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Autore: Shenhazai    17/02/2014    4 recensioni
Marzo 1943. In tutto il nord Italia, cominciano a farsi più pressanti gli scioperi indotti dagli antifascisti stanchi della dittatura.
Assieme a loro, anche Italia si prende una pausa, per fare mente locale nei suoi pensieri.
O almeno, ci prova.
(Nyotalia molto, ma molto OoC. Rating arancione per il linguaggio)
Genere: Commedia, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nyotalia
Note: OOC | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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7. Quando distribuivano la furbizia, ero a far la fila per il gelato.



“E ti sarei grato se facessi due più due”

“...Oh.”


Italia rimase silenziosa a ricambiare lo sguardo serio dell'inglese per parecchi minuti, domandandosi se respirare più rumorosamente potesse essere preso come una possibile risposta. Alla fine però tra lo scontro di sguardi, che per una volta tanto non le provocò alcun cenno di ilarità ma solo un senso di nervoso disagio, dovette giocoforza sottrarsi con le pive nel sacco. Improvvisamente il resto del volto inglese sembrò più interessante dei suoi occhi, che pure avevano un punto di verde incredibilmente lucente e cristallino, difficile da poter descrivere.


Se non altro, oggettivamente parlando aveva un bel viso. Regolare e lievemente spigoloso, aveva i tratti fini di un ragazzo da poco entrato nell'età adulta, con un accenno di ricrescita della barba distinguibile solo a quella distanza sulla mascella non troppo marcata e spigolosa. Peccato le sopracciglia che appesantivano lo sguardo altrimenti giovanile e vivido (e i capelli senza una forma alcuna. Altro che il parrucchiere, avrebbe avuto bisogno di un miracolo divino). Sarebbe stato un buon elemento di studio per un ritratto... E no. Non era il momento per lasciarsi andare agli attacchi d'arte, sebbene per alcuni istanti avesse sentito sotto le dita il fremito impaziente che provava quando desiderava toccare qualcosa per studiarne la consistenza, la forma e la sostanza in modo più approfondito e interiorizzato di come potesse fare con la semplice vista.
Piuttosto, in una scazzottata (meglio prendere in considerazione ogni possibile scenario futuro) le avrebbe dato del filo da torcere? Non aveva certo i muscoli e la prestanza fisica di Germania o Prussia, e nemmeno l'imponenza e la stazza di America e Russia. Anzi, era piuttosto magrolino e minuto, più nervi che muscoli; ciononostante, non sembrava facile da atterrare. Se la giocavano alla pari, sebbene fisicamente fossero una l'antitesi dell'altro. Buffo, si trovò a pensare mentre ne osservava il pomo d'adamo muoversi lentamente su e giù, come una simile altezza e peso (sperando almeno di essere più leggera. Sarebbe stato uno smacco troppo grande scoprire di aver addosso più chili di lui) cambiassero tanto al colpo d'occhio in base alla persona e al sesso...

Il rumore di un ciocco carbonizzato che si spezzava nel focolare la fece sussultare. Quanto tempo avevano passato nel totale e imbarazzante silenzio? Da un lato anche troppo, ma dall'altro avrebbe preferito rimanere zitta per sempre, piuttosto che affrontare la situazione.
Ma dato che anche l'uomo non sembrava aver alcuna intenzione di spostarsi per molto, molto tempo, e lei cominciava a stare decisamente scomoda, si fece coraggio e si schiarì la voce.

“Ehm... s'è fatta una certa. Mi sono anche ricordata che devo rifare il letto per cui...” di nuovo si schiarì la voce con un falsissimo colpetto di tosse, e per potersi alzare posò la mano in avanti, sullo stomaco di Inghilterra, solo un accenno per spostarlo via. Ovviamente, non ebbe alcun successo. Tanto era innaturalmente forte lei, tanto lo era lui. Anzi, il gesto sembrò divertire parecchio l'uomo che accennò un ghigno. Sollevò la sua mano a coprire e bloccare quella dell'altra nazione, stringendola appena “Oh... don't worry. Puoi dormire con me...”

“... Va bene. Ho sbagliato esempio, colpa mia. Devo... andare a preparare la colazione per domani. Ho dimenticato di annaffiare le begonie. ...Devo lavare il gatto? Ritirare la vincita del bingo?” Continuò ad inanellare scuse, via via sempre più palesemente false e forzate, mentre tentava di affondare dentro la poltrona pur di allontanarsi dalla sempre più incombente figura sopra di lei e di liberare la mano ora trattenuta con insistenza e tenacia dall'altro.


Questa piega degli eventi non se l'aspettava proprio. Certo, le avevano detto quando finalmente era entrata a pieno diritto nel suo aspetto adulto di stato sovrano che questo avrebbe potuto portarle più problemi che vantaggi, ma in fondo lo aveva pronosticato Austria. E tutto quel che usciva dalla bocca dell'austriaco veniva automaticamente catalogata dal suo cervello come cazzata senza alcun interesse. Quindi se ne era sempre fregata e aveva continuato a vivere la sua esistenza tranquilla e felice, sicura del fatto che la sua natura di nazione l'avrebbe fatta scivolare indefessa accanto dall'eterna diatriba uomo-donna senza venirne mai sfiorata. Maschio o femmina che fosse, era una creatura al di sopra delle parti (e in effetti lei aveva sempre preferito la compagnia femminile, per il puro piacere fisico) e a nessuno poteva importare di meno di cosa facesse e di chi frequentasse al di fuori della sua vita pubblica... fino a quel momento.

E ora veniva fuori questo a dirle che era una bella donna. Non il simbolo di un territorio, ma proprio una donna.

Era... destabilizzante. Nessuna nazione, dacché lei ne sapesse, l'aveva mai considerata come una donna nel senso sessuale del termine. A parte forse Francis, ma quello lì non faceva testo. Era interessato sessualmente a qualsiasi creatura del mondo animale, vegetale o minerale, gli bastava avercela sotto le mani e in qualche modo trovava con cui sollazzarsi. Tanto che tra lei e la sorella avevano ridato un nuovo significato al termine “illibato”: colui o colei che corre più velocemente del francese (con una nota a margine di Lavinia: o anche solo più velocemente dell'ultimo tra gli inseguiti, solitamente Spagna).

Erano diventate delle scattiste nate, nel corso dei secoli. Dei fulmini.

