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Autore: Patta97    16/02/2014    4 recensioni
Perché il giorno in cui non ci si dovrebbe sentire soli è proprio quando ci si rende conto di esserlo di più.
Una raccolta di one-shot dedicata a quasi tutti i personaggi senza il loro Valentino.
Note: angst, contenuti forti (primo capitolo), triste, fluff, amori unilaterali, SPOILER terza serie
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Era ovvio che non avrei completato entro il 14, vero? Beh, per me lo era.
Non ho nulla da aggiungere per il capitolo, solo che c'è tanto amore per John ed anche per Mary che vi piaccia o no. Il punto di vista è quello di Sherlock.
Grazie mille per quelli che leggono (e quelli che commentano sono sempre dei tesori che mi riscaldano il cuore). Spero recensirete numerosi.
A presto,
Chiara





 


Happy Valentine's Day. - Sherlock




Sherlock Holmes affondò il viso nel morbido pelo rosso di Redbeard.
Le sensazioni di quell’abbraccio stavano svanendo.
Devi cancellare delle nozioni inutili… Tipi di pistola? Tenere. Gestazione dell’essere umano? Tenere. Numero degli stati mondiali? Cestina.
Il familiare odore del suo cane - terra, croccantini, erba, campanule… - gli riempì le narici, mentre Redbeard gli leccava la faccia e i capelli con la sua lingua ruvida, festoso.
Pace. Tranquillità. Casa.
 
“Per quanto durerà, Redbeard?”
 
Il vecchio cane non rispose, ma gli premette il naso umido sul collo.
Sherlock chiuse gli occhi e quando li riaprì nuove scritte erano comparse attorno a lui.
 
“Quanto sei noioso, dolcezza…” la voce di Moriarty riempì la stanza scura e Sherlock si rese conto che anche Redbeard era sparito.
Era solo e quella voce era così vicina…
 
“Non hai ancora capito dove mi nascondo? Conta fino a dieci e vieni a cercare…” quasi cantò Jim.
 
E Sherlock contò fino a dieci e si alzò da terra, barcollando.
Attorno a lui, sulle pareti luride, appena visibili nell’ombra, scritte canzonatorie, minacce, insulti.
“Non ti trovo”.
 
“Corri” ordinò l’altro.
 
Sherlock corse e corse, perché la stanza era un corridoio e poi scale e il suo Palazzo gli sembrava estraneo, ostile, infinito.
Inciampò su qualcosa e finì a terra.
Era una catena. Una catena lunga, attaccata a un muro imbottito di cuscini. Il prigioniero non era più lì, era fuggito?
“Dove sei?” chiese, terrorizzato.
 
“Sono qui. Cerca” la risata cristallina quasi un sussurro. “Cerca ancora…
 
- …Sherlock?
 
Il detective aprì gli occhi rossi e stanchi e li puntò sulla signora Hudson, in piedi sulla soglia dell’appartamento.
Cena galante. Nuovo compagno. Poco più giovane. Non tornerà a casa.
 
- Sì, signora Hudson. Buona serata.
 
- Non mi stavi ascoltando, giovanotto. Ti ho chiesto da quant’è che non dormi.
 
- Che giorno è?
 
- Venerdì.
 
- Venerdì cosa?
 
- Quattordici febbraio, caro.
 
- Da quattro giorni.
 
La padrona di casa emise un verso di disapprovazione.
- E da quanto non parli con John?
 
- Ventotto giorni.
 
- E con Mary?
 
- Sette. Ha finito con l’interrogatorio? Vada a godersi la serata col suo compagno, immagino che l’età di lui la lusinghi più della mia compagnia.
 
- Non credo tornerò a casa, vedi di non cacciarti nei guai.
 
La risposta di Sherlock fu quella di rigirarsi sul divano per darle le spalle.
La signora sospirò e chiuse la porta. La ascoltò scendere le scale e chiudere il portone.
Era solo.
 
Che novità…
 
Il suo sguardo volò inevitabilmente alla poltrona vuota davanti al camino spento.
Una poltrona classica, comoda, ampia, un po’ sgangherata ma resistente. Una di quelle che durano per sempre. Di sicuro il suo proprietario non aveva seguito l’esempio.
 
“Da quanto non parli con John?”
 
