Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: holls    17/02/2014    9 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
26. Verità rivelate
 
 
26 gennaio 2005.
 
Come Alan si svegliò, allungò una mano verso l’altra piazza del letto, trovandola vuota. Si voltò verso la sveglia, che segnava le 7:45. Evidentemente, qualcuno era stato più mattiniero di lui, o almeno così sperava.
Si stiracchiò e si alzò di malavoglia.
Si aggirò per casa e, come giunse in salotto, trovò Nathan ad allacciarsi le scarpe.
« Dove vai, così presto? »
Nathan quasi sobbalzò: non l’aveva sentito arrivare. Strinse il nodo che aveva appena formato, poi si alzò, con un sorriso.
« In banca. Devo fare un bonifico. »
« Oh. Per cosa? »
Nathan si avvicinò a lui, che, di rimando, lo abbracciò, lasciandogli un piccolo bacio sulla fronte.
« Devo restituire dei soldi che non mi appartengono. »
Senza che dicesse altro, Alan capì che non si riferiva ai soldi della rata che gli aveva pagato, ma non gli avrebbe fatto altre domande. Era disposto a pensare che, ormai, non avevano più alcun segreto, niente che potesse allontanarli di nuovo, ora che si erano ritrovati.
Sorrise.
« Ah, non so se torno per pranzo, oggi. Ci sono state delle svolte nelle indagini e non so quanto tempo mi prenderà la questione. »
« Va bene, non c’è problema. Ricordati solo di tornare in tempo per la festa. »
Alan ripensò alla proposta di Ashton e a come Nathan l’aveva accolta seriamente. Ridacchiò tra sé e sé.
« Tranquillo, me ne ricordo. Ora vai, sennò trovi troppa coda. »
Si salutarono, e Alan lo osservò mentre usciva di casa, la loro casa.
E sentì una stretta al cuore.
 
***
 
C’erano  dei  testimoni  per  l’incidente  di  Ashton, due persone che si erano fatte avanti la sera prima. Dopo un breve interrogatorio, la polizia aveva scoperto che, nonostante l’auto avesse visto perfettamente Ashton, non aveva né rallentato né tentato di frenare. Era andata a diritto, e non si era nemmeno fermata dopo l’incidente. I testimoni avevano confermato che l’auto era piuttosto particolare, anche se non erano stati capaci di identificare il modello; lo avevano intuito, oltre che dall’estetica retrò, anche dalla targa vecchio stile.
 