… No, si era sicuramente sbagliata. Aveva capito male, poco ma sicuro. Tanto, capiva spesso fischi per fiaschi, perché non anche stavolta? Sorrise nervosamente, rialzando lo sguardo verso Inghilterra che ancora la bloccava sulla poltrona, la mano non impegnata a trattenere la sua sulla spalliera della poltroncina a bloccarne il capo. Cercò nei suoi occhi chiari la prova schiacciante del suo fraintendimento, una nota d'ironia, anche una velata presa in giro poteva andar bene.


Niente. Vedeva solo degli occhi fissi su di lei dalle pupille tanto dilatate che sembravano due buchi neri. Era davvero così serio nella sua proposta? … Non è che...

“Ehm... onestamente non credo che un'alleanza anglo-italiana possa funzionare, ora come ora. A parte che di solito bisognerebbe almeno essere due stati confinanti, per rendere la cosa di una qualsivoglia utilità... ma poi siamo palesemente in contrasto e i nostri popoli non hanno alcun punto in comune, a parte l'essere entrambi esseri umani - anche se noi siamo palesemente più belli e affascinanti. Non funzionerebbe”

Azzardò allora titubante, mordendosi il labbro inferiore. Poiché non poteva essere realmente interessato a lei come persona, dedusse, sicuramente era questo il motivo per cui aveva parlato di compagna. Anche se la cosa faceva lievemente a cazzotti col piccolo particolare della guerra. E del fatto che fossero sui fronti opposti. Anche sforzandosi un'unione tra le nazioni italiana e inglese non avrebbe mai funzionato. Forse, e solo per ipotesi, a livello economico con gli scambi commerciali...

Per un attimo Inghilterra ristette, come nemmeno l'avesse sentita. Quando però l'eco delle sue parole gli arrivò alla mente... spalancò gli occhi, fissandola stralunato. Boccheggiò per alcuni istanti, mentre guance e orecchie cambiavano colore vertendo su una delicata tonalità rossa. Oh, anche lui come Rose arrossiva senza motivo. Decisamente strani gli inglesi.

Poi... scoppiò a ridere. Una risata fredda, nervosa. Quasi isterica. Si scostò da lei con veemenza, dandole le spalle mentre si dirigeva alla finestra, per guardar fuori la notte ormai avanzata.

“Holy God... la tua faccia spaventata è la cosa più divertente che abbia mai visto da almeno cinque anni a questa parte. Capisco perché metà d'Europa abbia sempre cercato di schiavizzarti... è esaltante trattarti male e prenderti in giro” La donna si morse il labbro inferiore, nonostante tutto le parve più saggio non attirare di nuovo l'interesse e lo sguardo dell'altra nazione. Strinse i denti sotto le guance ingoiando una rispostaccia e non disse nulla.

Per un po' anche l'altro rimase in silenzio, rendendo l'atmosfera tanto tesa e pesante che avrebbe potuto tagliarsi con un coltello. Poi, sempre offrendole le spalle, intrecciò le mani dietro la schiena e riprese a parlare.

“Ti trovo insopportabile. Ti ho sempre trovato odiosa, da che ho memoria della tua esistenza. Prima della Grande Guerra quando nonostante tutto eravamo alleati, prima dei Great Touring... Prima ancora che Francia venisse a vantarsi con me della sua cucina, che in realtà veniva da te...*”

Inghilterra sospirò, e abbassando le spalle con fare stanco appoggiò la fronte al vetro freddo, sempre tenendo il volto nascosto all'altra nazione mormorò piano

“Da quando hai preferito mia sorella Irlanda a me, per essere precisi”


Ahhh... dunque è qui che voleva andare a parare. Ancora con quella storia dei vari anatemi che gli aveva lanciato contro nei secoli passati quando aveva dato vita allo scisma della chiesa anglicana.

Bé, la maggior parte di questi se li era meritati tutti, dal primo all'ultimo. Pensava davvero che dopo tutto quel putiferio (per colpa del quale aveva perso un sacco di potere sia in Europa che nel resto del mondo appena scoperto) lei avrebbe più provato il benché minimo interesse per la sorte degli inglesi? Ma che fossero crepati tutti all'inferno, lei avrebbe ballato sopra la tomba di tutti i suoi regnanti. Ovvio che per questo motivo si era avvicinata ancor di più alla ben più ragionevole Irlanda – che in realtà ragionevole non lo era per nulla, ma Italia era sempre stata bravissima a rigirarsi le persone come le pareva. Peccato che da quando aveva lasciato il potere cattolico in mano al suo fratellino Gregorio per unirsi a Lavinia in una nazione unitaria avesse perso un po' il tocco magico – e prima ancora a Scozia. Ma anche lo scorbutico rosso, alla fine, aveva ceduto alla nuova religione. Decisamente quest'isola maledetta non le aveva mai dato alcuna soddisfazione, dalla fine del dominio imperiale di Britannia ad oggi...

“Non sono io che ti ho rinnegato per permettere al tuo re di sposarsi come e quando gli piaceva, anzi. Ero arrivata a dare la licenza di matrimonio con la Bolena, nonostante il tipo si fosse già fatto la sorella. Colpa tua e sua che avete pestato i piedi agli spagnoli e al Sacro Romano Impero... La scomunica poi è stato un atto dovuto e meritato, considerando anche in che maniera oscena e brutale hai trattato i cattolici nelle tue terre” rispose dopo aver fatto schioccare rumorosamente la lingua sul palato, incrociando le braccia sotto al seno con fare nervoso. Ogni volta che ci ripensava si scaldava come un cerino, era uno dei – tanti – argomenti nel passato che la mandavano in bestia.

“Cielo, avrà cambiato più mogli che scarpe, quel dannato! Avrebbe potuto fare come tutti gli altri regnanti d'Europa e mettere al mondo un figlio bastardo da legittimare... ma no! Molto più salutare e logico divorziare a rotazione – magari facendo uccidere la precedente moglie tanto per – e far finta di mantenere una parvenza di puritanesimo, eh?” Italia sbuffò, scuotendo il capo con fare scocciato. Disincastrò le braccia solo per poter sventolare la mano sinistra, come a scacciar via una mosca.

