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Autore: KakashiXSakura    16/02/2014    1 recensioni
E se Asuma non fosse morto? E se una ragazza di città si ritrovasse catapultata in un mondo a lei completamente nuovo? E se Kakashi la aiutasse ad ambientarsi? E se Obito si ripresentasse, volenteroso di ritornare ad essere un ninja di Konoha? E se accadesse qualcosa, qualcosa di irreparabile, da non poter più tornare indietro?
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Asuma Sarutobi, Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Obito Uchiha, Team 7
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Capitolo  1-
 
Era un giorno come tutti gli altri, piovoso e umido. Quando c’era il sole, era considerato quasi un miracolo, si festeggiava.
In quella piccola città, Hana si sentiva fuori posto. Aveva sempre saputo di essere diversa dalle altre ragazze della sua età. Aveva da poco compiuto vent’anni, ma certe volte se ne sentiva addosso cinquanta.
La sua non era una storia facile: appena nata, sua madre l’aveva abbandonata davanti ad una caserma e cinque militari erano stati la sua figura paterna fino ai quindici anni; poco prima di compiere sedici anni, fu portata in un altro quartiere e addestrata alla lotta. Non aveva mai studiato molto. Tutto quello che sapeva l’aveva imparato a suon di pugni.
Era abbastanza alta, pelle limpida e dura e capelli neri. Sulla guancia aveva una vistosa cicatrice che contrastava con i suoi occhi azzurri.
Così, in quell’ennesima giornata piovosa, Hana era in cerca di un lavoro. Non le era mai andata molto bene, a causa della condotta: a diciassette anni, infatti, gli fu attribuita la nomina di “criminale abituale”, dato che era stata sbattuta dentro parecchie volte.
Doveva andarsene via da quella città, se voleva sperare in una vita diversa. Lì, tutto ciò che la aspettava, era la solitudine e l’isolamento.
Camminava ormai da un paio d’ore, quando il suo sguardo si posò sulla vetrina di un negozio. Non era interessata ai vestiti che sfoggiava il manichino, bensì all’uomo che intravide attraverso il vetro. Riusciva vagamente a distinguere una sagoma alta accanto alla cassa. Era di spalle, ma si capiva benissimo che veniva da fuori, per via degli indumenti.
Concluso il suo acquisto, l’uomo uscì dal negozio e si accorse di essere osservato.
“Posso aiutarla?” chiese in tono gentile alla ragazza. Hana rimase qualche secondo imbambolata a fissare il suo interlocutore. Aveva i capelli corti e neri e portava la barba, aveva gli occhi neri come la pece e la pelle abbastanza scura. Mentre aspettava una risposta, si era acceso una sigaretta.
“No. Devo averla scambiata per un altro.”
L’uomo scrollò le spalle, poi salutò la ragazza con un cenno del capo, e si allontanò.
Ora o mai più, si disse Hana. Lasciò tutto e cominciò a seguire quell’uomo.
 
