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Autore: BlueWhatsername    17/02/2014    9 recensioni
'[...] Ah, maledizione, e poi c’è anche chi dice che il lavoro più difficile del mondo sia l’ingegnere o l’astronauta. Sì, come no.
Il lavoro più difficile del mondo è senza dubbio il fratello maggiore, chi dice il contrario non ha evidentemente mai dovuto sopportare quel sorrisetto diabolico e quegli occhi di sfida, oltre che quella dannata spada laser quasi piantata nell’occhio.
Già… Come dimenticare?!'
**
Hope you like it :)
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premettiamo che mi piace poco - come ogni cosa LOL.
Pure se comunque ho avuto piacere nello scriverla!
[sì, lo so, questo ragionamento non ha senso, ma ssssh.]
Quindi niente :) spero piaccia a voi!
Ultimamente trovo utile distrarmi a colpi(?) di OS, mi pare chiaro LOL
Addio, gentaglia(?), alla prossima :)
<3










Louis è un bambino come tanti. Un paio di occhi azzurri e vispi, eccezionalmente furbi e luminosi, specie quando ride – a causa dei tanti dispetti che gli piace fare e che progetta ai danni di chiunque gli capiti a tiro. Un caschetto castano che gli copre la fronte e che finisce sempre disordinato davanti agli occhi – mamma Johanna che gli sistema i ciuffi ribelli con quella mano in fronte che lui proprio non sopporta, oh no, preferirebbe di gran lunga che lei stesse ferma.
Un bambino un po’ intraprendente, Louis ‘Boo Bear’ Tomlinson, uno di quei bambini pronti a prendere le forbici ed a ‘potare’ quel caschetto un po’ stupido ed anche irritante, con quei capelli che finiscono costantemente negli occhi, tanto per ribadirlo. L’espressione della mamma quando l’ha scoperto è stata molto divertente, ma ancora più è stato bello andare dal parrucchiere a farsi sistemare – visti i lecca-lecca che gli regala sempre.
Louis ama stare con gli altri bambini, pure se è molto geloso dei suoi giocattoli, specie delle sue macchinine. Ne ha tantissime – la nonna gliene regala sempre, almeno due alla settimana – ed a lui piace sistemarle in file ordinate sulle mensole sopra al letto. Per arrivarci usa tanti cuscini uno sopra l’altro, se mamma Johanna lo scopre prima o poi lo mette in punizione.
Louis ama andare fuori e sporcarsi nel fango, insieme ai suoi amichetti Fred e Paul, quelli che ha conosciuto all’asilo e con cui ancora fa merenda sul divano e guarda la tv, quando la mamma glielo permette e non lo costringe a fare i compiti. Odia la matematica, proprio non capisce come possa tornare utile sapere fare tutte quelle cose complicate con i numeri e poi proprio non sopporta quando ha tutti quegli esercizi che lo costringono a starsene seduto anziché andare fuori a giocare.
Louis adora la crostata di more, quelle che gli prepara la mamma; gli piace fare l’albero di Natale ed aspettare i regali – il suo compleanno cade esattamente il giorno prima, ama immensamente ricevere sempre i regali doppi, al contrario degli altri bambini; Louis si diverte ad impiastricciarsi le mani coi colori a tempera quando la mamma glielo permette e poi a dipingere sui fogli, coinvolgendo anche Fred e Paul.
Ma se c’è una cosa che caratterizza Louis Tomlinson è  il volere tutto per sé.
Sempre.
 
 
 