Tornare a occuparsi del caso gli faceva uno strano effetto. Un paio di giorni dopo l’incidente di Ashton, infatti, Edmond aveva acconsentito alla sua riammissione nelle indagini.
Una volta arrivato in centrale, Alan si era messo subito al lavoro e aveva cominciato a sfogliare il verbale. Non poteva fare a meno di scorrere gli occhi su quei simboli senza sentirsi potente: uno dei testimoni, infatti, era riuscito a leggere le prime tre cifre della targa.
Alla sola idea di fare un controllo incrociato con l’elenco che gli aveva fornito Ashton, si sentì invaso da una sorta di eccitazione, come quella che precede una grande scoperta.
Mentre si incamminava verso il suo ufficio, cominciò a ponderare ipotesi.
Di sicuro c’erano molte persone che avevano interesse a uccidere un maniaco sessuale, ma, si ricordò, non erano emerse altre denunce a suo carico, né c’erano stati episodi rilevanti nel mondo della droga, del quale Sánchez aveva fatto parte per diverso tempo.
L’unico che poteva avere un ovvio legame col maniaco era stato scartato: Nathan, infatti, si era rivelato troppo mingherlino rispetto alla figura ripresa dalle telecamere.
Chi poteva volere la morte di quell’uomo?
Evidentemente, l’assassino era qualcuno che aveva un legame sia col maniaco che con Ashton. C’era qualcuno che aveva a che fare con loro, più o meno indirettamente, e che aveva deciso di portare scompiglio nelle loro vite.
Ma chi era? E qual era il suo movente?
Quelle domande tormentarono Alan, almeno finché non mise le mani sopra al fascicolo contenente l’elenco.
Lo aprì bramoso e cominciò a sfogliare freneticamente tutti i fogli, finché non trovò ciò che cercava, nascosto tra un paio di foto segnaletiche.
Quell’elenco, dal quale erano state malamente cancellate alcune righe, si rivelò improvvisamente essere un tesoro prezioso.
Cominciò a scorrere col dito tutte le targhe, alla ricerca di quella che corrispondesse, in parte, a quanto riferito dai testimoni.
224, 224…
E poi, finalmente, la vide. Lo sguardo gli scivolò fino alla fine dell’elenco, per essere sicuro di non tralasciare niente, ma non trovò altri riscontri. Ciò che cercava era proprio lì, sotto ai suoi occhi.
2248 – BW.
Non era sicuro che fosse proprio l’auto che cercava, ma, certamente, era un inizio.
Il dito scorse ancora sulla riga interessata, fino a che non trovò l’indirizzo del proprietario, un certo Mason Morris.
Uscì in fretta e furia dall’ufficio, stringendo tra le mani l’elenco di auto; e quel fremito di ansia ed eccitazione lo scosse talmente tanto che guardava a malapena dove andava. Giunse all’ufficio di altri due colleghi, ed era talmente impaziente di portare la notizia, che nemmeno bussò prima di aprire.
« Ragazzi, ho bisogno del vostro aiuto. »
Sbatté l’elenco sulla scrivania di un giovane poliziotto, Hartman, attirando l’attenzione del collega all’altra scrivania. Non appena ebbe richiamato l’attenzione di entrambi, indicò l’esito della sua ricerca.
« Dovete trovare questa macchina, il prima possibile. Controllate caselli, telecamere, quello che volete. »
Gli altri due annuirono senza proferire parola, se non un timido e spaesato ‘Va bene’, probabilmente assoggettati dalla figura di Alan.
Uscì dall’ufficio e corse a prendere il necessario per cominciare la sua ricerca. Non vedeva l’ora di arrivare alla tanto agognata verità.
 
***
 
Nei giorni precedenti, aveva fatto qualche rapida ricerca su tutti i proprietari e ricordava che Mason Morris era attualmente in carcere per omicidio. Pareva, infatti, che avesse assassinato a sangue freddo un ragazzo di sedici anni, reo soltanto di aver fatto la corte alla fidanzatina di suo figlio. Una banale faida tra famiglie, che, purtroppo, si era risolta nel sangue.
Mason era stato condannato a quindici anni di carcere, perciò era quasi certo che, in casa, vi avrebbe trovato solo la moglie e, cosa più importante, non poteva essere lui la persona ritratta dalle telecamere, quella sera. Aveva comunque chiesto, per eccesso di zelo, un incontro speciale con Mason al carcere Bayview.
 