 
“Ma è mai possibile che pensi sempre al cibo, tu?!” la voce di Sakura Haruno risuonò per tutto il villaggio.
“Ma cosa ci posso fare se ho fame, Sakura?” si giustificò Naruto Uzumaki, meglio noto come il baka di Konoha.
“Andiamo, ragazzi, non c’è bisogno di sbraitare come oche!” eccolo, Sasuke Uchiha, un altro bel tipo.
Mentre passeggiavano per le vie del villaggio, sotto gli sguardi ora spaventati ora minacciosi della gente, si diressero nell’ufficio dell’Hokage.
“Signorina Tsunade, ci ha fatti chiamare?” disse Sakura, appena furono entrati.
“Sì, devo parlarvi” rispose l’Hokage.
Naruto si chiuse la porta alle spalle e si unì alla conversazione.
“Allora, nonna Tsunade, come mai voleva vederci?” chiese con un sorriso a trentadue denti, che gli si spense sul volto non appena notò l’irritazione della donna.
“Si tratta di Sasuke. Per molti abitanti del villaggio sei un pericolo, ti considerano ancora un traditore, e questo si ripercuote su chi ti sta intorno” cominciò seria, rivolta verso l’Uchiha. Quest’ultimo fece una smorfia.
“Non mi interessa cosa pensa la gente” rispose freddo. Sakura si voltò a guardarlo, come se volesse dire qualcosa, poi abbassò lo sguardo, decidendo di rimanere in silenzio.
“Sasuke, magari a te non interessa, ma la gente comincia a non fidarsi delle persone che ti frequentano. Sakura, diglielo.”
La rosa rimase interdetta. Dirgli cosa?
Oh, già, quello…
“Non credo sia necessario” balbettò.
“Ho detto diglielo” tuonò invece Tsunade. Sakura restò qualche secondo a guardarla, poi sospirò.
“Ieri pomeriggio, in ospedale, due uomini si sono rifiutati di farsi curare da me, perché sono convinti che ti stia aiutando a cospirare contro il villaggio per distruggerlo dall’interno, o robe simili..” confessò infine.
In tutta risposta, Sasuke ghignò.
“Senta, signorina Tsunade, cosa vuole che faccia? Che mi metta a pulire le case degli anziani? O magari che cominci a servire ai tavoli dei ristoranti? No, forse è meglio che mi metta a fare il lavapiatti, per conquistare la loro fiducia! Se quello che ho fatto insieme a loro due non è bastato, a questo punto non mi interessa più la loro fiducia” concluse.
Naruto, intanto, sentendo le parole del moro, cominciò a frugarsi nelle tasche.
“Che diavolo stai facendo?” lo rimproverò l’Hokage, abbastanza infastidita.
“Cerco un pezzo di carta su cui segnarmi la data di oggi. Questo è il discorso più lungo che Sasuke abbia mai fatto! Bisogna festeggiare!” rispose lui, tutto sorridente, come un bambino.
Neanche dieci secondi dopo, cacciò un urlo di dolore: Sakura gli aveva mollato l’ennesimo pugno in testa.
“Ritornando a noi: non ti chiedo di metterti a fare il lavapiatti, ma cerca, anzi, cercate di non..come dire.. sembrare troppo strani. Ad esempio, non prendetevi a pugni mentre passeggiate: diciamo che le persone normali non lo fanno” disse l’Hokage.
Detto proprio da lei, suonava strano: Tsunade era la prima a perdere il controllo e a menare mazzate, ma in quell’occasione, doveva comportarsi da ‘persona normale’.
“Signorina Tsunade, per loro tre è normale fare a pugni: l’hanno sempre fatto e sempre lo faranno. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio!”
I tre ragazzi si voltarono: a parlare era stato il loro maestro, Kakashi.
“Kakashi, cosa ci fai qui?” chiese sorpresa l’Hokage.
“Bè, hai richiesto il Team 7, se non mi sbaglio ne faccio parte anche io” rispose con naturalezza. Sakura sorrise fra sé e sé.
Tsunade annuì.
“Suppongo che una persona che ragiona lucidamente serva a questi tre scavezzacollo” sospirò. Naruto scoppiò a ridere.
“E il maestro Kakashi dovrebbe insegnarci a comportarci normalmente?” se ne uscì, continuando a ridere. L’albino lo guardò offeso.
“Scusa, che vorresti dire?” gli chiese accigliato.
“Mi duole ammetterlo, ma Naruto ha ragione. Insomma… come si può considerare normale un tizio che va in giro mascherato a leggere libri porno?” si intromise Sasuke, ghignando.
“E che fa sempre tardi per tutto?” aggiunse Sakura, guardando il suo maestro con aria severa.
Kakashi si portò una mano dietro la testa e cominciò a grattarsela, mentre portò l’altra a vanti e l’agitò in segno di scusa.
“Avavnti, ragazzi, mi fate fare brutta figura” disse imbarazzato.
Shizune, che era rimasta tutto il tempo ad osservare la scena, non riuscì a trattenere una risatina. L’Hokage si lasciò andare nello schienale della poltrona.
“Siete irrecuperabili” commentò.
 
“Allora, ce lo offre un bel pranzo?” chiese Naruto al suo maestro, uscendo dall’ufficio di Tsunade.
“E perché dovrei offrivi un pranzo?” obiettò l’albino.
“Perché quel baka di Naruto è sempre senza soldi” rispose per lui Sasuke. Il biondo gli fece una smorfia.
Sakura si avvicinò al moro, e gli bisbigliò qualcosa nell’orecchio, che lo fece ridacchiare.
“Che avete da parlottare, piccioncini?” si intromise Kakashi. Sakura divenne rossa come un peperone.
Non si era ancora abituata all’idea di essere innamorata. Da quando Sasuke era tornato, tutti i sentimenti che credeva aver smesso di provare, le si erano rivoltati contro, come se avessero voluto soffocarla, se non fosse riuscita a parlarne con qualcuno. E con chi parlarne, se con il proprio maestro? All’inizio, l’idea migliore sembrò Ino, la sua migliore amica, ma poi pensò che, pettegola com’era, lo avrebbe detto a cani e porci. Certo, un uomo pervertito che conosceva sia lei sia il moro da quand’erano dei bambini, forse non era l’ideale, ma di certo non ne avrebbe parlato con Naruto. Hinata non aveva propriamente l’aspetto della confidente, anche perché non la conosceva così bene come conosceva Ino e, sebbene si fidasse, non se la sentiva di confidare un segreto così grande proprio a lei. Poi, le passò davanti il suo maestro, e ogni dubbio svanì. Lui la ascoltò in silenzio, uscendosene ogni tanto con qualche battutina del tipo ‘credevo avessi scelto Naruto, alla fine’ oppure ‘guarda che sono geloso’, ma il suo obiettivo era solamente quello di farla ridere e sciogliere la sua tensione.
“Allora?” insistette lui, interrompendo il flusso dei pensieri della rosa.
“Oh, niente..” mormorò.
Sasuke, d’altro canto, sembrava finalmente aver capito cosa significa provare affetto verso qualcuno. Non si poteva dire che fosse innamorato, ma passava molto tempo con i suoi amici e, a volte, arrivava addirittura ad abbracciare Sakura e Naruto. Oramai non era raro vederlo ridere e scherzare, anche se non aveva completamente perso la sua freddezza. Non parlava quasi mai dei suoi pensieri o di come si sentiva. Non affrontava discorsi pesanti e si teneva sempre sul vago, ma era già un grande passo in avanti.
“Sakura mi ha ricordato di qualche giorno fa, quando Naruto si è messo a lavare i bagni di un ristorante perché non aveva abbastanza soldi per pagare la cena” disse Sasuke. Naruto divenne paonazzo; stava per dire qualcosa, quando Kakashi lo zittì con un cenno della mano.
“E va bene, vi offro il pranzo, ma non prendetevi a pugni. Oggi cerchiamo tutti di essere più…ehm… normali” concluse Kakashi, anche se nessuno dei quattro sapeva cosa significasse davvero essere normali.
 