“Voi protestanti anglicani avete una morale contorta e ipocrita. Per voi non è importante non peccare, quello che conta è che nessuno lo venga a sapere...” nel frattempo si era alzata in piedi, raddrizzando la schiena. Che per quanto la gestione dello Stato della Chiesa e della religione cattolica in Europa tra lei e suo cugino Francia fosse stata decisamente e paradossalmente una bolgia infernale – non potevano farci nulla, amavano gli intrighi e i giochi di potere in maniera patologica. E avevano trasmesso questo tratto alla maggior parte delle loro famiglie nobiliari, che nei secoli si erano succedute alla conquista del soglio pontificio in una girandola di tradimenti e sordide alleanze tale da non essere inferiore a qualsiasi altra dinastia reale – nemmeno gli altri loro “concorrenti” alle anime dei buon cristiani erano poi così candidi e lindi come volevano farsi passare.

“Lutero aveva delle idee oneste alla base, posso ammetterlo. Eretiche e assolutamente inaccettabili per la mia chiesa temporale e i miei traffici” lieve colpetto di tosse colpevole a confondere la parola “ma oneste. Tu che avevi? Pure e semplici motivazioni politiche, oltreché la fregola di un re debosciato. Almeno potevi far finta di nasconderle dietro una ideologia di qualsivoglia tipo...”

Inghilterra si staccò dalla finestra voltandosi di scatto, e in meno di tre passi era di nuovo di fronte ad Italia, ricambiandone lo sguardo astioso. Purtroppo, questo era un argomento che mandava in bestia anche lui, scoprì la donna.

“Hai una bella faccia a parlare, te che hai giocato con l'anima” alzò entrambe le mani, a fare il segno delle virgolette con indice e medio per sottolineare la parola anima “di mezzo mondo come se fossi una bimbetta isterica e viziata, solo per soddisfare le tue manie di protagonismo. Te e i tuoi dannati pontefici corrotti e assetati di potere a schioccare le dita e decine di re e imperatori a prostrarsi ai tuoi piedi, col perenne rischio di una scomunica tra capo e collo. Ringrazio il cielo di aver smesso di ascoltare le tue baggianate secoli fa”

La donna lo fissò per alcuni secondi, poi l'espressione accigliata si fece maliziosamente cattiva.

“Ah-ah! Ecco dove ti volevo...” La donna sorrise lieve, mentre orna con la punta dell'indice punzecchiava lo sterno dell'altro, con l'intento – riuscitissimo, tra l'altro – di infastidirlo ancor più che con le sole parole “Leggo una puntina di invidia, Inghilterra? Ti scoccia che io sia Italia l'incapace, Italia la mediocre che nonostante la sua palese debolezza regnava su di tutti in quanto detentrice del potere temporale e spirituale della Santa chiesa Cattolica, a cui tutti volenti o nolenti davano ascolto... e anche ora sono una delle terre più ambite e ammirate al mondo. Mentre tu sei il povero e piccolo Inghilterra che nessuno voleva, e per trovare dei compagni hai dovuto sottomettere decine di popoli e paesi il cui più grande desiderio è di vederti soffocare nel sonno... Bé, lasciati dire una cosa.


Non ti vuole. Ancora. Nessuno.” sibilò con una cattiveria che stupì lei stessa per prima, d'istinto.

Ed in effetti, ripensandoci a mentre fredda forse era meglio se fosse stata zitta.


Eppure aveva speso un sacco di secoli ad affinare le arti della diplomazia... Secoli buttati nel cesso, per dirla con un francesismo.

Dire che Inghilterra davanti a lei fosse furente era decisamente un eufemismo. Era come paragonare una tigre affamata ad un micino appena nato, ancora con gli occhietti chiusi. Improvvisamente nonostante fosse più alto di lei solo di pochi centimetri sembrò occuparle tutto lo spazio visivo, gli occhi verde erba che sprizzavano scintille di odio da ogni fibra dell'iride rilucendo nemmeno avessero avuto il tappeto lucido dei gatti. Per un attimo valutò la distanza tra lei e la porta, e se avrebbe fatto in tempo a raggiungerla prima dell'autocombustione dell'altro. Scaldava più lui del caminetto acceso, ora come ora...


I suoi calcoli vennero interrotti dalla presa ferrea di Inghilterra sulle sue braccia, tanto forte da farle formicolare le mani. Deglutì nervosamente, attendendosi come minimo di fare un volo verso l'altra parte della stanza, e strizzò gli occhi, trattenendo il fiato in attesa del colpo che sarebbe arrivato tra poco.


Nulla... Per qualche strano motivo, Inghilterra non stava facendo nulla. Se non stritolarle la carne con la sua stretta. Quando si azzardò a riaprire gli occhi, lo ritrovò nella stessa identica posizione, tanto che le venne da chiedersi se avesse almeno sbattuto le palpebre o respirato, nel frattempo.

Se non altro non sembrava volerla uccidere sul momento, nonostante tutto aveva trovato la sua morte poco utile. L'aura minacciosa non era diminuita nemmeno un po', in compenso.

Sempre tenendola in modo da non permetterle alcun tipo di allontanamento, lentamente l'uomo le si avvicinò tanto da sfiorare la fronte con la sua. Strano, chissà perché il suo cervello quando era nelle situazioni assolutamente più a rischio, si metteva a pensare alle cose più stupide e inutili. Ad esempio ora stava automaticamente registrando l'odore dell'altra nazione, che coprendo quello fisico che il corpo naturalmente emanava, lo identificava come “Inghilterra”. Pioggia, lieve sentore di tabacco e tea stagionati, rose appena raccolte. Piacevole, probabilmente rilassante, in un'altra situazione. Ora come ora era solo inquietante come tutto il resto della persona che lo emanava.

Chissà, si domandò, quale fosse il suo di odore... ne era così immersa che nemmeno riusciva ad avvertirlo, ma probabilmente assomigliava a quello di Lavinia... o forse no. Mah...

“Felicia.”

… decisamente doveva togliersi questo viziaccio di spaziare con la mente quando non doveva.

“...si?” rispose timidamente, la voce di un paio di ottave più alte del normale. Nemmeno si offese per come l'aveva di nuovo chiamata col nome personale, tanto l'aveva presa alla sprovvista.

“Spero con tutto il cuore che tu non prenda assolutamente in considerazione l'idea dell'armistizio. Così alla fine di questa guerra tu sarai la nazione perdente su cui mi rifarò con più dedizione e divertimento. Anzi, penso che addirittura ti chiederò come risarcimento di guerra personale, e stai pur sicura che se voglio una cosa io la ottengo”


Ossantapeppa. Voleva torturarla? Era un sadico? ...Si, con quella faccia non poteva essere niente altro che un sadico. E anche uno di quelli parecchio scorbutici e stronzi. Alla faccia tua Gilbert, visto che ti sei sbagliato? Tu e i tuoi diari non sapete poi tutto come volete far credere. Hai perso la scommessa anche te.