La casa dei Morris era una piccola villetta monofamiliare, circondata da un giardino di piante appassite e sotterrate dalla neve, che, certamente, avevano visto tempi migliori. Gore d’acqua incrostate sui vetri, tetto a chiazze per le tante tegole mancanti; tutto era lasciato a se stesso.
Alan scese di macchina e percorse il vialetto di ciottoli scomposti che portava al campanello, il quale, notò, era totalmente ossidato. Schiacciò il pulsante, in attesa di una risposta.
Senza nemmeno chiedere chi fosse, aprì la porta una donna di mezza età. Alan non avrebbe saputo contarne gli anni, perché il contrasto tra le pieghe del visto, ancora morbide, e lo stato in cui versava era troppo marcato perché potesse esprimere un parere univoco.
Aveva una chioma brizzolata e raccolta in un disordinato chignon, occhi pesti e privi di ogni vitalità, un paio di labbra piegate all’ingiù dal peso del tempo. Indossava una vestaglia scolorita e rattoppata alla meno peggio, accompagnata da un paio di ciabatte bucate in prossimità dell’alluce.
La donna non mutò la sua espressione nemmeno quando vide Alan sulla soglia; sembrava che l’aver di fronte uno sconosciuto non la turbasse minimamente, nemmeno per un po’ di sana curiosità.
« Lei è Catherine? »
La donna annuì e aprì maggiormente la porta, gesto che lasciò Alan stupito.
« Sono Alan Scottfield, dipartimento di Polizia di Manhattan. Posso entrare? »
Si accorse che la domanda era retorica, perché la donna si era già rintanata in casa, aspettando che Alan chiudesse la porta dietro di sé. Lui obbedì silenzioso e, come entrò in quell’abitazione, un pungente odore di muffa gli entrò prepotente nelle narici.
Percorse qualche passo su quel parquet impolverato, e sentì uno scricchiolio provenire da sotto i suoi piedi. Gli sembrava che qualcosa potesse rompersi da un momento all’altro.
La donna era seduta sul divano, pacata e silenziosa, per niente infastidita dall’ospite sconosciuto. Alan decise di approfittare di quella apparente fiducia per curiosare discretamente in quell’abitazione.
A una rapida occhiata, non sembrava esserci niente di sospetto in quella casa, polvere e muffa a parte: un divano logoro, una credenza semi-vuota, una televisione vecchia di almeno dieci anni. L’unica cosa che sembrava donare un po’ più di vivacità a quell’antro impersonale era una cornice, posta su un ripiano, con una foto di famiglia: padre, madre e figlio piccolo. La madre assomigliava moltissimo a Catherine, ma non sapeva dire quanto tempo prima fosse stata scattata; il padre raffigurava un Mason un po’ più giovane, o almeno era ciò che ipotizzava, dopo aver visto la foto segnaletica. Il bambino, a cui non avrebbe dato più di dieci anni, aveva l’aria più imbronciata dei suoi genitori, spento come la Catherine che sedeva sul divano accanto a lui.
Non c’erano altre foto, almeno non in quella stanza.
Alan si ritenne soddisfatto e prese posto sul divano, di fianco alla signora. La donna alzò gli occhi verso di lui, ma non suscitavano alcuna emozione. Si sentì strano di fronte a quella donna, perché sembrava un essere umano a cui avevano portato via anche l’anima. Non sapeva bene come approcciarsi a lei e questo gli provocò una sensazione di smarrimento.
Tossicchiò appena per smorzare la tensione.
« Allora, dicevamo. Lei è la moglie di Mason Morris, giusto? »
La donna annuì lentamente.
« Suo marito sta scontando una pena di quindici anni per omicidio preterintenzionale, se non erro. »
La signora abbassò lo sguardo, ma Alan non fu capace di leggervi alcun sentimento. Non sembrava rattristata, né infastidita, ma non era facile descrivere come si sentisse.
« Suo marito è anche proprietario della vostra auto, una Ford Mustang targata 2248 – BW. Lei usa spesso quell’auto? »
La donna scosse il capo. Alan stava già per riprendere la parola, quando, inaspettatamente, la signora lo fece prima di lui.
« Non ho la patente. Non guido. »
La sua voce era gracchiante, ma senza incertezze. Probabilmente non parlava spesso e questo spiegava il tono appena sussurrato.
« Non guida? E allora perché continua a pagare l’assicurazione per quell’auto? »
La donna scrollò le spalle, in un movimento lento e appena percettibile.
« È la macchina di mio marito. La tengo per quando tornerà. E poi talvolta la usa mio figlio, quando viene qui. »
Alan si grattò il mento, dubbioso sull’esito di quella conversazione. Non era sicuro che l’avrebbe portato lontano.
« Posso vedere l’auto? »
« È in garage. Venga, le faccio strada. »
 