Aveva detto la verità alla signora Hudson: erano ventotto giorni che non parlava con John.
Dopo essere sceso da quell’aereo che pensava lo avrebbe portato verso la morte, non avrebbe voluto fare altro se non stare con John e Mary - la sua famiglia.
Ma Moriarty era stato un’ottima scusa per non cedere al suo cuore imbizzarrito ed insensato.
Sfortunatamente, era da quel giorno che il Napoleone del crimine non dava segni, dopo la sua alquanto plateale e paralizzante ricomparsa. Se si escludevano due piccoli furti con scasso e il troppo-facile-anche-per-Lestrade Valentine’s Ripper, anche la criminalità londinese sembrava ferma, in attesa. Di cosa, restava un mistero.
E quella sorta di sospensione, di quiete, non facevano altro che aumentare a livelli insopportabili il silenzio che regnava al 221B.
Nessun ticchettare di polpastrelli sulla tastiera, nessun apri e chiudi del frigo, nessun sibilare di gas sotto al bollitore, nessun tintinnio di tazze, nessuna risata, nessuna voce…
L’assenza di John Watson era pesante. Pesante come poteva esserlo il carico del Cielo sulle spalle di una formica.
E l’amore profondo che Sherlock provava nei confronti di quell’uomo - così comune eppure così coraggioso e dipendente dal pericolo -, quell’uomo che gli aveva salvato la vita così tante volte e in così tanti modi… era inquantificabile.
Lui, William Sherlock Scott Holmes, era innamorato.
Era come se l’era aspettato: faceva male.
Si sentiva indifeso, schiacciato, annichilito di fronte a tutto questo, di fronte al proprio cuore - appena nato e già in pericolo di vita fra le mani incaute del suo dottore -, di fronte a quello che non potrà mai avere. Di fronte a ciò che aveva perso.
Perché non importava quello che aveva detto John: tutto era cambiato e niente era più come prima. Non poteva più esserlo.
 
“E con Mary?”
 
Sette giorni. Era già passata un settimana? Chissà come stava la bambina. Solo altri dodici giorni e Mary avrebbe concluso i nove mesi di gestazione.
Sherlock avrebbe tanto voluto poter monitorare i cambiamenti del suo ventre, del suo viso, del suo corpo, del suo comportamento e delle sue voglie… ogni giorno e di presenza. Ma si accontentava dei messaggi, una volta ogni tanto.
Perché, contrariamente a ciò che si sarebbe aspettato, non odiava Mary Morstan. Non l’aveva odiata quando l’aveva vista seduta a quel tavolo di fronte a John e non l’aveva fatto quando lei gli aveva sparato un calcolato quanto sorprendente proiettile contro. Anzi, provava una sorta di affetto e calore nei suoi confronti. Leggerezza quando la osservava ridere, ammirazione quando la ascoltava demolire un qualche suo finto racconto pretenzioso.
E quelle sensazioni le aveva provate con ben poche persone che avevano incrociato la sua strada.
Forse, solo una.
Era stato sincero quando aveva pronunciato il suo primo ed ultimo voto, al matrimonio: ci sarebbe stato - sempre - e li avrebbe protetti - sempre -, tutti e due, tutti e tre.
Anche se dovesse farlo da lontano, perché da vicino farebbe troppo male guardare.
Allungò un braccio per afferrare il cellulare dal tavolino accanto a sé e compose il messaggio.
 
Ha scalciato, oggi? SH
 
Proprio adesso. Credo riconosca il vibrare perentorio del cellulare quando sei tu a mandare un messaggio.
Nell’ultima ecografia abbiamo visto che sembra messa già nella giusta posizione per uscire e il cuore batte normalmente. Si succhiava il pollice ed aveva un’aria alquanto corrucciata. Avrà preso da te?
 
Sherlock chiuse piano gli occhi e si impose di non sorridere allo schermo di un cellulare.
 
Sei con John? SH
 
Deve ancora tornare da lavoro.
In questo periodo mi sento te.
 
Il tuo QI è aumentato ulteriormente? SH
 
Non che io sappia. Era già notevole di suo, comunque.
Intendevo che mi annoio.
A volte vorrei tanto poter sparare al muro.
 
Prova solo a non bruciare il pane. SH
 
La risposta tardò ad arrivare e Sherlock sorrise soddisfatto di se stesso e della sua piccola deduzione, nonostante tutto. Era quello che gli restava, alla fine, no?
 
Pane perfettamente cotto, grazie.
È tornato John.
 
No. Non voglio che me lo saluti. SH
 
Come preferisci.
Sta bene, comunque.
Sì, so che non me lo avevi chiesto, ma so che volevi saperlo. E gli manchi, lo capisco.
D’accordo, non rispondere pure, Sua Altezza.
Buon San Valentino, Sherlock.
 
Il telefono smise di vibrare e Sherlock lo lasciò cadere sul pavimento, tremante.
Ritornò nel suo Palazzo ad abbracciare Redbeard, cercando di calmarsi, sperando che Moriarty non venisse di nuovo a tormentarlo.
Oh, John. Fai piano con quel cuore…
  
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