… bé, era una motivazione ben misera per gioire, anzi. Ma bisogna sempre vedere il lato positivo delle cose.

L'avrebbe costretta a lavorare per lui fino alla notte dei tempi per risarcirlo, o peggio ancora a mangiare la sua orrenda sbobba fangosa?

… se questa era una tecnica di psicologia inversa... bé, funzionava alla grande. Alla grandissima.

Praticamente aveva già la mano sulla penna che avrebbe vergato la richiesta di armistizio.


“ … E dopo che sarai diventata mia, rimpiangerai i bei vecchi tempi in cui le altre nazioni si litigavano le tue terre. Ti sembreranno piacevoli ricordi in cui il più grande impiccio era cambiare armadio ad ogni nuovo conquistatore, per adattare i tuoi vestiti alla loro corte. Anzi, ti dico fin da ora che dell'armadio potrai anche fare a meno. Francia ti sembrerà una monaca di clausura a confronto.”


No!! voleva togliergli uno delle sue più grandi e ardenti passioni, i vestiti alla moda! Come avrebbe fatto senza le sfilate e le visite a sarti e modiste, i pomeriggi passati tra i negozi più chic con la sorella a provare decine e decine di scarpe, gonne, corsetti... Decisamente era una minaccia mostruosa. Era quasi certa che da qualche parte nella convenzione di Ginevra ci fosse scritto qualcosa sul negare ad una donna lo shopping. L'avrebbe costretta a vestirsi sciattamente come gli inglesi? Cielo, che orrore... alla sola idea Italia ebbe un brivido lungo tutta la spina dorsale.


“Ma... la convenzione di Ginevra... i miei diritti... ” provò a pigolare la donna, i cui occhi si stavano pericolosamente riempendo di lacrime. Di nuovo. “Giusto, il diritto alla sovranità... non ho mai attaccato fisicamente l'Inghilterra, quindi anche se per risarcimento tu non puoi pretendere il suol-”


“Oh, no. Io non voglio l'Italia.” L'altra nazione la interruppe con una risatina che sapeva di isterico “Non chiedo le tue terre, e del pagamento che dovrà la tua nazione alla mia ci penserà la corte internazionale. Io voglio te. Anche a costo di trovare un modo per farti perdere il potere di nazione, puoi scommetterci l'anima che ti avrò.”


“Io... penso di sentirmi male. Molto male...” Mugolò la donna, dopo una piccola pausa di silenzio. Effettivamente, se non fosse stata sostenuta da Inghilterra probabilmente si sarebbe già trovata stesa sul pavimento. L'uomo, dopo averla controllata con fare clinico – e anche un filo ossessivo - la fece indietreggiare fino a farla sedere sulla poltrona, poi lasciò la presa e il contatto visivo. Se non altro, non sembrava intenzionato a rovinare prima del tempo quel che già catalogava come una sua proprietà malvestita e ridotta alla fame. Probabilmente anche sfruttata economicamente. Che culo.


“Sentiti pure male quanto desideri, è un tuo diritto. Tanto ciò non cambia quello che ho deciso, a prescindere da quel che tu possa provare. Prima accetti la situazione, e prima riuscirai a fartene una ragione... Ora” Sbuffò, e raddrizzando la schiena portò lo sguardo verso la porta ancora chiusa. Sovrappensiero si portò la mano al nodo della cravatta, allentandolo. Gesto che gelò il sangue alla donna facendola rabbrividire, anche se non ne comprese il motivo in modo logico. Mentre che lei era ancora intenta a comprendere come mai avesse provato quel senso di vago terrore, Inghilterra aggiunse, come a non dare molto peso alle parole poco prima pronunciate “Penso si sia fatto troppo tardi, ed io domani mattina ho un consiglio alla camera dei Lord. Buona notte.”

Detto questo, senza più scambiare un solo sguardo con Italia uscì spedito dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle. La donna, ancora ciondolante dal vago senso di nausea e terrorizzata fin nelle ossa per l'orribile destino che le si prospettava d'innanzi attese di sentire sparire del tutto il rumore degli stivali sul pavimento di legno, prima di prendere fiato e coprirsi gli occhi, sospirando.


Passarono più di cinque minuti di silenzio rotto solo dalla pioggia incessante e dal basso crepitare del fuoco che andava spegnendosi, dopodiché alla donna passò il senso di fastidio alla bocca dello stomaco e riuscì a trovare il coraggio di muoversi da quella poltrona senza temere il ritorno dell'inglese. Più che altro, le facevano tremendamente male i fianchi e... si, le apparecchiature di bassa manovalanza.

Mannaggia a lei quando quella mattina aveva messo quelle brache. Erano la cosa più scomoda dell'universo. Non che il resto dei vestiti appartenenti all'inglese fossero più comodi, ma quelle erano... insopportabili. Strette e con le cuciture proprio dove non dovevano stare. Alla sola idea di dover indossare abiti simili per il resto della sua vita, se il facciadaculo avesse attuato le sue intenzioni, e non i suoi comodissimi ed eleganti abiti di alta sartoria...

Di nuovo le venne il magone. Unito alla rabbia, ma ora che l'altro era a debita distanza si poteva sfogare liberamente. Con un gesto stizzito si sfilò gli stivali lanciandoli sul pavimento con cattiveria, quasi lo avesse identificato con la faccia di Inghilterra (restò comunque in allarme per parecchi istanti dopo il gesto, temendo di sentire dei passi in avvicinamento). E poi passò alle brache, a cui fece fare un volo ancor più lungo fino alla finestra. Dato che c'era, slacciò anche i primi bottoni della camicia, srotolando del tutto le maniche che ora le coprivano le mani fino oltre l'attaccatura delle dita.


Oh... ora si che si ragionava. Libertà, ambita e magnifica libertà!


Zompettò un po' in giro per la stanza, a godersi la sensazione di ruvido calore del pavimento in legno trattato, inframezzato dalla morbidezza dei tappeti persiani su cui era un piacere incommensurabile strofinare i piedi nudi. Dato che quella requisita come camera propria nei giorni passati era con molta probabilità la stanza da letto di Inghilterra, si risolse nel passare la notte nello studio, a debita distanza.

Per un attimo pensò di andarsene da Rose e spupazzarsela un po', ma probabilmente a quell'ora la ragazza già dormiva e poi la sua stanza era troppo vicina a quella del fratello, sicuramente lo avrebbero svegliato. No, meglio lasciar riposare loro che potevano e rimanere nello studio fino alla mattina, quando lo stronzo faccia da culo se ne sarebbe andato alla sua dannata riunione.