Alan seguì la donna verso il garage, dopo aver recuperato le chiavi. Aspettò che la saracinesca si alzasse e sperò che avvenisse il prima possibile: il cigolio che emetteva era piuttosto fastidioso.
Quello che si trovò davanti fu piuttosto bizzarro: il garage era vuoto. Almeno ad una prima occhiata, l’auto non c’era.
Si voltò verso la signora, che, come lui, aveva capito che qualcosa non quadrava. Era a bocca aperta, con le chiavi in mano e, per la prima volta, Alan intravide in lei una qualche sorta di emozione. Aveva inarcato appena le sopracciglia e, pensò, doveva essere davvero sorpresa.
« L’auto non c’è! »
La donna spostò il suo sguardo verso Alan, come in cerca di una risposta, e ripeté, scioccata, quando aveva appena esclamato.
Effettivamente, l’auto non c’era davvero.
« Non è che l’ha presa suo figlio? O forse è dal meccanico. »
Ma la signora sembrava non prestargli ascolto. Si portò le mani alla bocca, ancora incredula di fronte a quello spettacolo.
« Qualcuno ha rubato l’auto! »
Alan si avvicinò alla donna e le cinse le spalle, nel tentativo di contenere la sua agitazione.
« Si calmi, Catherine. »
Quelle parole ebbero l’effetto sperato, perché la donna tacque improvvisamente, sebbene fosse ancora irrequieta.
« Chi altri, oltre a lei, possiede le chiavi? »
La donna scosse il capo.
« Solo io! »
« Ha per caso subito un furto, di recente? O magari ha fatto entrare un estraneo? »
La donna scosse il capo nuovamente. Alan emise un sospiro secco.
« Lei mi può assicurare che nessun altro possiede la copia di queste chiavi? »
« Sì, ne sono sicura. »
Alan si portò una mano sulla fronte, pensoso.
« Nemmeno suo figlio? »
« No, lui usa sempre il mazzo che teniamo qui. »
Alan annuì e il suo sguardo si posò sulla saracinesca di fronte a lui. Si avvicinò alla serratura, nella quale la donna aveva introdotto la chiave per far aprire il garage. La scrutò ben bene, per quanto fosse possibile, ma non vi notò niente di sospetto. Si acquattò allora per controllare la saracinesca, ma, anche lì, non trovò niente che gli facesse pensare a un tentativo di scasso.
Se qualcuno avesse tentato di aprire a forza il garage, se ne sarebbe accorto senza troppi problemi. Ma il meccanismo aveva funzionato troppo bene per pensare che potesse essere stato manomesso, e sembrava tutto in perfette condizioni, per quanto vecchio e logoro.
L’unica cosa che gli appariva chiara era che la persona che aveva preso l’auto doveva avere necessariamente una copia del mazzo, che l’avesse ottenuta in modo lecito o meno.
Alan sbuffò. Si fidava delle parole della signora, ma non gli sembrò fuori dal mondo il fatto che il figlio avesse potuto fare una copia personale delle chiavi.
« Potrebbe darmi un recapito di suo figlio? Un indirizzo, un numero di telefono. »
La donna annuì con sguardo perso, mentre Alan tirava fuori un blocchetto di appunti.
« Sì, sì. Le do il numero di telefono. Magari lui sa qualcosa! »
Scribacchiò il numero e pensò subito che, dopo l’incontro con Mason, avrebbe provato a ottenere qualche informazione. Sperò solo che il figlio fosse più sveglio della madre.
Per il momento, poteva bastare. La signora gli sembrò realmente estranea alla vicenda e capì che non avrebbe tratto molte altre informazioni.
 
Si congedò dalla donna, dopo averla calmata, rassicurandola sul fatto che, previa denuncia, avrebbero fatto il possibile per ritrovare la sua auto.
Alan rientrò in macchina, cercando di fare il punto della situazione.
L’auto che aveva investito Ashton, la cui targa era stata intravista da alcuni testimoni, era la stessa dell’assassino di Sánchez, almeno stando alle dichiarazioni del suo collega. La macchina apparteneva a Mason Morris ed era regolarmente registrata e mantenuta. L’auto, però, era scomparsa, ma non c’erano segni di scasso né sulla serratura del garage, né sulla saracinesca.
Alan era sempre più convinto che qualcuno avesse una copia delle chiavi, benché non sapesse dire come l’avesse ottenuta.
 