 
Non che a Louis non piacciono gli altri bambini, per l’appunto, ma quello lì – sì, proprio quello lì che sta crescendo là dentro non è che sappia poi come considerarlo.  Quando la mamma gli ha detto che nella sua pancia c’era un altro bambino lui ha dovuto rifletterci bene, tanto per assicurarsi che non fosse un inganno di quel maledetto ‘Capitan Spavento’, che terrorizza sempre il protagonista del cartone che guarda ogni sera prima di andare a dormire. Quel tizio là è un vecchietto gobbo e con dei baffoni lunghi, sempre intento a ordire trame subdole ed a spaventare la gente, non ci sarebbe da stupirsi se abbia voluto fargli uno scherzo del genere.
Invece no, la mamma gli ha assicurato che davvero c’è un bambino là dentro. E Louis non sa proprio spiegarsi come sia possibile, questa cosa. Insomma, come fa ad entrarci un bambino, nella pancia della mamma? Louis se lo chiede spesso, quando è nel suo letto e può anche starsene comodamente arrotolato nelle coperte, con il suo pupazzo dei Power Ranger a difenderlo dai mostri che tentano di acchiapparlo nel buio – gliel’ha detto Fred che ci sono, deve essere vero per forza!
Che poi, cosa vuole con esattezza questo bambino? Louis ci pensa sempre quando rivolge un’occhiata allarmata alle macchinine sulla mensola, e comincia a riflettere sul fatto che magari quel coso nella pancia della sua mamma vorrà giocarci e toccarle e pulirle, e farle scorrere sul pavimento lucido del corridoio come piace fare a lui. E chissà se vorrà anche sdraiarsi sul suo lettino, magari saltarci sopra e mettersi a cantare come fa anche lui quando la tv trasmette i suoi cartoni preferiti e… a Louis piace tantissimo saltare sul letto, pure se mamma Johanna lo sgrida di continuo, intimandogli di stare attento o non cadere. Ma… Superman non cade, no? Superman sa volare.
E Louis è sicuro che prima o poi volerà.
 
 
 
 
Che strano, questo bambino.
Louis dondola i piedini avanti e indietro, la sediolina di plastica su cui è seduto è anche scomoda, ed il corridoio dell’ospedale è semibuio e ci sono molte voci soffocate; ha freddo, perché ha indosso solo il suo pigiama ed il suo maglioncino a righe, quello che la zia Emily gli ha regalato per il suo compleanno. Sbadiglia, passandosi le mani sugli occhi gonfi di sonno, mentre la nonna gli si siede accanto e gli accarezza una spalla. Louis non resiste e le si poggia contro, respirando il suo buon profumo.
Stava dormendo così bene, nel suo lettino. La mamma gli aveva anche messo le lenzuola nuove, quelle con Superman, erano così morbide e calde che si era addormentato quasi subito.
Louis sbadiglia ancora, mentre la nonna gli accarezza i lisci capelli castani, spostandoglieli da davanti agli occhi e lisciandogli le guance infuocate.
<< Hai fame? >> gli sussurra poi, a bassa voce.
Louis scuote il capo, chiudendo gli occhi e respirando piano. Potrebbe addormentarsi da un momento all’altro, lo sente. Se non fosse che la mamma sta male
… Di scatto apre gli occhi, tirandosi a sedere sulla seggiolina in plastica. I rumori sono più intensi, ora che ci fa caso, l’aria è pesante.
Si gira verso la nonna, che gli sorride – come fa sempre.
<< La mamma sta molto male, vero? >> chiede poi, più serio di quanto avrebbe mai pensato.
No, no! Non può stare male, non la sua mamma!
La nonna gli sorride ancora, prendendolo sulle sue ginocchia e stringendoselo addosso.
<< Non aver paura, Lou, quando il tuo fratellino sarà arrivato… >>
Arrivato?! Non poteva suonare alla porta come tutti anziché svegliarli nel bel mezzo della notte e costringerli ad andare all’ospedale?!