“Maestro Asuma, è tornato!” esclamò Naruto, vedendo il moro entrare nello stesso locale dove da poco erano arrivati i quattro.
“Oh, ciao Naruto. Sì, sono tornato poco fa. Non ho ancora visto Shikamaru. A proposito, sapete dov’è?” chiese Asuma.
Nessuno dei quattro gli rispose, impegnati ad osservare la ragazza che lo seguiva come un cagnolino, e che era evidentemente a disagio. Il moro se ne accorse, ma fece finta di niente.
“Allora?” li incitò. Insieme, fecero segno di no con la testa.
“Chi è lei?” chiese infine Naruto, dopo aver osservato a lungo la ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurri dietro Asuma.
“Si chiama Hana, l’ho incontrata sulla strada di ritorno e l’ho accompagnata qui” rispose con leggerezza.
Sì, accompagnata… pensò la ragazza.
 
Aveva seguito quello strano tizio fino al confine della città, finché lui non spiccò un balzo e si addentrò nel bosco vicino. Rimase qualche secondo a bocca aperta, poi cominciò a correre nella sua direzione. Seguì l’istinto, dato che non sapeva dove fosse andato, fino a che non raggiunse una piccola radura, dove notò l’uomo seduto su una roccia, che la aspettava.
“Ce ne hai messo di tempo per arrivare” le aveva detto.
“Se ti sei accorto che ti seguivo, perché non mi hai fermata prima?” chiese lei con il fiatone.
“Perché così è più divertente” rispose lui sorridendo e accendendosi una sigaretta. Non c’era malizia dietro le sue parole, solo lo trovava davvero divertente farsi seguire e poi agire di sorpresa.
“Di dove sei?” chiese Hana, dopo un lungo silenzio.
“Io sono un ninja del Villaggio della Foglia, tu come ti chiami?”
Un ninja? Ma di che diavolo sta parlando? Si chiese lei.
“Io mi chiamo Hana, e tu?” disse, alzando il mento come per dimostrare di non avere paura di lui. L’uomo, per tutta risposta, scrollò le spalle e sorrise divertito.
“Mi chiamo Asuma. Come mai mi seguivi?” le chiese indagatore, tornando serio.
Hana non sapeva cosa rispondere, in realtà non sapeva neanche perché l’avesse fatto. Non che si fosse lasciata dietro chissà cosa, non aveva neanche una casa. Però si rese conto solo in quel momento di essersi addentrata in una realtà che non conosceva. Aveva fatto un tuffo nel vuoto.
“Non lo so” ammise, abbassando il capo sconfortata. L’uomo, quasi intenerito, si alzò e le andò incontro. Le poggiò una mano sulla spalla e con l’altra le sollevò il mento.
“Senti, io sto tornando a casa. Non ti posso riportare indietro, ma se vuoi venire con me, ci aspetta un viaggio di due giorni, te la senti?” le chiese gentile.
La ragazza ebbe un moto di stizza appena lui la toccò, infatti si liberò delle sue mani e incrociò le braccia. Sotto lo sguardo perplesso dell’uomo, rimase a pensarci un istante. Poi sospirò.
“E va bene, ma non ho nulla. Né cibo né acqua, né tanto meno vestiti” disse, notando varie macchie di grasso sui suoi jeans, che erano anche strappati, fra l’altro.
Asuma la squadrò: era troppo appariscente portare una ragazza vestita così a Konoha. Aprì il suo zaino e le diede il suo cambio. Hana sembrò non capire.
“Puoi indossare questi. Forse sono un po’ larghi, ma è meglio di niente” disse lui. La ragazza accettò senza troppe cerimonie.
Cominciò a spogliarsi e Asuma, come fulminato, si voltò di scatto. La ragazza sorrise divertita.
“Cos’è, ti vergogni?” lo punzecchiò. Il moro arrossì, e ringraziò il fatto di essere di spalle, in modo da non poter essere visto.
“N-no, è c-che…” balbettava.
“Tranquillo, se la tua fidanzata è gelosa ti capisco” lo interruppe lei, con un ghigno dipinto sul volto, mentre si infilava i pantaloni neri di Asuma.
“Bè, in effetti ha un bel caratterino…” rifletté ad alta voce.
“Ho finito” avvisò la ragazza.
Asuma si voltò a guardarla, poi sorrise.
“Come sto? Sono ridicola, vero?” si schermì lei.
“No, è solo… enorme” convenne l’uomo. Dato che era estate, aveva portato con sé una maglietta a maniche corte, che ora scoprivano le braccia magre della ragazza, ricoperte di cicatrici. Aveva le mani forti e le unghie per niente curate. Aveva legato la felpa in vita e fatto la piega ai lunghi pantaloni neri, scoprendo le gambe fino al ginocchio, anch’esse piene di lividi e graffi.
“Che hai fatto?” chiese Asuma, riferendosi agli innumerevoli segni. Lei li guardò, poi scrollò le spalle con noncuranza.
“Non lo so, non mi ricordo” disse solo. L’uomo inarcò un sopracciglio, ma poi fece spallucce e cambiò argomento.
“Allora, di cosa parliamo? Il viaggio è lungo” disse. La mora fece un sorriso furbetto.
“Della tua ragazza, naturalmente.”
Asuma sorrise, poi si voltò e cominciò a balzare da un ramo all’altro.
 