Preso dall’euforia, non si era neanche accorto che, ormai, l’ora di pranzo era già passata. Comprò un panino al volo e inviò un sms a Nathan, dicendogli che, probabilmente, quella sera sarebbe rincasato con un po’ di ritardo. Poi si ricordò della festa e chiese a Nathan di accogliere gli ospiti, in attesa del suo ritorno.
Dopo aver ottenuto una risposta affermativa e un ‘Buona fortuna’, tornò a concentrarsi sul suo caso, sempre più euforico. Impostò la sua prossima destinazione e mise in moto la macchina, mentre immaginava un possibile colloquio con Mason. Provò a pensare a che tipo fosse, quanto sarebbe stato riservato e quando, invece, avrebbe saputo dirgli.
Non aveva percorso che pochi metri, quando il cellulare squillò. Parcheggiò alla meno peggio davanti al primo passo carrabile disponibile, poi rispose.
« Pronto? »
« Alan, sono Hartman. L’abbiamo trovata! »
Impiegò qualche frazione di secondo per capire che si riferiva all’auto scomparsa. La notizia lo sorprese. Non si aspettava che fosse ritrovata in così poco tempo.
« La scientifica si sta mettendo al lavoro, ma anche a occhio nudo sono visibili tracce di sangue sui sedili posteriori. »
Sangue. Era forse quello di Sánchez?
« Dove l’avete trovata? In che condizioni è? »
« Sulla statale 646, all’altezza di Pleasantville Road, nel New Jersey. Le condizioni sono buone, ma è molto probabile che il guidatore l’abbia abbandonata lì di proposito, visto che era nascosta tra la vegetazione. »
« Capisco. »  Alan guardò l’orologio e si ricordò dell’appuntamento che si era preso con Mason. « Senti, ci risentiamo più tardi, se hai qualche novità. Tienimi aggiornato. »
L’altro mugolò qualcosa e riattaccò.
E così, pensò, colui che si era impossessato dell’auto se ne era sbarazzato. La soluzione più naturale è che l’individuo che aveva sottratto l’auto per poi abbandonarla fosse l’assassino, ma Alan non riusciva ancora a capire come avesse ottenuto le chiavi dell’auto o perché non ci fossero segni di effrazione da nessuna parte. Che c’entrasse qualcosa il figlio dei Morris?
Buttò un’occhiata al foglio dove aveva appuntato il suo numero. Dopo l’interrogatorio con Mason, pensò, ci avrebbe fatto una bella chiacchierata.
 