<< Ma la mamma… >>
Ma non termina la frase che un signore con un camice bianco si avvicina loro, sorridendo. La nonna anche sorride.
Louis solo non sorride, troppo concentrato a riflettere su cosa sarà mai successo alla sua mamma. Perché non gli è piaciuto il modo in cui l’ha vista poche ore prima, con lo zio e la zia che l’aiutavano a scendere le scale, quando di solito è lui a tenerle la mano. Sempre.
L’uomo in camice bianco lo guarda un attimo, sta forse per dirgli che quel bambino lì ha combinato qualche pasticcio?!
Non ne sarebbe sorpreso, visto quanto ha già fatto per quella notte.
È costretto ad alzarsi quando la nonna lo poggia per terra e poi lo afferra per mano, incamminandosi verso una porta ancora chiusa. La superficie è bianca, ed a Louis vengono in mente i biscotti ricoperti di glassa di zucchero, quelli che la mamma gli prepara sempre e che a lui piacciono tanto, specie se inzuppati nel latte.
La porta cigola appena, tutto è silenzioso intorno, la prima cosa che Louis riesce a vedere è un letto, e la sua mamma. Johanna gli sorride, non appena lo vede, ed è pronta ad accogliere il suo abbraccio quando lui le corre incontro e si getta su di lei, tra il calore delle sue braccia e nel profumo che il suo collo ha sempre.
La nonna emette qualche debole rimprovero, che si spegne comunque subito quando un altro suono si intromette.
Basso e cadenzato, a tratti lamentoso e debole.
Louis drizza le orecchie, si guarda intorno con attenzione; d’un tratto gli pare naturale scendere dal letto e correre verso una culla messa a pochi metri da lì, le copertine bianche ed anche un fiocco spaventosamente azzurro sopra, sul bordo in ferro.
Con circospezione si solleva in punta di piedi, le manine arpionate ai bordi della culla per una maggiore stabilità; sbarra gli occhi, sbatte le palpebre un paio di volte e solo alla fine è costretto a convincersi che sì, quel che ha davanti è proprio… Quel bambino lì.
Una mano gli si posa sulla spalla, e non fatica a riconoscere il tocco della mamma, specie quando questa gli accarezza i capelli, dolcemente. Louis sospira, senza emettere parola.
E solo in quel momento realizza che la mamma non ha più la pancia!
Beh, certo… Quel coso è finalmente uscito da là.
Storce il naso, ad osservarlo: perché è… Così piccolo?
E perché tiene gli occhi chiusi in quel modo? E le mani a pugno? Cosa fa, la lotta con i mostri?! E perché sorride pure se dorme?
Senza pensarci allunga una mano a sfiorare una guancia di quel bambino lì: è calda e liscia, il contatto è piacevole.
Ha pochissimi capelli, questo coso, sono sicuri che sia un bambino e non uno di quei bambolotti da femmina?! Bleah.
<< Louis… >> si sente richiamare all’improvviso dalla voce dalla mamma.
Si volta, abbracciandola di slancio e affondando il viso nella sua camicia da notte ricamata con le farfalle.
Sbadiglia ancora quando si sente accarezzare i capelli, il sonno vuole portarselo via.
<< Stai tanto male, mamma? >> chiede di slancio, alzando i suoi stupefacenti occhi azzurri su di lei.
Johanna sorride, portandolo a sedere sul letto e lisciandogli le guance poco fredde.
<< Io sto benissimo, tesoro. >> gli risponde, poi; sospira, regalandogli un sorriso luminoso ma stanco << Tu sei pronto? >>
<< Per cosa? >> e Louis si chiede se non sia tutto uno scherzo, quello lì.
E se quel coso nella culla non sia davvero un bambolotto da femminableah! – e non quel bambino lì.
<< Ma come? Non vuoi prestare a Troy qualcuna delle tue macchinine? >>
E quel particolare, lui, non l’ha proprio considerato.
 