Magari non avrebbe dormito comodissima – o meglio, su quelle poltroncine non avrebbe dormito per nulla – ma se non altro non avrebbe dovuto sorbirsi ancora la mefistofelica presenza del padrone di casa, o addirittura una filippica su come era riuscita a ridurre quella stanza nel breve lasso di tempo in cui vi aveva sostato.

Colpa di Facciadaculo che non sa ottimizzare gli spazi e nasconde le cose, si autodifese Italia mentre con gli occhi e la punta delle dita scorreva le coste dei libri su uno scaffale della fornita libreria inglese.

Molti di questi erano memorie, saggi o racconti di viaggio; ne prese uno riguardante i trascorsi nel suo paese di un giovane visconte due o tre secoli prima in balia di un sentimento nostalgico per i suoi paesaggi, ma lo rimise al suo posto dopo averne sfogliato alcune pagine a caso. Tipico degli inglesi: finiscono nei posti più belli al mondo, fossero le sue città d'arte o i paradisi terrestri ai quattro angoli del mondo, e passano pagine e pagine a descrivere l'ora del tea e le minuzie del galateo nel servirlo con eleganza. In quelle poche pagine lette aveva appreso perfettamente la mìse del visconte e della sua accompagnatrice lungo le strade di Firenze, ma nulla su Firenze stessa. Bah.

Ne prese un altro ma anche questo non riscontrò il suo favore, lasciandola frustrata. Sbuffò appena e continuò a cercare spostandosi lungo le librerie stracariche. Tra i vari manuali ed enciclopedie, vi erano anche trattati erboristici, geografici e scientifici posizionati in bella mostra e dall'aria vissuta; diversi manuali di giardinaggio e di galateo, e persino qualcuno sul ricamo e sulla confezione sartoriale (anche questi parecchio consunti e dalla copertina graffiata e rovinata agli angoli, come se fossero stati letti e rimessi a posto molte e molte volte); un intero piano di libri di cucina e pasticceria, comprensivo addirittura di una delle prime copie de “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene” dell'Artusi, probabilmente un regalo a giudicare dalla dedica sarcastica sulla seconda pagina del volume. Nuovo di zecca, ancora aveva la carta velina che proteggeva le pagine interne e la pelle che rivestiva la copertina era polverosa e lievemente grassa, come se non fosse mai stato toccata. Come tutti gli altri manuali di cucina, notò.


Questo spiegava tante, tantissime cose.


Continuò a cercare qualcosa che le attirasse l'attenzione, ma quando arrivò ai romanzi di appendice, tra i tantissimi titoli più o meno sconosciuti trovò un libercolo senza alcuna scritta sulla costa esterna, nascosto tra una fila di libri tutti tra loro quasi tutti uguali e riposti nello scaffale più in alto. O meglio, la copertina era stata rivestita in modo tale che non si potesse leggere cosa vi fosse scritto, se non aprendolo. Tutta questa segretezza ovviamente non fece altro che alimentare la fiamma della curiosità femminile, e alla fine fu proprio questo tra i tanti che l'avevano attirata ad essere sfilato via dal suo loco con attenzione. Anche questo, ad una attenta occhiata sembrava essere stato sfogliato molte volte...

Una volta decisa su cosa leggere, Italia spense la luce principale, rimanendo per alcuni istanti alla lieve luce brunita delle braci morenti. Dopo aver attizzato il fuoco alimentandolo con nuova legna, a tentoni si avvicinò alla scrivania cercando sopra di questa il pulsante per accendere l'abat-jour. Parecchi secondi dopo passati in ricerca tra carte e portapenne sentì sotto le dita la ceramica dell'interruttore, e fattolo scattare la calda luce ovattata dalla carta di riso illuminò di nuovo la scena. Sorrise lieve, lasciandosi cullare per un attimo dall'atmosfera tranquilla e dall'ipnotico rumore del fuoco scoppiettante e della pioggia che imperterrita continuava a scendere al di fuori della finestra. Non fosse che non era a casa sua, poteva quasi dire che quello era il momento della giornata che preferiva: pacifico e raccolto...


Canticchiando, dal mobile del bar prese una bottiglia di cristallo piena di brandy, ed un bicchiere. Posò entrambi sul piano accanto a lei – esattamente sopra i fogli che prima Inghilterra stava facendo finta di studiare – e poi spostata la sedia imbottita vi si accomodò, alzando le gambe fino ad incrociare le caviglie sul bordo coperto di pelle verde della scrivania. Si, ora era comodamente pronta per dedicarsi alla lettura di...

Un libro austriaco. Ohibò, questo non se lo aspettava proprio. Che ci faceva Mr. “la mia letteratura è la meglio del mondo e voialtri non siete altro che feccia ignorante” con un libro in austriaco?


“Venus im pelz***”


Lesse incuriosita a voce bassa il titolo in caratteri minuti nella seconda pagina di copertina del volumetto, cercando di imitare l'accento del patrigno. Bah, mai sentito. Si versò un bicchiere di liquore, mentre con uno sforzo di memoria tentava di ricordarsi almeno dove aveva sentito il nome di Von Sacher Masoch, l'autore. Le sembrava che Roderich ne avesse parlato una o due volte, nel secolo scorso, lamentandosi della sua amoralità e della condotta riprovevole tenuta dal suddetto scrittore... ma onestamente non gli aveva dato peso. Al tempo aveva altri problemi che non fossero leggere autorucoli da strapazzo suggeriti (in realtà non glie lo aveva proprio suggerito, quanto piuttosto categoricamente vietato. Ma si sa, vietare qualcosa ad una giovane nell'età della ribellione, per quanto in realtà millenaria, era un palese invito a fargli fare quella determinata cosa per puro spirito di contrarietà) dall'esagitato austriaco. Bé, dato che c'era si sarebbe rifatta ora...


Non era arrivata nemmeno alla seconda pagina del romanzo, che di colpo, prendendola completamente alla sprovvista la porta del salotto si spalancò di nuovo, mostrando Inghilterra in maniche di camicia e bretelle, che fissava un punto indefinito davanti a sé con espressione stralunata e un filo psicotica distinguibile nonostante la penombra e la distanza. Per l'accidente il bicchiere ancora pieno che teneva tra le dita le era scivolato, rovesciandoselo addosso. Ed ora una scura macchia con il penetrante odore di brandy invecchiato le decorava la camicia mezza sbottonata.