***
 
Arrivò al carcere di Bayview e, dopo aver dato le sue credenziali, fu accompagnato in sala colloqui da una guardia penitenziaria.
Alan attese l’arrivo di Mason su una scomoda sedia di legno, mentre il suo sguardo si perse sul soffitto della stanza, dove, agli angoli, riuscì a intravedere qualche ragnatela. I secondini ai lati della porta avevano uno sguardo decisamente severo, ma non seppe dire se fosse per figura o se per una naturale inclinazione al sadismo.
Dopo poco, la porta si spalancò e Mason comparve, scortato da due guardie. Una terza chiuse la porta alle loro spalle, mentre i secondini facevano sedere il detenuto di fronte ad Alan.
Una folta barba brizzolata faceva da cornice al volto dell’uomo, che lo osservava con i suoi occhi chiari, circondati da un paio di folte sopracciglia di un nero corvino. Aveva un naso piuttosto pronunciato e labbra sottili.
Guardandolo da lontano, ebbe come l’impressione di averlo già visto, ma non riuscì a collegarlo ad alcun ricordo sparso per la sua mente. Tentò di scacciare quell’immagine che continuava a sfuggirli e aspettò che Mason prendesse posto su quella sedia altrettanto scomoda.
Quando si fu sistemato, cominciò a parlare.
« Sono Alan Scottfield, dipartimento di Polizia di Manhattan. Sono qui per farle alcune domande. »
L’uomo sbuffò e guardò altrove, per poi posare nuovamente lo sguardo su Alan.
« Se è per l’omicidio di sette anni fa, ho già detto tutto. »
La voce di Mason era roca, ma calda, molto profonda. Una voce capace di cullare e terrorizzare allo stesso modo.
« Non si tratta di questo. »
Mason si irrigidì. Quell’aria sarcastica gli sparì improvvisamente dal volto, lasciando spazio a un’espressione piuttosto seria. Osservava Alan con una tale fissità da metterlo quasi in soggezione.
« Lei è il proprietario della Ford Mustang targata 2248 – BW, se non sbaglio. »
L’uomo annuì.
« È successo qualcosa alla mia macchina? »
« Sospettiamo che qualcuno possa averla utilizzata per compiere dei reati. »
« Be’, di sicuro non sono stato io! »
Alan sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
« Non mi sembra il caso di scherzare, signor Morris. »
L’altro alzò le mani, in segno di resa, con un sorriso appena abbozzato sul volto.
« Mi scusi. Che cosa sapete di questi reati? »
« Le basterà sapere che c’è di mezzo un omicidio. Questo pomeriggio sono andato a casa di sua moglie, ma l’auto è scomparsa. Mi ha assicurato di essere l’unica ad avere una copia delle chiavi, ma ho il sospetto che non sia così. Lei mi può aiutare? »
A ogni parola pronunciata da Alan, il viso dell’uomo si fece sempre più scuro. Alan osservò la sua espressione mutare e ne dedusse che quell’uomo sapeva qualcosa. Si era spento improvvisamente in un’aura inquieta.
« Siete proprio sicuri che sia la mia auto? E cosa vuol dire che è scomparsa? »
« Ne siamo sicuri, sì. Abbiamo diversi testimoni e una prova video. Riguardo alla scomparsa, come le dicevo, ho fatto visita a sua moglie, questa mattina. Ha aperto il garage, ma era vuoto; in altre parole, le chiavi erano al solito posto, ma l’auto non c’era più. Lei è proprio sicuro che nessun altro abbia una copia del mazzo? »
L’uomo si passò una mano sulla fronte e abbassò lo sguardo.
« Sì, » tossì, « sono sicuro. Non so proprio come possa essere successo. Voglio dire, magari qualcuno potrebbe aver fatto una copia delle chiavi di nascosto. Sarebbe possibile, no? »
Mason aveva cominciato a parlare a raffica. Si stava innervosendo, probabilmente. Ma Alan non poteva incalzarlo direttamente, avrebbe corso il rischio di metterlo a disagio, perdendo così informazioni molto preziose. Doveva assecondare le sue pause, i suoi ritmi e la sua curiosità – nei limiti del possibile.
Così annuì debolmente, ma si accorse che la testa di Mason era già altrove.
L’uomo riprese a fare domande.
« Come si sono svolti questi… », Mason rifletté un attimo « … omicidi? »
Notò che aveva cominciato a torturarsi i polpastrelli con le unghie. Il sospetto di Alan aumentò, ma cercò di mantenere il sangue freddo.
« Nel primo caso, l’assassino si è introdotto a casa della vittima e, dopo una presunta colluttazione, lo ha trascinato fuori casa e caricato in auto. Sospettiamo poi che lo abbia assassinato proprio lì dentro. »
« Gli ha sparato? »
« Sì. Gli ha sparato con una Beretta M9 e poi lo ha trascinato di peso in un campo. »
L’uomo spalancò gli occhi. Lo sguardo vitreo, fisso su Alan. Qualcosa sembrava preoccuparlo. Non sbatté le palpebre neanche una volta, né deglutì.
Alan piegò il capo e assottigliò lo sguardo, mentre quello di Mason rifuggiva il suo.
« È una pistola molto comune, negli Stati Uniti. »
Mason scosse appena il capo, come per risvegliarsi da quello stato di semi-incoscienza.
« Sì, sì, ha ragione. È molto comune. »
Seguì un lungo attimo di silenzio. Il respiro di Mason aumentò, ma forse non se ne rese neanche conto; il suo petto si alzava e abbassava a un ritmo elevato. C’era qualcosa che lo turbava.
Alan continuò ad osservarlo, a percepire ogni suo cambio di umore: si calmava e si agitava, in continuazione. Decise di prendere in mano la situazione.
« Signor Morris, credo che lei-- »
« Cosa sapete dell’assassino? »
Mason non gli fece nemmeno finire la frase. I suoi occhi sembravano supplicare una risposta, tanto che aveva incrociato le mani quasi d’istinto.
« È un uomo, abbastanza alto, corporatura normale. Purtroppo, di più non sappiamo. »
Mason sembrava agitato quanto prima, se non di più.