 
 
 
Louis proprio non lo capisce questo coso.
Urla sempre.
Piange sempre.
Mangia sempre.
Emette strani versi – lo aveva detto che era un bambolotto da femmina, bleah!, lui, no?
Costringe la mamma a stare in piedi per ore, anche di notte.
A lui è capitato di sentirla alzarsi, e canticchiare in corridoio mentre quel coso là ancora urlava e si dibatteva – come poi fa sempre, sia che la mamma lo mette nel seggiolone che nella carrozzina, oppure semplicemente provi a farlo mangiare.
Anche ora, che è affondato nelle coperte e ha il cuscino fresco sotto la guancia, sente dei rumori sospetti in corridoio, dei passi ovattati e dei sussurri che gli sembrano fin troppi familiari. Deglutisce, mentre la possibilità che qualche mostro sbuchi fuori dal buio lo tormenta, ma si fa coraggio quando, poggiato un piedino nudo a terra, nessuna mano verde o piena di artigli lo afferra.
Fa freddo, ha un po’ di brividi a camminare scalzo sul parquet, ma fa presto a raggiungere lo spiraglio della porta socchiusa. Pian piano la spalanca, tentando di mettere a fuoco il corridoio semibuio. Una sola luce è accesa, e proviene dalla cucina.
Louis sospira, avviandosi verso la fonte di luce… E di rumore.
Tocca lo stipite della porta aperta, ci si appoggia e rimane ad osservare.
Mamma Johanna è seduta comodamente sulla poltrona vicino al fuoco spento, ma ancora tiepido, e tiene in braccio una strana cosa infagottata.
Louis la osserva, incuriosito, non ha proprio il coraggio di parlare o di sbattere le ciglia: la mamma sembra così concentrata e attenta, nemmeno quando gli prepara le frittelle sembra così impegnata. Ed è a quel punto che una strana fitta lo colpisce al centro dello stomaco, inviandogli un tremendo brivido al petto. Una cosa mai provata, che per un attimo gli dà fastidio e lo innervosisce.
<< Tesoro… >>
A quel richiamo volge la testa, immediatamente. E sorride, quando la sua mamma gli regala uno sguardo azzurro e denso, carico e intenso.
<< Cosa ci fai in piedi? >> chiede Johanna, cullando quella cosa infagottata con movimenti fluidi e quasi spontanei, le braccia si muovono sicure e spedite, hanno un bel ritmo.
Louis segue quei movimenti come stregato, si ritrova a pensare che non gli dispiacerebbe che lei lo facesse anche con lui, e di nuovo quella strana sensazione sconosciuta gli attorciglia lo stomaco e lo rilascia come una molla. Scuote il capo, senza rispondere.
Lentamente si avvicina alla donna, che lo guarda in silenzio, quasi in attesa. Si siede vicino a lei, sbirciando nel fagotto che ancora oscilla dolcemente tra le sue braccia.
È passato qualche mese da quando quel bambino lì è andato a vivere con loro, eppure il suo viso sembra sempre lo stesso. Le guance rosse e lisce, gli occhi sono diventati di uno spiccato azzurro scuro – quasi blu, le sue manine sempre strette a pugno e il respiro lento e bollente.
Louis avvicina la manina alla bocca di Troy, sente il suo fiato caldo rimbalzargli sulla pelle e solleticarla. Gli sfiora il piccolo naso con l’indice, fino ai capelli castani poco più folti. E sorride quando vede quel coso infagottato emettere un leggero vagito e poi fare una smorfia nel sonno.
Mamma Johanna lo avvicina di più a sé, gli sussurra qualcosa che lui non capisce, lo culla un altro po’, premurandosi di stringerselo al petto come meglio può; Louis non si lascia sfuggire nemmeno una mossa, è quasi ipnotizzato, sente il cuore procedergli troppo forte.
E senza pensarci si appoggia alla sua mamma, la testolina castana vicino a quella di Troy.
Potranno dormire anche in due, se c’è lei, che male c’è?
 
 
 