“...Chi? Cosa?” Esclamò la donna tremante sia per lo spavento appena preso che per la sensazione di bagnato dato dal liquido freddo sulla pelle, mentre tentava di arginare il danno tamponando la macchia con un pezzo di carta assorbente tenuto sul piano per le lettere. Col risultato di lasciare sulla camicia un tempo candida anche delle lievi macchie di inchiostro scioltosi con l'alcool. Ecco cosa si era dimenticata di fare, chiudere la porta a chiave. Male, molto male Felicia. Perdi colpi...


“Ripensandoci” Le rispose l'altro, in tono colloquiale mentre si richiudeva la porta alle spalle. Facendo scattare la serratura, l'avvertì un campanello di allarme leggera e soave come una sirena da transatlantico. “Non ho alcun bisogno di attendere la fine del conflitto per considerarti di mia proprietà. Sei già dentro casa mia, dopotutto...”

Un lieve senso di vertigine investì Felicia, che si sentì tutto il sangue defluirle dalla testa. “...veh?”


“Ergo, fanculo ai lord e alla loro camera. Spero che tu sia preparata psicologicamente, che io stanotte ho tutta l'intenzione di portarmi avanti con la presa di possesso.” Senza por tempo in mezzo si era avvicinato di nuovo alla scrivania, tenendo lo sguardo fisso su quello della donna. Quando poi però lo abbassò, lo vide bloccarsi sul posto. L'uomo sbatté le ciglia boccheggiando, e la pelle stava cambiando così rapidamente e vistosamente colore che anche alla tenue luce della lampada riusciva a notarlo. Dal normalmente rosa al rosso, per poi passare al cianotico e al bianco cadavere. E poi tornare rosso acceso. Molto patriottico, se non altro.


Continuando a fissarla senza sbattere le palpebre deglutì una, due volte a vuoto, poi balbettò a fatica


“S-sei nud...”


Al che, venne finalmente anche a lei l'idea di guardare in basso. O meglio di guardarsi, ancora seduta sulla poltroncina ad asciugarsi la macchia e con le gambe alzate ed appoggiate al bordo della scrivania.


Oh merda. I pantaloni.


Dov'è che li aveva lanciati? Ah, giusto, sotto la finestra. All'improvviso la magnifica sensazione di libertà poco prima provata non le sembrò più così bella e magnifica. E desiderò ardentemente di aver indossato ANCHE le mutande dell'uomo assieme al resto dei vestiti quella mattina, nonostante la biancheria intima maschile fosse parecchio scomoda.



D'ora in avanti, pensò Italia deglutendo mentre sentiva le mani dell'uomo sollevarle il viso e lo vedeva avvicinarsi pericolosamente a lei, avrebbe potuto aggiungere a sua volta una nota a margine al significato della parola “illibata”: quello che ero prima di starmene nuda come una fessa di fronte ad Inghilterra arrapato.






* Alta cucina francese medievale? Ma anche no. Durante il medioevo in Francia si mangiava esattamente come si mangiava nel resto del nord Europa: cibi estremamente semplici con metodi da barbari. Fu infatti Caterina De Medici, sposa del delfino di Francia Enrico D'Orleans a introdurre la buona tavola con la distinzione tra i cibi salati e dolci – al tempo si mangiava tutto assieme, senza alcuna differenza tra una portata e l'altra - l'uso della forchetta al posto delle dita ( a sua volta ereditata dai veneziani, che impararono ad usarla dall'impero Romano d'Oriente... anche se i romani già la conoscevano, ai loro tempi) , e di parecchi alimenti e salse, come la besciamella, le crespelle (che poi diventeranno le crépe), l'olio d'oliva e l'abitudine di condire la carne di volatile con gli agrumi. Ed i francesi ne rimasero così entusiasti che praticamente la assorbirono facendola diventare la loro cucina nazionale. Tanto che oggi come oggi alcuni piatti che da noi ormai sono spariti, sono ancora presenti nei territori d'oltralpe.


** Ovviamente parliamo di Enrico VIII, regnante in Inghilterra e in Irlanda dalla fine del 1400 fino alla metà del 1500, della casata dei Tudor.

N.B. Questo è un riassunto molto ma molto stringato (e anche piuttosto scemo), se mi mettessi a parlare di tutti gli intrighi dietro alle famiglie reali del tempo facciamo l'alba di domani.

Allora... Il bel signore, nonostante agli inizi del suo regno fosse un fedele seguace del papa e della fece cattolica, Quando si accorse che la moglie – Caterina d'Aragona, unita alla famiglia regnante di Spagna e zia dell'imperatore del Sacro Romano Impero – non poteva più dargli un figlio maschio decise di chiedere al papa la dispensa per poter divorziare e poter così sposare in seconde nozze Anna Bolena, la sorella di una sua vecchia amante, Maria Bolena. Ovviamente il Vaticano, non essendoci i presupposti per poter annullare legalmente il precedente matrimonio alla Sacra Rota (anche perché la suddetta Caterina d'Aragona era imparentata sia con la famiglia reale spagnola sia con l'attuale imperatore del Sacro Romano Impero CarloV, e non era molto salutare mettersi contro due dinastie regnanti per farne contenta un'altra) gli disse molto diplomaticamente “attaccati a sto campanile”.

Enrichetto non la prese molto bene.

La chiesa cattolica non gli dava la possibilità di divorziare? Bene, si sarebbe fatto una propria chiesa, quella anglicana. In cui il divorzio – da parte maschile, quello femminile chissenefregava – era facilmente ottenibile.

Come è ovvio pensare, la cosa non andò giù né a Roma né ai vescovi e ai cardinali inglesi, che temevano di veder minato – a ragione, scopriranno - il loro potere sull'isola britannica. Di comune accordo fecero delle trattative segrete per poter rendere nullo il matrimonio di Caterina ed Enrico, così da evitare il motivo del divorzio e peggio ancora lo scisma. La futura ex regina, forte dell'appoggio della famiglia reale spagnola e del SRI (che mi sono scocciata di scriverlo sempre per lungo) osteggiò tanto questa cosa facendola tirare per le lunghe, che il re inglese si stufò di attendere e diede vita allo scisma. Frittata fatta.

Cosicché Enrico divorziò da Caterina e si sposò la bella Anna Bolena, avendone una figlia, Elisabetta. Disconoscendo la prima figlia Maria ottenuta dal precedente matrimonio.