Osservò l’uomo con un sguardo indagatore, ma, allo stesso tempo, autorevole.
« Mi sembra turbato, Mason. »
« Non posso essere allarmato? Se fosse stata la sua auto, non sarebbe agitato? »
« Sarei agitato se fosse coinvolto qualcuno che conosco. »
Mason sbatté i pugni sul tavolo.
« Nessuno che conosco è coinvolto! »
Si accorse lui stesso di aver urlato. Alan non lo perse di vista nemmeno un secondo, intento a studiare le sue reazioni, e Mason sembrò rendersene conto. L’uomo tentò di dissimulare la sua agitazione, inutilmente.
Alan lo fissò con sguardo fermo.
« È sicuro di non sapere niente, di questa storia? Davvero non ha idea di chi possa aver copiato il mazzo e preso l’auto? »
L’uomo cominciò a tremare. Provò a sostenere lo sguardo di quell’Alan così sicuro di sé, per poi cedere tutto d’un tratto.
Abbassò la testa e si lasciò andare, finché la fronte non si scontrò con le sua mani, che ancora teneva unite a mo’ di preghiera. Il respiro affannato rimbombava in quel piccolo antro che aveva creato con le mani; e, all’improvviso, oltre al respiro udì anche delle parole, più simili a un sibilo.
« È successo un’altra volta… »
Alan abbassò la testa, nel tentativo di scrutare il volto di Mason, inutilmente. Alan allungò una mano verso l’uomo, adagiandola sull’avambraccio. A quel contatto, Mason rizzò il capo, scosso da un’espressione di dolore.
L’uomo si tirò su e si passò una mano tra i capelli, mentre teneva gli occhi chiusi. Li riaprì dopo poco, scrutando Alan con uno sguardo misto di supplica e dolore.
« C’è un’altra persona che ha le chiavi della macchina. E del garage. »
Alan inarcò le sopracciglia, non riuscendo a trattenere la sorpresa. Sentì l’adrenalina crescere in lui e diffondersi in tutto il suo corpo. L’uomo proseguì.
« È la stessa persona per cui sono qui, in carcere, a scontare una pena che non è la mia. »
Mason si avvicinò nuovamente al tavolo e Alan lo imitò, finché la distanza tra i due divenne piuttosto intima. L’uomo sospirò e strinse le labbra, forse per cacciare indietro un’emozione di troppo.
« Si tratta di mio figlio. Quel pomeriggio di sette anni fa lo trovai a terra, sporco di sangue. Di fronte a lui c’era un ragazzino della sua età, gli occhi sbarrati e il corpo immerso in una pozza. Ma la cosa che mi sconvolse fu ciò che trovai accanto a mio figlio. »
Mason chiuse gli occhi, il tempo per visualizzare l’immagine nella sua mente; poi li riaprì, forse per scacciarla via.
« Aveva una pistola. La stessa che usavamo al poligono di tiro. Una Beretta M9. »
Mason gli prese le mani, in una morsa stretta.
« Lo aveva ucciso, capisce? Aveva preso la pistola e gli aveva sparato! Come si può puntare la pistola di fronte a un ragazzino di sedici anni? »
Alan notò che Mason deglutiva a fatica: l’emozione stava prendendo il sopravvento su di lui.
« Ma non era colpa sua. Era colpa mia. Ho creato un mostro. »
Gli occhi dell’uomo divennero lucidi, ma impedì a quelle lacrime di scendere sul suo viso.
« È colpa mia se ha fatto ciò che ha fatto. È colpa mia se ha pensato che fosse giusto punire un ragazzino con la violenza. »
Ogni parola era sempre più traballante, gli occhi sempre più lucidi. I muscoli del collo erano tirati in modo innaturale, segno che stava trattenendo quel dolore che si era portato dentro per tanti, troppi anni.
Teneva ancora le mani di Alan strette nelle sue, sempre più forte, come se servisse a liberarlo da quella sensazione opprimente.
« Ho paura che quell’uomo che avete ripreso, quell’assassino, possa essere mio figlio. Sa sparare bene, lui. »
La voce gli si spezzò. Mason perse la battaglia contro le sue emozioni, alle quali si arrese. Adagiò la testa sulle mani, ancora una volta, continuando a tenere quelle di Alan. Ogni tanto, il suo corpo veniva scosso da singulti silenziosi e Alan lasciò che si sfogasse, distogliendo lo sguardo da quel dolore che quasi lo metteva a disagio.
Dopo qualche tempo, Alan si schiarì la voce con discrezione.
« Mason… »
L’uomo alzò la testa.
« Era l’unico modo che avevo per salvarlo. Punire me stesso per il dolore che gli avevo inflitto. »
« Mason, devo farle alcune domande su suo figlio. »
L’uomo chiuse gli occhi e annuì. Una lacrima gli solcò la guancia destra, scorrendo giù fino al mento, finché non cadde sul tavolo.
Mason esitò un attimo, poi interruppe quel contatto e introdusse una mano nella tasca destra. Da lì, estrasse qualcosa che si rivelò essere una fotografia, che mostrò ad Alan.
Come vide quel volto, il sangue gli si fermò. Un brivido gli percorse tutta la schiena, e la sensazione di essere sempre stato a un passo dalla morte si impossessò di lui. Ripercorse, parola per parola, ciò che Ashton gli aveva detto in quel colloquio privato in ospedale. E se prima erano solo paure astratte, ora gli si formò un’immagine fin troppo nitida, nella mente.
Folti capelli neri, un naso aquilino e un cespuglietto di peli, altrettanto neri, che sbucavano dall’apertura del colletto della camicia.
Mason accarezzò, col pollice, quell’immagine sgualcita.
« Si chiama Jackson. Per gli amici, Jack. »
Il suo cuore perse un battito.
Pietrificato, scosso, atterrito.
Che cosa avrebbe dovuto fare?
Mille pensieri si rincorsero nella sua testa, uno più veloce dell’altro, fino a che tutto quel caos non si ridusse a un solo, tremendo presagio.
Nathan.
L’aveva lasciato solo, a casa, in attesa degli ospiti.
Era forse in pericolo?
Doveva correre.
Correre da lui.
 