 
“A cosa pensi?” le chiese Kakashi, facendola tornare alla realtà. Asuma le aveva chiesto di farle fare il giro di Konoha, e ora stavano camminando tra le strade deserte del villaggio.
“Niente in particolare” mentì. “Come mai non c’è anima viva?” chiese poi. L’albino non sollevò lo sguardo dal suo libro.
“E’ ora di pranzo, la gente starà mangiando” rispose tranquillo.
Dopo un quarto d’ora che camminavano, Hana si fermò di colpo. Kakashi alzò gli occhi dal libro per la prima volta, posandoli in quelli fieri della ragazza.
“Che hai?”
“Che ho? E’ un’ora che camminiamo, non mi dici dove stiamo andando e non sei neanche di compagnia, se vuoi saperlo. Potevo farlo da sola, il giro del villaggio” sbuffò ad alta voce. Kakashi sorrise da dietro la maschera, poi, sotto gli occhi increduli di Hana, posò il libro nella tasca.
“Hai ragione, scusa. Allora, di che vuoi parlare?”  le chiese gentilmente. Di solito lei odiava chi le parlava così. Non era abituata alla cortesia e le suonava così falso e fastidioso quel tono, eppure, per la prima volta, sorrise quando l’uomo finì di parlare. Certo, sorriso è una parola grossa. Era più un ghigno, simile a quelli di Sasuke.
“Che fai nella vita?” chiese di punto in bianco Hana, dopo averci pensato un po’. I due ripresero a camminare.
“Faccio il ninja” rispose vago.
Hana scoppiò a ridere e Kakashi la guardò accigliato.
“Sul serio? Il ninja?” soffocò a stento un’altra risatina.
“Sì, il ninja. Scusa, ma perché ti comporti così?” l’albino non riusciva a capire cosa ci fosse di divertente. Hana si ricompose.
“Niente, scusami.”
“No, adesso me lo dici” insistette lui. Hana lo fissò negli occhi con uno sguardo di sfida.
“Sono cresciuta tra soldati, che combattono con armi vere, che muoiono o tornano mutilati, sono stata addestrata da ragazzina ad usare ogni genere d’arma conosciuta e le mie cicatrici lo provano, e tu te ne esci con questa storia dei ‘ninja’?”
Kakashi stava cominciando a provare simpatia per quella ragazza, ma era bastata una frase, per far crollare tutto. Il suo sguardo passò dal curioso, al perplesso, fino ad arrivare all’odioso.
“Stammi bene” disse solo, poi spiccò un salto e scomparve. Decise che era meglio così, o l’avrebbe picchiata a sangue, poco importava se fosse una donna.
“Certo che questi tizi sono proprio strani…” borbottò Hana, oramai rimasta sola a vagare per un luogo a lei sconosciuto.
  
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