E qui parte la scomunica, anche perché il re, forte della sua nuova posizione da capo della chiesa comincia ad espropriare tutte le proprietà delle chiese cattoliche e dei conventi, costringendo tutti gli adulti del regno a seguire la nuova religione pena l'essere incolpati di alto tradimento e rischiare la morte. Pur essendo ancora, nonostante l'anglicanesimo, un re cattolico. Solo in seguito prese (e diede alla propria chiesa) una inflessione protestante.

Dopo Anna, che gli diede solo Elisabetta, Enrico sposò altre 4 donne, e a parte la terza (Jane Seymour) che morì di parto e l'ultima (Caterina Parr) che gli sopravvisse, vennero tutte ripudiate. La quarta, Anna di Cléves accettò di buon grado e ottenne per questo un indennizzo reale, mentre Anna Bolena e Caterina Howard vennero – a torto o a ragione, chissà – incolpate di tradimento e giustiziate.

Ebbe anche una discreta sfilza di figli, ma la maggior parte morì infante, come era solito accadere al tempo. Dalla terza ebbe l'unico maschio erede – Edoardo IV – che sopravvisse comunque poco al padre morendo a 16 anni. Ma fece comunque in tempo a chiedere (no, non la chiese veramente lui. Anche perché quando decisero sta roba, aveva si e no 6 anni) la mano di Maria Stuarda della casata regnante scozzese, anche se la madre preferì mandarla come sposa al delfino di Francia.

Le altre sue figlie ereditiere furono le prime, Maria la cattolica – figlia di Caterina d'Aragona – ed Elisabetta la protestante, figlia di Anna Bolena. Ma entrambe vennero illegittimate, poi riabilitate, poi illegittimate di nuovo e infine, decisamente incacchiate, riabilitate di propria iniziativa (Maria si prese la corona con la ragione della forza, togliendola alla pseudo erede di Edoardo IV Jane Grey, parente alla lontana).

Le due sorellastre poi si fecero una guerra feroce, ma non ho più la forza né la voglia di descriverlo. Tanto ai fini della nostra storia non serve a nulla >_>


In parole povere, le telenovele moderne non hanno inventato nulla.


*** Venere in pelliccia, scritto nel 1870 dallo scrittore austriaco Leopold von Sacher Masoch.
Se per puro caso il cognome di questo gentiluomo vi ricorda in maniera inquietante la parola “masochismo”... bé, ci avete preso u.u

Il libro è un romanzo autobiografico in cui il protagonista, attratto dall'idea di una donna sadica e glaciale vestita solo di una pelliccia e di una frusta, vista in sogno, convince la propria amante a trasformarsi in una padrona crudele e sottoporlo a punizioni e umiliazioni sempre più pesanti, atte a soddisfare il suo piacere parafiliaco nella totale sottomissione e nel dolore fisico e psicologico. Nel libro alla fine vi è una parziale “redenzione”, che nella realtà invece non fu presente almeno a quanto dice la sua stessa moglie. Infoiato di frustate e pellicce era, e infoiato rimarrà nei saecoli saecolorum (fino a quando non verrà internato dalla stessa consorte in un manicomio. Amen.) 

Tra l'altro lui e la sua amante son venuti a far le prove generali per il libro in Italia, a Venezia. Si vede che ispiriamo.



Angolo del perché e del percome (che nessuno voleva)


Ed eccoci, dopo che ve l'avevo promesso, all'angolo SuperQuark! (che sembra più che altro l'angolo Ulisse) *parte la musichetta*

Dunque... le idi di marzo. Perché ho scelto questo titolo che all'apparenza non c'entra una beata mazza?

Bé. Per prima cosa perché la storia è iniziata a marzo del '43, e quindi per una piccola parte ci siamo. Anche se non durante le idi, che sono presenti sin dal calendario romano – dalla fondazione di Roma, quindi già dall'ottavo secolo prima di Cristo. Quello che stiamo usando noi ora si chiama gregoriano, ed è basato invece su quello giuliano, già di 365 giorni – ed erano il giorno 15 dei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre. Nei restanti mesi cadeva il 13, e solitamente corrispondeva alla luna piena (i mesi non avevano un numero di giorni fissi, e si adattavano al ciclo lunare per far si che le “idi”, le “calende” che erano i primi del mese e le “none” cadessero sempre durante una determinata fase: nell'ordine luna piena, luna nuova, luna crescente). L'anno cominciava a marzo, il mese dedicato al dio Marte, e finiva a Dicembre (mese decimo, per l'appunto) con una pausa invernale di circa 60 giorni variabili in cui non vi era alcuna nomenclatura a indicare i giorni mensili.

Poi venne il calendario di Numa Pompilio, che è cosi incasinato che non ci ho capito una fava nemmeno io e quindi mi resta difficile spiegarvelo. Sappiate solo che finalmente vengono catalogati anche i giorni invernali, suddivisi in gennaio (mese dedicato al dio Giano) e in febbraio, mese della Februa, una festa romana. Usato più che altro come tappabuchi (da ora i mesi hanno un numero di giorni fissi, o 29 o 31. Per cui i giorni che servivano a ricalibrare l'anno in base ai cicli lunari venivano infilati qui)) e perché i numeri dispari venivano considerati sfortunati ed un anno composto di 11 mesi significava una grande sfiga. E l'anno continuava ad iniziare a marzo.

Questo pastr-calendario venne rielaborato alla salita come pontefice massimo di Giulio Cesare: con l'introduzione dell'anno bisestile si compensò lo slittamento delle stagioni -finora il problema era stato risolto lasciando a datazione libera il mese di febbraio – e si portò finalmente l'anno solare a 365 giorni. Ormai le idi e le calende non cadevano più nel giorno della luna piena e nuova, ma erano rimaste comunque come nominativi per il conteggio dei giorni. Non si conteggiavano infatti i giorni dopo il primo andando a sommare, ma bensì calcolando quanti ne mancassero ad una determinata fase del mese: ad esempio, il 13° giorno di marzo era il 3° prima delle idi (il giorno stesso della fase faceva parte del conteggio). Tecnicamente avevano anche un altro metodo per conteggiare i giorni suddivisi in ottave (che in realtà erano di nove giornate in cui il giorno principale era stabilito dal giorno del mercato. Quindi, se due città facevano il mercato in giorni diversi era un casino allucinante, perché poi i giorni non corrispondevano più. Tanto per dire, complichiamoci la vita ancora un po' che non basta mai) ereditato dagli etruschi. Ma suppongo che fosse così arzigogolato anche per loro che, se uno dava un appuntamento a talaltro per incontrarsi in un giorno prestabilito, poi si andava sul posto ogni santo giorno perché nessuno dei due aveva capito bene quand'era questo giorno.