Si congedò da Mason e guidò più velocemente possibile verso casa, con quell’unico pensiero in testa.
Ma non poteva sapere che Nathan, in quel momento, aveva una pistola puntata davanti agli occhi.

 

Ehm... non so bene cosa dire, dopo questo capitolo. Innanzitutto, mi scuso davvero per il ritardo nella pubblicazione. Era un capitolo davvero importante e tutto doveva filare liscio nei minimi dettagli, perciò questo (insieme a un simpaticissimo esame) mi ha portato via molto tempo. In ogni caso, è davvero una grossa emozione per me! Finalmente avete scoperto tutto :) E qualcuno aveva pure indovinato! Che cosa accadrà ora al nostro Nathan? Il grilletto verrà premuto oppure no?
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, è in stesura :) Ho terminato soltanto la prima pagina, ma conto di concluderlo e pubblicarlo per martedì prossimo (o al limite un paio di giorni dopo per questioni che non sto a spiegarvi).
Un sentito grazie va a Silvia, che mi ha aiutata a trovare tutte le piccole falle sparse in ogni dove (e che, soprattutto, ha scelto il cognome per Jack) *___* Grazie *___*
E un grosso grazie va anche a voi lettori, che mi sostenete sempre col vostro entusiasmo.
Alla prossima, sperando di avere ancora tutto il cast al completo... :)

ps. visto il contenuto del capitolo, vi chiedo gentilmente di non fare spoiler nelle recensioni ^^
EDIT: visto che mi è stato chiesto, con "spoiler" intendo il nome dell'assassino. Poi potete scrivere ciò che volete ^^
   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: holls