 
Lo aveva detto, lui, che era geloso dei suoi giocattoli.
Anche delle tempere.
E delle sue figurine con gli animali che ha comprato con l’ultima paghetta settimanale.
E del suo pupazzo dei Power Ranger.
E anche dei suoi quaderni, quelli che usa per fare i compiti.
Sbuffa, Louis, quando Troy fa il suo ingresso nella sua cameretta con quel passetto traballante ed insicuro che si porta dietro da un po’. Proprio l’altra settimana hanno festeggiato il suo primo compleanno, la mamma aveva preparato una torta al cioccolato buonissima, e quel demonietto ci ha messo il piede sopra.
Come se non bastasse si è sporcato tutto di panna, riempiendo anche lui di cioccolata.
Troy arranca goffamente verso di lui, arpiona le piccole mani al bordo della scrivania e tenta di sbirciare quel che il fratello sta combinando, con quell’affare strano che traccia segni altrettanto strani su una superficie bianca mai vista.
Penna, inchiostro e carta, Louis sa bene che farglieli provare sarebbe suicidio, pure se Troy allunga le sue manine verso ogni oggetto che gli capita a tiro, spinto dalla sua irrefrenabile curiosità di bambino di appena un anno. I suoi vispi occhi azzurri si sono fatti luminosi e grandi, terribilmente furbi.
Ed anche la sua risata è diversa, è molto più chiara e squillante.
Come le sue urla, quando vuole qualcosa e non la ottiene immediatamente.
Louis alza gli occhi al cielo, togliendo dalle mani del fratello il libro di matematica, ed anche qualche pastello colorato: se la maestra becca anche un solo graffio in giro o mezzo scarabocchio lo metterà in punizione, gli assegnerà compiti extra e lo dirà alla mamma. Una cosa che non dovrà mai accadere, questa, o lui si ritroverà in guai seri e non potrà nemmeno andare a vedere la partita assieme a Fred e Paul: ha sentito la mamma parlare con la nonna, e sembra che li porterà tutti e tre – sempre che essi si comporteranno bene e righeranno dritti per l’intera settimana.
Giovedì, è solo giovedì. La partita è sabato, che ci vuole a resistere per un altro giorno?
Se solo quel coso stesse fermo.
Louis abbassa di nuovo lo sguardo sul quaderno e sugli esercizi di matematica – con la coda dell’occhio vede Troy sgambettare lontano, apparentemente attratto da altro.
Si concentra sui numeri, quelle addizioni non vogliono proprio uscire, accidenti…
… Un rumore lo riscuote, ed anche un gridolino gioioso.
Quando si volta, l’istinto agisce per primo, e alzarsi e correre da Troy gli viene naturale.
<< Lou! >> gracchia la sua vocetta acuta, mentre brandisce con entusiasmo una macchinina rossa fiammante, racchiusa nel suo palmo paffuto, mentre nell’altra mano brandisce quello che pare un pennarello nero.
Louis inorridisce, strappandogli la macchinina di mano e osservandola con sgomento: è piena di scarabocchi e altre cose indicibili, lui…
<< Lou! >> la voce del fratello lo richiama ancora, e pure la sua risata, quando gli si avvicina e con una velocità disarmante gli colora la maglia.
La sua maglia nuova di Superman, quella che la mamma gli ha preso dopo mesi di suppliche.
<< Lou! >> dice ancora Troy, passando il pennarello anche sui pantaloni del fratello maggiore, che lo guarda inorridito.
E anche un po’ innervosito, visto la sua voglia di prendere quel coso e chiuderlo nell’armadio senza farlo uscire per i prossimi trent’anni.
