. Dal lampo angosciato che le passa negli occhi capisco che le mie richieste hanno sortito l’effetto sperato. Così come sono arrivato, me ne vado, strascicando i piedi in una trionfale uscita di scena. E mentre esco dalla stanza in grande stile penso proprio a quanto Katniss abbia ragione: è spaventoso avere la mia voce in testa ventiquattr’ore al giorno. Soprattutto per me. Specie se non posso zittirla con l’alcool.

Mentre penso tutto questo mi infilo controvoglia nell’ascensore e premo per la prima volta un tasto a me sconosciuto: quello dei piani abitativi. L’altra grande novità della giornata è stata infatti la notizia che il comando del 13 mi ha assegnato un alloggio: quattro mura spoglie in cui, a detta loro, sono già state recapitate tutte le mie cose. Mentre l’ascensore si apre e mi incammino per il corridoio, ridacchio tra me e me nel ripensare alle polemiche uscite nel fornire un’unità solo per me: senza nessuno con cui condividerla.
Queste erano le parole. Mi inorridisce anche solo pensare di condividere qualcosa con qualcuno.
Apro l’anonima porta di metallo e noto a malincuore il piccolo specchio che mi dà il benvenuto: guardo il mio riflesso e l’unica cosa che vedo è una barba ispida e incolta che chiazza un viso troppo vecchio per la mia età.
Chi diamine vorrebbe condividere qualcosa con me?

Anche al 12 avevo un’unità abitativa tutta mia. Una macchia marcia in un villaggio di vincitori vuoto.
Sbirciando la tabella di programmazione della troupe televisiva, credo proprio che Katniss e gli altri ci andranno  presto in visita per registrarci un altro pass pro; e che mi chiederanno di accompagnarli.
Io invece credo proprio che mi limiterò a stazionare nel mio nuovo alloggio. Dirò a Plutarch quello che ho sempre detto a tutti quelli che me l’hanno chiesto: che non ce la farei a sopportarlo senza una bottiglia.
E sono sicuro che sarà molto comprensivo. Tutti sono molto comprensivi. Sempre.
In effetti mi viene in mente che le uniche persone che non sono mai state comprensive sono anche quelle che hanno mai contato qualcosa.
Katniss che non poteva essere comprensiva, perché vedermi ubriaco significava meno speranze nell’arena.
Peeta che non poteva essere comprensivo, perché vedermi ubriaco significava che stavo attentando alla mia salute. Effie che non poteva essere comprensiva, perché vedermi ubriaco significava non dare un’immagine decorosa agli sponsor.
Dannazione. Uno su tre. Sono riuscito a salvarne uno su tre.
Chiudo con forza la porta, sbattendola contro il muro. Perché mi torna sempre in mente? Appena mi distraggo un attimo la figura sgargiante di Effie si riaffaccia con prepotenza. E’ il senso di colpa. So che è così. E non trovo modo di soffocarlo.
Che giornata di grandi riflessioni, Haymitch.

Come se tutto il peso degli avvenimenti si facesse sentire solo adesso, decido che staccare il cervello per ora è la soluzione migliore. Ma mentre mi accascio sul letto della mia nuova unità abitativa mi riesce impossibile non pensare al fatto che potrei proprio mettermi d’impegno per ridurla allo stato dell’altra. Potrei cominciare a vomitarci un po’ in giro, seminarci vestiti sporchi e sperare che la mancanza di finestre si riveli preziosa nel darmi una mano più in fretta. Cado in un dormiveglia senza sogni augurandomi che qualcuno, scoprendo quello che inizierò a fare da domani, smetta di essere tanto comprensivo.
 
 
  
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