E fino a qui abbiamo spiegato cosa sono le Idi. Cosa c'entrano con questa storia?

Dunque, durante il 44 AC Caio Giulio Cesare, all'apice del suo successo come Console vittorioso nelle campagne belliche e come dittatore della città di Roma (il dittatore al tempo era colui che deteneva il pieno potere politico e militare, ma non aveva la valenza negativa che ha assunto la parola in tempi più recenti) era intenzionato a trasformare la sua carica temporanea in una fissa, divenendo re. La cosa non venne accettata dai Romani, da sempre legati al concetto di repubblica. Per cui un gruppo di senatori preparò una congiura, e nella giornata delle idi di marzo assassinarono Cesare con 23 coltellate date ognuna da uno dei cesaricidi. In realtà il numero dei congiuranti era molto più alto, si stima attorno ai 60-80 sia tra i contrari alla sua ascesa al potere che tra i suoi seguaci scontenti, per un motivo o per l'altro, della sua politica. Ma solo in 21, tra pretori e senatori furono i reali esecutori della condanna a morte (qualcuno deve averne data un paio di più, giusto per essere sicuri che non si rialzasse urlando Bazinga!!). Curiosità, sembra che la famosissima frase “tu quoque, Brute, fili mi!” non sia mai stata realmente pronunciata. Un abbellimento della storia che divenne leggenda.


E così... niente, mi piaceva l'idea di ricollegare questa storia a quel preciso momento storico, dato che anche qui si parla di far decadere un dittatore per la salvezza della patria...



Fine angolo Superquark! (che sembra più che altro l'angolo Ulisse)




Ok, cominciamo a parlare del capitolo, ora.


Come si sarà giustamente capito, quella che faceva la fila per il gelato mentre si distribuiva la furbizia era Italia. Perché solo una rincoglionita di qualità sopraffina non riuscirebbe a cogliere i nemmeno tanti velati approcci che l'altro le butta in faccia di continuo. C'è da dire che la coppa dell'idiozia se lo contendono fino ai calci di rigore, questi due. Però stavolta vince Felicia. O meglio perde. L'illibatezza (oh-oh)

A tal proposito, il capitolo l'avevo immaginato un pochino più lungo, descrivendo anche l'assalto alle regioni vitali di Italia... ma poi no. Ho rinunciato del tutto a mettere quella scena.

Primo perché non volevo cambiare target, che il rosso non mi convince troppo. Secondo, perché onestamente non penso ce ne sia bisogno. Insomma, può cambiare la modalità e la tecnica ma il fine ultimo è sempre lo stesso da quando i parameci hanno deciso che era più divertente riprodursi in un altro modo oltre alla scissione cellulare. E poi preferisco che ognuno si immagini la scena come preferisca, porcellosa quanto lo desidera. Terzo, come dulcis in fundo, mi imbarazza descrivere certe tematiche... E dire che ci sono ragazzine con meno della metà dei miei anni che invece sti problemi non se li fanno. Doh.


Poi, metto le mani avanti: temo, ma spero di no, che i personaggi possano sembrare due tsundere.

Ebbene... no. O meglio, Italia non lo è, Inghilterra si, ma non lo è del tutto.

I due non si amano alla follia dal primo momento che i loro occhi si sono incrociati e blablabla. Ma neanche un po'. Italia lo dimostra esplicitamente, tra l'altro. Ma costretta dalla situazione, fa buon viso a cattivo gioco e sopporta le dirette – e ormai anche soddisfatte – avances dell'altro, avendo imparato nei secoli a scindere i sentimenti con quel che le succede nella vita.

Inghilterra per l'altra nazione ha un interesse nella conquista (la Gran Bretagna ha sempre desiderato un passaggio nel mediterraneo per l'Asia, dato che Gibilterra sola non gli è mai bastata, e l'Italia lì in mezzo è sempre stata un canto della sirena), che a livello “umano” si concretizza con una pura e semplice passione fisico-emotiva e desiderio di possesso. Per dirla con termini strettamente scientifici, in lei vede un essere di sesso femminile con un altissimo tasso di trombabilità a medio-lungo termine. Solo che ha un carattere di merda – per l'appunto tsundere – e piuttosto che ammetterlo esplicitamente complica le cose in maniera assurda dando l'aria di disprezzare quel che in realtà desidera ardentemente (mettiamoci poi la capacità di comprendere che aria tira di Feli e stiamo apposto).

Cosa che funziona nei fumetti e nelle storie dove l'altro è completamente, indefessamente e assolutamente innamorato dello/a tsundere. Nella vita vera, al terzo “io ti dico ti odio ma te devi capire ti amo” al soprannominato altro parte un vaffanculo dal profondo del cuore prima di andarsene a cercare qualcuno senza meno tare mentali.


In questa storia poi, dove Felicia più che alla categoria “mi piaci tanto e per questo sopporto il tuo carattere” si trova piuttosto in quella “ già mi stai sulle palle così, figuriamoci se mi tratti pure male”, il metodo tsundere è decisamente fallimentare. Come ammettere dunque il desiderio senza doversi “abbassare” a dirlo esplicitamente? Semplice, facendolo passare per ripicca! Lei non sopporta di essere chiamata per nome/guardata con desiderio/considerata scopabile? Perfetto, lui per darle fastidio la chiama per nome, la desidera, e se la scopa. A prescindere dal suo consenso, of course.

Ecco come si prendono due piccioni con una fava in perfetto stile tsundere U.u (Nb. Questa cosa fuori dalle fanfiction è illegale, non rifatelo a casa)

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo... ma non sarà l'ultimo. Il che significa solo che la prima parte delle Idi finisce, ma inizia il ritorno a casa... e la resistenza in Italia. Quindi cambieranno un po' di cose (soprattutto i disclaimer della storia, dato che ci saranno mooolti più personaggi, e sarà una storia decisamente più cupa e violenta)

Si, sono la classica persona con poche idee, ma confuse >_>



come al solito lancio bacioni sparsi a chi ha recensito (Lady Monet, e Kesese_93 ed Eliot Nightray), a chi ha messo tra le preferite, tra le seguite, nel bidone dell'umido. E anche a chi ha solamente letto : )



bacioni e boccioni,

Monia


  
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