Ma è un attimo prima che Louis gli tolga il pennarello di mano e lo lanci dall’altra parte della stanza, prima di schiaffeggiargli il piccolo palmo paffuto, con una velocità indicibile, le sue dita sulla pelle delicata del fratello emettono uno schiocco sordo e diretto.
Troy rimane fermo, i suoi enormi occhi azzurri si fanno più grandi man mano che passano i secondi, il labbro inferiore gli trema e ci vuole un briciolo prima che scoppi in lacrime, urlando di tanto in tanto, giusto per rinforzare il clima di terrore che si sta creando attorno a loro.
Louis si morde un labbro, valutando o meno l’idea di avergli fatto male sul serio, ma ha fatto molto piano, era giusto per spaventarlo e… Anche la mamma lo faceva a lui, ricorda di botto – glielo faceva sempre quand’era più piccolo e afferrava cose che non doveva o che potevano essere pericolose per lui.
E quel coso era pericoloso per Troy, no?
Avrebbe potuto farsi male, mettendolo in bocca o chissà, nell’occhio, o…
E l’urlo di sua madre è chiaro e limpido quando gli riferisce che non andrà alla partita, sabato – per punizione.
Louis sbuffa, sconfitto, mentre osserva quel piccolo essere correre via, in lacrime, alla ricerca di una consolazione che non merita affatto ma che comunque gli verrà data.
Eh, che lavoraccio fare il fratello maggiore.
 
 
 
 
Louis si stravacca sul divano, felice che finalmente la tv sia libera.
E che la casa sia così silenziosa, solo alle quattro del pomeriggio.
Ashley dovrebbe essere lì a momenti e, beh, almeno ha accettato di venire da lui.
Dopotutto è una ragazza carina, ha due splendidi occhi verdi e tanti boccoli castani lunghi più o meno alla vita, ha un’ottima media scolastica e… Che modo migliore c’è per iniziare il liceo se non fare amicizia con i compagni di corso?
Hanno frequentato insieme qualche corso di algebra e poche lezioni di biologia, eppure Louis sente che lei è… Particolare, che ha qualcosa che le altre non hanno.
Forse è il modo che ha di prendere appunti, sempre così perfettamente ordinati e di tanti colori diversi a seconda dell’argomento; o forse è solo la maniera che ha di sistemarsi i capelli quando le finiscono davanti, facendole ombra sul libro.
Louis guarda l’orologio: sono le quattro e mezza ed Ashley è poco in ritardo, ma non importa visto che sa già che lei si scuserà con un sorriso ancora più luminoso che le guance poco più rosse del normale.
Scatta in piedi, quando il campanello suona, quasi non scivola per andare ad aprire.
<< Ciao… >> mormora lei, gli occhi verdi brillano in una maniera inspiegabile quando Louis ci affoga, senza riuscire a spiaccicare nemmeno una parola.
<< Sono in ritardo? >> domanda ancora Ashley, entrando in caso e togliendosi la giacchina rossa che la fa sembrare ancora più minuta: Louis segue con lo sguardo le sue forme di bambina da poco sbocciata in donna, ed un’inspiegabile senso di vertigine lo prende alla bocca dello stomaco.
<< Eh… ? >> domanda, retorico, mentre si siede sul divano; lei fa lo stesso, rimanendo a poco più di mezzo metro da lui.
<< Dicevo… >> Louis osserva il modo che ha di tirarsi i boccoli indietro, come si passi la lingua sulle labbra, con nervosismo spiccato << … Dovevamo studiare biologia, no? >> apre la tracolla che ha appoggiato ai piedi del divano, prendendo il libro e aprendolo su una pagina sottolineata a nuovo; si volta a fissarlo, sorridendo appena << C-cominciamo? >>
Louis sorride, sinceramente entusiasta di studiare, almeno una volta.
Non è mai morto nessuno, o no?
 
<< Abbiamo terminato, vero? >> si costringe a chiedere alla quindicesima pagina relativa a proteine e strane formule matematiche.
Ashley annuisce, chiudendo il libro e concedendosi un sospiro soddisfatto.
Volge lo sguardo verso di lui, sorridendo appena; non appena si rende conto che lui la sta fissando arrossisce di botto, distogliendo lo sguardo e sibilando qualcosa di incomprensibile.
Louis ridacchia, spostandosi impercettibilmente sul divano, vicino a lei.
Pochi centimetri e quasi riesce a sfiorarle il fianco con la mano.
Altri pochi centimetri e i fianchi si toccano.
Un altro millimetro e ne sente il profumo così intensamente da poterlo respirare a grandi sorsi. La gola gli brucia, uno strano formicolio gli pervade le membra.
E se la sente così vicina, Ashley, che gli viene spontaneo dar retta all’istinto e voltarsi verso di lei, per sfiorare le sue labbra con le proprie. Il cuore gli si impenna di colpo, va così veloce che potrebbe risalirgli la gola e uscirgli dal naso, il modo che ha Ashley di guardarlo lo spaventa e lo incoraggia nello stesso momento.
Chiude gli occhi, facendo per imprimere meglio la sua bocca su quella di lei, quando uno schiocco secco li fa sobbalzare entrambi.
Poi voci concitate, e urla. E schiamazzi. E risate.
Louis sospira, mentre nota con la coda dell’occhio che Ashley si è spostata di buoni venti centimetri, il viso scarlatto e lo sguardo basso verso il pavimento.
La gola gli si è seccata, il nervosismo lo porta a voler tirare un calcio a chissà cosa: c’erano quasi, se solo…
<< Lou! >>
Si batte una mano in fronte, a sentirsi chiamare in quel modo.
Con quella voce concitata e chiara, imperiosa e piena, in quella maniera che lo assilla da anni, ormai, e che non può ignorare, nemmeno volendo.
E fa appena in tempo e sbirciare tra le dita che ancora gli coprono gli occhi che una figurina scattante – nonché saltellante – fa la sua comparsa in salotto, brandendo quella che pare una spada laser di plastica di un verde molto acceso.
<< Lou! >> ripete Troy, con un sorriso da orecchio a orecchio, fermandosi di colpo alla vista di Ashley.
Louis sbuffa, passando lo sguardo dall’uno all’altra.
<< Stavamo studiando, vedi di non fare casino, ok? >> ringhia all’istante, tentando di far capire a quella pulce che non può stare lì con loro.
Fissa il fratello negli occhi, imprimendo quanta più sincerità gli riesce: stavano per baciarsi, se solo…
<< Tutto a posto? >> Johanna fa capolino dalla porta, osservando i due figli e la ragazza sul divano con lo sguardo ancora al pavimento.
Ashley solleva di scatto la testa e accenna un sorriso alla signora che ancora la sta fissando.
<< Buonasera… >> mormora, incerta.
<< Buonasera, cara. >> risponde gentilmente Johanna, con un sorriso; e quando incrocia lo sguardo di Louis, aggrotta le sopracciglia, perplessa << Siamo tornati prima, i negozi del centro erano tutti chiusi e quindi… >>
<< Guarda che mi ha comprato mammina! >> esclama Troy brandendo la sua spada laser davanti alla faccia di Louis, quasi colpendogli in pieno il naso; questi lo scansa con un manata, che comunque poco camuffa il ringhio di rimprovero di Johanna.
Ed il sorrisino di scherno di Troy, nel vedersi difendere così.
Louis assottiglia gli occhi, incredulo ed innervosito nello stesso tempo: demonietto di appena nove anni che…
<< Stavate studiando? >> chiede ancora Johanna cercando lo sguardo della ragazza sconosciuta che non ha ancora spiccicato parola.
<< Oh… Noi… Sì! >> risponde Ashley, arrossendo indecorosamente << Ma se… >>
<< Oh no, fate pure! >> Louis è grato di sentirlo dire dalla madre, ma il suo sospiro di sollievo sparisce quando vede quell’essere sedersi vicino ad Ashley con una faccia poco raccomandabile: ed ora cos’è quel sorriso ingenuo? E quegli occhioni languidi? E quel modo di fare angelico? Inconcepibile, ma nessuno vede che quello là è un demonio travestito da moccioso?!
<< Troy? >> lo chiama la madre dopo un po’, e Louis quasi esulta al pensiero che sparirà dalla circolazione lasciandoli di nuovo da soli: certo, tentare di baciarla ancora non è pensabile, ma almeno…
<< Oh, posso rimanere, mamma?! >> piagnucola a quel punto quel moccioso con due occhi lucidi e sinceri, l’azzurro è così intenso da abbagliare << Tipregotipregotipreeeeego, non darò fastidio, io… >>
Louis quasi non vorrebbe strapparsi i capelli, a quell’uscita.
Oh no. No. No. No. NO.
Non può rimanere con loro, è da concludere totalmente, lui
<< Ma tesoro, loro devono studiare e tu… >> fa Johanna, tentando di essere ragionevole, e Louis esulta mentalmente nel vedere l’espressione corrucciata del fratello minore, tra poco si metterà a sbattere i piedi come minimo, ah lui…
<< Non importa. Può rimanere senza problemi. >>
E per poco non gli scivola la mandibola a terra.
Ashley ha uno sguardo fermo ma gentile, sembra tranquilla quando scompiglia i capelli di Troy e gli sorride, rassicurando poi che non darà alcun fastidio se rimarrà con loro.
Altro che strapparsi i capelli, Louis preferirebbe cavarsi gli occhi, specie al sorrisetto soddisfatto che gli rivolge Troy non appena Ashley si volge per prendere un quaderno di appunti.
Ah, maledizione, e poi c’è anche chi dice che il lavoro più difficile del mondo sia l’ingegnere o l’astronauta. Sì, come no.
Il lavoro più difficile del mondo è senza dubbio il fratello maggiore, chi dice il contrario non ha evidentemente mai dovuto sopportare quel sorrisetto diabolico e quegli occhi di sfida, oltre che quella dannata spada laser quasi piantata nell’occhio.
Già… Come dimenticare?!
 
 
 
 
<< Sei pronto?! >>
Louis sbuffa, alla quinta volta che è costretto a chiamare quell’impiastro.
L’aria negli spogliatoi è asfissiante, pure se sono vuoti e quasi freddi. L’unico rumore sono le tubature vecchie e gli scarpini che incidono nel bagno.
Quando la porta si apre, sbuffa ancora di più, nel vedere quel moccioso ancora con quella faccia così… Come si consente di essere scocciato?! Lui, poi…
Dannato ragazzino, lui…
<< Lou? >> si sente chiamare quando sta per salire gli scalini che portano al campo.
Il vociare si fa più intenso man mano che si sale, Louis sa già che quando saliranno e arriveranno all’aria aperta, le urla della gente e dei tifosi li inghiottiranno, ma in maniera positiva… Dando la carica giusta, facendo pompare il cuore in un modo così inspiegabilmente giusto che sembrerà normale spegnere il cervello e farsi guidare dall’istinto del gioco e dall’odore dell’erba fresca, bagnata della pioggia che ha battuto il terreno per tutta la mattinata.
Quando si volta, Troy lo fissa con uno sguardo azzurro ed esitante.
I suoi quindici anni sembrano volati, ed il quasi uomo che ha davanti gli pare il bambino che gli rompeva le macchinine ad appena un anno, che gli scarabocchiava i vestiti a tre o che gli lanciava le biglie a soli sei. Lo stesso che a undici gli tirava i capelli a mo’ di cowboy in sella al suo cavallo e che solo la sera prima gli si è intrufolato nel letto per sentirsi solo dire ‘Vai a dormire, moccioso’, solo il secondo dopo.
Solo i suoi occhi sono sempre gli stessi, forse un po’ più chiari – ma magari sono le luci al neon – e anche il sorriso: limpido, dolce, birichino.
A volte gli pare di guardarsi allo specchio, in verità: sa che guardando quegli occhi azzurri vede i suoi stessi occhi, e che ascoltando quella voce sempre così pungente ma chiara non fa altro che sentirsi parlare da solo.
Strano, ma… Piacevole.
Stranamente piacevole.
<< Sì? >> domanda, fingendosi serio.
Troy sospira, sistemandosi i pantaloncini della divisa della sua squadra: la fascetta da capitano gli sta a pennello sul braccio, così come i calzettoni lungo i polpacci – lui ed il suo viziaccio di comprarli più grandi, quando se lo toglierà?!
<< Ho paura. >> ammette poi, senza preamboli << Non posso farcela, Lou. >>
<< Secondo quale logica, scusa?! >>
Troy sbuffa, pare spazientito << Ma… >>
<< Di cos’hai paura? Di quello che è là fuori o di capire se puoi davvero farcela, mmh? >> Louis gli si avvicina, puntandolo con i suoi occhi azzurri e con un indice al petto << Muovi quelle chiappe, moccioso. Non ti ho fatto arrivare integro a quest’età per farti sprecare un’occasione simile – sono consapevoli entrambi che ci sono molti cercatori di talenti su quegli spalti di quel campo di paese, il destro di Troy potrebbe non passare di certo inosservato ad un occhio attento – quindi ora spicciati e sali quelle scale, la tua squadra ti aspetta, Capitano. >>
Troy lo guarda fissa, gli occhi sbarrati << Sbagliano ad avere così fiducia in me, io… >>
E Louis la capisce pure la sua paura: la partita, gli amici che lo guardano giocare, l’ansia di non dare il massimo, di sbagliare, di deludere qualcuno – quelle sue paure che si porta dietro e che costantemente cerca di lenire andando da lui.
<< Hanno fiducia in te perché sei il Capitano, e puoi farcela. Nella vita nessuno ti darà mai quel che vuoi su un piatto d’oro, Troy, dovrai guadagnartela… Quando a piccoli morsi, quando graffiando con tutta la forza che hai, ma dovrei provarci. >>
Troy si fissa i piedi, gli scarpini nuovi quasi luccicano sotto le luci al neon.
Quando rialza gli occhi, un piccolo sorriso gli inclina le labbra sottili.
<< Non sapevo di avere un fratello così saggio… >> lo sbeffeggia subito, lo sguardo birichino che si porta dietro da quando è nato.
Louis ride, divertito << Io sono sempre stato saggio, è compito di ogni fratello maggiore, esserlo! >>
<< Io ho comunque paura. >>
<< Devi averne, la paura aiuta a ragionare meglio, a valutare ogni opzione con più attenzione. >>
<< Saggio e filosofo! Però! >> e Troy fischia, scansando uno scappellotto dell’altro.
Louis lo spinge con poca grazia verso le scale, ridacchiando.
<< Sophie è sugli spalti, vero? >> domanda, noncurante, ridendo apertamente quando vede il fratello voltarsi di scatto e aprire la bocca per ribattere.
La cotta che ha per lei è chiara a chiunque, ormai si sa che stravede per lei: un po’ bassina, un po’ chiacchierina, tanto eccentrica. La ragazza perfetta per lui, insomma.
Troy si schiarisce la voce, annuendo con fare sicuro.
<< Calibra bene il destro, mi raccomando… >> prende a dire Louis mentre si incamminano su per le scale << … E non falciare nessuno! E ricorda di aspettare che… >>
<< Sta’ zitto, fratellone! >> lo rimbecca l’altro, correndo infine verso i suoi compagni e sistemandosi meglio la fascetta di capitano, lo fa con un orgoglio che lo inchioda dov’è, e che magicamente apre le porte ad una sensazione conosciuta all’interno del suo stomaco.
Scuote la testa, incamminandosi fuori: Ashley gli ha tenuto il posto, e pure se il loro primo bacio è stato un fiasco, quelli dopo son venuti bene.
Ha anche dei vantaggi essere il maggiore, no?






 
Fate ciao a Lou :3
Prima o poi avrò un attacco di diabete acuto per colpa sua, ma ok, supererero anche questa, ne sono sicura. Mannaggia.
Basta, vado via prima di cominciare a delirare per colpa sua :3
Tanti cuori per Boo Bear. Ciao.
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